Non è consentito, in nessun caso, eccepire la compensazione, né propria né cd. impropria, in sede di opposizione all’esecuzione, quando le reciproche pretese delle parti derivano dal medesimo titolo esecutivo giudiziale (Corte di Cassazione, Sezione III Civile, Sentenza 8 novembre 2023, n. 31130).

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

composta dai signori magistrati:

dott. Franco DE STEFANO    Presidente

dott. Lina RUBINO                 Consigliera

dott. Marco ROSSETTI          Consigliere

dott. Augusto TATANGELO  Consigliere relatore

dott. Raffaele ROSSI              Consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 1824 del ruolo generale dell’anno 2022, proposto

da

(omissis) (omissis) s.r.l. in persona del legale rappresentante pro tempore, (omissis) (omissis) (C.F (omissis)

-ricorrente-

nei confronti di

(omissis) (omissis) CF. (omissis) rappresentato e difeso, giusta procura allegata al controricorso, dall’avvocato (omissis) (omissis);

-controricorrente-

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma 7023/2021, pubblicata in data 26 ottobre 2021;

udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio del 25 ottobre 2023 dal consigliere dott. Augusto Tatangelo.

Fatti di causa

La (omissis) (omissis) S.r.l. ha intimato a (omissis) (omissis) precetto di pagamento dell’importo di € 9.948,68, sulla base di un titolo esecutivo costituito da sentenza di condanna esecutiva ottenuto da altra società ((omissis) (omissis) S.r.l.) del cui credito si era resa cessionaria.

L’intimato ha proposto opposizione all’esecuzione, ai sensi dell’art. 615, comma 1, c.p.c..

L’opposizione e stata accolta dal Tribunale di Roma.

La Corte d’appello di Roma ha confermato la decisione di primo grado.

Ricorre (omissis) (omissis) s.r.l., sulla base di due motivi.

Resiste con controricorso l’ (omissis) (omissis).

É stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis.1 c.p.c..

Il Collegio si e riservato il deposito dell’ordinanza nei sessanta giorni dalla data della decisione.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia «falsa ed erronea applicazione di norme di diritto, in particolare dell’ 480, comma 3 c.p.c. e dell’art. 156 comma 3 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., per non avere accertato la nullità ed illegittimità della notifica, la contumacia e la carenza di contraddittorio».

1.1. La società ricorrente deduce che la notifica dell’atto di cita- zione introduttivo del giudizio di primo grado non era avvenuta, ai sensi dell’art. 480, comma 3, p.c., presso il domicilio da essa eletto nell’atto di precetto (e, cioè, presso lo studio del proprio difensore, avvocato (omissis) (omissis) ma presso la propria sede legale; di conseguenza, tale notifica avrebbe dovuto ritenersi nulla; sarebbe, pertanto, irregolare la propria dichiarazione di contumacia nel giudizio di primo grado, il cui svolgi- mento sarebbe avvenuto in violazione del contraddittorio e sarebbe altresì nulla la sentenza che lo ha definito.

Lo specifico motivo di gravame volto a far valere la nullità del giudizio e della sentenza di primo grado e, peraltro, stato rigettato dalla corte d’appello, la quale ha ritenuto che la coincidenza tra la sede della società ed il domicilio eletto nell’atto di precetto abbia determinato comunque la conoscenza del giudizio di opposizione in capo all’appellante e, di conseguenza, determinato altres1 la sanatoria per raggiungimento dello scopo della nullità della notificazione contestata, ai sensi dell’art. 156, comma 3, c.p.c..

In diritto, la ricorrente contesta la sanatoria della nullità della notificazione, affermata dalla corte d’appello: la coincidenza tra la propria sede legale ed il domicilio eletto nell’atto di precetto non avrebbe consentito, a suo avviso, di ritenere raggiunto lo scopo della predetta notificazione, dal momento che quest’ultima era indirizzata ad essa società e non al difensore domiciliatario.

Contesta, altresì, in fatto, la stessa effettiva coincidenza tra la propria sede legale ed il domicilio eletto nell’atto di precetto, sostenendo che in realtà quest’ultimo, cioè lo studio dell’avvocato (omissis) non si troverebbe affatto nella medesima unità immobiliare.

Il motivo e infondato.

1.2. Va, in primo luogo, rilevato che la società ricorrente pro- pone certamente una contestazione relativa ad un accertamento di fatto, laddove prospetta che la sua sede legale e lo studio del suo difensore domiciliatario indicato nell’atto di precetto, si troverebbero o, quanto meno, potrebbero trovarsi (la formula verbale utilizzata nel ricorso non appare del tutto perspicua: «nulla esclude, cosi come é ...»), in due unità immobiliari diverse, nel medesimo stabile (in piazza (omissis) precisando, subito dopo, che essa società avrebbe sede presso il proprio commercialista (senza peraltro precisare chi sarebbe tale professionista, in quale unità immobiliare si troverebbe il suo studio professionale e quale sarebbe invece il diverso studio e l’interno dello studio del difensore domiciliatario).

Di tali circostanze di fatto, in effetti, non solo e non tanto non fornisce alcuna documentazione, ma soprattutto neanche chiarisce se ed in che termini le aveva eventualmente allegate e provate nel giudizio di merito.

Nella sentenza impugnata, d’altra parte, si afferma espressa- mente che vi sarebbe «esatta coincidenza tra sede della società e domicilio eletto in sede di atto di precetto» e non vi possono essere dubbi, a giudizio di questa Corte, che, con tale espressione, la corte d’appello abbia inteso chiaramente affermare che la sede legale della società intimante e lo studio del difensore domiciliatario si trovassero nello stesso indirizzo, cioè nello stesso luogo, inteso come medesima unità immobiliare.

Ora, il rilievo della «esatta coincidenza tra sede della società e domicilio eletto in sede di atto di precetto» costituisce un accertamento di fatto certamente non sindacabile in sede di legittimità é, in realtà, esso non risulta neanche effettivamente e specificamente contestato in concreto: la società ricorrente afferma anzi, espressamente, a pag. 5, nell’esordio del motivo di ricorso in esame, che non intende «. mettere in discussione la ricostruzione della questione di fatto operata dal giudice di merito .».

1.3. Sgombrato il campo dalle contestazioni relative alla circostanza di fatto che la sede legale della società ed il domicilio eletto nel precetto si trovassero nello stesso luogo, e agevole osservare che la effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata, sul punto rilevante nella presente sede, va individuata nell’assunto per cui la notificazione, pur indirizzata alla società e non al suo procuratore, era comunque avvenuta presso il domicilio eletto (inteso come luogo), in quanto sede della società e studio del difensore coincidevano e, pertanto, essa aveva certamente raggiunto lo scopo di determinare la conoscenza della pendenza del processo in capo alla società.

Dunque, può assumere concreto rilievo in questa sede esclusivamente la censura di diritto contenuta nel motivo di ricorso in esame, quella cioè per cui la notificazione sarebbe comunque nulla in quanto “indirizzata” alla società e non al suo difensore.

Tale censura risulta, pero, manifestamente infondata in diritto: ai sensi dell’art. 170 c.p.c., le comunicazioni e le notificazioni si fanno “al” procuratore costituito solo dopo la costituzione in giudizio della parte.

L’atto di precetto e un atto stragiudiziale e, in caso di opposi- zione cd. “preventiva” ai sensi dell’art. 615, comma 1, c.p.c., che si propone con ordinario atto di citazione, la parte opposta non e ancora costituita in giudizio nel momento in cui l’opponente le notifica l’atto di opposizione.

Di conseguenza, la notificazione dell’atto introduttivo dell’opposizione non va effettuata “al” procuratore presso il quale e stato eventualmente eletto domicilio nell’atto di precetto, ma alla parte, nel domicilio eletto nell’atto di precetto.

Tanto ciò e vero che l’art. 480, comma 3, c.p.c., prevede espressamente che, in mancanza di elezione di domicilio «le opposizioni al precetto si propongono . . e le notificazioni alla parte istante si fanno presso ...».

Dunque, la circostanza che la notificazione fosse indirizzata alla società e non al difensore non potrebbe assolutamente costituire, di per se, una causa di nullità della stessa.

Anzi, deve ritenersi che la notifica dell’atto di opposizione a precetto sia correttamente “indirizzata” alla parte e non al difensore, anche laddove avvenga presso il domicilio eletto nell’atto di precetto e anche laddove l’elezione di domicilio sia avvenuta presso lo studio del difensore che ha redatto l’atto di precetto.

Nella specie, pertanto, non era affatto necessario che la notifica dell’opposizione effettuata nello studio dell’avvocato (omissis) fosse espressamente indirizzata a quest’ultimo.

1.4. Sotto i profili appena esaminati, va poi, in effetti, altres1 evidenziato il difetto di specificità del ricorso, perché la società ricorrente contesta  la  validità  della  notificazione  dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, senza pero provvedere a trascrivere o, quanto meno, richiamare in modo specifico, nel ricorso, il contenuto dei documenti sui quali sono fondate le sue censure, in particolare il preciso contenuto dell’istanza e della relazione di notificazione.

Nel ricorso, infatti, non e chiarito quale fosse esattamente la formula di “indirizzo” contenuta nella relazione di notificazione, ne si precisa chi, precisamente, abbia ricevuto la consegna dell’atto.

Secondo il controricorrente, d’altronde, l’opposizione (e, dunque, la notifica della stessa) sarebbe stata diretta contro «la (omissis) (omissis) in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’Avv. (omissis) (omissis)e domiciliata presso lo studio dello stesso in (omissis)» e l’atto di citazione sarebbe stato ricevuto da una «impiegata addetta alla ricezione delle notificazioni al servizio del destinatario»; sostiene, altresì che, dalla visura camerale, emergerebbe che «la sede legale della società e lo studio dell’Avv. (omissis) (omissis) coincidano e siano ubicati nello stesso ufficio» e che la ricezione dell’atto da parte di quest’ultimo sarebbe dimostrato dal fatto che detto avvocato aveva proposto l’appello della società intimante contro la sentenza di primo grado, sebbene questa non le fosse stata mai notificata.

Si tratta di questioni di fatto che la Corte non e posta in condizione di valutare adeguatamente, in mancanza di una chiara specificazione del contenuto degli atti e dei documenti che vengono richiamati a sostegno del ricorso.

1.5. D’altra parte, per escludere la fondatezza del motivo di ricorso in esame, e sufficiente ribadire che, nella sostanza, la corte d’appello, una volta insindacabilmente accertato in fatto che la sede legale della società coincideva con lo studio dell’avvocato (omissis) cioè che gli stessi erano ubicati nello stesso luogo, inteso come medesima unità immobiliare, non solo ha ritenuto irrilevante a chi fosse formalmente indirizzato l’atto di opposizione, ma, evidentemente (e correttamente, per quanto sin qui evidenziato), ha ritenuto irrilevante anche valutare se nella relazione di notificazione fosse indicato come luogo della notificazione la “sede legale” dell’opposta o il “domicilio eletto“, nonché a chi fosse stato in concreto consegnato l’atto, in quanto ha ritenuto che, anche al di la di tali elementi formali, potesse ritenersi che la notificazione avesse comunque raggiunto il suo scopo, per essere stata indirizzata al soggetto legittimato a riceverla (cioè la società, quale parte di un giudizio ancora non pendente) nel luogo in cui avrebbe dovuto riceverla (cioè nell’indirizzo del domicilio eletto nell’atto di precetto).

2. Con il secondo motivo si denunzia «falsa ed erronea applicazione di norme di diritto, in particolare degli articoli 1242 ed 1243 c.c, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., per avere disposto la compensazione dei crediti in assenza dei presupposti».

La società ricorrente, premesso di essersi resa cessionaria del credito di cui al titolo esecutivo dalla società che ne era originariamente titolare, deduce che sarebbe stata erroneamente riconosciuta la compensazione tra il credito dell’opponente (di importo maggiore di quello intimato) nei confronti della stessa cessionaria e quello oggetto del precetto, sebbene detto credito fosse contestato e sebbene la compensazione non fosse stata chiesta e riconosciuta in sede di cognizione, pur essendo entrambi i crediti già esistenti.

Il motivo é fondato.

2.1. Per quanto emerge dagli atti, il titolo posto in esecuzione e una sentenza emessa all’esito di un giudizio intercorso tra e (omissis) (omissis) S.r.l., che reca due distinte condanne reciproche (entrambe esecutive): quella di (omissis) (omissis) S.r.l., a favore di (omissis) per € 79.000,00; quella di (omissis) a favore di (omissis) (omissis) s.r.l., per circa € 9.000,00.

(omissis) (omissis) S.r.l. ha ceduto il suo credito (di entità inferiore) a (omissis) (omissis) s.r.l., che ha intimato precetto ad (omissis) il quale ha eccepito in compensazione, nella presente opposizione, il maggior credito vantato contro la cedente (omissis) (omissis) (omissis) S.r.l., sulla base del medesimo titolo.

2.2. La corte d’appello:

a) ha rilevato che «i rispettivi rapporti di debito e credito» nascevano «dal medesimo titolo giudiziale» e ne ha dedotto trattarsi di una ipotesi di compensazione impropria;

b) ha affermato che la compensazione cd. impropria potrebbe operare “senza limiti“;

c) ha poi aggiunto che la circostanza che il credito opposto in compensazione derivasse da una sentenza di condanna esecutiva, anche se non ancora passata in giudicato, non impediva la possibilità di opporlo in compensazione (richiamando in proposito una decisione di questa Corte: Cass. n. 23573 del 2013).

2.3. Le affermazioni in diritto della corte d’appello non risultano, in realtà, conformi agli indirizzi di questa

2.3.1. La circostanza che «i rispettivi rapporti di debito e credito» nascano «dal medesimo titolo giudiziale» senz’altro non e sufficiente per escludere la sussistenza dei presupposti della compensazione in senso tecnico ed affermare, di contro, la sussistenza dei presupposti per la possibile operatività della compensazione impropria, essendo invece necessario a tal fine che si tratti di obbligazioni che (non solo) nascano dal mede- simo rapporto contrattuale, ma che siano altresì «legate da un vincolo di corrispettività che ne escluda l’autonomia» (cfr. Cass., Sez. L, Sentenza n. 1695 del 29/01/2015, Rv. 634306 – 01; Sez. 1, Ordinanza n. 28568 del 18/10/2021, Rv. 662857 – 01, che esclude espressamente la compensazione cd. impropria, in caso di crediti derivanti dal medesimo rapporto di appalto, di cui uno pero aveva ad oggetto il corrispettivo dell’appalto e l’altro il risarcimento per un inadempimento contrattuale, «in ragione delle diversità delle rispettive cause»).

2.3.2. In ogni caso, ai fini del presente giudizio, la natura del rapporto tra i reciproci crediti delle parti e la stessa sussistenza o meno dei presupposti per la compensazione in senso tecnico, non ha in realtà alcun rilievo, non potendo affatto ritenersi che la compensazione impropria operi “senza limiti“, in quanto le due ipotesi sono soggette ai medesimi limiti proprio per quanto rileva nel presente giudizio, vale a dire con riguardo alla possibilità di operare anche in caso di contestazione, in un se- parato giudizio, di uno dei crediti reciproci (cfr. la già richiamata Cass., Sez. L, Sentenza n. 1695 del 29/01/2015, Rv. 634306 – 01, in motivazione; Cass., Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 23167 del 25/07/2022, Rv. 665249 – 01, in motivazione).

2.3.3. Infine, si deve osservare che il principio di diritto secondo il quale il contro-credito possa essere opposto in compensa- zione anche se esso deriva da una sentenza di condanna esecutiva, benché non ancora passata in giudicato, affermato nel precedente di legittimità richiamato dalla corte d’appello (Cass. 23573 del 2013), é da ritenersi superato, dal momento che, successivamente, questa stessa Corte, a Sezioni Unite, componendo il relativo contrasto interpretativo, ha affermato il contrario (Cass., Sez. U, Sentenza n. 23225 del 15/11/2016, Rv. 641764 – 03), in base ad argomentazioni per superare o anche solo contrastare le quali non sono somministrati idonei elementi nel ricorso.

2.4. Fatte le precisazioni che precedono, si osserva che, in ogni caso, la sentenza impugnata, nella parte in cui ammette la compensazione in sede di opposizione all’esecuzione, non può ritenersi conforme a diritto, anche in virtù di un ulteriore argomento, che risulta, anzi, logicamente assorbente e decisivo.

I presupposti della pretesa compensazione (sia che si trattasse di compensazione in senso tecnico sia, anzi a fortiori, se si trattasse di compensazione cd. impropria) si sono certamente verificati in tempo utile per essere dedotti nel corso del giudizio di cognizione e, di conseguenza, la compensazione stessa avrebbe potuto e dovuto essere fatta valere nel giudizio di cognizione all’esito del quale si e formato il titolo esecutivo.

La circostanza che il giudice della cognizione la abbia, almeno implicitamente, esclusa, operando due distinte condanne reciproche, invece dell’accertamento contabile del saldo finale delle contrapposte partite, avrebbe potuto e dovuto essere eventualmente contestato con l’impugnazione della sentenza emessa in sede di cognizione.

Le considerazioni che precedono risultano dirimenti e rendono, in definitiva, superfluo stabilire se nella specie si tratta di compensazione in senso tecnico (per la cui operatività e necessaria l’eccezione di parte, essendo peraltro pacificamente riconosciuto che, se la coesistenza dei crediti si verifica in tempo utile per essere eccepita nel giudizio di cognizione, la mancata pro- posizione dell’eccezione impedisce poi di opporre la compensazione in sede esecutiva; cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 2822 del 25/03/1999, Rv. 524541 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 12664 del 25/09/2000, Rv. 540445 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 17632 del 11/12/2002, Rv. 559145 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 13568.

Quest’ultima, infatti, costituisce un semplice accertamento contabile del saldo finale delle contrapposte partite, che può (e quindi deve) essere compiuto dal giudice anche d’ufficio; di conseguenza, esso può essere sollecitato dalla parte interessata ma, comunque, va certamente operato (eventualmente anche di ufficio) dal giudice, all’esito del giudizio di cognizione.

Se, invece, il giudice della cognizione non disponga in tal senso, pur avendo il potere-dovere di farlo (anche di ufficio), ciò necessariamente implica che non ha riconosciuto la sussistenza dei necessari presupposti.

Laddove la parte intenda contestare tale mancato riconoscimento può e deve impugnare la relativa pronuncia di cognizione, ma non può proporre la questione in sede esecutiva.

Ne consegue che non e possibile, in nessun caso, eccepire la compensazione, neanche quella cd. impropria, in sede esecutiva, quando le reciproche pretese derivano dal medesimo titolo esecutivo giudiziale, perché esse sono state, evidentemente, ritenute autonome o, comunque, non suscettibili di reciproca elisione, in sede di cognizione.

Il motivo di ricorso in esame va dunque accolto, in applicazione del seguente principio di diritto:

«non e consentito, in nessun caso, eccepire la compensazione, ne propria ne cd. impropria, in sede di opposizione all’esecuzione, quando le reciproche pretese delle parti derivano dal medesimo titolo esecutivo giudiziale, che le ha tenute distinte emettendo separate condanne reciproche, perché esse sono state ritenute comunque non suscettibili di reciproca elisione in sede di cognizione; e, in tal caso, possibile e necessario pro- porre l’impugnazione della sentenza costituente titolo esecutivo, per ottenere, in sede di cognizione, il riconoscimento della  compensazione cd. tecnica ovvero l’accertamento contabile del saldo finale delle contrapposte partite, in caso di difetto dei presupposti di quest’ultima, con definitiva condanna, quindi, di una sola delle parti al pagamento della differenza dovuta in favore dell’altra»

3. Il primo motivo del ricorso e rigettato; il secondo motivo e accolto e la sentenza impugnata e cassata in relazione a tale motivo, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità, affinché la controversia sia esaminata alla luce dell’appena enunciato principio di diritto.

Per questi motivi

La Corte:

– rigetta il primo motivo, accoglie il secondo e cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in data 25 ottobre 2023.

Il Presidente

Franco DE STEFANO

Depositato in Cancelleria l’8 novembre 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.