REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
PRIMA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
FRANCESCO ANTONIO GENOVESE Presidente
CLOTILDE PARISE Consigliere
LAURA TRICOMI Consigliere
GIULIA IOFRIDA Consigliere
ALBERTO PAZZI Consigliere-Rel.
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27164/2021 R.G. proposto da:
(omissis) (omissis) elettivamente domiciliato in (omissis) difeso dall’avvocato (omissis) (omissis), giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(omissis) (omissis) elettivamente domiciliata in (omissis), presso lo studio dell’avvocato (omissis) (omissis) che la rappresenta e difende giusta procura speciale allegata al controricorso;
– controricorrente –
avverso il decreto della Corte d’appello di Brescia n. 441/2021 depositato il 12/7/2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/10/2023 dal Consigliere dr. Alberto Pazzi.
Rilevato che:
1. Il Tribunale di Brescia, con decreto in data 19 novembre 2020, rigettava l’istanza di modifica delle condizioni di divorzio presentata da (omissis) (omissis) nei confronti dell’ex coniuge (omissis) (omissis) ai sensi dell’art. 9, l. 898/1970.
2. La Corte d’appello di Brescia, a seguito del reclamo proposto dal (omissis) da un lato rilevava che nessun elemento di novità era stato apportato rispetto alle precedenti statuizioni, dall’altro osservava che il mutato orientamento giurisprudenziale in ordine ai presupposti necessari ai fini del riconoscimento dell’assegno e per la sua quantificazione non costituiva un elemento di per se sufficiente ai fini dell’esperibilità della domanda di revisione, essendo pur sempre necessario un mutamento sopravvenuto delle condizioni patrimoniali delle parti.
3. (omissis) (omissis) ha proposto ricorso per la cassazione del decreto di rigetto del reclamo, pubblicato in data 12 luglio 2021, prospettando tre motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso (omissis) (omissis).
Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ..
Considerato che:
4.1. Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, 3, cod. proc. civ., l’erronea interpretazione dell’art. 5, comma 6, 898/1970, perché la Corte distrettuale ha ritenuto infondato il reclamo proposto dal (omissis) omettendo di considerare sia le sopravvenute mutate condizioni di vita della (omissis) che le consentivano di lavorare di più incrementando il proprio reddito, sia che era dovere della medesima assumere una responsabile condotta attiva al fine di migliorare i propri mezzi di sussistenza ed emanciparsi dall’assistenza dell’ex coniuge.
Occorreva, dunque, considerare che l’ex coniuge é chiamato, dopo lo scioglimento del matrimonio, a valorizzare tutte le proprie potenzialità con una condotta attiva, senza assumere un atteggiamento deresponsabilizzante e attendista, proprio di chi si limiti ad aspettare opportunità di lavoro riversando sul coniuge più abbiente l’esito della fine della vita matrimoniale.
4.2. Il secondo motivo di ricorso lamenta, ex 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., l’erronea interpretazione dell’art. 5, comma 6, l. 898/1970, perché Corte territoriale ha ritenuto infondato il reclamo proposto dal (omissis) continuando a fare riferimento all’ormai superato criterio della necessita di garantire all’ex coniuge, attraverso l’assegno divorzile, il mantenimento di un tenore di vita analogo a quello in precedenza goduto, senza applicare i criteri di nuovo conio che impongono che il giudice riscontri, a fronte dell’asserita inadeguatezza dei mezzi del beneficiario dell’assegno, anche l’impossibilita di procurarseli per ragioni obiettive, tenuto conto delle effettive potenzialità professionali e reddituali dell’ex coniuge, che devono essere valorizzate con una condotta attiva improntata ai principi di autodeterminazione e autoresponsabilità.
Perciò era dovere del coniuge beneficiario dell’assegno divorzile evitare ogni condotta parassitaria, attivandosi seriamente e concretamente per emanciparsi dall’assistenza che con tale assegno gli veniva data; la conservazione del diritto a percepire l’assegno si sarebbe giustificata solo nel caso in cui, a fronte di effettivi, allegati e provati tentativi di intraprendere e percorrere un percorso di emancipazione, il coniuge beneficiario avesse dimostrato che la sua condotta virtuosa non aveva portato il risultato sperato.
5. I motivi, da esaminarsi congiuntamente, sono inammissibili.
Essi, infatti, insistono nel sostenere che era onere del coniuge beneficiario dell’assegno divorzile attivarsi per migliorare i propri mezzi di sussistenza, al fine di raggiungere una propria autonomia economica, piuttosto che assumere un contegno di sostanziale immobilismo, ma non prendono in alcuna considerazione gli argomenti spesi dalla Corte di merito, che ha sottolineato come non sussistessero i presupposti per procedere alla revisione dell’assegno divorzile già stabilito, dato che non ricorreva alcun elemento di novità rispetto alla situazione considerata al momento della statuizione sul divorzio e quando, nel 2018, era stato dichiarato inammissibile un primo ricorso di analogo tenore volto alla modifica delle condizioni già stabilite.
Ambedue le censure, del pari, non si curano in alcun modo di considerare e criticare le osservazioni della Corte di merito in ordine al fatto che il più recente orientamento giurisprudenziale concernente la valutazione dei presupposti e la quantificazione dell’assegno divorzile non costituiva un elemento sopravvenuto ai fini dell’esperibilità della domanda di revisione dell’assegno, ma doveva essere accompagnato da un mutamento sopravvenuto delle condizioni patrimoniali delle parti.
I mezzi in esame, quindi, si astraggono dalla constatazione in fatto compiuta dalla Corte di merito e pretendono una revisione dell’assegno divorzile a prescindere dal ricorrere dei “giustificati motivi” richiesti dall’art. 9, comma 1, l. 898/1970 (vigente ratione temporis) e dalla verifica di una sopravvenuta, effettiva e significativa modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi sulla base di una valutazione comparativa delle rispettive situazioni reddituali e patrimoniali (Cass. 354/2023).
Le doglianze, nel contempo, non si confrontano con le osservazioni in diritto compiute dalla Corte distrettuale, laddove la stessa ha osservato che il mutamento sopravvenuto delle condizioni patrimoniali delle parti rappresentava il presupposto di fatto necessario da accertare preliminarmente per poter poi procedere al giudizio di revisione dell’assegno, da rendersi in applicazione dei principi giurisprudenziali più attuali.
La mancata correlazione delle critiche al contenuto della decisione impugnata comporta, inevitabilmente, la loro inammissibilità.
Infatti, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali e esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa e errata; queste ultime, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi considerare nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo il motivo che non rispetti questo requisito; in riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, é espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 , comma 1, n. 4, cod. proc. civ. (Cass. 6496/2017, Cass. 17330/2015, Cass. 359/2005).
6. Il terzo motivo di ricorso assume, a mente dell’art. 360, comma 1, 3, cod. proc. civ., l’erronea interpretazione degli artt. 337-sexies e 337-septies cod. civ.: la Corte d’appello ha rigettato la domanda di eliminazione del vincolo di assegnazione della casa coniugale e del contributo di mantenimento per il figlio (omissis) (nato nel (omissis) ritenendo che lo stesso non fosse economicamente indipendente, senza considerare, alla luce del principio di autoresponsabilità, le sue mutate condizioni di vita e la capacità lavorativa maturata, intesa come adeguatezza a svolgere un lavoro remunerato.
L’avvio di una nuova vita in un’altra città faceva sì, inoltre, che il giovane fosse destinato a essere obiettivamente assente dalla ex casa coniugale, con la conseguente necessita di revocarne l’assegnazione alla madre.
7. Il motivo è inammissibile.
Il mezzo, infatti, sostiene che il figlio delle odierne parti operi come igienista dentale, sia comunque in possesso delle capacita e dei requisiti necessari per lavorare e si sia organizzato per vivere altrove, non più nella casa familiare assegnata alla madre.
Queste tesi contrastano, tuttavia, con le constatazioni in fatto compiute dalla Corte territoriale, la quale, al contrario, ha accertato che non vi e prova che il giovane sia economicamente indipendente e che il medesimo segue con profitto i corsi della facoltà di medicina e continua a dimorare con la madre.
La doglianza, perciò, evidenzia criticità in punto di diritto che si fondano non sugli accertamenti in fatto compiuti dai giudici distrettuali, ma sulle differenti tesi sostenute dall’odierno ricorrente, non condivise dalla Corte di merito.
Ne discende la sua inammissibilità, tale dovendosi ritenere il motivo di ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, cos, da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (v. Cass. 5987/2021, Cass., Sez. U., 34476/2019, Cass. 29404/2017, Cass. 19547/2017, Cass. 16056/2016)
8. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in € 4.200, di cui € 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi a norma dell’art. 52 d.lgs. 196/2003 in quanto imposto dalla legge.
Così, deciso in Roma in data 27 ottobre 2023.
Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2023.