Punibile il danneggiamento eccessivo rispetto all’azione con cui ci si fa giustizia da soli (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 5 luglio 2024, n. 26507).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SECONDA SEZIONE PENALE

Composta da:

ANNA PETRUZZELLIS             – Presidente

PIERO MESSINI D’AGOSTINI – Consigliere

GIUSEPPE COSCIONI             – Consigliere

MASSIMO PERROTTI              – Consigliere

GIUSEPPE NICASTRO             – Relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(omissis) (omissis), nato a (omissis) il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 06/07/2023 della Corte d’appello di Napoli;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. ALESSANDRO CIMMINO, il quale ha concluso chiedendo che la sentenza impugnata venga annullata con rinvio;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NICASTRO.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 06/07/2023, la Corte d’appello di Napoli confermava la sentenza del 30/03/2022 del Tribunale di Torre Annunziata con la quale (omissis) (omissis) era stato:

1) assolto dal reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone aggravato (ai sensi del secondo comma dell’art.393 cod. pen., per essere stato il fatto commesso anche con violenza sulle cose) ai danni dello zio (omissis) (omissis) di cui al capo b) dell’imputazione «perché il fatto non sussiste»;

2) condannato alla pena di sette mesi di reclusione per il reato di danneggiamento aggravato (dall’avere commesso il reato per eseguire quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni di cui al capo “b” dell’imputazione) sempre ai danni dello zio (omissis) (omissis) di cui al capo a) dell’imputazione.

Secondo i capi d’imputazione, i due menzionati reati erano stati contestati all’imputato:

1) quello di danneggiamento aggravato, «perché al fine di commettere il reato al capo che segue, con una sola azione violava diverse disposizioni di legge in quanto nella qualità di conducente dell’autocarro Scania targato (omissis), dell’omonima ditta di trasporti distruggeva circa 1200 tegole in terracotta, deteriorava il macchinario “transpallet”, di proprietà di (omissis) (omissis), nonché distruggeva diversi tavoli e banchi da lavoro in acciaio inox in temporanea custodia al predetto, passandovi sopra con il citato veicolo ed usando violenza alla persona consistita nell’aver ignorato la presenza del predetto, che solo grazie alla sua abilità evitava l’investimento»;

2) quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone, «perché con la condotta di cui al capo che precede ed al fine di esercitare il preteso diritto di transito e sosta sulla proprietà di (omissis) (omissis), potendo ricorrere al giudice, si faceva arbitrariamente ragione da sé medesimo usando violenza alla persona, per aver ignorato la presenza del predetto, che solo grazie alla sua abilità evitava l’investimento, e violenza sulle cose per aver distrutto e deteriorato i citati beni mobili».

Il Tribunale di Torre Annunziata aveva assolto (omissis) (omissis) dal reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone aggravato in quanto aveva ritenuto che, nella specie, ricorresse la causa speciale di giustificazione dell’autoreintegrazione nel possesso di una cosa, nei termini indicati da Sez. 6, n. 6226 del 15/01/2020, Martinucci, Rv. 278614-03.

2. Avverso l’indicata sentenza del 06/07/2023 della Corte d’appello di Napoli, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore, (omissis) (omissis), affidato a quattro motivi.

2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza della motivazione «con riferimento ad un espresso motivo di appello in punto di sussistenza degli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 635 c.p.».

L’imputato lamenta che la Corte d’appello di Napoli avrebbe omesso di motivare, o avrebbe motivato in modo meramente apparente, in ordine alla doglianza, che era stata avanzata nel proprio atto di appello, con la quale egli aveva chiesto alla stessa Corte d’appello di ritenere scriminato anche il fatto di danneggiamento di cui al capo a) dell’imputazione, per la ragione che anch’esso avrebbe costituito «diretta ed immediata conseguenza della reazione dell’imputato ad un’azione illegittima posta in essere dalla p.o.».

Il ricorrente ribadisce che, poiché il Tribunale di Torre Annunziata aveva ritenuto scriminato il fatto di cui al capo b) dell’imputazione, in quanto commesso «nella immediatezza di quell[o] lesiv[o] del diritto» che era stato compiuto dalla persona offesa, lo stesso Tribunale avrebbe dovuto ritenere scriminato anche il fatto di cui al capo a) dell’imputazione, «in quanto consistente nell’unico strumento possibile per ottenere nella immediatezza l’auto-reintegrazione del possesso».

2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c) , cod. proc. pen., l’inosservanza degli artt. 521 e 522 dello stesso codice, «in relazione alla ritenuta sussistenza di una circostanza (minaccia grave) nonché elemento costitutivo del reato di cui all’art. 635 c.p. non contestata nel capo di imputazione».

L’imputato lamenta che la Corte d’appello di Napoli avrebbe ritenuto sussistente l’elemento costitutivo del danneggiamento della minaccia, integrata, in particolare, dalla frase che egli avrebbe rivolto alla moglie della persona offesa (omissis) (omissis) «per questa sera ti faccio diventare vedova», nonostante tale condotta minacciosa non fosse stata enunciata nel capo d’imputazione (capo a), nel quale si faceva riferimento esclusivamente a una condotta violenta, con la conseguente nullità della sentenza per difetto di correlazione con l’accusa contestata.

2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., l’inosservanza di norme processuali «con riferimento alla sussistenza dell’elemento costitutivo del reato (il riferimento è alla altruità del bene oggetto di danneggiamento) di cui all’art. 635 c.p.» e, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza della motivazione «con espresso riferimento ad una censura difensiva indicata nei motivi di appello».

L’imputato lamenta che la Corte d’appello di Napoli avrebbe omesso di motivare con riguardo alla doglianza, che era stata avanzata nel proprio atto di appello, con la quale egli aveva sostenuto l’insussistenza dell’elemento costitutivo del danneggiamento dell’altruità del bene danneggiato, «contestando che le tegole (danneggiate) fossero ancora di proprietà della p.o.», la quale ne avrebbe in effetti perduto la proprietà «nel momento in cui decide di poggiarle in proprietà aliena senza il consenso del proprietario».

2.4. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., e con riferimento all’art. 131-bis cod. pen., la «carenza» della motivazione con riguardo alla causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dal suddetto articolo.

Il ricorrente contesta la motivazione della Corte d’appello di Napoli secondo cui, «in ordine al caso concreto, non è possibile affermare, per le modalità della condotta (aggressiva tanto da rendere necessario l’intervento dei Carabinieri), per le conseguenze che ne sono derivate (distruzione di n. 1200 tegole, di diversi tavoli e banchi da lavoro, danneggiamento di un macchinario), valutate ai sensi del primo comma dell’art. 133 c.p., nonché per la futilità dei motivi, che l’offesa è di particolare tenuità», sostenendo che, nel caso di specie, l’invocata causa di non punibilità ben avrebbe potuto, invece, trovare applicazione.

Ciò in quanto, oltre alla rispondenza ai previsti limiti di pena, sussisterebbero:

a) la non abitualità del comportamento, atteso che egli è incensurato e senza carichi pendenti ed è «uno stimato imprenditore e vive in un contesto familiare tranquillo ed assolutamente normale»;

b) la particolare tenuità dell’offesa, atteso che egli «risulta aver danneggiato le tegole per rispondere ad una arbitraria azione della p.o.», e tenuto anche conto della propria condotta «rigorosa e irreprensibile» susseguente al reato.

Il ricorrente contesta altresì che la Corte d’appello di Napoli, al fine di escludere l’applicabilità della causa di esclusione della punibilità, abbia valorizzato l’asserita sussistenza della circostanza aggravante dell’avere egli agito per motivi futili, nonostante tale circostanza aggravante non gli fosse stata contestata nel capo d’imputazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo non è fondato.

Nel capo b) dell’imputazione era stato contestato all’imputato il fatto, in esso enunciato, di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone, aggravato dall’essere stato commesso anche con violenza sulle cose (art. 393, primo e secondo comma, cod. pen.).

Come si è detto nella parte in fatto, il Tribunale di Torre Annunziata ha assolto l’imputato da tale reato aggravato «perché il fatto non sussiste» in quanto ha ritenuto che, nella specie, ricorresse la causa speciale di giustificazione dell’auto- reintegrazione nel possesso di una cosa, nei termini indicati da Sez. 6, n. 6226 del 15/01/2020, Martinucci, Rv. 278614-03.

A tale proposito, si deve rilevare l’erroneità della formula assolutoria «perché il fatto non sussiste» che è stata utilizzata dal Tribunale di Torre Annunziata, atteso che, come è stato ormai da tempo chiarito dalle Sezioni unite della Corte di cassazione (Sez. U, n. 40049 del 29/05/2008, Guerra, Rv. 240814-01), l’accertamento dell’esistenza di una causa di giustificazione – quale è quella, speciale, che è stata ravvisata nel caso in esame – determina l’assoluzione dell’imputato con la formula “perché il fatto non costituisce reato” e non con la formula “perché il fatto non sussiste”.

Ciò rilevato, occorre anzitutto osservare che il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone aggravato dall’essere stato il fatto commesso anche con violenza sulle cose (ai sensi del secondo comma dell’art. 393 cod. pen.) si configura come un reato complesso (art. 84 cod. pen.), in quanto considera circostanza aggravante del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone fatti che costituirebbero, per sé stessi, il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose.

Ciò posto, si deve altresì osservare come il suddetto reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone aggravato dall’essere stato il fatto commesso anche con violenza sulle cose finisca allora per potersi configurare come un reato complesso anche perché la legge considera come suo elemento costitutivo e come sua circostanza aggravante fatti che costituirebbero, per sé stessi, il reato di danneggiamento commesso con violenza alla persona o con minaccia.

In particolare:

a) come suo elemento costitutivo, la violenza alla persona o la minaccia;

b) come circostanza aggravante, il danneggiamento della cosa.

A quest’ultimo proposito, si deve considerare che, nel reato di cui all’art. 392 cod. pen. (il quale è assorbito, per quanto si è detto, nella circostanza aggravante di cui al secondo comma dell’art. 393 cod. pen.), il farsi arbitrariamente ragione da sé medesimo deve intervenire «mediante violenza sulle cose» (primo comma).

Poiché nella vigenza dell’art. 235 del Codice Zanardelli (regio decreto 30 giugno 1889, n. 6133), in ordine a tale requisito del reato, erano insorti numerosi contrasti interpretativi, il legislatore del Codice penale del 1930 ha ritenuto opportuno precisare che, «[a]gli effetti della legge penale», si ha «violenza sulle cose» allorché la cosa viene «danneggiata o trasformata, o ne è mutata la destinazione» (secondo comma dell’art. 392 cod. pen.).

Per la nozione di danneggiamento della cosa, si deve fare riferimento all’art. 635, primo comma, cod. pen., il quale precisa che la cosa è danneggiata quando è distrutta, dispersa, deteriorata o resa in tutto o in parte inservibile.

Da ciò consegue che la legge considera elemento costitutivo del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose e come circostanza aggravante speciale di cui al secondo comma dell’art. 393 cod. pen. fatti che, di per sé stessi, possono essere puniti a titolo di danneggiamento («allorché la cosa viene danneggiata»).

Con la necessaria precisazione, però, che, poiché nei reati di “ragion fattasi” la violenza sulle cose è quella (e solo quella) che è strumentale («mediante» violenza sulle cose) al farsi ragione da sé medesimo, è solo entro tale limite che si può determinare l’assorbimento dei fatti di danneggiamento, laddove, qualora gli stessi fatti di danneggiamento risultino sproporzionati rispetto alle esigenze che sono connesse alla realizzazione del preteso diritto, il reato di danneggiamento concorrerà con quello di “ragion fattasi”.

Tirando le fila di tale discorso, esso comporta che la figura del reato complesso, prevista dall’art. 84 cod. pen., implica l’assorbimento dei fatti di danneggiamento commessi con violenza alla persona o con minaccia nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone aggravato dall’essere stato il fatto commesso anche con violenza sulle cose, a condizione che i fatti di danneggiamento non risultino sproporzionati rispetto alle esigenze che sono connesse alla realizzazione del diritto. In queste ultime ipotesi, invece, il reato di danneggiamento concorrerà con quello di “ragion fattasi”.

Tornando alla fattispecie di causa, essa, ad avviso del Collegio, integra una di tali ipotesi, atteso che l’imputato, con la propria condotta, non si era limitato a distruggere le tegole che erano state collocate dalla persona offesa e che gli impedivano di esercitare il proprio preteso diritto di entrare e uscire dal parcheggio ma aveva anche deteriorato un macchinario “transpallet” e distrutto diversi tavoli da lavoro in acciaio che la stessa persona offesa aveva in custodia, con la conseguenza che i fatti di danneggiamento complessivamente realizzati dallo stesso imputato si devono ritenere eccedenti e, perciò, non proporzionati, rispetto alle esigenze che erano connesse alla realizzazione del suo preteso diritto.

Da tanto il Collegio ritiene allora conclusivamente discendere che, ancorché il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone aggravato dall’essere stato il fatto commesso anche con violenza sulle cose sia stato considerato scriminato dal Tribunale di Torre Annunziata, in ragione della reputata sussistenza della causa speciale di giustificazione dell’auto-reintegrazione nel possesso della cosa, tale conclusione non può essere estesa anche al reato di danneggiamento, atteso che tale reato, per le ragioni che si sono dette, non si può ritenere contenuto come elemento costitutivo e come circostanza aggravante nel suddetto reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone aggravato dall’essere stato il fatto commesso anche con violenza sulle cose, giacché la violenza sulle cose, in quanto è consistita non solo nella distruzione delle tegole ma anche nel deterioramento del macchinario “transpallet” e nella distruzione dei tavoli da lavoro, risulta avere ecceduto il menzionato limite della strumentalità di essa rispetto al farsi ragione da sé medesimo.

2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.

L’elemento costitutivo del danneggiamento costituito dalla violenza alla persona o minaccia (art. 635, primo comma, cod. pen.: «con violenza alla persona o con minaccia»), era stato così contestato nel capo d’imputazione (capo a): «usando violenza consistita nell’aver ignorato la presenza del predetto [(omissis) (omissis)], che solo grazie alla sua abilità evitava l’investimento».

Ciò posto, si deve osservare come la Corte d’appello di Napoli, come già il Tribunale di Torre Annunziata («l’imputato alla guida di un autocarro […] stava per investire anche la p.o., che con uno scatto repentino, riusciva a non farsi investire»), abbia accertato come l’imputato, a bordo del proprio autocarro, avesse compiuto una serie di manovre pericolose che avevano abbattuto le tegole che erano state collocate dal nipote/persona offesa «rischiando di investirlo» (pag. 4 della sentenza impugnata).

Tale condotta di dirigere un autoveicolo, che si sta conducendo, contro una persona, costringendola a scansarsi per evitare di essere investita – fatto che, come si è visto, era stato contestato all’imputato nel capo a) dell’imputazione – si deve ritenere integrare il requisito del reato di danneggiamento della minaccia, atteso che, con la stessa condotta, l’agente, pur non facendo uso della forza personale fisica, si serve dell’energia meccanica di un autoveicolo per tenere una comportamento che risulta senz’altro minaccioso nei confronti della vittima, dovendosi, evidentemente, ritenere tale la minaccia di investire taluno con un autoveicolo.

3. Il terzo motivo è manifestamente infondato.

Si deve anzitutto rammentare che, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, in tema di ricorso per cassazione, non costituisce causa di annullamento della sentenza impugnata il mancato esame di un motivo di appello che risulti manifestamente infondato, atteso che l’eventuale accoglimento di tale doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio (Sez. 5, n. 27202 del 11/12/2012, dep. 2013, Tannoia, Rv. 256314-01; successivamente: Sez. 3, n. 46588 del 03/10/2019, Bercigli, Rv. 277281-01; Sez. 2, n. 35949 del 20/06/2019, Liberti, Rv. 276745-01; Sez. 3, n. 21029 del 03/02/2015, Dell’Utri, Rv. 263980-01).

Ciò rammentato, la censura – effettivamente non esaminata dalla Corte d’appello di Napoli e qui riproposta – è manifestamente infondata.

A tale proposito, si deve anzitutto osservare che, nell’invocare l’accessione al suolo del muro di tegole che era stato costruito dalla persona offesa, il ricorrente: a) da un lato, non ha neppure chiaramente sostenuto di essere il proprietario dello stesso suolo, avendo piuttosto affermato di averne l’uso (secondo lo stesso ricorrente, infatti, il suolo sarebbe stato «nella proprietà dell’imputato (o meglio nella parte del piazzale pacificamente in uso all’imputato)»; corsivo aggiunto); b) dall’altro lato, ha del tutto omesso di indicare da quale atto processuale sarebbe risultata la proprietà, in capo a sé, del suolo sul quale la persona offesa aveva costruito il muro di tegole.

Con la conseguenza che la censura si appalesa anzitutto come del tutto generica. In ogni caso, essa è, comunque, manifestamente infondata, atteso che, a norma dell’art. 936 cod. civ., il proprietario del suolo, per divenire proprietario delle opere fatte dal terzo con materiali propri, deve esercitare il diritto di ritenzione delle stesse opere (o lasciare scadere il termine di sei mesi dal giorno in cui ha avuto notizia dell’incorporazione), il che, nella specie, considerato che l’imputato risulta avere immediatamente distrutto il muro di tegole, non si è certamente verificato.

4. Il quarto motivo non è fondato.

L’art. 131-bis, primo comma, cod. pen., stabilisce che la punibilità è esclusa (nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla suddetta pena) quando l’offesa è di particolare tenuità «per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma, anche in considerazione della condotta susseguente al reato».

Nel caso in esame, la Corte d’appello di Napoli ha escluso che il fatto si potesse ritenere di particolare tenuità in considerazione sia delle modalità aggressive della condotta dell’imputato, le quali erano state tali da rendere necessario l’intervento dei Carabinieri, sia delle conseguenze dannose della stessa condotta, che aveva comportato la distruzione di ben 1.200 tegole e di diversi tavoli da lavoro in acciaio e il deterioramento di un macchinario “transpallet”.

Tale motivazione, anche a prescindere dalla ritenuta futilità dei motivi per i quali l’imputato avrebbe agito (ciò che avrebbe effettivamente richiesto la contestazione, quanto meno in fatto, della corrispondente circostanza aggravante di cui all’art. 61, n. 1, cod. pen.: Sez. 3, n. 29674 del 03/06/2021, Caterino, Rv. 281719-01), appare di per sé evidentemente sufficiente e, perciò, adeguata, a escludere la particolare tenuità dell’offesa. A fronte di ciò, la deduzione del ricorrente in ordine alla propria condotta «rigorosa e irreprensibile» susseguente al reato appare generica, atteso che non viene indicato né in cosa tale condotta sarebbe consistita né come essa avrebbe inciso sull’entità dell’offesa recata.

5. Pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 25/06/2024.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2024.

SENTENZA – copia non ufficiale -.