Occupazione acquisitiva: l’illecito si determina dal momento della richiesta di risarcimento (Corte di Cassazione, Sezione I Civile, Sentenza 10 gennaio 2024, n. 952).

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

PRIMA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

GIACINTO BISOGNI     Presidente

LAURA TRICOMI          Consigliere

GIULIA IOFRIDA           Consigliere

CLOTILDE PARISE        Consigliere

ELEONORA REGGIANI Consigliere – Rel.

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso n. 06927/2018 promosso da

(omissis) (omissis), (omissis) (omissis) (omissis), (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) (omissis), elettivamente domiciliati in Roma, via (omissis) (omissis) 58, presso lo studio dell’avv. (omissis) (omissis), che li rappresenta e difende unitamente all’avv. (omissis) (omissis) in virtù di procura speciale in calce al ricorso;

-ricorrente-

contro

Amministrazione Provinciale di Vibo Valentia, in persona del Vice-Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via (omissis) (omissis) (omissis) 18, presso lo studio dell’avv. (omissis) (omissis), rappresentata e difesa dall’avv. (omissis) (omissis) in virtù di procura speciale in calce al controricorso;

-controricorrente-

avverso la sentenza n. 1515/2017 della Corte d’appello di Catanzaro, pubblicata il 21/08/2017, resa nel procedimento R.G. n. 1256/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/11/2023 dal Consigliere, dott.ssa ELEONORA REGGIANI;

letti gli atti del procedimento in epigrafe.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

In riforma della sentenza di primo grado, la Corte di appello di Catanzaro con sentenza n. 343/2005, pubblicata il 06/04/2005, ha dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario sulle domande formulate da (omissis) (omissis), (omissis) (omissis) (omissis), (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) (omissis), volte ad ottenere il risarcimento del danno cagionato dall’occupazione dei terreni di loro proprietà oggetto di occupazione di urgenza non seguita dall’adozione del decreto di esproprio.

A seguito di riassunzione del giudizio davanti al Tribunale di Vibo Valentia, la causa veniva istruita per documenti e, convocato due volte a chiarimenti il CTU sulla consulenza già espletata nella precedente fase di giudizio.

Il Tribunale ha condannato l’Amministrazione provinciale di Vibo Valentia al pagamento in favore di (omissis) (omissis) (omissis) di € 12.676,90, di (omissis) (omissis) (omissis) di € 54.559,17, di (omissis) (omissis) di € 89.223,50, di (omissis) (omissis) di € 32.142,96, oltre interessi legali sulle somme devalutate dalla maturazione del diritto al saldo, ritenendo che:

a) ricorreva una ipotesi di occupazione illegittima, dal momento che, dopo essere stato emanato il decreto di occupazione, non era intervenuto il decreto di esproprio dei terreni;

b) l’area occupata era maggiore rispetto a quella oggetto del decreto di occupazione;

c) erano condivisibili le conclusioni del CTU, secondo cui i terreni, ricadenti in zona E-agricola, avevano vocazione edificatoria;

d) di conseguenza era condivisibile anche il valore dei terreni di € 17,50 al mq, determinato alla data dell’irreversibile trasformazione del terreno (19/12/1996);

e) a differenza di quanto operato dal CTU, nel calcolo dovevano essere considerate anche le porzioni di terreno occupate non comprese nel decreto di occupazione di urgenza.

Avverso tale statuizione ha proposto appello principale l’Amministrazione provinciale, la quale ha dedotto quanto segue:

– il giudice di primo grado aveva erroneamente condiviso le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, ritenendo che tutti i terreni avessero vocazione edificatoria sul presupposto di un’asserita vocazione edificatoria di fatto;

– lo stesso giudice aveva erroneamente determinato il valore di mercato dei terreni senza specificare i criteri e le indagini seguite per pervenire a tale risultato, parametrando i valori a una zona del tutto diversa e senza che i proprietari dei terreni avessero provato un possibile sfruttamento dei terreni diverso da quello agricolo;

– il medesimo giudice aveva accolto la domanda risarcitoria senza che i proprietari avessero fornito la prova del relativo ammontare e condividendo le erronee conclusioni del CTU (v. in particolare p. 7 – 8 della sentenza impugnata).

I proprietari dei terreni, nel costituirsi, hanno eccepito l’inammissibilità dell’appello, di cui hanno chiesto il rigetto, proponendo, comunque, appello incidentale condizionato alla valutazione di ammissibilità dell’appello principale, assumendo quanto segue:

a) il primo giudice aveva errato nel quantificare il valore dei terreni a destinazione agricola in euro 17,50, accettando i risultati della consulenza di ufficio, poiché:

– aveva omesso di motivare in ordine al valore dei terreni agricoli, come indicato dalle due Agenzie Immobiliari (omissis) e (omissis), con le relazioni da essi appellati prodotte, valore attualizzato al momento della sentenza, poiché trattandosi di debito di valore, si doveva tenere conto della stima alla data della pronuncia;

– aveva errato la sentenza quando aveva affermato che il valore venale andava rapportato alla data dell’irreversibile trasformazione;

– il valore di € 17,50, accertato dal CTU, non era attualizzato al 2008;

b) la sentenza aveva errato nel non dare un diverso valore ai terreni edificabili di (omissis) (omissis), (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis), che avrebbero dovuto essere valutati da un minimo di € 50,00 ad un massimo di € 80,00 al metro quadro.

Hanno, quindi, concluso, chiedendo, in via condizionata, il rinnovo della consulenza tecnica «affinché attualizzi il risarcimento del danno secondo la reale destinazione urbanistica e di mercato …» (così p. 9-10 della sentenza impugnata).

Espletata una nuova CTU e convocato a chiarimenti il consulente dell’ufficio, la Corte d’appello, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, ha dichiarato che le somme dovute dall’Amministrazione a (omissis) (omissis), (omissis) (omissis), (omissis) (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) (omissis), alla data del 24 maggio 2012, erano pari rispettivamente a € 10.594,92, € 4.793,29, € 53.016,56 ed € 46.744,52 e ha condannato gli appellati a restituire le somme ricevute in eccedenza il 24/05/2012 in esecuzione della sentenza di primo grado.

In particolare, la Corte d’appello ha affermato che:

a) la censura riferita alla necessità di attualizzare il valore dei beni espropriati al momento della pronuncia della sentenza non poteva essere accolta, poiché tale valore doveva essere individuato guardando al momento dell’irreversibile trasformazione di tali terreni, perché corrisponde a quello in cui si verifica il fatto illecito ed il proprietario subisce il danno, fermo restando che il valore così determinato deve essere attualizzato alla data della decisione, in quanto, appunto, debito di valore;

b) la materia del contendere non riguardava l’indennità da occupazione illegittima ma il risarcimento dei danni corrispondenti alla perdita dei terreni occupati;

c) all’epoca dell’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio (19/10/1987) e, comunque, alla data dell’occupazione, avvenuta nel mese di febbraio 1991, in base allo strumento urbanistico vigente (Programma di fabbricazione approvato con decreto del Presidente della Giunta Regionale n. 1459/1980), le particelle di proprietà di (omissis) (omissis) (omissis) (part. 86 e 299) ricadevano in zona D1-artigianale piccolo industriale, le particelle di proprietà di (omissis) (omissis) (omissis) ricadevano in zona D1 (part. 84), in zona C8-agrituristica (part. 85), in zona E-agricola (part. 344), le particelle di (omissis) (omissis) ricadevano in zona E-agricola e le particelle di (omissis) (omissis) ricadevano in zona E-agricola, eccetto la part. 336, che, per mq 293, ricadeva in zona a vincolo cimiteriale;

d) tutti i terreni dovevano, dunque, essere qualificati come agricoli, eccetto le particelle 84, 86 e 299, che dovevano ritenersi di natura edificatoria;

e) il CTU nominato in secondo grado aveva correttamente determinato il valore di mercato dei terreni agricoli attraverso il procedimento estimativo sintetico per confronto, essendosi basato sulla valutazione di € 1,90 al mq, desunta da un atto di compravendita del 15 luglio 1999 del Comune di (omissis);

f) il CTU nominato in secondo grado aveva correttamente determinato il valore di mercato delle particelle 84, 86 e 299, ricadenti in zona D1, attraverso il procedimento estimativo sintetico per confronto, essendosi basato sulla valutazione di € 59,00 al mq, desunta dal summenzionato atto di compravendita del 1999 e da un ulteriore atto di compravendita del 27 novembre 1995;

g) alle somme così ricavate doveva essere aggiunta la rivalutazione sulla base degli indici ISTAT nel periodo compreso tra il 19/11/1996 e il 24/05/2012 – data in cui l’Amministrazione aveva proceduto al pagamento della complessiva somma di € 298.183,88 in esecuzione della sentenza di primo grado – ed anche gli interessi, al tasso legale, sulle somme rivalutate, sempre nel periodo compreso tra il 19/11/1996 e il 24/05/2012;

h) gli appellati dovevano essere condannati a restituire le somme riscosse in eccedenza.

Avverso tale statuizione, i proprietari dei terreni hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi di impugnazione.

L’Amministrazione intimata si è difesa con controricorso.

Le parti hanno depositato memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., per non avere la Corte di appello considerato che il CTP degli attuali ricorrenti aveva prodotto nelle controdeduzioni alla consulenza tecnica un documento a firma del Capo Ufficio Tecnico dell’Amministrazione, in cui si attestava il rilascio di concessioni edilizie, in anni compresi tra il 1987 e il 1992, per la costruzione di edifici da destinare ad attività commerciali e a civile abitazione su terreni a destinazione agricola (secondo l’allora vigente strumento urbanistico) limitrofi a quelli dei signori (omissis).

Secondo i ricorrenti, sulla scorta di tale riscontro, sarebbe stato possibile desumere l’edificabilità dei terreni (omissis) oggetto della occupazione, con conseguente determinazione di un maggiore valore di mercato degli stessi, tenuto conto che si trattava di concessioni edilizie per edificare alberghi, residence, nonché costruzioni da destinare ad attività commerciali, di libera professione ed a civile abitazione.

Con il secondo motivo di ricorso è dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., per non avere la Corte d’appello tenuto conto delle maggiori stime delle tre Agenzie Immobiliari, allegate alla perizia del CTP dei signori (omissis), al fine di determinare il valore di mercato dei loro terreni.

Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. in relazione agli artt. 1223, 1224, 2043 e 2056 cc., per avere la Corte d’appello ritenuto che l’attualizzazione della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno da occupazione acquisitiva «…non può comportare, come vorrebbero gli appellanti, lo spostamento del momento in cui determinare il valore dei terreni occupati come individuato in sentenza, atteso che tale ultimo momento corrisponde a quello in cui si verifica il fatto illecito ed il proprietario subisce il danno, mentre è poi il valore determinato a tale momento che deve essere attualizzato al momento della decisione, in quanto, appunto, debito di valore…».

I ricorrenti hanno, in primo luogo, dedotto che la Corte d’appello ha liquidato il maggior danno, calcolando la rivalutazione monetaria fino al momento della pronuncia, mentre invece avrebbe dovuto considerare il maggior danno desumibile dalle stime delle tre agenzie immobiliari sopra menzionate, offerte dal loro CTP, aggiornate al 2013, computando la rivalutazione monetaria solo per il periodo di tempo successivo, in assenza dell’offerta della prova di un danno maggiore.

In secondo luogo, gli stessi ricorrenti hanno affermato che la Corte d’appello ha violato anche gli artt. 2043, 1223 e 2056 c.c., poiché, in seguito alla perdita definitiva del fondo, la riparazione integrale per equivalente del sofferto pregiudizio, quale debito di valore, avrebbe dovuto essere costituito dal controvalore del bene al momento della pronuncia, da determinarsi sempre tramite le stime delle menzionate agenzie immobiliari, in quanto operatori esperti nel mercato delle compravendite.

2. Occorre prima di tutto esaminare il terzo motivo di ricorso, che si rivela fondato, nei ristretti limiti di seguito evidenziati, rendendo superfluo l’esame delle altre censure, da ritenersi assorbite.

2.1. Si deve precisare che la Corte d’appello ha individuato il valore dei terreni alla data della ritenuta irreversibile trasformazione degli stessi (19/12/1996), procedendo poi alla rivalutazione degli importi fino alla data in cui i proprietari hanno ottenuto il pagamento del risarcimento liquidato dalla sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva (24/05/2012) e, ritenendo di dover liquidare il lucro cessante, ha calcolato gli interessi al tasso legale sulle somme corrispondenti al valore dei beni, come accertato alla data del 19/12/1996, rivalutando gli importi ogni anno, sempre con riguardo al periodo compreso tra il 19/12/1996 e il 24/05/2012.

2.2. I ricorrenti, riproducendo la censura già formulata in appello (v. supra e p. 9 – 10 della sentenza impugnata), hanno contestato la determinazione del valore dei terreni occupati in base alla stima degli stessi al momento della ritenuta irreversibile trasformazione (19/12/1996), ritenendo che, trattandosi di risarcimento del danno, il valore si dovesse valutare, nell’attualità, al momento della decisione.

Il motivo è fondato nei limiti in cui è criticata la determinazione del valore dei terreni in questione, ai fini del risarcimento del danno da occupazione acquisitiva, in base alla stima degli stessi al tempo della loro irreversibile trasformazione.

Come più avanti illustrato, ai fini sopra indicati, si deve tenere conto del valore dei menzionati terreni al momento in cui è proposta la domanda risarcitoria per equivalente, e non al tempo della decisione, come, invece, prospettato dai ricorrenti.

2.3. Occorre, in proposito, precisare che, in ragione della funzione del giudizio di legittimità di garantire l’osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, nonché per omologia con quanto prevede la norma di cui al secondo comma dell’art. 384 c.p.c., deve ritenersi che, nell’esercizio del potere di qualificazione in diritto dei fatti, la Corte di cassazione può ritenere fondata la questione, sollevata dal ricorso, per una ragione giuridica diversa da quella specificamente indicata dalla parte e individuata d’ufficio, con il solo limite che tale individuazione deve essere effettuata sulla base dei fatti accertati nelle fasi di merito ed esposti nel ricorso per cassazione e nella stessa sentenza impugnata, senza cioè che sia necessario l’esperimento di ulteriori indagini di fatto, fermo restando che l’esercizio del potere di qualificazione non deve confliggere con il monopolio della parte nell’esercizio della domanda e delle eccezioni in senso stretto (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 6935 del 22/03/2007; Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 18775 del 28/07/2017; Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 26991 del 05/10/2021).

Nel caso di specie si verifica proprio tale evenienza, poiché gli attuali ricorrenti – che hanno chiesto il risarcimento del danno conseguente alla occupazione dei loro terreni ad opera della P.A., non seguita dall’adozione del decreto di esproprio – hanno contestato, prima in appello e poi in sede di legittimità, il modo in cui è stata operata la liquidazione, richiamando le norme che la disciplinano, la cui corretta applicazione è stata, dunque, rimessa alla doverosa e libera valutazione giuridica del giudice di legittimità.

2.4. Occorre ulteriormente precisare che non è fondata l’eccezione della controricorrente, che ha dedotto il passaggio in giudicato, in quanto non censurata in appello, della statuizione del giudice di primo grado, nella parte in cui ha considerato, come momento utile per determinare la natura e il valore dei terreni occupati, la data in cui tali terreni sono stati irreversibilmente trasformati.

Dalla lettura della sentenza di appello si evince che il giudice del gravame ha ritenuto non censurata l’indicazione del Tribunale in ordine alla data dell’irreversibile trasformazione dei terreni (19/12/1996), ai fini della determinazione della natura e del valore dei terreni occupati, rilevando che i privati avevano solo genericamente (ed erroneamente) prospettato che tale irreversibile trasformazione fosse avvenuta alla diversa data del 19/12/1991, ma ha anche evidenziato che le critiche dei proprietari si sono incentrate sulla ritenuta necessità che, ai fini del risarcimento, il valore dei terreni dovesse essere valutato, nell’attualità, al momento della decisione.

Contrariamente a quanto dedotto dalla controricorrente, la sentenza impugnata ha, dunque, rilevato che, a prescindere da generiche critiche riferite alla data dell’effettiva trasformazione irreversibile, le censure dei proprietari dei terreni hanno riguardato proprio la determinazione del valore dei beni occupati, ai fini del risarcimento del danno, perché avevano dedotto che tale valore dovesse essere valutato tenendo a riferimento il momento della decisione.

D’altronde, com’è noto, il giudicato interno non si determina sul fatto, ma su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza rappresentata da fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia, sicché l’appello motivato con riguardo ad uno soltanto degli elementi di quella statuizione riapre la cognizione sull’intera questione che essa identifica, così espandendo nuovamente il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti che, sebbene ad essa coessenziali, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 30728 del 19/10/2022).

Tenuto conto delle censure formulate in appello dagli attuali ricorrenti, dunque, nessun giudicato, può ritenersi intervenuto in ordine alla necessità di considerare, ai fini del risarcimento del danno da occupazione acquisitiva, il valore dei beni al momento della trasformazione irreversibile.

2.5. Il giudice d’appello ha, comunque, ritenuto infondata la censura dei proprietari dei terreni, che ritenevano doversi valutare, ai fini del risarcimento, il valore dei beni occupati al tempo della decisione, affermando che non poteva ammettersi, come volevano questi ultimi, lo spostamento del momento in cui doveva essere determinato il valore dei terreni occupati, «atteso che tale ultimo momento corrisponde a quello in cui si verifica il fatto illecito ed il proprietario subisce il danno, mentre è poi il valore determinato a tale momento che deve essere attualizzato al momento della decisione, in quanto, appunto, debito di valore …» (p. 26 della sentenza impugnata). La materia del contendere si incentra tutta sulla statuizione appena riportata.

Tale statuizione non è, tuttavia, conforme all’interpretazione oramai consolidata della giurisprudenza di legittimità, che questo Collegio ritiene di dover ribadire (v. in particolare Cass., Sez. 1, Sentenza n. 12961 del 24/05/2018).

2.6. La Corte d’appello, nella sentenza impugnata, ha fatto propria la precedente giurisprudenza di questa Corte che, in relazione alla presenza o all’assenza di una causa di pubblica utilità, distingueva nettamente il caso dell’espropriazione sostanziale (o occupazione acquisitiva o accessione invertita) da quello della c.d. occupazione usurpativa, ed aveva affermato che in tale seconda ipotesi, l’attività di manipolazione del bene, che ne altera la realtà materica ed economica, costituisce un illecito permanente, inidoneo a determinare l’acquisizione del bene alla mano pubblica, che obbliga il suo autore al risarcimento del danno, perché cagionato dalla complessiva condotta di trasformazione, da commisurarsi al valore di mercato del bene al momento in cui la trasformazione fisica ha determinato la perdita del diritto dominicale.

Secondo tale risalente orientamento, inoltre, trattandosi di obbligazione di valore, il valore del bene al momento del fatto doveva essere tradotto in moneta (aestimatio) e la risultante somma doveva essere sottoposta a rivalutazione fino alla data della sentenza (taxatio).

Ovviamente sulla rivalutata somma unitaria, potevano riconoscersi, quale lucro cessante (che deve essere oggetto di prova, anche ricorrendo a presunzioni semplici), gli interessi, con decorrenza dalla data della definitiva trasformazione, non necessariamente commisurati al tasso legale, mediante l’utilizzo di criteri equitativi, e computati con riferimento ai singoli momenti riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente, per effetto dei prescelti indici di valutazione, ovvero in base ad un indice medio (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 2207 del 01/02/2007; Cass., Sez. 1, sentenza n. 1814 del 18/02/2000 e successive conformi).

Il presupposto della distinzione tra i due istituti (che, per il danneggiato, aveva conseguenze economiche assai diverse) è stato ritenuto non dirimente da una fondamentale decisione delle Sezioni Unite di questa Corte, le quali, con la sentenza n. 735 del 2015 (Cass., Sez. U, Sentenza n. 735 del 19/01/2015), hanno affermato che la sussistenza della dichiarazione di pubblica utilità non basta a fondare la legittimità dell’istituto dell’occupazione appropriativa – di genesi pretoria (cfr. Cass., Sez. U, Sentenza n. 1464 del 26/02/1983; Cass., Sez. U, Sentenza n. 7504 del 15/05/2003) e variamente sviluppato al fine di offrire tutela al privato, rimasto formalmente proprietario di un bene inglobato in un’opera pubblica, anche se non espropriato – e lo hanno, invece, ritenuto non conforme con il principio enunciato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, secondo cui l’espropriazione deve sempre avvenire in “buona e debita forma”.

Superando il pregresso indirizzo interpretativo, le Sezioni Unite hanno, in sintesi, equiparato l’occupazione acquisitiva all’occupazione usurpativa, caratterizzata dalla mancanza di dichiarazione di pubblica utilità e costituente un illecito a carattere permanente. In entrambi i casi, infatti, resta esclusa l’acquisizione autoritativa del bene alla mano pubblica e deve essere riconosciuto al proprietario – rimasto tale nonostante la manipolazione illecita del bene da parte dell’Amministrazione – la tutela reale e cautelare apprestata nei confronti di qualsiasi soggetto dell’ordinamento (restituzione, riduzione in pristino stato dell’immobile, provvedimenti di urgenza per impedirne la trasformazione ecc.), oltre al consueto risarcimento del danno, ancorato ai parametri dell’art. 2043 cc.

Trattandosi di un’ipotesi d’illecito permanente, inoltre, lo stesso viene a cessare solo per effetto della restituzione, di un accordo transattivo, della compiuta usucapione da parte dell’occupante che lo ha trasformato, ovvero della rinunzia del proprietario al suo diritto, implicita nella richiesta di risarcimento dei danni per equivalente. In ossequio alla menzionata pronuncia delle Sezioni Unite, deve, dunque, ritenersi che, sia in caso di occupazione acquisitiva sia in caso di occupazione usurpativa, si tratta sempre di occupazione abusiva o illegittima tout court, essendo la relativa domanda risarcitoria caratterizzata da una medesima causa petendi, rappresentata da un illecito a carattere permanente, e deve, dunque, riconnettersi l’atto abdicativo del diritto dominicale alla proposizione della domanda di risarcimento per equivalente, in riferimento al quale va operata la stima del bene distrutto (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 22929 del 29/09/2017; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 12961 del 24/05/2018).

È per questo che, per l’ipotesi in cui il proprietario abbia optato, come nel caso di specie, per la tutela per equivalente (e non per quella restitutoria), l’illecito commesso con l’attività manipolativa del fondo – che ne abbia comportato l’irreversibile trasformazione nell’aspetto materiale, strutturale e funzionale e che si perpetua di momento in momento – va ristorato, non con riferimento al valore del bene al momento della trasformazione irreversibile, ma con riguardo al valore del bene al tempo della proposizione della domanda risarcitoria, che segna, appunto, la perdita della proprietà, recando implicita l’abdicazione del relativo diritto, somme da rivalutarsi fino alla data della decisione, e, sulla relativa risultante è, poi, dovuto al danneggiato anche il risarcimento per il relativo lucro cessante (che deve essere oggetto di prova, anche ricorrendo a presunzioni semplici) e che può esser liquidato mediante l’attribuzione degli interessi, con decorrenza dalla data della domanda e non necessariamente al tasso legale, da determinarsi con riferimento ai singoli momenti, con riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente, in base ai prescelti indici di rivalutazione monetaria, ovvero in base ad un indice medio (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 12961 del 24/05/2018; v. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 18142 del 06/06/2022).

2.7. Tutte le altre censure contenute nel terzo motivo, come pure quelle prospettate negli altri motivi, devono ritenersi assorbite dell’accoglimento del terzo motivo di ricorso, nei limiti sopra evidenziati.

3. In conclusione, assorbite le altre censure, il terzo motivo di ricorso deve essere accolto nei termini sopra evidenziati, in applicazione del seguente principio:

«In tema di espropriazione per pubblica utilità, la cd. occupazione acquisitiva od accessione invertita, che si verifica quando alla dichiarazione di pubblica utilità non segue il decreto di esproprio, è illegittima al pari della cd. occupazione usurpativa, in cui invece manca del tutto detta dichiarazione, ravvisandosi in entrambi i casi un illecito a carattere permanente (inidoneo a comportare l’acquisizione autoritativa alla mano pubblica del bene occupato), che cessa in caso di rinunzia del proprietario al suo diritto, implicita nella richiesta di risarcimento dei danni per equivalente, il quale va ristorato con riferimento al valore del bene al momento della domanda – che segna appunto la perdita della proprietà – e la somma risultante, trattandosi di debito di valore, sarà sottoposta a rivalutazione monetaria fino alla data della sentenza, con possibilità di riconoscere sulla medesima somma rivalutata, quale lucro cessante, gli interessi decorrenti dalla data del fatto illecito, computati con riferimento ai singoli momenti riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente, per effetto dei prescelti indici di valutazione

La sentenza impugnata deve essere cassata, nei limiti del motivo accolto, con rinvio alla Corte di appello di Catanzaro, anche per la statuizione sulle spese di lite del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte accoglie il terzo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione e, dichiarate assorbite le altre censure, cassa la sentenza impugnata, nei limiti del motivo accolto, con rinvio alla Corte di appello di Catanzaro, anche per la statuizione sulle spese di lite del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile della Suprema Corte di cassazione, il giorno 7 novembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2024.

SENTENZA – copia non ufficiale -.