REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUARTA SEZIONE PENALE
Composta da:
Dott. FRANCESCO MARIA CIAMPI -Presidente
Dott. LUCIA VIGNALE -Consigliere
Dott. EUGENIA SERRAO -Relatore
Dott. ATTILIO MARI -Consigliere
Dott. ALESSANDRO D’ANDREA -Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(omissis) (omissis) nato a (omissis) il xx/xx/19xx;
avverso l’ordinanza del 07/02/2023 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa EUGENIA SERRAO;
letta la requisitoria del Procuratore generale, che ha concluso per il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Reggio Calabria, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha condannato il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento, in favore di (omissis) (omissis), della somma di euro 3.537,30 a titolo di riparazione dell’errore giudiziario accertato con sentenza di revisione emessa dalla Corte di appello di Reggio Calabria, irrevocabile il 4 luglio 2021.
2. Premessa la sussistenza dei presupposti per l’applicabilità dell’art. 643 cod. proc. pen., il collegio ha scrutinato le voci di danno oggetto della domanda di riparazione affermando, in primo luogo, che l’opzione per la riparazione dell’errore giudiziario rende in sé inammissibile la domanda di risarcimento integrale di ogni danno patrimoniale e non patrimoniale asseritamente subito per effetto dell’errore giudiziario, trattandosi di strumento con diversa funzione in quanto finalizzato a indennizzare i pregiudizi causati nell’esercizio di una funzione giurisdizionale lecita, ancorché erronea, non potendosi risolvere nel risarcimento integrale dei danni subiti dalla vittima dell’errore giudiziario.
2.1. Per quanto concerne il danno afferente alla ingiusta compressione della libertà subita per 30 giorni di arresti domiciliari la Corte ha ritenuto di utilizzare in via sussidiaria il criterio indennitario elaborato dalla giurisprudenza per l’omologo istituto dell’ingiusta detenzione, liquidando la somma di euro 3.537,30 corrispondente alla cifra di euro 117,91 moltiplicata per i giorni di privazione della libertà personale.
2.2. La Corte ha, poi, negato l’indennizzo per l’asserito pregiudizio in termini di sofferenza psicologica, rilevando che il periodo di compressione della libertà personale non fosse di lunga durata e che la difesa non avesse allegato elementi probatori indicativi della sussistenza di un effettivo danno morale tale da valorizzare in termini di maggiore penosità o sofferenza patita.
2.3. La genesi e le modalità del coinvolgimento del (omissis) nella vicenda penale che ha riguardato lui e i componenti della sua famiglia, essendosi trattato di reati commessi in relazione a società gestite dal gruppo familiare, sono stati valutati come indici idonei a escludere un danno aggiuntivo rispetto a quello derivante dalla mera applicazione del criterio aritmetico.
2.4. Secondo la Corte, l’istante non ha dimostrato in che modo e in che termini abbia subito l’incisione di valori costituzionali riconducibili alla categoria del danno morale.
Ulteriore ragione ostativa all’aumento nella determinazione dell’indennizzo liquidabile è stata ravvisata nella sospensione condizionale della pena inflitta e delle pene accessorie, anche nell’ottica di rendere controllabile la determinazione del dovuto.
2.5. Le dichiarazioni raccolte ai sensi dell’art. 391 bis cod. proc. pen. dal difensore del ricorrente a ridosso del procedimento di riparazione, rilasciate in sede di indagini difensive da tale (omissis) (omissis), non sono state ritenute sufficienti a fondare la richiesta di un ristoro ulteriore, in quanto genericamente riferentisi a uno stato di turbamento e disagio dell’istante senza supporto di documentazione di tipo medico legale.
2.6. Nessuna dimensione mediatica negativa tale da ledere l’immagine o il prestigio dell’istante; la sospensione condizionale della pena accessoria dell’inabilitazione all’esercizio dell’impresa e dell’incapacità di esercitare uffici direttivi; l’assenza di sufficienti elementi idonei a distinguere la situazione patrimoniale personale del (omissis) da quella aziendale e a dimostrare il collegamento dei danni rivendicati con l’ingiusta condanna subita; l’omessa produzione del decreto di sequestro della (omissis) (omissis) (omissis) e dei relativi verbali in relazione al pregiudizio asseritamente scaturito dal sequestro delle quote sociali della (omissis); l’omessa allegazione di consulenza tecnico contabile idonea a fungere da base per individuare anche la fondatezza, oltreché l’entità, della richiesta; l’assenza di prova circa un arco temporale di redditività dell’azienda antecedentemente all’intervenuto sequestro societario; l’omessa allegazione della percentuale delle quote possedute dall’istante al momento del sequestro; l’inadeguatezza delle dichiarazioni dei redditi della (omissis) (omissis) (omissis) a misurare la redditività dell’azienda; la non pertinenza della dichiarazione dei redditi della società denominata (omissis) Srl, ente differente dalla (omissis), della cui redditività l’istante ha allegato il decremento reddituale; l’inidoneità della produzione in giudizio del modello Irpef dei redditi percepiti dal Crispino per gli anni 2004 e 2010 e del modello 770 relativo al sostituto d’imposta per poter valutare, in mancanza di una consulenza tecnica, il danno patrimoniale subito dal ricorrente e da mettere a confronto con quello dell’azienda amministrata; l’assenza di prove del collegamento causale del depauperamento della (omissis) (omissis) (omissis) alla misura restrittiva patita dall’istante, non essendovi prova della coincidenza della perdita di redditività dell’azienda con la misura cautelare inflitta; l’inidoneità a costituire prova del danno subito delle generiche dichiarazioni rilasciate da (omissis) (omissis) in sede di informazioni investigative il 31 gennaio 2023; l’insufficienza a fini probatori di riferimento del rendiconto redatto dal custode giudiziario e del registrato decremento dal 2004 in poi degli utili di esercizio della società in custodia.
Sono queste le ragioni per le quali il Collegio ha ritenuto non dimostrato l’an né il quantum del danno asseritamente subito a titolo patrimoniale nonché del nesso causale nei termini di cui all’art. 643 cod. proc. pen..
3. (omissis) (omissis) propone ricorso censurando l’ordinanza per i seguenti motivi:
a) violazione dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen. mancanza, contraddittorietà della motivazione posta a fondamento della decisione di rigetto della richiesta di ristoro del danno morale subito dal ricorrente in relazione alla qualifica di amministratore della società (omissis) (omissis) (omissis) rivestita dallo stesso e al sequestro delle quote della società;
b) violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. violazione dei parametri di prova e dei criteri di determinazione e quantificazione del danno indicati negli artt. 643 e 315 cod. proc. pen. e 1126 cod. civ.; mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione posta a fondamento della decisione di rigetto della richiesta di ristoro del danno morale subito dal ricorrente;
c) violazione dell’art. 606 lett.b) ed e) cod. proc. pen. violazione dei parametri di prova e dei criteri di determinazione del danno indicati negli artt. 643 e 315 cod. proc. pen. e 1126 cod. civ.; mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione posta a fondamento della decisione di rigetto della richiesta di ristoro del danno patrimoniale subito dal ricorrente;
d) violazione dell’art. 606 lett.b) ed e) cod. proc. pen. violazione dei parametri di prova e dei criteri di determinazione e quantificazione del danno indicati negli artt. 643 e 315 cod. proc. pen. e 1126 cod. civ.; mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione posta a fondamento della decisione di dimezzare la cifra da riconoscere a titolo di riparazione per ingiusta detenzione subita dal ricorrente.
3. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.
4. Il difensore del ricorrente ha depositato memoria di replica, insistendo per l’annullamento del provvedimento impugnato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondatamente proposto.
2. La riparazione per l’errore giudiziario, come quella per l’ingiusta detenzione, non ha natura di risarcimento del danno ma di semplice indennità o indennizzo in base a principi di solidarietà sociale per chi sia stato ingiustamente privato della libertà personale o ingiustamente condannato.
L’origine solidaristica della previsione dei due casi di riparazione non esclude però che ci si trovi in presenza di diritti soggettivi qualificabili di diritto pubblico cui si contrappone, specularmente, un’obbligazione dello Stato da qualificare parimenti di diritto pubblico.
2.1. Il criterio seguito dalla legge, che esclude una tutela obbligata di tipo risarcitorio, risponde ad una precisa finalità: se il legislatore avesse costruito la riparazione dell’errore giudiziario, o dell’ingiusta detenzione, come risarcimento dei danni avrebbe dovuto richiedere, per coerenza sistematica, che il danneggiato fornisse non solo la dimostrazione dell’esistenza dell’elemento soggettivo, fondante la responsabilità per colpa o per dolo, nelle persone che hanno agito, ma anche la prova dell’entità dei danni subiti.
Ciò si sarebbe peraltro posto in un quadro di conflitto con l’esigenza (fondata sull’art. 24, comma 4, Cost., sull’art. 5, comma 5, della Convenzione EDU e sull’art. 9 n. 5 del Patto internazionale dei diritti civili e politici) di garantire un adeguato ristoro a chi sia stato comunque ingiustamente condannato o privato della libertà personale senza costringerlo a defatiganti controversie sull’esistenza dell’elemento soggettivo di chi aveva agito e sulla determinazione dei danni.
2.2. Esiti dell’opzione prescelta dal legislatore sono, da un lato, l’utilizzo di criteri equitativi per il ristoro delle conseguenze di un atto lecito dannoso; dall’altro, la possibilità per il giudice di fare riferimento anche a criteri di natura risarcitoria (desunta dal mancato richiamo all’equità nell’art. 643 cod. proc. pen. a differenza di quanto previsto nell’art. 314 cod. proc. pen.), tra l’altro funzionali a restringere i margini di discrezionalità nelle decisioni concernenti le conseguenze tanto della privazione della libertà quanto della condanna.
2.3. Nella liquidazione della somma per la riparazione dell’errore giudiziario, oltre che dei pregiudizi derivanti dalla custodia cautelare sofferta, il giudice deve inoltre tener conto di pregiudizi riconducibili al processo penale promosso nei confronti dell’istante e non soltanto di quelli riferibili alla ingiusta condanna (vedi Sez. 4, 23/2/2006, n. 24359, Pisano, Rv. 234612).
Su questo punto, non può in primo luogo ritenersi corretto il procedimento seguito dalla Corte territoriale calabrese laddove ha preso in considerazione, quale fonte del danno, il solo periodo di privazione della libertà personale occorso al (omissis) nella fase delle indagini preliminari, adducendo l’infondatezza della domanda di riparazione per assenza di prove del collegamento causale tra la privazione della libertà personale e il danno senza adeguata analisi dell’ulteriore fonte di possibile danno costituita dalla condanna e dal procedimento penale nel suo complesso.
3. Con riguardo ai limiti delle somme liquidabili, la riparazione dell’errore giudiziario si differenzia dalla riparazione per ingiusta detenzione sia per l’eccezionalità della previsione di un tetto ma, soprattutto, per la diversità della natura del titolo privativo della libertà personale nell’ingiusta detenzione (un titolo provvisorio soggetto a verifiche successive e assistito dalla presunzione di non colpevolezza) rispetto alle conseguenze, di ben altro rilievo, provocate da una condanna non più soggetta a impugnazione e atta a rimuovere l’indicata presunzione (Sez. 4, n. 2050 del 25/11/2003, dep.2004, Barillà, Rv. 227670 – 01; Sez.4, n.532 del 21/04/1994, Moroni, Rv. 198308 – 01).
Anche per tale profilo, la Corte territoriale, correlando in maniera apodittica la misura dell’indennizzo al criterio aritmetico elaborato dalla giurisprudenza sulla base del predetto tetto, fissato dall’art. 315, comma 2, cod. proc. pen. in materia di riparazione per l’ingiusta detenzione (Sez. U, n. 24287 del 09/05/2001, Caridi, Rv. 218975 – 01), mostra di non aver fatto buon governo dei princìpi interpretativi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità.
4. Con riguardo agli strumenti di accertamento del danno patrimoniale connesso all’attività d’impresa, occorre ritenere che il giudice della riparazione non possa sindacare l’omessa produzione di una relazione tecnica che renda intellegibili i dati forniti dalla parte istante, essendo potere e dovere del giudice disporre una perizia che, lungi dal costituire una sostituzione all’inerzia della parte, è strumento idoneo a fornire l’apporto tecnico necessario a tal fine.
5. Esaminando, dunque, in dettaglio le deduzioni del ricorrente, si osserva quanto segue.
5.1. Il dott. (omissis) (omissis), custode giudiziario nominato nella procedura, dopo pochi mesi dall’incarico ricevuto si è dimesso non essendo in grado di gestire l’azienda in ragione dello «spiccato carattere personale e fiduciario su cui era improntata l’amministrazione della stessa».
Tale circostanza, si assume, è stata sottoposta all’esame della Corte territoriale, così come tutta la documentazione contabile, dalla quale risulta che nei successivi anni di gestione giudiziale affidata a un nuovo amministratore giudiziario succeduto al dott. (omissis) la società ha subito perdite ingenti, come risulta dai bilanci di esercizio della (omissis) depositati dagli amministratori giudiziari il 31 dicembre 2004 e il 31 dicembre 2005.
La dimostrazione del nesso di condizionamento tra la pendenza del procedimento penale e i danni economici riverberatisi sulla società si rinviene, si assume nel ricorso, proprio nello spiccato carattere personale e fiduciario al quale era improntata l’amministrazione societaria.
Gli atti allegati avrebbero consentito alla Corte di liquidare in via equitativa il danno patrimoniale sulla base dei bilanci della (omissis), delle certificazioni reddituali presentate dal (omissis) dal 2004 in poi, eventualmente disponendo d’ufficio una perizia contabile ove ritenuta necessaria.
5.2. La qualifica di socio e amministratore della (omissis) risulta, come indicato nel ricorso, dal decreto del 29 marzo 2004 del Giudice del Tribunale di Caltagirone, ma tale puntualizzazione non coglie il differente rilievo presente alle pagg. 15-16 dell’ordinanza, in cui si fa riferimento all’assenza di prova di tale qualifica con riferimento al periodo di pendenza del procedimento penale, evidentemente successivo ai fatti oggetto del processo.
5.3. La circostanza che sia stata disposta la misura cautelare reale del sequestro preventivo delle attività sociali, dei beni e della documentazione amministrativa, contabile e fiscale della (omissis) di cui il (omissis) era amministratore, che nell’ordinanza si assume indimostrata, risulta invece documentata nell’all.C1 all’istanza.
Il ricorrente assume di aver subito, a partire dall’anno 2013, momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna, un notevole peggioramento del suo tenore di vita professionale e del reddito percepibile in ragione della compressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost.
Tuttavia, nel dedurre il vizio di travisamento della prova con riguardo alla sentenza di primo grado, del verbale di interrogatorio, dell’ordinanza applicativa degli arresti domiciliari e del decreto di sequestro delle quote della società (omissis), la difesa ha trascurato di indicare la decisività di tali prove con riferimento ai danni patrimoniali che la Corte di Reggio Calabria ha negato sul presupposto della mancanza di allegazione e prova della perduranza nel tempo della qualifica del (omissis) nel contesto societario, tanto più che, secondo quanto si legge nell’ordinanza impugnata, l’allegata compressione della libertà di iniziativa economica contrasta con il beneficio della sospensione condizionale delle pene accessorie e della pena principale riconosciuto in sede di condanna.
5.4. Se tali argomenti valgono a ritenere non censurabile il provvedimento impugnato con riferimento al danno patrimoniale correlato all’andamento della gestione societaria, si deve tuttavia accogliere la censura inerente al vizio di motivazione per quanto concerne il danno patrimoniale asseritamente patito dal ricorrente come persona fisica.
La decisione di negare la sussistenza del danno patrimoniale lamentato dal ricorrente in quanto tale per non aver allegato una consulenza tecnica o per non aver richiesto che fosse disposta una perizia tecnico contabile risulta, per quanto già chiarito, manifestamente illogica, posto che ove la documentazione allegata sia ritenuta di difficile comprensione e il giudice necessiti dell’apporto di un esperto, non può per tale ragione negarsi valore probatorio a documenti ritualmente depositati solo perché non corredati da una valutazione tecnica.
6. Con riferimento al danno morale, il ricorrente deduce carenza assoluta di motivazione in ordine alle dichiarazioni contenute nel verbale di interrogatorio reso in data 28 maggio 2004, dalle quali sarebbe emerso lo stato depressivo in cui versava il (omissis) a causa dell’avvio del procedimento penale; disagio perdurato per i lunghi anni in cui l’istante non ha potuto liberamente esercitare la propria attività imprenditoriale a causa del discredito all’interno del panorama imprenditoriale siculo.
Lamenta carenze motivazionali anche in relazione alle dichiarazioni rese dal teste (omissis), non spiegando l’ordinanza per quale ragione esse sarebbero insufficienti a dimostrare la sussistenza di un danno morale; la motivazione, sul punto, è ritenuta contraddittoria in quanto le dichiarazioni del (omissis) sono corroborate da quelle rese in sede di interrogatorio dal ricorrente.
Sarebbe apparso, comunque, logico presumere che la vicenda giudiziaria avesse provocato anche profili di danno morale, non essendo necessaria ai fini della relativa liquidazione la prova certa del danno e potendosi fare ricorso a presunzioni e fatto notorio.
La motivazione, si assume, sarebbe manifestamente illogica laddove la Corte di appello ha ritenuto che la tipologia di delitto e la sospensione condizionale osterebbero al riconoscimento del danno morale, essendo per contro coerente ritenere che, per un imprenditore, la condanna per un delitto previsto dalla legge fallimentare costituisca un gravissimo danno all’immagine e al prestigio della società amministrata, tanto che il (omissis), nel corso del suo interrogatorio, aveva manifestato il timore che, dopo una vicenda del genere, nessuno avrebbe più voluto lavorare con lui «perché è chiaro, il mondo è piccolo in questo settore, tutti lo sanno, tutti lo conoscono»; tanto più in un piccolo paese come Caltagirone in relazione a una vicenda giudiziaria che ha colpito imprenditori che gestivano una compagnia aerea.
Del tutto inconferente sarebbe, secondo la difesa, con riferimento al lamentato danno morale, la sospensione condizionale della pena, posto che a causa delle segnalazioni che vengono inviate a tutti gli istituti bancari in caso di condanna per un reato finanziario il condannato trova enormi difficoltà ad accedere al credito.
Nel periodo di 17 anni di durata del processo il (omissis) non ha potuto certificare il proprio stato di incensuratezza e non ha potuto prendere parte a concorsi o bandi pubblici.
Il provvedimento impugnato risulterebbe, inoltre, contrastante con la giurisprudenza, che ammette il ricorso a criteri equitativi e presuntivi ai fini dell’accertamento del danno.
6.1. Anche tale profilo di censura è stato legittimamente dedotto, avendo la Corte territoriale affermato in maniera apodittica l’insufficienza della prova dichiarativa acquisita mediante indagini difensive anche perché l’istante non aveva allegato documentazione medica, ignorando che alcuni profili di danno non patrimoniale sono ontologicamente diversi dalla lesione dell’integrità psico-fisica e per essere provati non necessitano di documentazione medica; è, per altro verso, manifestamente illogico negare una approfondita disamina del danno inteso come sofferenza morale connessa alla condanna di un imprenditore per un reato finanziario sul presupposto che il tipo di reato per il quale il (omissis) è stato condannato non costituisce un’accusa più afflittiva di quella concernente altri reati, laddove nessuna somma sia stata riconosciuta a tale titolo.
6.2. Giova, in proposito, rimarcare come il giudice della riparazione, nel valutare, anche equitativamente, la sussistenza delle conseguenze non patrimoniali, nell’ampia accezione oggi accolta, inclusiva anche dell’incidenza morale dell’interruzione delle attività lavorative, derivanti dalla condanna ai sensi dell’art. 643 cod. proc. pen., non possa non tenere conto dei princìpi espressi in materia dalla Corte di Cassazione civile, a Sezioni Unite (Sez. U, n. 26972 del 11/11/2008, R., Rv. 605493 – 01).
Il supremo consesso ha affermato che il danno non patrimoniale derivante dalla lesione di diritti inviolabili della persona, come tali costituzionalmente garantiti, è risarcibile – sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 cod. civ. – anche quando non sussiste un fatto-reato, né ricorre alcuna delle altre ipotesi in cui la legge consente espressamente il ristoro dei pregiudizi non patrimoniali, a tre condizioni:
(a) che l’interesse leso – e non il pregiudizio sofferto – abbia rilevanza costituzionale;
(b) che la lesione dell’interesse sia grave, nel senso che l’offesa superi una soglia minima di tollerabilità (in quanto il dovere di solidarietà, di cui all’art. 2 Cost., impone a ciascuno di tollerare le minime intrusioni nella propria sfera personale inevitabilmente scaturenti dalla convivenza);
(c) che il danno non sia futile, vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari, come quello alla qualità della vita od alla felicità.
Inoltre, quando l’atto dannoso abbia violato diritti inviolabili oggetto di tutela costituzionale, spetterà al giudice selezionare gli interessi lesi, in quanto non predeterminati dalla legge.
6.3. come già rimarcato nella citata sentenza Barillà (Sez.4, n.2050/2004), ingiustizia del danno e valori costituzionali valgono sufficientemente a selezionare i danni meritevoli di tutela riparatoria, anche se provocati nell’esercizio di attività legittime (ma con conseguenze ingiuste) rispetto a quelli bagatellari.
7. L’ordinanza deve, dunque, essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Reggio Calabria per nuovo giudizio alla luce dei principi sopra enunciati. Il giudice del rinvio sarà, pertanto, tenuto a valutare se sia necessario disporre una perizia tecnico-contabile e ad esaminare le conseguenze lesive, sia di natura patrimoniale che di natura non patrimoniale, correlate al procedimento penale e alla condanna nei termini indicati nei paragrafi precedenti; al medesimo giudice è demandata anche la regolamentazione tra le parti delle spese sostenute nel presente grado di legittimità.
P.Q.M.
Annulla la ordinanza impugnata con rinvio, per nuovo giudizio alla Corte di appello di Reggio Calabria cui demanda altresì la regolamentazione fra le parti delle spese sostenute nel presente giudizio di legittimità.
Così deciso il 12 ottobre 2023.
Depositato in Cancelleria, oggi 8 novembre 2023.