Legittimo il licenziamento per soppressione del reparto ove era addetto il lavoratore anche in funzione dell’impossibilità di ricollocarlo in altra posizione (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza 19 aprile 2024, n. 10627).

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta  dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADRIANA DORONZO                           – Presidente –

Dott. FRANCESCOPAOLO PANARIELLO     – Consigliere –

Dott. FABRIZIO AMENDOLA                        – Consigliere –

Dott. FRANCESCO GIUSEPPE LUIGI CASO – Consigliere –

Dott. ELENA BOGHETICH                             – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

suI ricorso 11267-2022 proposto da:

(omissis) (omissis) elettivamente domiciliato in Roma, (omissis) presso lo studio dell’avvocato (omissis) (omissis) che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis);

ricorrente

contro

(omissis) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, (omissis) presso lo studio degli studio degli avvocati (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) che la rappresentano e difendono unitamente all’avvocato (omissis) (omissis);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 83/2022 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata ii 21/02/2022 R.G.N. 309/2021;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/02/2024 dal Consigliere Dott.ssa ELENA BOGHETICH.

RILEVATO CHE

1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Venezia, in sede di reclamo ex art. 1, comma 58 della legge 92 del 2012 e in riforma della sentenza del Tribunale di Padova, ha dichiarato legittimo il licenziamento intimato a (omissis) (omissis) a seguito di riorganizzazione dovuta al pesante calo dell’attività e del fatturato registrato negli ultimi anni che aveva determinato la soppressione del reparto magazzino e la riduzione degli operai del reparto calzature e plantari-sottoreparto calzoleria, con impossibilità di ricollocare il lavoratore in altra posizione.

2. La Corte territoriale – pacifica la sussistenza della ragione organizzativa-produttiva posta a base del licenziamento ed escluso ogni profilo discriminatorio – ha ritenuto che il concorso di diversi elementi deponevano per l’adempimento dell’obbligo di repēchage da parte della società, posto che:

– il lavoratore, addetto al laboratorio calzature, non si occupava (nella giornata e poi nella mezza giornata settimanale in cui era adibito al negozio) di vendita di prodotti (bensì di mansioni tipiche e connesse a quelle svolte nel reparto calzoleria), e, dunque, i compiti a lui affidati non potevano ritenersi fungibili a quelli degli addetti alla vendita e agli stagisti (anche considerata l’assenza di esuberi nei negozi);

– non era stata dedotta l’elusione dei principi di buona fede e correttezza con riguardo all’assunzione di lavoratori a tempo determinato nel periodo semestrale successive al licenziamento, assunzioni che – prese come dato del tutto isolato, non corroborate da altri elementi – non era sufficiente a delineare un inadempimento o un comportamento fraudolento del datore di lavoro, considerato, altresì, la natura precaria (ossia limitata nell’arco di alcuni mesi) di dette assunzioni;

– le mansioni assegnate alla lavoratrice assunta a tempo determinato per il più lungo lasso di  tempo (un anno) successivo al licenziamento, dipendente “addetta al web”, erano del tutto estranee a quelle svolte dal lavoratore, e nemmeno erano astrattamente acquisibili tramite un corso di formazione;

– non era stato dedotto alcun uso fraudolento dei periodi di stage, i quali, inoltre, hanno finalità e contenuti del tutto diversi da un qualsivoglia rapporto lavorativo;

– la nuova formulazione dell’art. 2103 cod.civ. non consente di ritenere integrato l’obbligo di repēchage con un obbligo di formazione del personale ritenuto in esubero e, in conclusione, nel caso di specie, l’unica posizione lavorativa che poteva porsi in antitesi era quella della “addetta al web”, che peraltro richiedeva un bagaglio formativo e professionale del tutto differente da quello maturato dal lavoratore.

3. II lavoratore ha proposto, avverso tale sentenza, ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

La società ha depositato controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

4. Al termine della camera di consiglio, il Collegio si é riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.

CONSIDERATO CHE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia nullità della sentenza violazione e falsa applicazione degli artt. 132 cod.proc.civ. nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 3 della legge n. 604 del 1966 e 18, comma 4, della legge 300 del 1970 (ex art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ.) avendo, la Corte distrettuale, trascurato di  effettuare una pur minima comparazione fra il criterio temporale e il numero dei collaboratori assunti dopo il licenziamento del lavoratore nonché di esporre le ragioni della autenticità della riduzione disposta con il recesso.

Trattasi di mancanza totale di motivazione in quanto la mera enunciazione non é sufficiente.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 3 della legge n. 604 del 1966, 1175 e 1375 civ., 18 della legge n. 196 del 1997 (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) avendo, la Corte distrettuale, trascurato che lo stage é un elemento di cui tener conto anche nella proiezione futura di utilizzazione degli stagisti in quanto gli stessi, ultimato il periodo, diventano lavoratori normali secondo un continuum che appare indicativo di un effettivo bisogno di manodopera.

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione degli artt. 132 cod.proc.civ. nonché omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (ex art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ.) avendo, la Corte distrettuale, trascurato ciò che il (omissis) (omissis) ha sempre sostenuto, ossia l’adibizione nei punti vendita di lavoratrici assunte con contratto a tempo determinato: il corretto esame di questi fatti avrebbe dimostrato che la completezza dell’organico si reggeva sulla utilizzazione proprio di quelle risorse al posto delle quali il lavoratore avrebbe potuto essere utilizzato. Inoltre, si doveva ritenere che le mansioni prima svolte dal lavoratore fossero fungibili rispetto a quelle alle quali il lavoratore avrebbe potuto essere adibito.

4. Con il quarto motivo di ricorso il lavoratore denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 3 della legge n. 604 del 1966, 1175, 1375, 2103 cod. civ., 1, comma 7, della legge 183 del 2014,15 della legge n. 300 del 1970 (ex art. 360 primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) avendo, la corte distrettuale, trascurato che il novellato art. 2103 cod.civc. richiede al datore di lavoro, a fronte di processi di riorganizzazione, un obbligo formativo nei confronti dei lavoratori e tale obbligo deve, a maggior ragione essere adempiuto nei confronti dei lavoratori che si ritengano in esubero (oltre a quelli che si voglia adibire a mansioni diverse).

Invero, la incollocabilità altro non può significare se non possibilità di utilizzare il lavoratore in ciò, e in tutto ciò, che legittimamente gli può essere richiesto, anche tramite l’esercizio dello ius variandi; l’oggetto possibile del contratto in applicazione dell’art. 2103 cod.civ. non può non coincidere con l’oggetto possibile di una conservazione, con ricollocazione, del rapporto, ed anzi l’esigenza di tutela del lavoratore a fronte del possibile  licenziamento é ancora maggiore di quella che si manifesta nel caso di esercizio dello ius variandi.

L’erronea esclusione dell’obbligo formativo ha portato la Corte territoriale a non considerare la possibilità che le posizioni lavorative ricoperte dai (prima stagisti e poi) lavoratori a termine nei diversi punti vendita potessero essere ricoperte dal ricorrente (che aveva svolto attività lavorativa anche nei punti vendita).

5. I motivi di ricorso, che possono essere esaminati contestualmente in quanto strettamente congiunti, sono in parte inammissibili e per la parte residua infondati.

6. Deve rimarcarsi che in tema di ricorso per Cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa,  l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa (riguardante, nella specie, l’utilizzo fraudolento di lavoratori a tempo determinato e di stagisti, la fungibilità delie mansioni di “operaio in produzione” con quelle impiegatizie di addetto alle vendite nei negozi, l’assenza o meno di esuberi nei negozi, la estrema diversità di bagaglio formativo e professionale tra le mansioni esercitate e quelle di “addetto al web”) e esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito.

Ma per i giudizi, come il presente, ai quali si applica ratione temporis, l’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. nel testo successive alla modifica di cui all’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, (convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134) – che ha limitato notevolmente l’ambito di applicabilità del controllo di legittimità sulla motivazione – la censura dell’indicata valutazione é sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la relativa motivazione manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili, oppure in cui si riscontri l’omesso esame di un fatto storico decisivo, con la conseguente riduzione al “minimo costituzionale” il sindacato di legittimità sulla motivazione (vedi per tutte: Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. sez. un. 22 aprile 2014, n. 19881; Cass. 9 giugno 2014, n. 12928).

7. Nessuno di tali vizi ricorre nel caso in esame e la motivazione non é assente o meramente apparente, ne gli argomenti addotti a giustificazione dell’apprezzamento fattuale risultano manifestamente illogici o contraddittori.

La sentenza impugnata ha ampiamente esaminato i fatti controversi ed accertato la sussistenza della ragione economica posta a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo nonché l’impossibilita, in concreto, di ricollocazione del lavoratore in altre posizioni e ciò all’esito di una disamina della correlazione tra licenziamento e assunzioni a tempo determinato che ha condotto a rilevare che (oltre all’effettiva riduzione del reparto calzoleria) si configurava un esatto adempimento dell’obbligo di repêchage in quanto i contratti a tempo determinato stipulati con altri lavoratori (in periodo contemporaneo e immediatamente successivo al licenziamento) avevano un “lasso temporale limitato, per ragioni di carattere del tutto estemporaneo” e gli stage, inoltre, avevano “finalità e contenuti del tutto diversi da quelli di qualsivoglia rapporto lavorativo”.

8. Con particolare riguardo al quarto motivo di ricorso, la Corte territoriale ha offerto una interpretazione dell’art. 3 della legge 604 del 1966 conforme alla giurisprudenza consolidata che prevede l’obbligo di repêchage nell’esclusivo alveo della fungibilità delle mansioni in concreto attribuibili al lavoratore (senza alcun obbligo di organizzare corsi di formazione previsti per la diversa ipotesi di esercizio dello ius variandi, ex art. 2103 cod.civ. come novellato dal d.lgs. n. 81 del 2015) e ciò anche nella vigenza del novellato art. 2103 cod.civ., che non consente di giungere al punto di considerare come posizione utile ai fini del repēchage quella che in nessun modo sia riferibile alla professionalità posseduta (Cass. n. 6085 del 2021, ove, similmente al caso de quo non si é ritenuto paragonabile al posto soppresso quello di un lavoratore assunto a tempo determinato con riguardo ad altra categoria professionale; cfr. altresì Cass. nn. 19731 e 21715 del 2018 richiamate dalla sentenza impugnata).

8.1. Invero, la Corte ha precisato che l’unica posizione che poteva essere considerata (in quanto avuIsa dalla caratteristica di precarietà temporale che contraddistingueva gli altri contratti a tempo determinato stipulati dalla società) era quella di “addetto al web”, posizione (occupata da una lavoratrice assunta a tempo determinato per il periodo apprezzabilmente lungo di un anno) che però non poteva ragionevolmente essere occupata dal (omissis) (omissis) nemmeno a seguito di un’attività formativa in quanto trattavasi, “all’evidenza, di competenze del tutto differenti dal bagaglio formativo e professionale del reclamato”, appartenendo a diversa categoria (impiegatizia piuttosto che operaia).

9. In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese del presente giudizio di legittimità seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.

10. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilita 2013).

P.Q.M.

La Corte rigetta ii ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi, nonché in Euro 500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti  processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello – ove dovuto – per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 21 febbraio 2024.

Il Presidente

dott.ssa Adriana Doronzo

Depositata in Cancelleria il 19 aprile 2024.

SENTENZA – copia non ufficiale -.