LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati
FRANCO DE STEFANO Presidente
PASQUALE GIANNITI Consigliere – Rel.
CRISTIANO VALLE Consigliere
ANTONELLA PELLECCHIA Consigliere
RAFFAELE ROSSI Consigliere
Ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso 10459/2020 proposto da:
(omissis) (omissis) rappresentato e difeso dagli avvocati (omissis) (omissis), (omissis) (omissis);
-ricorrente-
contro
(omissis) (omissis) Spa – (omissis) (omissis) del (omissis) (omissis) in persona del (omissis) rappresentante e difeso dall’avvocato (omissis) (omissis);
-controricorrente-
(omissis) di (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) ed (omissis) – (omissis) (omissis) già (omissis) (omissis) ed (omissis) (omissis) di (omissis) e (omissis) (omissis) – (omissis) (omissis) in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato (omissis) (omissis);
-controricorrente-
avverso la sentenza n. 506/2020 del TRIBUNALE di SALERNO, depositata il 05/03/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/10/2023 dal Consigliere dott. Pasquale Gianniti.
FATTI DI CAUSA
1. Nel 2012 (omissis) (omissis) conveniva in giudizio la (omissis) (omissis) ed (omissis) (omissis) di (omissis) (omissis) di (omissis) e (omissis) (di seguito, per brevità, (omissis) per ottenere la restituzione della somma di € 1.414,10, oltre interessi legali dalla costituzione in mora, con vittoria di spese e competenze di causa, anche in via equitativa e, comunque, nei limiti della competenza del Giudice adito, somme a lui sottratte a seguito dell’utilizzo fraudolento, da parte di terzi estranei, della sua tessera bancomat, del cui smarrimento/furto aveva sporto denuncia, sul presupposto della imperizia e negligenza della (omissis) convenuta.
(omissis) (omissis) costituitosi in giudizio, in via principale e preliminare, chiedeva la chiamata in causa della (omissis) (omissis) s.p.a. – (omissis) centrale del (omissis) (omissis) (di seguito, per brevità, (omissis) nel merito contestava la domanda attorea, indicando il (omissis) quale unico responsabile per la negligente custodia della carta.
Autorizzata la chiamata in causa ed esteso il contraddittorio da parte della convenuta, la (omissis) si costituiva in giudizio, eccependo in via preliminare il proprio difetto di legittimazione passiva e, comunque ritenendo insussistente il rapporto di interdipendenza con la (omissis) (che l’aveva chiamata in causa), contestando in via di merito la domanda attorea, attribuendo allo stesso (omissis) ogni responsabilità.
Il giudice di primo grado con sentenza n.10/2016, in accoglimento della domanda risarcitoria del (omissis) condannava in solido tra loro la (omissis) e (omissis) in persona dei loro rispettivi legali rappresentanti pro tempore, al pagamento della somma di € 1.400,00, oltre interessi legali dal giorno dell’evento dannoso sino al soddisfo ed oltre al pagamento delle spese di lite a favore dei dichiarati Avvocati antistatari.
2. Avverso la sentenza del giudice di primo grado era proposto:
– appello principale dalla (omissis) che contestava al Giudice di prime cure di non aver tenuto conto della propria eccezione di difetto di legittimazione passiva, e, in via subordinata, sosteneva che la sentenza di primo grado avrebbe dovuto essere riformata nella parte in cui aveva ritenuto provata la domanda attorea;
– appello incidentale dalla (omissis) che dichiarava di aver provveduto al pagamento integrale di quanto statuito dalla sentenza di primo grado, sosteneva di aver fondatamente chiamato in causa la (omissis) chiedeva che, in riforma della sentenza di primo grado, quest’ultima fosse condannata in via esclusiva quest’ultima, e comunque fosse escluso qualsiasi obbligo risarcitorio.
Il (omissis) si costituiva nel giudizio di appello, contestando le impugnazioni avversarie, delle quali chiedeva il rigetto con conferma della sentenza di primo grado.
Il Tribunale di Salerno, in funzione di giudice di appello, con sentenza n. 506/2020, in accoglimento dell’appello principale proposto da (omissis) dell’appello incidentale proposto dalla (omissis) rigettava la domanda risarcitoria proposta dal (omissis) condannandolo alla rifusione delle spese processuali relative ad entrambi i gradi a favore della convenuta e della chiamata in causa.
3. Avverso la sentenza del giudice di appello ha proposto ricorso il (omissis) articolando quattro motivi.
Hanno resistito con controricorso (omissis) nonché la (omissis) di (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) di (omissis) (omissis) (omissis) già (omissis) (omissis) ed (omissis) che ha preliminarmente eccepito il difetto di valida e tempestiva procura.
Per l’odierna udienza il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni scritte, con richiesta di rigetto del ricorso.
Il Difensore della resistente (omissis) ha depositato memoria.
Il Collegio si e riservato il deposito della motivazione nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. L’eccezione di difetto di valida e tempestiva procura sollevata dalla (omissis) di (omissis) (già (omissis) (omissis) ed (omissis) é infondata.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 12850/2019), la procura alle liti, conferita su supporto cartaceo e copiata per immagine su supporto informatico e, quindi, trasmessa per via telematica, unitamente alla notifica del ricorso per (omissis) deve contenere, ai sensi dell’art. 83, comma 3, c.p.c. e 10 d.P.R. n. 123 del 2001, l’asseverazione di conformità all’originale mediante sottoscrizione del procuratore con firma digitale.
Orbene, come risulta dal fascicolo informatico, l’asseverazione di conformità reca in calce la firma digitale del procuratore.
2. I primi tre motivi, articolati in ricorso, concernono sostanzialmente la condanna del (omissis) alla rifusione delle spese processuali anche a favore della chiamata in causa.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia «violazione e falsa applicazione di nome di diritto in relazione all’art. 360 comma 3 c.p.c. – violazione di legge, del principio della domanda – violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c. – vizio di motivazione – riflessi sulla condanna alle spese» nella parte in cui il Tribunale, nel decidere la controversia, ha così esordito: «si rende necessario esaminare, per ragioni di ordine logico, dapprima il motivo di appello principale con cui (omissis) (omissis) S.P.A. ha chiesto la riforma della sentenza impugnata ed il rigetto della domanda attorea e l’appello incidentale proposto dalla (omissis) per le medesime ragioni, poiché in caso di accoglimento dell’appello principale e di quello incidentale per tale motivo, si renderebbe superfluo lo scrutinio degli altri motivi di appello. Infatti, e evidente che laddove dovesse essere riformata la sentenza n. 10/2016 nel senso dell’infondatezza della domanda proposta dall’appellato (omissis) (omissis) vi sarebbero ragioni per accertare se la responsabilità per i danni da questo lamentati sia riconducibile in via esclusiva alla (omissis) S.P.A., alla (omissis) ad entrambe in solido».
Si duole che il giudice di appello ha cos1 omesso di pronunciarsi sull’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata di (omissis)
Sostiene che il Tribunale avrebbe dovuto analizzare compiutamente detta eccezione e, comunque, motivare in merito, proprio in quanto, laddove la chiamata in garanzia fosse stata pretestuosa, lui non avrebbe dovuto essere chiamato al pagamento delle spese di lite anche nei confronti di (omissis).
Il motivo é inammissibile.
Invero, come più volte precisato da questa Corte (cfr. tra le tante, Cass. n. 2101/2019, n. 6835/2017 e n. 22759/2014) l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello, e, in genere, su una domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio, integra una violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., che deve essere fatta valere esclusivamente ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, dello stesso codice, mentre e inammissibile ove il vizio sia dedotto come violazione dell’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ. (Cass. n. 22759/2014; n. 6835/2017), salvo che nell’illustrazione del motivo non si faccia esplicito riferimento alla nullità della sentenza, circostanza questa che non ricorre nel caso di specie.
Tanto esime dal rilievo che, tecnicamente, tale motivo sarebbe pure infondato, perché su quel motivo di appello non e mancata una pronuncia, essendo quello stato dichiarato assorbito.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia «violazione e falsa applicazione delle norme di legge in relazione all’ 360 comma 3 e 4 c.p.c. – violazione del principio riguardante la chiamata in garanzia e le cause scindibili – riflessi sulla condanna alle spese» nella parte in cui il giudice di appello, ritenendo automaticamente estesa al terzo chiamato in causa (omissis) (omissis)la domanda attorea (da lui proposta e coltivata esclusivamente nei confronti della (omissis) non ha tenuto conto dell’autonomia della domanda di garanzia, ancorché confluita in un unico processo, e quindi della scindibilità delle cause cumulate, cos1 pervenendo, in suo danno, ad una ingiusta doppia condanna alle spese.
Il motivo é inammissibile, per la non univoca indicazione in ricorso del tempo in cui e stata sottoposta al giudice del merito la questione della pretestuosità della chiamata ai fini dell’esenzione dalla condanna alle spese di lite, prima che infondato.
Ad ogni buon conto, in punto di fatto, risulta che la (omissis) ha convenuto davanti al Giudice di Pace (omissis) formulando le seguenti conclusioni: rigettare la domanda attorea perché infondata in fatto e in diritto con conseguente condanna del (omissis) al pagamento delle spese processuali; in via subordinata, per il caso di accoglimento della domanda attorea, accertare e dichiarare il terzo chiamato in causa unico responsabile al risarcimento dei danni richiesti dall’attore ovvero secondo il grado di responsabilità ove accertata una propria responsabilità; in via ulteriormente subordinata, sempre in caso di accoglimento della domanda, contenerla nei limiti delle condizioni previste in contratto. E tali conclusioni sono state ribadite in sede di appello incidentale.
Pertanto, (omissis) stata chiamata in causa dalla (allora) (omissis) non a titolo di garanzia propria o impropria, con richiesta di manleva in ipotesi di condanna , ma quale unica responsabile dell’evento dannoso posto a base della domanda risarcitoria attorea, con conseguente estensione automatica di detta domanda nei confronti del terzo chiamato, per ciò solo legittimato ed interessato a contraddire sul merito della pretese attorea, e ad impugnare, in forza della soccombenza, in solido con il chiamante, la pronunzia giudiziale di condanna, nell’ambito di un rapporto processuale unico ed inscindibile.
In definitiva, si e trattato non di una chiamata in garanzia, per la quale effettivamente non opera l’estensione automatica della domanda (in ragione della autonomia sostanziale dei due rapporti, ancorché confluiti in un unico processo), ma di una chiamata del terzo responsabile (o corresponsabile), da cui deriva invece, secondo orientamento consolidato di questa Corte (cfr., tra le tante, Cass. n. 1043/2019, n. 30601/2018, n. 24494/2016, n. 5400/2013, n. 5057/2010, n. 4740/2003), l’estensione automatica della domanda.
In applicazione dei suddetti principi, il giudice di appello ha correttamente posto a carico del (omissis) le spese processuali di entrambe le altre parti, compresa quella dallo stesso non direttamente chiamata in causa.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia «violazione e falsa applicazione delle norme di legge in relazione all’art. 360 comma 3 e 4 c.p.c. – violazione delle norme in tema di spese di giustizia – d.m. 44/2012 – vizio di motivazione», nella parte in cui il giudice di appello lo ha condannato alla rifusione delle spese processuali non soltanto nei confronti della convenuta, ma anche dalla terza chiamata in causa da quest’ultima, oltretutto per somme non corrispondenti ai parametri legali (che, a suo dire, andrebbero applicati senza tenere conto della fase istruttoria).
Il motivo – in disparte il profilo di inammissibilità per mancata deduzione della sola rilevante violazione dei minimi – non é fondato.
Invero, ricordato che la sentenza del giudice di primo grado risale al 2016 e quella del giudice di appello risale al 2020, occorre far riferimento (non al D.M. n. 44/2012, ma) al D.M. n. 55/2014, come integrato dal successivo D.M. n. 37/2018, dovendo il giudice applicare i parametri vigenti al momento della liquidazione, cioè al momento in cui la sentenza viene depositata (Cass. n. 17577/2018).
Orbene, i compensi liquidati sono contenuti tra i minimi ed i massimi tabellari e, d’altronde, fermo restando il rispetto dei parametri minimi e massimi, la determinazione in concreto del compenso per le prestazioni professionali di avvocato e rimessa esclusivamente al prudente apprezzamento del giudice di merito (Cass. n. 4782/2020).
Quanto, infine, alla censura relativa alla illegittima liquidazione del compenso per la fase istruttoria, va qui ribadito (cfr. Cass. nn. 14483/2021, 21743/2019) che la trattazione del processo legittima il diritto al compenso di fase anche in assenza d’istruttoria probatoria.
3. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia «violazione e falsa applicazione di norme di legge in relazione all’art. 360, III e IV comma p.c. – violazione di norme di diritto in materia – erronea e falsa applicazione del d.lgs. n. 11/2010» nella parte in cui il giudice di appello ha ritenuto il suo comportamento gravemente colposo e che il danno patito dall’appellante (omissis) e dalla chiamata (omissis) fosse riconducibile solo ed esclusivamente alla sua condotta, violatrice delle Condizioni Generali del contratto (artt. 4 e 5) e degli articoli 7, 10 e 12 del D.Lgs. n. 11/2010 (per non aver tempestivamente assolto l’obbligo di pronta comunicazione dello smarrimento/sottrazione della tessera bancomat; per non aver assolto adeguatamente agli obblighi di custodia della carta di debito e del codice P.I.N.; per non aver tempestivamente segnalato il dissenso rispetto alle operazioni assunte come abusive).
Il motivo é inammissibile.
Secondo la giurisprudenza di questa corte (cfr. in particolare Cass. n. 26916/2020), «la responsabilità della(omissis) per operazioni effettuate a mezzo di strumenti elettronici, con particolare riguardo alla verifica della loro riconducibilità alla volontà del cliente mediante il controllo dell’utilizzazione illecita dei relativi codici da parte di terzi, ha natura contrattuale e, quindi, va esclusa solo se ricorre una situazione di colpa grave dell’utente».
Orbene, entrambi i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione del suddetto principio, ma, compiendo una diversa valutazione del compendio probatorio, sono addivenuti a conclusioni antitetiche.
Invero, il giudice di primo grado ha accolto la domanda risarcitoria del (omissis) così argomentando:
«Nel merito la domanda é fondata poiché quanto prospettato dall’attore ha trovato dalla documentazione prodotta sufficiente riscontro probatorio in ordine sia all’an sia al quantum debeatur. L’attore, infatti, é riuscito a dimostrare la veridicità della sua tesi a dispetto di quella prospettata dalle convenute …
Pertanto, l’attore lamenta il comportamento poco corretto ed inadempiente (omissis) (omissis) che ha consentito nonostante il blocco e le varie denunce presentate, delle operazioni extra fido senza alcuna autorizzazione, comportando ciò un aggravio di spese a quest’ultimo che si e trovato con un saldo negativo di € 5.581,97 euro.
Si osserva che nel caso de qua trattasi di carta di debito da utilizzarsi tramite codice segreto (PIN), che dovrebbe essere a conoscenza solo del legittimo possessore e fruitore del servizio bancomat come da contratto.
Tuttavia, va detto che più volte e capitato (come riportato anche da fatti di cronaca accaduti recentemente) che le chiavi di accesso ai servizi a pagamento vengono carpite da terze persone con inganno, senza che il titolare abbia la possibilità di rendersi conto del fatto nell’immediato.
Ebbene, in tali casi vi e da dire che (omissis) (omissis) che eccepisca la colpa concorrente del titolare della carta per custodia difettosa del codice personale, ha l’onere di provare concretamente tale negligenza, la quale non può ritenersi in re ipsa per il solo fatto che una tessera bancomat, dopo il furto, sia stata utilizzata illecitamente.
Dunque, i convenuti non hanno assolto al loro onere probatorio ai sensi dell’art. 2697 c.c., pertanto, le contestazioni restano delle mere eccezioni senza fondamento.
É evidente il grave inadempimento e la responsabilità di entrambi gli enti convenuti nella vicenda de qua.
É evidente, infatti che il comportamento negligente sia della (omissis) sia della (omissis) terza chiamata in causa, e la concausa della sottrazione illecita delle somme, dal momento che, nonostante l’immediata denuncia e blocco della carta da parte del (omissis) gli enti convenuti non hanno adempiuto agli obblighi di vigilanza, correttezza e buona fede contrattuale, consentendo movimenti ben oltre i limiti contrattuali stabiliti creando così un grave disagio economico e non, oltre che un danno all’attore».
Al contrario, il giudice di appello ha rigettato la domanda risarcitoria del (omissis) sul presupposto che la di lui condotta gravemente colposa era risultata:
«- dalla ricostruzione dei fatti offerta dal sig. (omissis) il quale nella denuncia presentata ai Carabinieri in data (omissis) alle ore (omissis) ovvero quattro giorni dopo dal presunto smarrimento ha dichiarato di essersi accorto della perdita della carta (che di per se va conservata con la massima attenzione, e dunque con una particolare diligenza) in circostanze del tutto casuali, cioè controllando nel portafogli, dopo aver verificato, rivolgendosi ad un operatore di (omissis) della filiale di riferimento, l’effettuazione di prelievi non autorizzati sul conto corrente nei giorni immediatamente precedenti;
– dalle dichiarazioni dello stesso sig. (omissis) che non ha potuto escludere di aver dimenticato (…) la carta bancomat “. all’interno dallo sportello sito in (omissis), così, denotando una significativa superficialità nella conservazione della carta di debito, nonostante sia un dato di comune esperienza, noto ai più, che trova frequente riscontro nelle cronache, che proprio in occasione delle operazioni agli sportelli automatici si verificano episodi di truffa e/o di furto delle carte bancomat a danno degli ignari titolari;
– dalla peculiarità della vicenda oggetto di causa, dove tutte le operazioni contestate dall’attore hanno avuto luogo con il corretto inserimento del P.I.N. (chiaro sintomo che esso potrebbe non essere stato adeguatamente custodito dal titolare sig. (omissis) e prevalentemente anteriori al blocco della carta richiesto dall’appellato solo il 06/7/2009;
– dal fatto che il sig. (omissis) ha posto a fondamento della domanda risarcitoria soltanto n. 5 operazioni, per complessivi € 1.414,10 avvenute, rispettivamente il 3/7/09, alle ore 20.47 (di € 250,00), il 4/7/09, alle ore 11.31 (di € 250,00), alle ore 11.38 (di € 59,90), ed alle ore 12.24 (di € 349,00), il 5/7/09, alle ore 11.57 (di € 250,00), ed il 6/7/09, alle ore 10.17 (di € 250,00) , tralasciandone altre n. 3, per complessivi € 674,90 avvenute, rispettivamente, il 4/7/09, alle ore 11.43 (di € 89,90), il 5/7/09, alle ore 12.47 (di € 290,00), ed il 6/7/09, alle ore 10.32 (di € 295,00) , che pure rientrano nel medesimo contesto temporale delle prime, nel quale, a suo dire, non avrebbe avuto la materiale disponibilità della carta bancomat».
In sintesi, il giudice di appello ha ritenuto che il (omissis) da un lato, non ha custodito adeguatamente il bancomat (in quanto ha dichiarato di non poter escludere di averlo dimenticato all’interno dello sportello elettronico automatico ed ha aggiunto di essersi reso conto del relativo smarrimento soltanto dopo un controllo fortuito nel proprio portafoglio) e, dall’altro, non ha custodito adeguatamente il PIN necessario per il funzionamento del bancomat, in quanto tutti i prelievi denunciati (oltre ad altri che non hanno formato oggetto di denuncia) sono avvenuti con l’inserimento corretto del PIN e sono avvenuti prima della denuncia e del blocco della carta (incombenti questi entrambi risalenti al (omissis) ).
Non spetta a questa Corte statuire quale sia la motivazione più coerente con le risultanze processuali acquisite: nella presente sede di legittimità, invece, rileva il fatto che, a fronte della motivazione del giudice d’appello, adeguatamente articolata la censura del ricorrente si risolve, sostanzialmente, in una critica al complessivo accertamento fattuale operato dal giudice di merito, cos1 in sostanza sollecitando, attraverso l’apparente deduzione del vizio di violazione di legge, una rivisitazione del suo giudizio.
E tuttavia questa non e consentita a questa Corte, alla quale non spetta il riesame della vicenda processuale, ma solo il controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, cui competono, in via esclusiva, l’individuazione delle fonti del proprio convincimento ed il controllo della loro attendibilità e concludenza, nonché la scelta, tra le complessive risultanze processuali, di quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (cfr., ex plurimis, Cass. n. 13881/2015; n. 24679/2013; n. 27197/2011; n. 6694/2009).
Quanto, poi, al passaggio in cui (p. 23) il ricorrente si duole che la (omissis)«.nella sua difesa non ha mai precisato i presidi di sicurezza di cui era dotata la tessera bancomat smarrita/sottratta .» – fermo restando che nel giudizio di legittimità non sono prospettabili nuove questioni di diritto (Cass. n. 21633/2018; n. 9812/2002) – occorre qui rilevare che trattasi di censura di cui non vi e traccia nella sentenza impugnata (e che, d’altronde, il ricorrente neppure indica aver formato oggetto di esame nei due giudizi di merito).
Anzi, sotto questo profilo, non può non essere sottolineato il particolare contesto contrattuale della fattispecie, nella quale non risulta che fossero contrattualmente previsti specifici sistemi di controllo e presidi di sicurezza a carico della (omissis) orbene, in tale specifico contesto contrattuale, l’uso della carta con uso di pin corretto da parte di soggetto ignoto e stato legittimamente posto dal giudice di appello ad esclusivo carico del titolare della carta.
4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese sostenute da parte resistente, nonché la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
P. Q. M.
La Corte:
rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, spese che liquida, quanto alla resistente (omissis) in euro 1.200 per compensi, e, quanto alla resistente (omissis) in euro 1.000 per compensi, oltre, per ciascuna delle parti resistenti, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2023, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile.
Il Presidente
Dott. Franco De Stefano
Depositato in Cancelleria l’8 novembre 2023.