La mancata comunicazione del nuovo indirizzo al datore va punita con la multa e non con il licenziamento (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza 28 marzo 2024, n. 8381).

LA   CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.Ii Magistrati:

Dott. ADRIANA DORONZO                           – Presidente –

Dott. FABRIZIA GARRI                                    – Rel. Consigliere –

Dott. ROBERTO RIVERSO                              – Consigliere –

Dott. CARLA PONTERIO                                – Consigliere –

Dott. FRANCESCOPAOLO PANARIELLO    – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso 2238-2023 proposto da:

(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, presso lo studio dell’avvocato (omissis) (omissis) che rappresenta e difende unitamente all’avvocato (omissis) (omissis);

ricorrente

contro

(omissis) (omissis) elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio dell’avvocato (omissis) (omissis) che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4271/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata ii 09/11/2022 R.G.N. 449/2022;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/11/2023 dal Consigliere Dott.ssa FABRIZIA GARRI.

RILEVATO CHE

1. La Corte di appello di Roma, in sede di riassunzione a seguito della cassazione della sua sentenza, ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma, n. 6351 del 23 luglio 2018 e, per l’effetto, ha annullato ai sensi del quarto comma dell’art. 18 della legge n.300/70 come modificato dalla legge n. 92 del 2012 il licenziamento intimo al (omissis) (omissis) con lettera del 4 novembre 2015, condannando la (omissis) S.p.a. a reintegrare il (omissis) (omissis) nel posto di lavoro ed a pagare una indennità risarcitoria pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, con diritto della società alla detrazione del TFR, oltre alla rivalutazione Istat ed agli interessi legali dalle singole scadenze al soddisfo ed alla regolarizzazione previdenziale come prevista dal medesimo 4° comma.

Ha poi condannato la società al pagamento delle spese dei giudizi di appello, di cassazione e di rinvio tutte da distrarsi.

1.1. II giudice del rinvio ha dato atto del fatto che la cassazione, nel fissare i due principi di diritto ai quali la Corte doveva attenersi, aveva ravvisato in capo al lavoratore un obbligo di comunicare all’azienda ogni mutamento della propria dimora, anche durante i periodi di congedo.

Ha rilevato che era stato accertato che l’assenza non era ingiustificata atteso che già nei precedenti gradi di merito era risultato che il lavoratore aveva comunicato – a mezzo telefono in data 01/10/2015 al numero verde messo a disposizione dall’Inps – il mutamento di dimora di reperibilità a decorrere dal 05/10/2015.

1.2. Esclusa quindi l’assenza ingiustificata contestata la Corte del rinvio ha preso atto del fatto che la Cassazione aveva ritenuto che presupposto per l’applicabilità alla fattispecie della tutela reale prevista dall’art. 18, comma 4 della legge 300 del 1970 era una valutazione di proporzionalità al fatto addebitato della sanzione conservativa tipizzata dalla contrattazione collettiva.

Ha quindi accertato che l’art. 225 CCNL (rubricato “Provvedimenti disciplinari”) prevede una sanzione conservativa (quella della multa) qualora il lavoratore “non dia immediata notizia all’azienda di ogni mutamento della propria dimora, sia durante il servizio che durante i congedi”.

1.3. Sulla base di tali considerazioni ha accertato che la fattispecie prevista dalla norma collettiva era esattamente corrispondente alla violazione accertata nei confronti di (omissis) (omissis) e dunque ha ritenuto applicabile il quarto comma dell’art. 18 dello statuto, non essendo configurabile nella fattispecie un’assenza ingiustificata del lavoratore.

Ha respinto le eccezioni aventi ad oggetto la mancata deduzione nel ricorso introduttivo della nullità del licenziamento per l’esistenza di apposita sanzione conservativa prevista per punire il comportamento addebitato.

1.4. II giudice del rinvio ha poi evidenziato che la sentenza della cassazione aveva esplicitamente affermato che, a fronte della proposta eccezione di sproporzione del licenziamento rispetto al fatto contestato, la valutazione di proporzionalità del fatto rispetto alla sanzione irrogata comprendesse anche la valutazione della sua previsione e punizione con sanzione conservativa.

Conseguentemente, nel caso in cui si fosse accertato che il contratto collettivo, tipizzando la condotta del lavoratore, reprimeva il comportamento con una sanzione conservativa, il licenziamento illegittimo avrebbe dovuto essere sanzionato con la tutela prevista dall’art. 18, quarto comma, legge n. 300 del 1970.

1.5. Quindi la Corte del rinvio preso atto del fatto che il lavoratore aveva sempre dedotto la sproporzione tra fatto contestato e sanzione applicata, invocando il contratto collettivo prodotto in atti, ha ritenuto che la sua valutazione si dovesse estendere all’accertamento della previsione della condotta nel CCNL tra quelle punite con sanzione conservativa.

1.6. Accertata quindi l’illegittimità del licenziamento ha ritenuto applicabile il comma 4 dell’art. 18 dello Statuto ed ha confermato la sentenza del Tribunale che era stata oggetto di reclamo, reintegrando il lavoratore e condannando la società al pagamento delle retribuzioni maturate dal licenziamento sino alla reintegra, determinate come aveva già disposto il giudice dell’opposizione nella misura massima di 12 mensilità, poiché all’epoca della pronuncia i 12 mesi dal licenziamento erano ormai trascorsi.

2. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la (omissis) s.p.a. affidato a due motivi ai quali ha resistito con tempestivo controricorso (omissis) (omissis).

Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

RITENUTO CHE

3. Con il primo motivo di ricorso é denunciata la nullità della sentenza resa in sede di riassunzione; la violazione dell’art. 112 c.p.c.; l’omessa pronuncia e/o, in ogni caso, erroneo rigetto implicito della correlativa eccezione formulata dalla Società.

3.1. Ad avviso della ricorrente con la sentenza 36729 del 2021 della cassazione, oggetto del separato giudizio di revocazione, e con la successiva sentenza resa in sede di rinvio é stato accertato che il (omissis) si era reso inadempiente all’obbligo di comunicare (anche) al datore di lavoro la variazione dell’indirizzo di reperibilità (anche) durante l’assenza per malattia, fatto disciplinarmente rilevante che gli era stato debitamente contestato dalla Società. Al contrario é stata accertata l’insussistenza dell’assenza ingiustificata da parte del (omissis).

In sostanza essendo stata accertata una infrazione disciplinare e esclusa in re ipsa la “insussistenza del fatto”, sia sul piano materiale che giuridico, che secondo la ricorrente deve essere totale.

Si tratta di fatto accertato dalla Corte di appello e coperto da giudicato non essendo stato oggetto di ricorso incidentale da parte del lavoratore nel primo giudizio per cassazione.

3.2. Sottolinea che ciò nonostante in sede di riassunzione era stato chiesto alla Corte del rinvio di “(…) d) accertare e dichiarare l’illegittimità e/o ingiustificatezza del licenziamento intimato al Sig. (omissis) con lettera del 4 novembre 2015, perché non ricorrono gli estremi della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza materiale e/o giuridica del fatto contestato (…)” e in applicazione dell’alt. 18 IV comma L. n. 300/1970, modificato da ultimo dalla L. n. 92/2012, condannare il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria, commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto, dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, ovvero alla diversa misura ritenuta di giustizia (che si indica in dodici mensilità), oltre alla regolarizzazione previdenziale per l’intero periodo ed agli interessi legali;” e, in ulteriore subordine, di dichiarare “l’illegittimità del licenziamento intimato e, per l’effetto, dichiarato risolto il rapporto, condannare la società (omissis) s.p.a. al risarcimento del danno nella misura di ventiquattro mensilità, tenuto conto della retribuzione globale di fatto mensile, oltre contributi previdenziali, assistenziali e oltre interessi legali”.

3.3. Evidenzia che, alla luce di tali richieste, era stato eccepito che non poteva essere invocata, per ottenere la reintegrazione, ” (…) il fatto della sanzione meramente conservativa da parte del CCNL, e ciò nemmeno alla stregua di quanto enunciato dalla S.C. e (..)” poiché si trattava di un argomento nuovo mai fatto valere nelle precedenti fasi processuali come era stato puntualmente eccepito:> nelle precedenti fasi ed incompatibile con le difese avanzate concentrate sul presupposto:> dell’inesistenza del fatto, concetto diverso e antitetico rispetto alla sproporzione.

3.4. Deduce che il rilievo officioso di un tale argomento determina il vizio di violazione dell’art. 112 p.c. e non rientra nel potere di sussunzione del giudice ed e estraneo al petitum avversario.

4. Con il secondo motivo di ricorso é denunciata in relazione all’art. 360, comma 1, 3) e 4) cpc la violazione e/o falsa applicazione di norma di legge.

L’alterità dei concetti di sproporzione ex art. 18, comma 5, S.L., e di sproporzione tabellare ex art. 18, comma 4, S.L.. L’insussistenza anche di eventuale continenza fra gli stessi e la nullità della sentenza.

4.1. Si sostiene che la sentenza impugnata avrebbe operato una sostanziale equiparazione / assimilazione del concetto di sproporzione di cui all’art. 18, comma 5, S.L. e di quello di cui al comma 4 della medesima norma laddove ha ritenuto che “a fronte dell’eccezione di sproporzione del licenziamento rispetto al fatto contestato la valutazione di proporzionalità del fatto alla sanzione comprende la valutazione della sua previsione e punizione con sanzione conservativa” e ricordando che la tutela reintegratoria é applicabile “Solo nel caso in cui il contratto collettivo reprima il comportamento con una sanzione conservativa, che tipizza la condotta del lavoratore” e rammentando che il lavoratore aveva dedotto la “sproporzione tra fatto contestato e sanzione applicata ed ha sempre invocato ii contratto collettivo, che peraltro risulta prodotto agli atti del processo” sicché “nella valutazione della proporzionalità della sanzione irrogata e del comportamento tenuto, la valutazione del giudice deve necessariamente estendersi anche alla avvenuta previsione del fatto contestato da parte del CCNL, punito con sanzione conservativa, cosa questa che certamente esclude la proporzione comportamento e sanzione applicata”.

4.2. Sostiene che trattandosi di fattispecie che hanno presupposti diversi, autonomi e incompatibili, così facendo la Corte sarebbe incorsa nel denunciato errore di diritto.

Rammenta che il (omissis) (omissis) aveva invocato la sproporzione esclusivamente al fine di ottenere la tutela indennitaria forte ex art. 18, comma 5, della legge n. 300 del 1970 e ss.mm.

Ad avviso della ricorrente, infatti, non vi é un rapporto di continenza fra la tutela prevista dal comma 4 e quella di cui al comma 5 dell’art. 18 citato atteso che é diverso l’oggetto dello scrutinio della situazione di fatto: da una parte la proporzione della sanzione ai fini della sussistenza della giusta causa espulsiva, dall’altra la ricognizione di fattispecie contrattuale di sanzione ad effetti conservativi del rapporto; diversi il petitum (reintegra da un lato, tutela indennitaria dall’altro) e la causa petendi (sanzione conservativa contrattualcollettivà da un lato, sproporzione generica dall’altro).

Questo a maggior ragione laddove siano invocate le seconde (meno incisive e di carattere esclusivamente economico) e non già le prime.

5. Le due censure che possono essere esaminate congiuntamente sono infondate.

5.1. É necessario chiarire che il lavoratore era stato licenziato in quanto si era ritenuto che fosse risultato ingiustificatamente assente alla visita domiciliare disposta dall’Inps.

Nel corso del giudizio si era invece accertato che il lavoratore aveva comunicato all’Inps l’indirizzo al quale andava eventualmente effettuato il controllo e per tanto in fatto era risultato provato che non vi era stata alcuna assenza ingiustificata.

Al contrario era stato poi accertato che il lavoratore sarebbe venuto meno all’obbligo di comunicare al datore di lavoro l’indirizzo in cui era reperibile. É stato poi accertato che tale violazione era punibile, ai sensi dell’art. 224 c.c.n.l. con la sanzione della multa.

A tale convincimento la Corte del rinvio é pervenuta sulla base delle allegazioni della parte ricorrente che aveva contestato la sussistenza del fatto, che effettivamente era insussistente per come contestato.

Tanto premesso va rilevato che é il giudice al quale sono prospettati petitum (illegittimità del licenziamento e relativa tutela) e causa petendi (inesistenza del fatto) che deve procedere a qualificarli.

Ove accerti un fatto che pur disciplinarmente rilevante sia diverso rispetto a quello contestato, quindi, é tenuto a verificare quale sia la tutela applicabile e qualora accerti che si tratta di condotta che e punita con una sanzione conservativa deve applicare la tutela reintegratoria debole del 18 comma 4.

5.2. Questo é quello che ha fatto la Corte del rinvio dando applicazione al principio di diritto dettatole dalla cassazione, inquadrando la condotta della mancata comunicazione dell’indirizzo al datore di lavoro nella fattispecie prevista dal c.c.n.l. all’art. 224 punita con la multa ed escludendo che vi fosse un’assenza ingiustificata nel caso in cui, come nella specie, l’esito infruttuoso della visita di controllo doveva essere addebitato all’Inps che non aveva tenuto canto dell’indirizzo comunicatogli dal lavoratore.

5.4. Si tratta di un procedimento di sussunzione della fattispecie compiuto utilizzando le allegazioni delle parti e la tutela da applicare e poi quella propria della fattispecie accertata.

In tema di licenziamento disciplinare, nella nuova disciplina prevista dall’art. 18 st.lav. riformulato, infatti, il giudice deve preliminarmente accertare se ricorrano gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, quali presupposti condizionanti la legittimità del recesso secondo previsioni legali non modificate dalla riforma e, solo ove ravvisi la mancanza della causa giustificativa, deve provvedere a selezionare la tutela applicabile ed in particolare se si tratti di quella generale ex comma 5 ovvero quella ex comma 4, operante nei soli casi ivi previsti (cfr. per tutte cass. 20/08/2020 n.17492 e 10/02/2020 n.3076).

6. In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, poi, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in € 5.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.

Così deciso in Roma il 21 novembre 2023

Il Presidente

Adriana Doronzo

Depositato in Cancelleria il 28 marzo 2024.

SENTENZA – copia non ufficiale -.