Licenziamento per “disvalore ambientale” quando il dipendente rappresenta un modello diseducativo (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza 6 settembre 2023, n. 25969).

L A    C O R T E    S U P R E M A    D I    C A S S A Z I O N E

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADRIANA DORONZO                      – Presidente –

Dott. FABRIZIA GARRI                               – Consigliere –

Dott. ROBERTO RIVERSO                         – Consigliere –

Dott. FRANCESCOPAOLO PANARIELLO – Consigliere –

Dott. GUALTIERO MICHELINI                  – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso 19115-2020 proposto da:

(omissis) (omissis) elettivamente domiciliata in (omissis), presso lo studio dell’avvocato (omissis) (omissis), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (omissis) (omissis);

ricorrente

contro

(omissis) S.R.L. UNIPERSONALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (omissis), presso lo studio dell’avvocato (omissis) (omissis), che la rappresenta e difende unitamente agli  avvocati (omissis) (omissis), (omissis) (omissis);

controricorrente

avverso la sentenza n. 107/2020 della CORTE D’APPELLO di (omissis) depositata il 02/03/2020 R.G.N. 419/2020 e R.G.N. 420/2020

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/06/2023 dal Consigliere Dott. GUALTIERO MICHELINI.

RILEVATO CHE

1. la Corte d’Appello di (omissis) pronunciandosi con sentenza n. 107/2020 in sede di rinvio da questa Corte con  sentenza n. 24619/2019, ha rigettato l’originario ricorso depositato il 25/7/2016 da (omissis) (omissis) con il  quale era stato impugnato il licenziamento per giusta causa intimatole il (omissis) a (omissis) s.r.l., di cui era dipendente con qualifica di gerente della filiale di (omissis) di esercizio di vendita di abbigliamento e tessuti, in seguito a contestazione di una serie di condotte di rilievo disciplinare, e condannato la stessa a  restituire alla società la somma complessiva di € 50.521,77 percepita in esecuzione della sentenza cassata, oltre interessi e spese di tutti i gradi e fasi di giudizio;

2. come rilevato nella sentenza rescindente, con sentenza n. 114/2018, la Corte di appello di (omissis) accolto il reclamo della lavoratrice, aveva dichiarato risolto il rapporto di lavoro intercorso tra (omissis) (omissis) e la (omissis) s.r.l., condannando quest’ultima al pagamento dell’indennità risarcitoria ex art. 18, comma 5, legge n. 300/1970 nella misura di quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto; avverso detta sentenza aveva proposto ricorso per cassazione la società, cui aveva resistito la lavoratrice con controricorso;

3. in accoglimento per quanto di ragione di tale ricorso, questa Corte affermava il principio di diritto secondo cui, in tema di licenziamento disciplinare, ai fini della valutazione di proporzionalità della sanzione rispetto all’infrazione contestata, il giudice di merito deve esaminare la condotta del lavoratore, in riferimento agli obblighi di diligenza e fedeltà, anche alla luce del “disvalore ambientale” che la stessa assume quando, in virtù della posizione professionale rivestita, può assurgere, per gli altri dipendenti dell’impresa, a modello diseducativo e disincentivante dal rispetto di detti obblighi;

la decisione di merito, che aveva esaminato le contestazioni disciplinari elevate alla lavoratrice senza tenere conto della particolare responsabilità e del più intenso obbligo di diligenza derivanti dalle mansioni di gerente di un punto vendita, veniva pertanto cassata con rinvio;

4. riassunto il giudizio da entrambe le parti, con la seconda sentenza di appello la Corte di (omissis) rammentate le contestazioni disciplinari (riportate anche nell’esposizione in fatto nella sentenza rescindente), osservava preliminarmente di essere vincolata quale giudice del rinvio alla ricostruzione in linea di fatto già operata e di dover procedere a nuova valutazione della giusta causa di licenziamento alla luce degli addebiti disciplinari come ritenuti confermati in sede di istruttoria dalla sentenza cassata;

riteneva, alla luce del principio di diritto vincolante, di dover dissentire dalla valutazione di non proporzionalità della sanzione espulsiva come operata dalla prima sentenza cassata, per la molteplicità, ma soprattutto per la tipologia e intenzionalità, dei fatti addebitati, da cui emergeva un atteggiamento di consapevole sfruttamento della posizione gerarchica di responsabile di negozio, con connotazione negativa delle condotte poste in essere, aggravata a causa del ruolo ricoperto;

riteneva pertanto sussistente la giusta causa di recesso datoriale, condividendo quanto ritenuto nella sentenza di primo grado in ordine al quadro globale di grave inadempimento accertato, idoneo a ledere il rapporto fiduciario fra la dipendente e il datore di lavoro;

5. avverso la predetta sentenza (omissis) (omissis) propone ricorso per cassazione, con unico articolato motivo, cui resiste la società controparte con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato memoria;

al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;

CONSIDERATO CHE

1. Parte ricorrente deduce (art. 360, 3 e n. 4, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 c.c., 384 e 394 c.p.c., n. 5 legge n. 604/1966 in relazione all’art. 2119 c.c.; assume che nella sentenza impugnata è stato svolto, in contrasto con la ricostruzione operata dalla sentenza cassata e passata in giudicato, un accertamento dei fatti nuovo e sono stati ritenuti provati taluni dei fatti fondanti il licenziamento per giusta causa, in violazione dei limiti dovuti al carattere c.d. chiuso del giudizio di rinvio, disattendendo i principi enunciati dalla sentenza rescindente;

2. il ricorso non è fondato;

3. la ricostruzione ampiamente consolidata nella giurisprudenza di questa Corte sul carattere chiuso del giudizio di rinvio (di recente, Cass. S.U. n. 17332/2021, Cass. n. 8039/2023) evidenzia che quest’ultimo non costituisce la rinnovazione o la prosecuzione del giudizio di merito, bensì la fase rescissoria rispetto a quella rescindente del giudizio di cassazione;

il giudizio di rinvio si presenta, quindi, come una prosecuzione del processo di Cassazione, nel corso del quale il giudice di merito ha il compito di svolgere quelle attività necessarie a conformarsi al principio di diritto enunciato dalla S.C. ai sensi dell’art. 384 c.p.c.; pertanto il giudice del rinvio, riassunta la causa, dovrà innanzitutto individuare l’oggetto del giudizio attraverso un’attenta ricostruzione delle censure accolte dalla Cassazione, per poi adoperarsi nell’espletamento delle attività conseguenti;

4. il ricorso per cassazione avverso la sentenza del giudice di rinvio può essere fondato soltanto sulla deduzione dell’infedele esecuzione dei compiti affidati con la precedente pronuncia di annullamento, ed il sindacato della C. in questa sede si risolve nel controllo dei poteri propri del suddetto giudice di rinvio, per effetto di tale affidamento e dell’osservanza dei relativi limiti;

infatti, non costituendo il giudizio di rinvio la rinnovazione o la prosecuzione del giudizio di merito, ma la fase rescissoria rispetto a quella rescindente del giudizio di cassazione, in quella fase non possono formare oggetto di discussione tutte le questioni che costituiscono presupposti, esplicitamente o implicitamente, decisi nella pronuncia della Corte di Cassazione (cfr. Cass. S.U. n. 28544/2008);

5. la denuncia del mancato rispetto da parte del giudice di rinvio del decisum della sentenza di cassazione concreta denuncia di error in procedendo per aver operato il giudice stesso in ambito eccedente i confini assegnati dalla legge ai suoi poteri di decisione, per la cui verifica la Corte di Cassazione ha tutti i poteri del giudice del fatto in relazione alla ricostruzione dei contenuti della sentenza rescindente, la quale va equiparata al giudicato, partecipando della qualità dei comandi giuridici, con la conseguenza che la sua interpretazione deve essere assimilata, per l’intrinseca natura e per gli effetti che produce, all’interpretazione delle norme giuridiche (Cass. n. 6461/2005, n. 6344/2019);

6. al fine della corretta individuazione dell’oggetto del giudizio, questa Corte (Cass. U. n. 28544/2008) ha precisato che la sentenza rescindente vincola le parti ed il giudice del rinvio a tenere ferme, nella fase rescissoria, le questioni di diritto in precedenza risolte o che debbano intendersi implicitamente decise quale presupposto necessario e logicamente inderogabile della pronuncia espressa in diritto (cfr. Cass. n. 7281/2011); è la sentenza rescindente della Cassazione a circoscrivere l’oggetto del giudizio della fase rescissoria;

7. tutto ciò premesso, i profili che le parti possono dedurre nell’impugnazione della sentenza rescissoria debbono necessariamente riguardare l’aderenza di quest’ultima al principio espresso dalla sentenza rescindente;

8. nel caso di specie, la Corte territoriale ha correttamente rivalutato le prove alla luce del principio della rilevanza del disvalore ambientale espresso nella sentenza rescindente;

9. precisamente, la sentenza rescindente ha indicato al giudice della fase rescissoria di procedere ad una nuova valutazione della giusta causa di licenziamento in relazione ai fatti contestati alla lavoratrice nel loro complesso, tenendo conto delle mansioni di gerente da questa svolte e delle maggiori responsabilità connesse a tale ruolo;

10. sulla scia della giurisprudenza di legittimità che impone la valutazione della condotta oggetto di licenziamento per giusta causa non solo nel suo contenuto obiettivo, ma anche nella sua portata soggettiva, la Corte territoriale ha rivisto il giudizio di proporzionalità, operato nella prima sentenza di appello omettendo l’appropriata valutazione del disvalore ambientale, conformandosi così al principio di diritto espresso nella sentenza rescindente (recepito altresì nelle successive n. 30433/2021, n. 10124/2023, come sottolineato da parte controricorrente);

11. la sentenza gravata resiste pertanto alle censure contenute in ricorso, che non è accoglibile;

12. le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza;

13. al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali;

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 4.500 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso nella Adunanza camerale del 20 giugno 2023.

Il Presidente

dott.ssa Adriana Doronzo

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.