Nel giudizio promosso nei confronti del Ministero della salute per il risarcimento del danno conseguente al contagio da virus HBV, HIV o HCV, l’indennizzo non può essere scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno (Corte di Cassazione, Sezione III Civile, Sentenza 12 luglio 2023, n. 19991).

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ili.mi Sigg.ri Magistrati

Dott. GIACOMO TRAVAGLINO -Presidente-

Dott. ENRICO SCODITTI -Consigliere-

Dott. CHIARA GRAZIOSI -Consigliere Rel.-

Dott. MARCO DELL’UTRI -Consigliere-

Dott. MARILENA GORGONI -Consigliere-

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso 19328/2020 proposto da:

Ministero della Salute, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato, ex lege, in Roma, Via dei Portoghesi n. 12 presso l’Avvocatura Generale dello Stato da cui è rappresentato e difeso;

-ricorrente-

contro

(omissis) (omissis) elettivamente domiciliata in (omissis) presso lo studio dell’avvocato (omissis), rappresentata e difesa dall’avvocato (omissis) (omissis);

-controricorrente-

avverso la sentenza n. 542/2020 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 03/03/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/04/2023 dalla dott.ssa GRAZIOSI CHIARA

Premesso in fatto che:

Per quanto qui interessa, il Tribunale di Catania, con sentenza n. 4218/2014, accoglieva la domanda risarcitoria di (omissis) (omissis) condannando il Ministero della Salute a risarcirlo per contagio di (omissis) seguito di emotrasfusioni nella misura di euro 80.880 oltre interessi, “detratto l’importo dell’indennizzo eventualmente corrisposto” in forza della I. 210/1992.

Proponeva appello la (omissis) (omissis), la controparte resisteva.

La Corte d’appello di Catania, con sentenza n. 542/2020, accoglieva il gravame, condannando il Ministero a corrispondere a titolo di risarcimento la somma di euro 81.335,80 oltre interessi, tra l’altro perché riteneva fondato il secondo motivo dell’appello, che lamentava appunto la detrazione dell’indennizzo “non avendo il Ministero documentato l’effettiva erogazione dell’indennizzo e dunque neppure la sua entità”.

Il Ministero ha presentato ricorso, fondato su un unico motivo, illustrato pure con memoria; la (omissis) (omissis) si è difesa con controricorso e memoria.

Considerato che:

1. L’unico motivo del ricorso denuncia, ex articolo 360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 1, 2, commi 1-4, I. 210/1992, 2043, 2056 ss., 2041, 1243, 2697, 2700 e.e., 115, 116, 183, 213 e 345, commi 2 e 3, c.p.c.

Viene confutato l’accoglimento del secondo motivo d’appello, sostenendo che la corte territoriale non avrebbe considerato che è pacifico l’ottenimento della concessione dell’indennizzo in base alla I. 210/1992 e non avrebbe tenuto conto “della documentazione prodotta in atti” dimostrante !”‘avvenuto riconoscimento del diritto” cioè il verbale CMO del 28 marzo 2006, che aveva riconosciuto il nesso causale tra l’emotrasfusione e l’epatite cronica della settima categoria della tabella A allegata al d.p.r. 30 dicembre 1981 n. 834, documento “rinvenibile nell’elaborato del CTU”.

Pertanto al giudice d’appello, ai sensi degli articoli 1 e 2, commi 1 e 4, I. 210/1992, non sarebbero occorsi altri elementi per quantificare l’indennizzo.

Si richiama dalla massima di Cass. ord. 2778/2019 l’affermazione che “l’astratta spettanza di una somma suscettibile di essere compresa tra un minimo e un massimo, secondo la patologia riconosciuta, non equivale alla sua corresponsione e non fornisce elementi per determinarne l’esatto ammontare, né il carattere predeterminato delle tabelle consente di individuare, in mancanza di dati specifici a cui è onerato chi eccepisce il lucrum, il preciso importo” per qualificarla insostenibile, in quanto l’indennizzo deve calcolarsi sulla suddetta tabella senza minimi e massimi e senza discrezionalità.

Si dichiara di allegarla per gli importi da 2004 al 2020, effettuandone peraltro l’assemblaggio entro il ricorso, nelle pagine 5-9.

Si dichiara altresì di allegare “un prospetto che il Ministero ha fatto pervenire”, inserendo in modalità di assemblaggio altri tre documenti nel ricorso (pagine 10-13) per dedurne che la corte territoriale “avrebbe dovuto tenere conto del materiale documentale acquisito e, in sede di quantificazione delle somme riconosciute per risarcimento dei danni … scomputare quanto liquidato a titolo di indennizzo”.

Si richiama pure Cass. 20909/2018 (non massimata) per sostenere l’attuabilità dello scomputo se, come nel caso in esame, la somma da scomputare sia determinabile.

Si invoca poi S.U. 7 maggio 2013 n. 10531 per sostenere la rilevabilità d’ufficio lato sensu anche in appello qualora emerga dagli atti (ricorso, pagine 14-16), dictum che la corte territoriale non avrebbe seguito, ritenendo erroneamente che il Ministero non avesse dato prova di quantificazione e percezione dell’indennizzo.

Si sostiene altresì che il giudice d’appello poteva “demandare alla fase esecutiva lo scomputo”, non essendo stato contestato il diritto all’indennizzo.

La Corte d’appello inoltre avrebbe violato l’articolo 2700 e.e. “avendo escluso” che al verbale CMO di riconoscimento dell’indennizzo (“fornito di fede privilegiata” perché della PA) “sia seguito il pagamento effettivo”, che sarebbe invece almeno da presumere: riconosciuto ormai il diritto di cui alla I. 210/1992 vi sarebbe stata presunzione di pagamento, superabile soltanto da prova contraria, la quale avrebbe dovuto essere fornita dalla (omissis).

Si perviene così a sostenere: “onde evitare indebite duplicazioni … ciò che rileva è il fatto del già avvenuto riconoscimento della spettanza a titolo di indennizzo, indipendentemente dalla già avvenuta percezione da parte del beneficiario”, e la prova del versato al pari dello scomputo materiale per evitare la duplicazione “è questione rilevante in executivis che non incide sul riconoscimento della spettanza di somme a titolo di indennitario e/o a titolo risarcitorio”.

Altrimenti “si avallerebbe inevitabilmente una duplicazione di titoli” per lo stesso evento dannoso: si sovrapporrebbe il titolo giudiziale risarcitorio ex articolo 2043 c.c. al titolo amministrativo di riconoscimento di indennizzo in forza della I. 210/1992.

Inoltre alla data di formulazione dell’eccezione di compensatio lucri cum damno il quantum da scomputare (somme percepite e percipiende) sarebbe diverso da quello alla data della sentenza: anche per questo si dovrebbe demandare lo scomputo alla fase esecutiva. Pertanto “non vi era alcun bisogno” che il Ministero provasse i pagamenti fatti, “dovendo tale calcolo essere comunque effettuato al momento di esecuzione della sentenza civile”.

2. Il ricorrente, come si è visto, argomenta in vari modi (talora evidentemente fattuali, come la richiesta di valutazione che viene avanzata mediante l’assemblaggio di documenti che tra l’altro sarebbero stati prodotti tardivamente, pure rispetto all’appello avviato nel 2015), per superare, senza peraltro raggiungere alcun fondato sostegno, la giurisprudenza secondo la quale è necessaria anche la prova della corresponsione per operare la decurtazione applicando il principio della compensatio lucri cum damno.

Cass. sez. 3, ord. 31 gennaio 2019 n. 2778 – invocata dallo stesso ricorrente-, seguendo tra gli arresti massimati la linea già adottata da Cass. sez. 6-3, 14 giugno 2013 n. 14932 e Cass. sez. 6-3, 10 maggio 2016 n. 9434, ha espressamente e condivisibilmente affermato: “Nel giudizio promosso nei confronti del Ministero della salute per il risarcimento del danno conseguente al contagio da virus (omissis) (omissis) seguito di emotrasfusioni con sangue infetto, l’indennizzo di cui alla I. n. 210 del 1992 non può essere scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno (“compensatio lucri cum damno“), qualora non sia stato corrisposto e tantomeno determinato o determinabile, in base agli atti di causa, nel suo preciso ammontare, posto che l’astratta spettanza di una somma suscettibile di essere compresa tra un minimo ed un massimo, a seconda della patologia riconosciuta, non equivale alla sua corresponsione e non fornisce elementi per individuarne l’esatto ammontare, né il carattere predeterminato delle tabelle consente di individuare, in mancanza di dati specifici a cui è onerato chi eccepisce il “lucrum”, il preciso importo da portare in decurtazione del risarcimento.” (conforme, da ultimo, la – non massimata – recentissima Cass. sez. 3, 20 gennaio 2023 n. 1781).

3. Questo collegio ritiene che non vi sia alcun argomento nel ricorso che inibisca di dare continuità a questa solida e logica giurisprudenza, il che conduce pertanto al rigetto del ricorso stesso, assorbito ogni altro profilo, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione a controparte delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere a controparte le spese processuali, liquidate in un totale di € 7000, oltre a € 250 per gli esborsi, al 15% per spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma il 20 aprile2023.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.