REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
PRIMA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
MAURO DI MARZIO Presidente
ALESSANDRA DEL MORO Consigliere – Rel.
MASSIMO FALABELLA Consigliere
LUIGI D’ORAZIO Consigliere
PAOLO CATALLOZZI Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27094/2020 R.G. proposto da:
POSTE ITALIANE SPA, elettivamente domiciliato in ROMA V.LE (omissis) 175, presso lo studio dell’avvocato (omissis) (omissis) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (omissis) (omissis);
-ricorrente-
contro
(omissis) SPA, elettivamente domiciliato in ROMA V.LE G. CESARE 21, presso lo studio dell’avvocato (omissis) (omissis) che lo rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 612/2020 depositata il 23/01/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/06/2024 dal Consigliere dott.ssa ALESSANDRA DAL MORO.
FATTI DI CAUSA
1.- La (omissis) s.p.a. ha convenuto avanti al Tribunale di Roma Poste Italiane s.p.a. per chiederne la condanna al risarcimento del danno derivante dall’illegittima negoziazione di un assegno di traenza, non trasferibile, di importo pari a euro 8.100,00, emesso su propria richiesta da Unicredit s.p.a., e spedito a mezzo raccomandata al domicilio eletto dal beneficiario, il quale aveva lamentato il mancato ricevimento del titolo benché lo stesso risultasse incassato presso una agenzia di Poste Italiane in Roma, ed aveva disconosciuto la firma di traenza tramite querela presentata presso la Questura di Napoli.
2.- Con sentenza depositata nel marzo 2018, il Tribunale ha respinto la domanda e condannato la società attrice al pagamento in favore della convenuta delle spese di lite, e ciò sulla base del presupposto che l’erronea identificazione del prenditore commesso dalla negoziatrice Poste Italiane non le fosse imputabile poiché «l’assegno è stato presentato da soggetto qualificatosi come beneficiario dell’assegno previa presentazione di un documento d’identità che ne consentiva l’identificazione, ed e stato accreditato sul libretto di deposito contestualmente aperto da tale soggetto salvo buon fine, con messa a disposizione della somma solo dopo che era trascorso il termine di tre giorni senza che la banca trattaria (…) avesse inviato alcuna comunicazione di mancato pagamento».
3.- Genertel ha proposto appello avanti alla Corte d’Appello di Roma censurando la sentenza di primo grado poiché aveva escluso la colpa della convenuta Poste Italiane nella negoziazione del titolo e quindi l’imputabilità alla stessa dell’errore identificativo del soggetto beneficiario.
La Corte d’Appello di Roma ha accolto l’impugnazione e condannato Poste Italiane a pagare a (omissis), a titolo di risarcimento del danno (rivalutato all’attualità) la somma di euro 8.549,81 oltre interessi dalla sentenza al saldo e al rimborso alla controparte delle spese del doppio grado di giudizio.
4.- In proposito la Corte territoriale ha rilevato che, nella specie, Poste Italiane non ha adottato la diligenza dovuta nell’identificazione del presentatore dell’assegno apparente legittimato all’incasso.
In fatto ha rilevato che il soggetto al quale è stato pagato l’assegno, non trasferibile era stato identificato tramite la patente di guida e la tessera sanitaria «quindi di due documenti che nell’insieme non potevano dare una garanzia di identificazione (tanto più che la circolare ABI richiede che i due documenti siano muniti di fotografia)» e che Poste Italiane aveva sottovalutato la circostanza «che avrebbe dovuto indurle un qualche sospetto, che il sedicente sig. (omissis) (omissis) residente in Benevento, aprisse un libretto di risparmio (il giorno stesso della negoziazione dell’assegno) non presso una filiale di Benevento di Poste Italiane bensì presso una di Roma-Acilia, quindi a 241 km circa di distanza dal luogo di residenza, risultando pertanto uno sconosciuto al suddetto ufficio postale ».
Ha sottolineato, quindi, la circostanza che il titolo era stato pagato ad un soggetto che non era correntista o depositante della negoziatrice e che aveva aperto il conto proprio in occasione della negoziazione dell’assegno, il che doveva indurre l’operatore di sportello ad una particolare attenzione, come suggerisce in tali casi la circolare ABI, facendo ricorso a fidefacenti conosciuti dalla banca, prassi operativa volta ad evitare in tali casi il pagamento di titoli a soggetti non legittimati, destinata ad orientare il comportamento diligente degli operatori bancari indipendentemente dal fatto che la stessa non rivesta natura normativa, dalla quale nella specie Poste Italiane si era ingiustificatamente discostata.
In diritto ha, quindi, osservato che, stante la natura contrattuale della responsabilità prevista dall’articolo 43 L.A., la banca non ha fornito prova, com’era suo specifico onere ex articolo 1218 c.c., che l’inadempimento sia stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa ad essa non imputabile, risultando, per contro, proprio da una sua colpa, per non aver adottato le specifiche misure suggerite per il compimento della specifica attività oggetto della fattispecie in esame; tanto più trattandosi di un assegno c.d. di traenza, «relativamente al quale, sulla base delle sue particolari specificità, soltanto la banca negoziatrice era nelle condizioni di identificare colui che, girando l’assegno per l’incasso, lo immetteva nel circuito di pagamento, circostanza che non poteva né doveva essere ignorata dagli operatori dei servizi bancari di Poste Italiane».
6.- La Corte territoriale ha, poi, osservato che nella specie non era ravvisabile alcuna responsabilità, esclusiva o concorrente, della (omissis) S.p.A. per aver spedito l’assegno con posta ordinaria, rilevando, in fatto, che il suddetto titolo era stato spedito con posta raccomandata; in diritto, che l’eventuale condotta colposa del danneggiato non riveste efficacia causale concorrente nella determinazione del danno «quando questo è conseguenza di un comportamento colposo dell’istituto di credito che ha posto all’incasso il titolo, effettuando il pagamento a soggetto estraneo al rapporto cartolare», escludendo, quindi, anche la rilevanza della denunciata violazione della normativa che vieta di includere nelle corrispondenze ordinarie denaro e altri valori e preziosi in quanto «attiene ai soli rapporti tra l’ente postale e l’utente».
7.- Avverso detta sentenza, Poste Italiane ha presentato ricorso, affidandolo a cinque motivi di cassazione.
Ha resistito, con controricorso, (omissis) S.p.A. che, in via pregiudiziale, ha sollevato eccezione di inammissibilità del ricorso per tardiva notificazione dello stesso avvenuta oltre il termine di cui all’art. 327 c.p.c. e conseguente passaggio in giudicato della sentenza impugnata, eccezione ribadita con memoria depositata ex art. 378 c.p.c.; in subordine ha eccepito l’inammissibilità e l’infondatezza dei singoli motivi di ricorso.
Poste Italiane, a sua volta, ha depositato nei termini memoria con cui ha resistito all’eccezione di tardività del gravame e ribadito i propri motivi di ricorso, sia con riguardo alla corretta identificazione nella specie del presentatore (asseritamente identificato con documenti risultati genuini) ed all’assenza di prova che costui non fosse effettivamente il legittimo beneficiario, sia con riguardo alla errata esclusione della colpa della (omissis) per l’invio del titolo tramite posta raccomandata anziché tramite posta assicurata come stabilito dalla normativa postale per valori e titoli.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Preliminarmente deve essere valutata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per tardività dello stesso.
2.- La resistente ha dedotto che il ricorso contro la sentenza pubblicata in data 23.1.2020 le è stato notificato presso il procuratore domiciliatario costituito in secondo grado soltanto in data 2.11.2020, quando erano trascorsi i sei mesi di cui all’art. 327 c.p.c. (tenuto conto della sospensione feriale e della sospensione straordinaria dal 9 marzo all’11 maggio 2020 – ex art. 83 c. 2 D.L.18/2020 e art. 36 c. 1 D.L. 23/2020 conv. con modif. dalla legge n. 40 del 2020- in conseguenza dell’emergenza sanitaria derivante dalla diffusione del Covid-19).
Poste Italiane ha replicato che la tardività della notifica sarebbe incolpevole, come dedotto nella richiesta di rimessione in termini, datata 2.11.2020, su cui è stato pronunciato decreto di non luogo a provvedere avendo l’istante stessa dichiarato di aver già provveduto alla rinnovazione della notifica ancorché fuori termine, in linea con l’onere che le incombeva (Cass.SU. 15.7.2016 n. 14594).
3.- L’eccezione va accolta.
La sentenza impugnata resa dalla Corte d’Appello di Roma è stata pubblicata il 23.1.2020 e non è stata notificata, con conseguente applicabilità del c.d. “termine lungo” di cui all’art. 327 cpc.
La notifica del ricorso a Genertel S.p.A. a mezzo ufficiale giudiziario è stata richiesta dal ricorrente presso il difensore costituito, domiciliatario, in data 23.10.2020, tre giorni prima della scadenza del termine di sei mesi di cui all’art. 327 c.p.c., ma non si è perfezionata in quanto il difensore risultava traferito ad altro indirizzo in Roma, come si evince dalla relata di notifica allegata al ricorso (trasferimento comunicato al Consiglio dell’Ordine di Roma in data 14.2.2020, all. 5 al controricorso).
La ricorrente ha dichiarato di aver avuto contezza di detto esito negativo solo momento del ritiro della relata presso l’ufficio notifiche, avvenuto solo il 28.10.2020 «per la contrazione dei servizi a motivo delle misure emergenziali» e si è subito attivata per la «ripresa del procedimento notificatorio provvedendo alla rinnovazione della notifica a mezzo p.e.c. all’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore» in data 2.11.2020.
4.- La notifica, infine perfezionata, deve considerarsi tardiva, non potendosi attribuire rilevanza al primo tentativo di notifica per considerare efficacemente concluso il procedimento c.d. di riattivazione, in quanto il mancato perfezionamento del detto primo tentativo, nella specie, deve ritenersi imputabile alla ricorrente.
Ed, invero, in base alla pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte n. 44954 del 15/7/2016, in caso di notifica di atti processuali non andata a buon fine, solo ove il mancato perfezionamento sia dovuto a ragioni non imputabili al notificante questi, appreso dell’esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria deve riattivare il processo notificatorio con immediatezza e svolgere gli atti necessari al suo completamento, senza superare il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall’art. 325 c.p.c., salvo circostanze eccezionali di cui va data prova rigorosa.
Dunque il principio della riattivabilità del procedimento di notificazione dell’impugnazione, nonostante il superamento dei relativi termini perentori e decadenziali – affermato in conformità ai principi di economia processuale e di conservazione degli atti – è subordinato alla condizione che il mancato perfezionamento della tentata notifica non sia imputabilità a fatto della parte.
A tale proposito la stessa sentenza delle Sezioni Unite citata, in caso di trasferimento del difensore domiciliatario della parte destinataria della notifica, distingue due ipotesi al fine di stabilire se il mancato perfezionamento sia o meno imputabile al notificante, a seconda che il difensore presso cui viene effettuata la notifica eserciti o meno la sua attività professionale nel circondario del Tribunale in cui si svolge la controversia.
Infatti nel caso in cui il difensore della parte destinataria della notifica svolga le sue funzioni nello stesso circondario del Tribunale cui egli sia professionalmente assegnato, è onere del notificante accertare – anche mediante riscontro delle risultanze dell’albo professionale- quale sia l’effettivo domicilio professionale del difensore, con la conseguenza che non può ritenersi giustificata l’indicazione nella richiesta di notificazione di un indirizzo diverso ancorché eventualmente corrispondente all’indicazione fornita dal medesimo difensore nel giudizio e non seguita da comunicazione del successivo mutamento (successivamente alla pronuncia delle S.U. v. sentenza n. 20527 del 30/08/2017, Sentenza n. 15056 del 11/06/2018; Ordinanza n. 8618 del 28/03/2019).
Mentre allorquando il difensore svolga le sue funzioni in un altro circondario ed abbia quindi proceduto all’elezione di domicilio ai sensi della legge professionale, deve ritenersi non imputabile al notificante il mancato perfezionamento della notifica per avvenuto trasferimento della sede della domiciliazione.
4.1 – Nel caso di specie il difensore costituito della resistente svolge le sue funzioni nel circondario al cui albo è iscritto ed era, dunque, onere del notificante verificare tempestivamente l’attualità dell’indirizzo indicato in atti.
4.2- Nella memoria depositata la ricorrente replica che «non vi sono state comunicazioni di variazione del domicilio eletto né vi erano evidenze in tal senso. La notifica del ricorso per cassazione in esame è avvenuta presso il procuratore costituito all’indirizzo risultante dall’epigrafe della sentenza impugnata e dalle ultime informazioni note alla data del 31.3.2020»; dunque ammette di non aver neppure allegato di aver effettuato un controllo di quanto risultasse dall’Albo degli Avvocati del Foro di Roma.
4.3 – Applicandosi, allora, i riportati principi (richiamati anche nella più recente Cass. n. 4663 del 2021), pienamente condivisi da questo Collegio, alla fattispecie in esame, consegue che la ricorrente aveva l’onere di controllare che l’indirizzo dello studio del procuratore domiciliatario della società appellata (Avv. (omissis) (omissis), pacificamente esercente le sue funzioni nello circondario del Tribunale di Roma, cui è professionalmente assegnato), non fosse mutato rispetto a quello dichiarato nel corso del giudizio di merito, sicché la stessa ha errato nel richiedere la notificazione presso lo studio del medesimo procuratore indicato in quest’ultima.
Ne consegue che l’errore sul domicilio è privo della caratteristica della non imputabilità, onde non può ritenersi la continuità tra il primo tentativo di notifica, non andato a buon fine, e quello successivo positivamente conclusosi.
Da ciò consegue l’inammissibilità del ricorso, per tardività.
4.4.- A ciò va solo aggiunto che la regola del cosiddetto “domicilio digitale”, di cui all’art. 16-sexies del d.l. n. 179 del 2012 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012), introdotto dall’art. 52, comma 10, lett. b), del d.l. n. 90 del 2014 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114 del 2014), che impone di eseguire le notificazioni e le comunicazioni esclusivamente all’indirizzo p.e.c. che ciascun avvocato ha indicato al Consiglio dell’Ordine di appartenenza, ha immediata efficacia nei giudizi in corso per gli atti compiuti successivamente alla vigenza del d.l. n. 90 del 2014, in applicazione del generale principio del tempus regit actum (cfr. Cass. n. 30139 del 2017; Cass. n. 1410 del 2019).
Nella specie, tuttavia, nemmeno è stata allegata, ancor prima che dimostrata, la circostanza di una tempestiva notificazione della citazione di appello al menzionato difensore tentata presso il suo domicilio digitale che, malgrado non elida la prerogativa processuale di eleggere domicilio fisico, poteva essere utilizzato per la notificazione in questione perché, in una vicenda come quella in esame (caratterizzata dall’essere il destinatario della notificazione un legale pacificamente esercente le sue funzioni nello stesso circondario cui è professionalmente assegnato), le due opzioni possono ritenersi concorrenti (cfr. Cass. n. 39970 del 2021; Cass.n. 3557 del 2021; Cass. n. 15834/2022).
5.- La ricorrente va, quindi, condannato, ex art. 91 cpc, al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater DPR 115 del 2002 sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente alla rifusione, in favore della resistente, delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi 2.700,00 euro, di cui 200,00 euro per rimborso spese vive, oltre a rimborso forfettario per spese generali ed accessori di legge.
Dichiara la sussistenza del presupposti del versamento da parte della ricorrente, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 18/06/2024
Il Presidente
MAURO DI MARZIO
Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2024.