La condanna per spaccio può basarsi sull’accertamento con narcotest adeguatamente motivata dal Giudice (Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 11 ottobre 2024, n. 37660).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

QUARTA SEZIONE PENALE

Composta da:

Dott. UGO BELLINI – Presidente –

Dott. DANIELA CALAFIORE – Consigliere –

Dott. GABRIELLA CAPPELLO – Consigliere –

Dott. LOREDANA MICCICHÉ – Consigliere –

Dott. ANNA LUISA ANGELA RICCI – Relatrice –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(omissis) (omissis) nato a (omissis) il xx/xx/i9xx;

avverso la sentenza del 08/11/2023 della CORTE APPELLO di CATANZARO;

visti gli atti, ii provvedimento impugnato e ii ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa ANNA LUISA ANGELA RICCI;

lette le conclusioni del PG, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. ALDO ESPOSITO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

udito il difensore.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Catanzaro ha confermato la sentenza del Tribunale di Cosenza di condanna di (omissis) (omissis) in ordine al reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 9 ottobre 1990 n. 309, commesso in (omissis) del 2020.

1.1. Nelle sentenze di merito il fatto é stato descritto nel modo seguente. Alla data su indicata, i Carabinieri avevano fermato un’autovettura condotta da (omissis) (omissis) con a bordo il (omissis) il quale aveva spontaneamente consegnato tre involucri contenenti cocaina per un totale di grammi 12,57 custoditi nel suo gilet ed un bilancino di precisione; in esito alla perquisizione estesa alla sua abitazione erano stati rinvenuti, in un barattolo posto in giardino, cinque involucri contenenti sostanza stupefacente del tipo cocaina per un peso di grammi 6,92 e un altro bilancino di precisione.

2. Avverso la sentenza di appello, ha proposto ricorso l’imputato, a mezzo del difensore, formulando quattro motivi di impugnazione.

2.1. Con il primo motivo, ha dedotto il vizio di motivazione in relazione alla affermazione della penale responsabilità.

Secondo il difensore il percorso argomentativo delle sentenze, con riferimento alla qualità e quantità della sostanza detenuta, sarebbe viziato, in quanto non vi era coincidenza fra i numero degli involucri sequestrati (otto) e quello degli involucri analizzati dal A.S.S. (nove).

Dagli atti, infatti, emergeva che gli ufficiali di polizia giudiziaria, alle 04:40, avevano proceduto ad una prima perquisizione personale rinvenendo e sequestrando tre involucri, con all’interno tre ciliegine il peso lordo complessivo di circa 12,57 grammi di presumibile sostanza stupefacente del tipo cocaina; successivamente alle 08:30, nel corso della perquisizione domiciliare, era stato sequestrato un barattolo con all’interno cinque ciliegine del peso lordo complessivo di grammi 6,32 della medesima sostanza. Doveva, pertanto, concludersi che il numero delle ciliegine/involucri sequestrato non coincideva con quello oggetto di analisi da parte del laboratorio, con la conseguenza che la motivazione posta a fondamento della sentenza risulterebbe­ -secondo il difensore- illogica, non potendo affermarsi che i reperti analizzati siano effettivamente quelli oggetto di sequestro.

2.2. Con il secondo motivo, ha dedotto l’assenza di motivazione e la violazione di legge in relazione alla mancata riqualificazione della condotta nell’illecito amministrativo di cui all’articolo 75 d.P.R. n. 309/90.

II difensore osserva che la destinazione a terzi della sostanza stupefacente sarebbe stata provata unicamente in ragione della suddivisione in dosi e del contestuale rinvenimento di un bilancino di precisione e che, invece, la condotta dell’imputato era compatibile con l’acquisto di gruppo  per uso personale, come, peraltro, riferito dallo stesso (omissis) e da (omissis) (omissis) nell’immediatezza dei fatti.

(omissis) (omissis) nel periodo in esame, percepiva l’assegno di disoccupazione e aveva anche ricevuto la liquidazione di una somma a titolo di trattamento di fine rapporto per un lavoro pregresso, sicché aveva disponibilità di danaro, tale da consentirgli di effettuare l’acquisto del quantitativo di sostanza stupefacente sequestratagli.

2.3. Con il terzo motivo, ha dedotto, non già uno specifico vizio della sentenza impugnata, bensì la mancata concessione dell’attenuante di cui all’art. 73, comma 7, P.R. n. 3 9/90.

La Corte d’Appello aveva dato atto che il ricorrente aveva fornito agli inquirenti il nominativo e il numero di telefono della persona che gli aveva ceduto la sostanza e che l’utenza telefonica indicata aveva subito diverse attivazioni e disattivazioni (l’ultima delle quali proprio nella data dei fatti); tuttavia, con un salto logico, aveva affermato che tali indicazioni non erano state di alcuna utilità investigativa.

2.4. Con il quarto motivo, ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della causa di non punibilità di quell’art. 131 bis pen. Dopo che con le conclusioni depositate in appello, la difesa aveva chiesto, in subordine, l’assoluzione ex art. 131 bis cod. pen. per la speciale tenuità del fatto, la Corte d’appello non aveva fornito alcuna motivazione in merito a tale richiesta.

3. II Procuratore Generale, nella persona del sostituto Aldo Esposito, ha rassegnato conclusioni scritte con cui ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

4. In data 17 settembre 2024 la difesa del ricorrente ha depositato una memoria con cui ha insistito per accoglimento ricorso

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. II ricorso deve essere rigettato.

2. II primo motivo, volto a censurare l’affermazione della responsabilità sotto il profilo dell’accertamento della qualità e quantità della sostanza sequestrata, é manifestamente infondato.

La Corte di appello, in replica ad analoga censura, ha rilevato, in primis, la carenza di interesse rispetto al motivo proposto, argomentando che, anche a non voler considerare la relazione del laboratorio di analisi, il narcotest aveva già chiarito che la sostanza rinvenuta nella disponibilità di (omissis) era cocaina e tale circostanza non era stata neppure messa in dubbio dallo stesso ricorrente, sicché, a fronte della intervenuta derubricazione della fattispecie originariamente contestata in quella di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/99, l’accertamento della esatta percentuale di principio attivo in ciascuno degli involucri era irrilevante. In ogni caso- hanno osservato i giudici- la polizia giudiziaria aveva distinto le cinque ciliegine rinvenute all’interno di un barattolo dai tre involucri con all’interno delle ciliegine consegnati da (omissis) sicché doveva ritenersi che gli involucri non coincidevano con le ciliegine.

Il percorso argomentativo cosi adottato non si presta alle censure dedotte.

In primo luogo l’affermazione per cui la sostanza detenuta fosse cocaina appare fondata in maniera coerente sull’accertamento tramite narcotest e sulle stesse dichiarazioni dell’imputato, ii quale aveva semplicemente addotto un consumo personale.

Questa Corte, peraltro, ha già avuto modo di affermare che “in tema di stupefacenti, ai fini della configurabilità di una delle condotte di cui all’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, non é indispensabile un accertamento peritale della qualità e quantità della sostanza stupefacente, ancorché sequestrata, potendo risultare sufficiente anche il solo narcotest, a condizione che il giudice fornisca adeguata motivazione in merito alla sussistenza di elementi univocamente significativi della tipologia ed entità di detta sostanza” (Sez. 6, n. 40044 del 29/09/2022, Pataffio, Rv. 283942 nella quale si richiamano Sez. 3 , n. 15137 del 15/02/2019, Rohani, Rv. 275968 – 02, relativa ad incidente cautelare e Sez. 4, n. 22238 di 29/1/2014, Feola, Rv 259157 relativa a fattispecie in cui vi era stata la confessione degli imputati).

Corretta é anche l’affermazione della Corte in ordine alla conseguente carenza di interesse rispetto alla questione dedotta.

Invero, data per accertata, per le ragioni su indicate, la natura della sostanza, la individuazione del principio attivo della stessa diventa irrilevante stante l’avvenuta derubricazione nel delitto di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/90 [in tal senso Sez. 6, n. 2599 del 14/12/2021, dep. 2022, Palmas, Rv. 282680 – 01 secondo cui “in tema di reati concernenti le sostanze stupefacenti, il c.d. “narcotest” consente di provare la natura stupefacente di una sostanza, ma non anche la quantità di principio attivo in essa contenuto. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso l’interesse dell’imputato a ricorrere avverso la condanna per ii reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, avendo lo stesso censurato non la natura drogante della sostanza, ma solo l’entità del principio attivo a fronte della mancata contestazione di alcuna aggravante collegabile alla entità ponderale e non essendo stata richiesta la riqualificazione del fatto in termini di Iieve entità)].

II ricorrente, nel confrontarsi con tale passaggio argomentativo, richiama la costante giurisprudenza di legittimità, secondo cui ii riconoscimento della fattispecie di cui all’art.73, comma 5, d.P.R. n. 309/90 implica una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta, selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti da detto articolo, tra i quali vi sono i mezzi le modalità e le circostanze dell’azione.

II riferimento cosi operato é, del tutto, inconferente, posto che gli indici richiamati, ivi compreso il dato qualitativo e quantitativo, sono stati appunto valutati già dal giudice, con il riconoscimento della fattispecie mene grave.

Infine la spiegazione in merito alla mancata coincidenza del numero di involucri contenuti nei verbali e nelle comunicazioni della polizia giudiziaria e quello indicato nella relazione non é illogica, tanto più che la contestazione di cui all’imputazione per la quale il ricorrente é stato condannato fa riferimento a n. 9 involucri.

3. II secondo motivo, volto a censurare la declaratoria di responsabilità in relazione alla ritenuta finalità illecita della detenzione, e manifestamente infondato.

La destinazione all’uso personale della sostanza stupefacente non ha natura giuridica di causa di non punibilità e grava perciò sulla pubblica accusa l’onere di dimostrare la destinazione allo spaccio (ex plurimis Sez. 6 n. 26738 del 18/09/2020, Canduci, Rv. 279614).

Peraltro, é orientamento consolidate quello per cui, in materia di stupefacenti, il mero data quantitativo del superamento dei limiti tabellari previsti dall’art. 73, d.P.R. n. 309 del 1990, come modificate dalla L. 21 febbraio 2006, n. 49, non vale ad invertire l’onere della prova a carico dell’imputato, ovvero ad introdurre una sorta di presunzione, sia pure relativa, in ordine alla destinazione della sostanza ad un uso non esclusivamente personale, dovendo il giudice globalmente valutare, sulla base degli ulteriori parametri indicati nella predetta disposizione normativa, se le modalità di presentazione e le altre circostanze dell’azione siano tali da escludere una finalità e esclusivamente personale della detenzione (Sez. 3, n. 46610 del 09/10/2014, Salaman, Rv. 260991; Sez. 6, n. 6575 del 10/01/2013, Mansi, Rv. 254575; Sez. 6, n. 12146 del 12/02/2009, Delugau, Rv. 242923).

Con particolare riferimento alla codentezione per consumo di gruppo, le Sezioni Unite hanno chiarito che non sono punibili penalmente, ma rientrano nella sfera dell’illecito amministrativo di cui all’art. 75 del citato T.U., l’acquisto e la detenzione di sostanze stupefacenti destinate all’uso personale che avvengano sin dall’inizio anche per conto di soggetti diversi dall’agente, quando é certa sin dall’inizio l’identità dei medesimi nonché manifesta la loro volontà di procurarsi la droga al proprio consumo.

Ciò in virtù del fatto che l’omogeneità teleologica della condotta dell’acquirente rispetto allo scopo degli altri componenti del gruppo caratterizza la detenzione quale codetenzione ed impedisce che il primo si ponga in rapporto di estraneità e, quindi, di diversità rispetto ai secondi, con conseguente impossibilita di connotare la sua condotta quale cessione (Sez. U, n. 25401 del 31/01/2013, Pc in pre. Galluccio, Rv. 255258 – 01).

Nel caso all’esame, la Corte d’Appello, in continuità con la sentenza di primo grado, ha spiegato (pag 3) che la tesi del consumo di gruppo era risultata smentita dal rinvenimento, oltre che della cocaina già divisa in dosi, di ben due bilancini di precisione e dalla inverosimiglianza della ricostruzione per cui, (omissis) il quale già disponeva di dosi di cocaina nascoste nel giardino dell’abitazione, avesse avuto la necessità di procedere a un acquisto di gruppo unitamente a (omissis) (omissis).

II compendio probatorio, ha proseguito la Corte, é univoco e depone per una evidente attività illecita posta in essere dall’imputato che, custodita una parte della droga presso l’abitazione, ne aveva portato con se alcune dosi unitamente al bilancino per provvedere alla vendita.

Si tratta di motivazione coerente con le risultanze indicate e non illogica, a cui il ricorrente non contrappone alcuna ragione di fatto o di diritto in grado di inficiarne la tenuta, ma solo asserzioni generiche, prive di riferimenti ai passaggi argomentativi segnalati e, ancora prima, alle concrete modalità dei fatti in contestazione.

4. Il terzo motivo, con cui censura il mancato riconoscimento cella circostanza attenuante di cui all’art. 73, comma 7, P.R. 309/90, é manifestamente infondato.

La corte di Appello ha argomentato che le scarne informazioni fornite dall’imputato non erano state di alcuna utilità investigativa, atteso che l’utenza telefonica indicata dallo stesso era cessata proprio alla data dei fatti. Si tratta di valutazione conforme al consolidato orientamento per cui, ai fini della applicazione dell’ attenuante del ravvedimento operoso di cui all’art. 73, comma 7, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, é necessario che l’imputato abbia offerto tutto ii suo patrimonio di conoscenze oggettivamente idonee in astratto ad evitare che l’attività delittuosa sia portata ad ulteriori conseguenze, attraverso l’individuazione e la neutralizzazione dei responsabili da lui conosciuti, o sui quali e in  grado di fornire utili elementi per l’identificazione (Sez. 4, n. 42463 del 14/06/2018, Albini, Rv. 274347; Sez. 3, n. 23942 del 01/10/2014, dep. 2015, Paternoster, Rv. 263642).

II mancato riconoscimento nel caso di specie é stato supportato da motivazione logica e come tale non sindacabile in sede di legittimità (Sez. 4 n. 3946 del 19/01/2021, Hmari Bouchaib Rv. 280385), posto che la mera indicazione di un numero di telefono appena disattivato, non può essere qualificato come contributo oggettivamente idoneo a evitare il protrarsi dell’attività delittuosa.

5. II quarto motivo, con cui si censura l’omessa motivazione in ordine alla richiesta di applicazione dell’art. 131  bis cod., é infondato.

E’ noto che, in merito al riconoscimento (o del diniego) della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen., il giudice deve motivare sulle forme di estrinsecazione del comportamento incriminato, al fine di valutarne la gravita, l’entità del contrasto rispetto alla legge e, conseguentemente, il bisogno di pena, essendo insufficiente il richiamo a mere clausole di stile {Sez. 6, n. 18180 del 20/12/2018, dep. 2019, Venezia, Rv. 275940).

II giudizio sulla tenuità dell’offesa deve essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all’art. 133, comma 1, cod. pen. (a seguito della entrata in vigore del D.lgs 10 ottobre 2022 n. 150, a decorrere dal 30 dicembre 2022 ex art. 6 d.l. 31 ottobre 2022 n. 162, anche della condotta susseguente al reato), ma non é necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti (Sez. 6 n.  55107 del 8/11/2018, Milone, Rv. 274647; sez. 3 n. 34151 del 18/6/2018, Foglietta e altro, Rv. 273678).

Peraltro la richiesta di applicazione della causa di non punibilità deve ritenersi implicitamente disattesa dal giudice, qualora la struttura argomentativa della sentenza richiami, anche rispetto a profili diversi, elementi che escludono una valutazione del fatto in termini di particolare tenuità (Sez. 3, n. 43604 del 08/09/2021, Cincola, Rv. 282097-01), sicché la motivazione può risultare anche implicitamente dall’argomentazione con la quale il giudice d’appello abbia considerato gli indici di gravità oggettiva del reato e il grado di colpevolezza dell’imputato, alla stregua dell’art. 133 cod. pen., per stabilire la congruità del trattamento sanzionatorio irrogato dal giudice di primo grado (ex plurimis: Sez. 4 n. 27595 del 11/05/2022, Omogiate Rv. 283420; Sez. 5, n. 15658 del 14/12/2018, dep. 2019, D., Rv. 275635).

Nel caso in esame, dopo che il ricorrente in sede di conclusioni aveva chiesto il riconoscimento della causa di non punibilità in esame (in ordine alla possibilità di avanzare la richiesta, per la prima volta in sede di conclusioni, stante la rilevabilità di ufficio della causa di non punibilità  da parte del giudice di appello, si veda, fra le altre, Sez. 6 , n. 2175 del 25/11/2020, dep. 2021,  Ugboh Shedrack, Rv. 280707), la Corte di appello ha implicitamente ritenuto non accoglibile tale richiesta.

Invero nel caso di specie la pena base, in ordine al reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90 (punito con la pena della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1032 a euro 10.329), é stata individuata in misura di gran lunga superiore al minimo edittale, con determinazione della pena finale di anni 1 di reclusione e euro 1600 di multa, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e riduzione per il rito ex art. 442 cod. proc. pen.

La conferma di tale statuizione da parte della Corte, a fronte della richiesta di riduzione della pena alla minima edittale formulata con i motivi di appello, equivale ad un giudizio negativo in ordine alla minima significatività dell’offesa arrecata dal reato nel caso di specie.

6. Al rigetto del ricorso, segue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma il 26 settembre 2024.

Il Consigliere estensore                                                                                              Il Presidente

Anna Luisa Angela Ricci                                                                                                Ugo Bellini

Depositato in Cancelleria, oggi 11 ottobre 2024.

SENTENZA

Il Funzionario Giudiziario

Dr. Gianfranco Catenazzo