Niente sequestro probatorio del denaro se manca il nesso con i reati contestati (Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 27 marzo 2024, n. 12470).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

QUARTA SEZIONE PENALE

Composta da:

Dott. SALVATORE DOVERE – Presidente –

Dott. LUCIA VIGNALE – Relatore –

Dott. DANIELA CALAFIORE – Consigliere –

Dott. EUGENIA SERRAO – Consigliere –

Dott. MARINA CIRESE – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(omissis) (omissis) nato a (omissis) il xx/xx/19xx;

avverso l’ordinanza del 04/01/2024 del TRIB. LIBERTÁ di TRANI

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa LUCIA VIGNALE;

lette le conclusioni del PG, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa MARILIA DI NARDO, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 4 gennaio 2024 il Tribunale di Trani, investito ai sensi dell’art. 324 cod. pen., ha confermato il decreto di convalida della perquisizione e del contestuale sequestro probatorio emesso in data 13 dicembre 2023 dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trani e ha respinto la richiesta di restituzione dei beni in sequestro avanzata nell’interesse di (omissis) (omissis).

2. Come emerge dalla lettura dell’ordinanza, il 12 dicembre 2023 ufficiali e agenti di Polizia giudiziaria del Commissariato di S. di Barletta eseguirono perquisizioni all’indagato (omissis) (omissis).

Nel box in uso all’indagato (omissis) (omissis) gli operanti rinvennero sostanze stupefacenti di diverso tipo (chetamina, cocaina, eroina, marijuana, hashish, ecstasy) e materiale atto al confezionamento di singole dosi.

Vi rinvennero, inoltre, in una vetrina posta nelle adiacenze dell’armadio ove era custodito lo stupefacente, due cassette di sicurezza al cui interno era custodita la somma contante di € 14.395,00 suddivisa in banconote di vario taglio.

La perquisizione personale condusse al rinvenimento – nel marsupio che (omissis) aveva a tracolla – di tredici grammi di chetamina, di denaro contante per€ 125,00, ed anche delle chiavi dell’abitazione, del box e della macchina dell’indagato. L’auto fu perquisita e, in un vano del portabagagli posteriore, fu rinvenuta una chiave del box perquisito. La macchina, il materiale e il denaro rinvenuti furono sottoposti a sequestro unitamente al telefono cellulare del quale l’indagato aveva la disponibilità.

Il sequestro é stato convalidato dal Pubblico Ministero con decreto in data 13 dicembre 2023.

La convalida é stata disposta sostenendo che i beni in sequestro costituiscono corpo del reato o cose pertinenti al reato e che il vincolo cautelare reale deve essere mantenuto a fini di prova.

Segnatamente, al fine di: «fornire adeguato riscontro al risultanze investigative raccolte; ottenere una completa ricostruzione della vicenda in esame nonché l’individuazione di soggetti complici; consentire i necessari accertamenti tecnici sulla sostanza  stupefacente, sull’autovettura utilizzata nella commissione del reato e sulle cassette dove e stato rinvenuto il denaro contante, sul denaro al fine di individuarne la provenienza; consentire i necessari rilievi finalizzati all’esaltazione di tracce (impronte papillari latenti) sui beni in sequestro; consentire i necessari accentramenti sul telefono cellulare finalizzati a ricostruire la vicenda in esame mediante l’estrazione di copia forense; salvaguardare l’integrità della res scongiurando il pericolo di dispersione, di modificazione o di manomissione e di alterazione [ …], si da rendere possibile l’analisi e l’osservazione diretta da parte del giudice, di eventuali periti e consulenti, nonché delle parti processuali in qualunque stato del procedimento e in sede di eventuale dibattimento».

Contro questo decreto il difensore dell’indagato ha proposto ricorso, sostenendo che la motivazione sarebbe solo apparente sia con riferimento alla somma di denaro che con riferimento all’autovettura e osservando che non v’e alcun nesso pertinenziale tra ii reato ascritto all’indagato, la somma di denaro rinvenuta nella sua disponibilità e ii possesso dell’auto. A sostegno di tali argomentazioni ha documentato che (omissis) svolge regolare attività lavorativa e percepisce uno stipendio mensile di 1.300 euro.

II Tribunale di Trani ha rigettato il ricorso. Ha ritenuto, infatti, che l’ufficio requirente abbia assolto all’onere di indicare le ragioni per le quali il mantenimento del sequestro é funzionale all’accertamento dei fatti e che la motivazione fornita dal Pubblico ministero sia congrua anche con riferimento alla necessità di svolgere ulteriori indagini al fine di accertare «la provenienza delle cose in sequestro e scongiurarne il pericolo di dispersione, modificazione o manomissione».

Secondo il Tribunale, le circostanze di tempo e di luogo del rinvenimento del denaro consentono di ritenere che vi sia «rapporto pertinenziale tra la somma e l’attività di spaccio» e tale rapporto pertinenziale rende necessario il mantenimento del vincolo reale «in funzione dell’accertamento dei fatti». Quanto al sequestro dell’autovettura, il Tribunale osserva che all’interno della stessa é stata rinvenuta la chiave del box ove la sostanza stupefacente era occultata e sottolinea che il Pubblico ministero ha rappresentato la necessità di svolgere accertamenti sul veicolo «verosimilmente impiegato per il trasporto della sostanza».

3. Contro il provvedimento del Tribunale (omissis) (omissis) ha proposto tempestivo ricorso.

3.1. Col primo motivo, la difesa del ricorrente lamenta violazione dell’art. 253 cod. proc. pen.

II difensore sottolinea che la necessità di mantenere il sequestro sulla somma rinvenuta é stata affermata sull’assunto che la stessa costituirebbe il profitto dell’attività di spaccio e tale motivazione rende evidente che lo strumento del sequestro probatorio e state utilizzato illegittimamente.

Non sono state spiegate, infatti, le ragioni per le quali il mantenimento del vincolo sul denaro sarebbe necessario a fini di prova e si é argomentato sulla ritenuta sproporzione tra i redditi percepiti da (omissis) (omissis) e le somme rinvenute nella sua disponibilità: un dato che – sottolinea la difesa – non può giustificare un sequestro probatorio, ma può rilevare soltanto ai fini dell’eventuale applicazione dell’art. 240 bis pen.

La difesa osserva:

che a (omissis) (omissis) é stata contestata la detenzione a fini di spaccio della sostanza stupefacente rinvenuta;

che il denaro non può essere considerato profitto della detenzione di stupefacenti ancorché finalizzata alla cessione a terzi;

che pertanto non v’e nesso di pertinenzialità tra la somma sequestrata e il reato per cui si procede.

Per quanto riguarda il sequestra dell’autovettura, la difesa rileva che la tesi secondo la quale il veicolo sarebbe stato utilizzato per il trasporto dello stupefacente é stata sostenuta, con argomentazione illogica e apodittica, sol perché in quella macchina vi erano le chiavi del box nel quale era custodita la sostanza stupefacente.

3.2. Col secondo motivo la difesa deduce vizi di motivazione.

Si duole che il Tribunale abbia omesso di esaminare la documentazione reddituale prodotta e sostiene che, invece di spiegare perché il denaro rinvenuto nella disponibilità dell’indagato dovrebbe rappresentare il profitto del reato, il Tribunale si é limitato «a negare cittadinanza» a tale documentazione, in tesi difensiva idonea ad attestare «una capacità reddituale proporzionata alla somma di denaro rinvenuto».

4. II Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni scritte chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

Ha sottolineato a tal fine:

che il ricorso per cassazione contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio é ammesso solo per violazione di legge;

che possono ricomprendersi in questa nozione soltanto i vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutta mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice;

che tale situazione non sussiste nel caso di specie, atteso che il Tribunale ha fornito adeguata motivazione sia in ordine alla sussistenza del fumus del reato di spaccio (del quale il denaro costituisce provento) sia in ordine alla necessità di accertare, mediante rilievi sull’autovettura, se la stessa sia stata utilizzata per lei commissione del reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. II ricorso é fondato nei limiti che saranno di seguito specificati.

2. Si deve premettere che – come il Procuratore generale ha ricordato nella requisitoria scritta, il ricorso per cassazione contra ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo e probatorio é ammesso solo per violazione di legge.

In questa nozione si devono comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo sia quei vizi della motivazione cosi radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692; Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, Bevilacqua, Rv. 226710).

Col primo motivo, la difesa sostiene che la motivazione del provvedimento impugnato sarebbe solo apparente.

Osserva che il denaro contante e l’autovettura in sequestro sono stati apoditticamente qualificati come “corpo del reato” senza spiegare perché siano legati a vincolo di pertinenzialità col delitto per cui si procede e sottolinea che a (omissis) é stata ascritta una detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti.

Si duole, inoltre, che il Tribunale non abbia indicato gli accertamenti cui il mantenimento del sequestro sarebbe formalizzato e abbia ritenuto sufficienti a tal fine le generiche indicazioni fornite dal Pubblico ministero nel decreto di convalida.

3. II motivo é infondato nella parte in cui sostiene che il Tribunale non avrebbe spiegato le ragioni per le quali l’autovettura e il denaro contante sono stati qualificati come corpo del reato o cose pertinenti ad esso.

A questo proposito si deve ricordare che il sequestro probatorio é un «mezzo di ricerca della prova» e può essere eseguito quando sussiste il fumus della commissione di un reato inteso nella sua accezione materiale senza che sia necessaria la sussistenza di gravi indizi della responsabilità dell’indagato.

Tale mezzo di ricerca della prova é ritualmente disposto, purché sia ragionevolmente presumibile o probabile (anche sulla base di argomenti di carattere logico), la commissione di un reato (Sez. 3, n. 6465 del 14/12/2007, dep. 2008, Penco,  Rv. 239159; Sez. 2, n. 84 del 16/01/1997, Becacci, Rv. 203468).

In sede di riesame il tribunale é chiamato a verificare la sussistenza dell’astratta configurabilità del reato ipotizzato, non già nella prospettiva di un giudizio di merito sulla fondatezza dell’accusa, bensì con riferimento alla idoneità degli elementi su cui si fonda la notizia di reato a rendere utile l’espletamento di ulteriori indagini per acquisire prove certe o ulteriori del fatto (Sez. 3, n. 3465 del 03/10/2019, dep. 2020, Pirie, Rv. 278542; Sez. 2, n. 25320 del 05/05/2016,  Bulgarella, Rv. 267007),

In altri termini: per ritenere la legittimità di un sequestro probatorio é sufficiente la sussistenza del fumus del reato unita alla possibilità che le cose oggetto del vincolo siano state utilizzate per commetterlo o ne costituiscano il prodotto, il profitto o il prezzo.

Qualora tale fumus emerga dalle indagini svolte, il sequestro é legittimo perché volto a stabilire (in se stesso o per le indagini che l’apprensione del bene rende possibile) se il collegamento pertinenziale tra la res e l’illecito, oltre che possibile, sia concretamente esistente (Sez. 6, n. 1683 del 27/11/2013, dep.2014, Cisse, Rv. 258416; Sez. 2, n. 31950 del 03/07/2013, Fazzari, Rv. 255556; Sez. 3, n.13641 del 12/02/2002, Pedron, Rv. 221275).

Muovendo da queste premesse si é condivisibilmente affermato che «la motivazione dell’ordinanza confermativa del decreto di sequestro probatorio é meramente apparente – quindi censurabile con il ricorso per cassazione per violazione di legge – quando le argomentazioni in ordine al “fumus” del carattere di pertinenza ovvero di corpo del reato dei beni sottoposti a vincolo non risultano ancorate alle peculiarità del caso concrete» (Sez. 4, n. 43480 del 30/09/2014, Giovannini, Rv. 260314 ).

Applicando questi principi a caso in esame si deve osservare che il Tribunale ha fornito congrua motivazione in ordine alla sussistenza del fumus del reato di cui all’art. 73 d.P.R., 9 ottobre 1990 n. 309 sia con riferimento alla detenzione a fini di spaccio che con riferimento ad una attività di spaccio pregressa.

Sotto il primo profilo, ha sottolineato che «l’ingente quantitative di sostanza stupefacente rinvenuta, il contestuale rinvenimento di strumenti per il frazionamento e il porzionamento della sostanza, nonché di una cospicua somma di denaro in banconote di diverse taglio», rappresentano indici sintomatici – anche alla luce della diversa tipologia di sostanze delle quali (omissis) aveva disponibilità – che «la detenzione non fosse finalizzata al consumo esclusivamente personale, quanto piuttosto finalizzata alla commercializzazione».

Con riferimento al secondo profilo ha aggiunto:

che la somma di denaro rinvenuta non può considerarsi provento dell’attività lavorativa svolta da (omissis) (omissis) (il quale percepisce uno stipendio netto di € 1.300 al mese);

che il pagamento di sostanze stupefacenti avviene normalmente in contanti;

che il denaro é stato rivenuto nel luogo ove era detenuto lo stupefacente;

che, pertanto, plurimi elementi convergono nel ritenere quel denaro quale provento di una attività di spaccio pregressa.

A queste argomentazioni non si può obiettare, come fa il ricorrente, che (omissis) non é accusato di aver ceduto stupefacenti, ma solo di averne detenuti a fini di spaccio.

Ai fini del sequestro probatorio, infatti, non deve essere formulata una precisa contestazione e il Tribunale – chiamato a verificare la sussistenza dell’astratta configurabilità del reato ipotizzato dal Pubblico ministero (art. 110 cod. pen. e art. 73 d.P.R. n. 309/909) – ne ha ritenuto sussistente il “fumus” sia sotto il profilo della detenzione a fini di spaccio che con riferimento a cessioni già avvenute.

Non si versa in un caso di diversa qualificazione giuridica del fatto perché il Tribunale si é limitato a constatare che le indagini sono in corso anche per verificare se vi siano state pregresse cessioni e che, alla luce del rinvenimento di una ingente somma di denaro contante, tale ipotesi investigativa non é priva di fondamento.

Peraltro, anche nel caso di applicazione di misure cautelari personali e reali (diverso da quello oggetto del presente ricorso), la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto possibile una diversa qualificazione giuridica del fatto ad opera del giudice, sia in sede di applicazione della misura sia in sede di riesame o di appello (Sez. 3, 1897 del 29/04/1997, Parmegiani, Rv. 208698; Sez. 2, n. 9948 del 23/01/2020, P., Rv. 279211).

Per quanto esposto, la dedotta violazione dell’art. 253 cod. proc. pen non può ritenersi sussistente e la motivazione con la quale il denaro é stato indicato come provento del reato non può dirsi mancante.

4. II ricorso non ha maggior pregio quando sostiene che il Tribunale avrebbe ipotizzato, in assenza di prova, un nesso di pertinenzialità tra il reato per cui si procede e l’autovettura in sequestro.

L’ordinanza impugnata evidenzia che il Pubblico ministero ha ritenuto necessario svolgere accertamenti sull’auto al fine di verificare se sia stata utilizzata per lo svolgimento di attività di spaccio.

Secondo il Tribunale, tale accertamento é giustificato dalla constatazione che nell’autovettura erano custodite le chiavi del box al cui interno é stato rinvenuto lo stupefacente e ciò da fondamento all’ipotesi investigativa secondo la quale l’auto fu utilizzata per commettere il reato.

L’itinerario logico seguito dai giudici di merito é chiaramente comprensibile e tiene conto della situazione concretamente accertata. Non si può dunque sostenere che la motivazione sia mancante o viziata a tal punto da integrare una violazione di legge.

5. Come si é detto, il Tribunale ha ritenuto sussistente il fumus di una attività di spaccio protrattasi nel tempo e ha ritenuto che il denaro contante rinvenuto nella disponibilità dell’indagato possa costituire il profitto di tale attività.

Da tale argomentazione discende che il denaro di cui si tratta é stato considerato «corpo del reato» ai sensi dell’art. 253, comma 2, cod. proc. pen.

Questa motivazione, però, non é sufficiente a giustificare un sequestro probatorio.

Secondo un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, infatti, «il denaro costituente corpo del reato può essere oggetto di sequestro probatorio a condizione che sia data idonea motivazione, non solo della sussistenza del nesso di derivazione o di pertinenza fra la somma sottoposta a sequestro ed il reato, ma anche delle specifiche esigenze probatorie in relazione alle quali é necessario sottoporre a vincolo il denaro rinvenuto (Fattispecie in cui la Corte ha annullato il decreto di sequestro probatorio ritendo generica la motivazione, che si limitava ad indicare l’esigenza di verificare la provenienza del denaro, senza dar conto degli specifici accertamenti rispetto ai quali era necessaria l’apprensione delle banconote)» (Sez. 6, n. 21122 del 29/03/2017, Peritore, Rv. 270785; Sez. 6, n. 23046 del 04/04/2017, Veizi, Rv. 270487; sull’argomento anche: Sez. 3, n. 11935 del 10/11/2016, dep. 2017, Zamfir, Rv. 270698).

Per questa parte la motivazione del provvedimento impugnato é mancante.

L’ordinanza impugnata, infatti, non spiega per quale ragione, al fine di verificare la provenienza del denaro sequestrato e accertare come si siano svolti i fatti per cui si precede, sarebbe necessario mantenere in sequestro proprio le banconote che sono state sequestrate.

É doveroso ribadire, allora, che il sequestro probatorio assolve ad una specifica esigenza di accertamento dei fatti e non può essere piegato alla soddisfazione di esigenze di natura diversa, quale quelle di natura specialpreventiva e di mantenimento della res a fini di confisca: esigenze a tutela delle quali il codice di rito ha previsto lo strumento cautelare reale del sequestro preventive ex art. 321 cod. proc. pen.

6. Per quanto esposto, l’ordinanza impugnata deve essere annullata limitatamente al sequestro del denaro, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Trani competente ai sensi dell’art. 324, comma 5, cod. proc. pen. Nel resto il ricorso va rigettato.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente al sequestro della somma di denaro e rinvia per nuovo giudizio  sul punto al Tribunale di Trani competente ai sensi dell’art. 324, comma 5, cod. proc. pen.

Rigetta il ricorso nel resto.

Così deciso il 12 marzo 2024.

Il Consigliere Estensore                                                                                        Il Presidente

Lucia Vignale                                                                                                      Salvatore Dovere

Depositato in Cancelleria, oggi 27 marzo 2024.

Il Funzionario Giudiziario

Dr. Gianfranco Catenazzo

SENTENZA