Piccoli dislivelli sulla strada: nessun risarcimento per la ciclista (Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, Sentenza 4 ottobre 2022, n. 28672).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12618/2021 R.G. proposto da:

(OMISSIS) Yasmina, rappresentata e difesa dall’Avv. Mario (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

Comune di Reggio Emilia, rappresentato e difeso dall’Avv. Silvia (OMISSIS), con domicilio eletto in Roma, Via (OMISSIS), n. 3, presso lo studio dell’Avv. Giorgio (OMISSIS);

– controricorrente –

e nei confronti di

Ireti S.p.a., rappresentata e difesa dall’Avv. Giampietro (OMISSIS) e dall’Avv. Maria Antonietta (OMISSIS), con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima in Roma, Via (OMISSIS), n. 2;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna n. 260/2021, depositata il 12 febbraio 2021;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 luglio 2022 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello.

FATTI DI CAUSA

1. Yasmina (OMISSIS) impugna con tre mezzi, nei confronti del Comune di Reggio Emilia e della Ireti S.p.a. (che resistono con controricorsi), la sentenza in epigrafe, con la quale la Corte d’appello di Bologna ha confermato la decisione di primo grado che ne aveva rigettato la domanda risarcitoria per i danni subiti in conseguenza del sinistro occorsole il 12 novembre 2014, allorquando — secondo la prospettazione dell’istante — attraversando in sella a bicicletta un sottopassaggio ciclopedonale, rovinava a terra a causa dell’inserimento della ruota anteriore del mezzo all’interno di una irregolarità dell’asfalto in prossimità di un tombino metallico lungo circa m. 3, di proprietà ed in gestione della Ireti S.p.a., situato non a livello della superficie stradale, in tesi costituente insidia del tutto imprevedibile tanto più per la scivolosità cagionata dalla pioggia.

Conformemente al primo giudice la Corte territoriale ha ritenuto non dimostrate le modalità della caduta, «e dunque il nesso causale fra la cosa in custodia e l’evento», né che la copertura in metallo del tombino fosse in condizioni non denotanti una intrinseca pericolosità.

Ha giustificato tale convincimento in particolare rilevando che:

— le reiterate richieste istruttorie non potevano trovare ingresso in mancanza di censura delle specifiche ragioni addotte dal Tribunale nell’ordinanza di rigetto richiamata nella sentenza: ragioni peraltro totalmente condivisibili;

— era pacifico che nessuno avesse assistito alla caduta; solo successivamente era sopraggiunto Roberto (OMISSIS), amico della (OMISSIS) e da lei chiamato in soccorso, il quale affermò, con dichiarazione scritta, successiva di molti mesi al fatto, di aver rinvenuto la donna a terra e dolorante nei pressi del tombino e che la stessa gli aveva riferito di essere caduta «a causa» di esso;

— tanto non era sufficiente a costituire prova piena e certa del nesso causale fra pretesa insidia e sinistro: la sola esistenza di un’alterazione in un manto stradale non dimostrava che essa avesse cagionato la caduta del suo utente e detta prova non poteva trarsi dalle sole affermazioni in tal senso della stessa parte danneggiata;

— come già rimarcato dal Tribunale, non era stato indicato il punto preciso in cui detto inserimento della ruota si sarebbe verificato, e dalle fotografie prodotte non erano comunque individuabili irregolarità del manto stradale di dimensioni tali da consentire ad una ruota di incastrarsi al suo interno; dalle foto emergeva, anzi, chiaramente che il dislivello, in alcuni punti, fra il tombino e, più in basso, il manto asfaltato era comunque minimo e non superiore a pochi millimetri; non risultavano tracce sulla ruota della bicicletta che, in tesi, sarebbe rimasta incastrata; d’altronde, non era stato richiesto l’intervento della polizia municipale per gli opportuni rilievi;

— peraltro, al (OMISSIS) la (OMISSIS) aveva genericamente riferito di essere caduta «a causa del tombino» ed anche alla P.G. la donna aveva reso, un anno dopo il fatto, dichiarazioni molto vaghe sulle cause della caduta, affermando di avere perso il controllo della bicicletta, urtando con il braccio sinistro contro il parapetto metallico posto verso la strada carrabile, a causa del tombino (posto, dunque, alla sua destra), dissestato rispetto al manto stradale, e reso scivoloso dalla pioggia;

— per la prima volta in appello era stata dedotta (indimostratamente e genericamente) la presenza al suolo di fogliame e di una barra di metallo in rilievo rispetto alla superficie della pista ciclabile, visibile nelle foto per tutta la lunghezza del tombino e lievemente distaccata da esso, senza che, però, fosse mai stato allegato che la ruota era finita in un punto preciso fra detta barra ed il tombino;

— sempre in atto di appello era stato dedotto che la ciclista, al momento della caduta, stava «tentando di riposizionarsi sulla destra» della pista ciclabile, ma si trattava di circostanza nuova che appariva anche difficilmente compatibile con l’asserito inserimento della ruota fra manto stradale e tombino, essendo il primo orientato parallelamente alla pista;

— la scivolosità del tombino a causa della pioggia non costituiva fatto significativo rispetto alla dinamica allegata (incastro della ruota nel dislivello); in ogni caso, come osservato anche dal Tribunale, la presenza del tombino, eventualmente bagnato dalla pioggia, di grandi dimensioni e posto fuori dal sottopassaggio, era sicuramente percepibile dalla ciclista.

La arte felsinea ha infine rilevato che l’appellante non aveva formulato un motivo d’appello in relazione alla sua condanna alle spese.

2. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia «violazione di cui all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c.; omessa valutazione di fatto decisivo ovvero dello stato dei luoghi».

Lamenta che la Corte d’appello ha omesso di «valutare correttamente la stato dei luoghi ove avvenne l’incidente».

Sostiene che costituisce errore palese e violazione di legge «considerare come obbligo dell’attore la prova inconfutabile … che l’incidente sia avvenuto proprio nelle modalità e nel punto esatto descritto dalla persona offesa»: ciò in quanto — argomenta — «sarebbe sempre impossibile per la vittima di un incidente dovuto a scarsa manutenzione del manto stradale … provare che l’evento sia avvenuto proprio in quel modo ed in quel punto onde dimostrare la responsabilità del custode», con la conseguenza che «qualora venisse avvallato tale sillogismo interpretativo», «di fatto verrebbero risarciti solo gli incidenti ove sia presente un testimone oculare ovvero un servizio di videoriprese».

Sostiene che il Tribunale e la Corte avrebbero dovuto «verificare in primis, anche attraverso l’esame … dei testimoni indicati in primo e secondo grado, se il punto ove è avvenuto l’incidente potesse essere considerato un’insidia occulta o meno».

Afferma che, a tal fine, avrebbe dovuto tenersi conto della «falsità dell’affermazione per cui il dislivello fra il manto stradale e la lamiera a copertura del tombino era di pochi millimetri (come erroneamente indicato dalla Corte di Appello nella propria pronuncia), quando era invece di alcuni centimetri» e che «dare per vera una circostanza falsa (la profondità del dislivello) o quantomeno non dimostrata (cioè che lo stato dei luoghi ove avvenne l’incidente non rappresentava un’insidia) equivale ad omettere un fatto decisivo».

Deduce che tale fatto storico è stato oggetto di discussione tra le parti, sia in primo che in secondo grado; che numerosi sono stati i tentativi di provare che il punto della caduta era oggettivamente pericoloso e non si trattava certo di un’asperità di pochi millimetri; che il luogo presentava le caratteristiche dell’invisibilità dovuta alle particolari condizioni atmosferiche ed al fogliame presente al momento dell’incidente.

Lamenta che erroneamente il (OMISSIS) è stato ritenuto teste non determinante, atteso che la sua escussione avrebbe consentito di confermare lo stato dei luoghi come ricostruito dalla danneggiata con le riproduzioni fotografiche allegate e quindi, di accertare, l’intrinseca pericolosità del tratto stradale e della lastra.

Indica in conclusione il vizio motivazionale «nell’aver escluso la sussistenza di nesso causale solo perché non vi erano testi che avessero assistito alle modalità della caduta (circostanza che dipende solo dal caso), senza scrutinare se, a diverse conclusioni, potesse in ipotesi pervenirsi sulla scorta dell’apprezzamento di fatti idonei ad ingenerare presunzioni, così consentendo di inferire la ricorrenza del fatto ignoto (causa della caduta) da quello noto».

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 2051 cod. civ..

Posto che la responsabilità prevista da detta norma prescinde dall’accertamento della pericolosità della cosa e sussiste in relazione a tutti i danni cagionati, a meno che non intervenga un evento del tutto fortuito, lamenta che erroneamente, nella specie, la Corte di Appello ha posto a fondamento della propria decisione la ritenuta non pericolosità del tratto di strada in questione, dal momento che non ha, neppure in parte, fatto cenno al comportamento della vittima, che, nel caso di specie è stato irreprensibile, nulla potendo fare la ciclista per evitare l’evento.

Ribadisce che, peraltro, «risulta pacifica e ben evidente dalla documentazione fotografica allegata in atti, l’esistenza dell’insidia occulta costituita dalla presenza di un dislivello in altezza tra il perimetro laterale della copertura in metallo ed il manto stradale, di circa 2,5/3 cm, lungo tutta la copertura».

Soggiunge che, in ogni caso, la pretesa risarcitoria deve considerarsi fondata anche ai sensi dell’art. 2043 c.c., atteso che il Comune di Reggio Emilia e la Ireti S.p.a., oltre a non aver garantito il buono stato di manutenzione del tombino e del circostante manto stradale, hanno altresì colposamente omesso di segnalare lo stato di pericolo presente nel sottopassaggio ove si è verificato il sinistro.

3. La ricorrente, infine, «quale ultimo motivo di ricorso», contesta l’affermazione secondo cui essa non avrebbe motivato la richiesta subordinata di compensare le spese di giudizio, a cui era stata condannata in primo grado, rilevando di avere infatti motivato la richiesta di compensazione nelle proprie conclusioni, rifacendosi alla complessità del caso.

4. Il primo motivo è inammissibile, sotto più profili.

4.1. Esso fa espresso riferimento al vizio di cui all’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ., che però nella specie deve ritenersi in radice indeducibile, ai sensi dell’art. 348-ter, ultimo comma, cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello deciso in modo conforme alla sentenza di primo grado (c.d. doppia conforme), non avendo la ricorrente assolto l’onere in tal caso su di essa gravante di indicare le ragioni di fatto della decisione di primo grado ed in cosa queste si differenziavano da quelle poste a fondamento della decisione di appello (v. Cass. 22/12/2016, n. 26774; 06/08/2019, n. 20994; 15/03/2022, n. 8320).

4.2. La ricorrente a più riprese si duole della mancata ammissione di prova per testi, ma non si confronta con il preliminare rilievo, integrante esso stesso autonoma e autosufficiente ratio decidendi, circa la «mancanza di censura delle specifiche ragioni addotte dal Tribunale nell’ordinanza di rigetto richiamata nella sentenza».

4.3. È comunque palese l’inosservanza dell’onere di specifica indicazione, ex art. 366 n. 6 cod. proc. civ., degli atti e documenti richiamati (varie fonti di prova asseritamente offerte in produzione allo scopo di rappresentare lo stato dei luoghi).

Di essi invero il ricorrente omette di debitamente riprodurre il contenuto nel ricorso — per la parte che interessa in questa sede — ovvero puntualmente indicare in quale sede processuale risultino prodotti, laddove è al riguardo necessario che si provveda anche alla relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta alla Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v. Cass. 16/03/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità (v. Cass. 09/04/2013, n. 8569; 06/11/2012, n. 19157; 16/03/2012, n. 4220; 23/03/2010, n. 6937; ma v. già, con riferimento al regime processuale anteriore al d.lgs. n. 40 del 2006, Cass. 25/05/2007, n. 12239), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr. Cass. Sez. U 19/04/2016, n. 7701; Id. 23/09/2019, n. 23553).

4.4. Quelle proposte sono censure, comunque, anche intrinsecamente estranee al paradigma censorio di cui all’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ..

Questo, come noto, secondo l’interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza di legittimità, se da un lato ha definitivamente limitato il sindacato del giudice di legittimità ai soli casi d’inesistenza della motivazione in sé (ossia alla mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, alla motivazione apparente, al contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili o alla motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile), dall’altro chiama la Corte di cassazione a verificare l’eventuale omesso esame, da parte del giudice a quo, di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), rimanendo escluso che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, integri la fattispecie prevista dalla norma, là dove il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass. Sez. Un., 22/9/2014, n. 19881; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

Nella specie le censure, lungi dall’indicare un fatto storico, avente le dette caratteristiche, obliterato dal “tribunale, si risolvono nella mera sollecitazione di una nuova valutazione del materiale istruttorio, certamente non consentita in questa sede.

4.5. Il motivo peraltro, nel suo complesso, non si confronta con l’ampia motivazione della sentenza impugnata che, con minuziosa analisi, ha anche evidenziato le molteplici criticità della versione dei fatti dedotta dall’istanza, con ciò anche esaurientemente acclarando l’assenza di elementi indiziari idonei a supportare un ragionamento presuntivo quale quello proposto in ricorso che, sia pure in via indiretta e induttiva, possa risultare idoneo a supportare in termini di verisimiglianza la ricostruzione causale dedotta, rimarcando anzi l’esistenza di elementi di segno contrario (quali: l’insussistenza di irregolarità del manto stradale di dimensioni tali da consentire ad una ruota di incastrarsi al suo interno; le dimensioni minime del dislivello tra tombino e manto stradale; l’assenza di tracce dell’incidente sulla bicicletta; la vaghezza della versione dei fatti resa in successivi momenti dalla istante e la sua modificazione nel tempo).

Al riguardo appare anzi evidente che le considerazioni critiche manifestano una struttura meramente assertiva e oppositiva tale da non potersi ad esse attribuire alcuna consistenza censoria, tanto meno riferibile al dedotto vizio di omesso esame.

5. Il secondo motivo è parimenti inammissibile.

5.1. Esso palesemente fraintende la ratio decidendi, la quale non è rappresentata solo dal rilievo della assenza di pericolosità intrinseca della cosa ma, a monte, come detto, dalla ritenuta mancanza di prova del nesso di causa tra cosa in custodia ed evento di danno.

Si tratta, dunque, di motivo inidoneo a svolgere la funzione di critica propria di un motivo di impugnazione.

Devesi al riguardo richiamare il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito, considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo.

In riferimento al ricorso per cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un «non motivo», è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ. (Cass.11/01/2005, n. 359; v. anche ex aliis Cass. Sez. U. 20/03/2017, n. 7074, in motivazione, non massimata sul punto; Id. 05/08/2016, n. 16598; Id. 03/11/2016, n. 22226; Cass. 15/04/2021, n. 9951; 05/07/2019, n. 18066; 13/03/2009, n. 6184; 10/03/2006, n. 5244; 04/03/2005, n. 4741).

5.2. Nella seconda parte il motivo, là dove deduce che la domanda avrebbe dovuto comunque considerarsi fondata ai sensi dell’art. 2043 c.c., introduce poi inammissibilmente una questione nuova che non risulta trattata nel giudizio di merito; da rammentare al riguardo che, secondo insegnamento pacifico, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo a questa Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (tra le tante, Cass. n. 15430/2018).

Il giudizio di cassazione ha, infatti, per sua natura, la funzione di controllare la difformità della decisione del giudice di merito dalle norme e dai principi di diritto, sicché sono precluse non soltanto le domande nuove, ma anche nuove questioni di diritto, qualora queste postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito che, come tali, sono esorbitanti dal giudizio di legittimità (tra le molte, Cass. n. 15196/2018).

5.3. A parte ciò è comunque anche evidente l’inconcludenza di tale prospettazione censoria, anch’essa esclusa in radice dal dirimente rilievo della mancata prova di nesso causale tra la descritta alterazione del manto stradale e la caduta.

6. Il terzo motivo è, infine, inammissibile.

L’affermazione secondo cui con l’appello era stata chiesta la compensazione delle spese del giudizio di primo grado, non vale a contrastare il rilievo, nella sentenza d’appello, della mancanza di un motivo di gravame in punto di spese, ed in ricorso nulla si dice se e come con quella richiesta si fossero o meno anche evidenziate le ragioni per cui il diverso regolamento doveva considerarsi erroneo e meritevole di riforma. In ogni caso la censura si appalesa inosservante dell’onere di specifica indicazione dell’atto richiamato, anche sul punto in violazione dell’art. 366 n. 6 cod. proc. civ..

7. Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente alla rifusione, in favore dei controricorrenti, delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

8. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1- quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13;

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate, per ciascuno, in Euro 3.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 14 luglio 2022.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.