Rapina, danno di speciale tenuità solo con doppia valutazione patrimoniale e personale (Corte di Cassazione, Sezioni Unite Penali, Sentenza 15 novembre 2024, n. 42124)

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE PENALI

Composta da

Margherita Cassano – Presidente –

Giulio Sarno – Consigliere –

Gastone Andreazza – Consigliere –

Sergio Beltrani – Relatore –

Rossella Catena – Consigliere –

Angelo Capozzi – Consigliere –

Alessandro Ranaldi – Consigliere –

Raffaello Magi – Consigliere –

Antonio Corbo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da

(omissis) (omissis), nato in Marocco il xx/xx/20xx;

avverso la sentenza del 23/05/2023 della Corte di appello di L’Aquila.

Visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

udita la relazione svolta dal componente Dott. Sergio Beltrani;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato generale Pietro Gaeta, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

preso atto che nessuno è comparso per il ricorrente e rilevata la regolarità dell’avviso di rito.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di L’Aquila ha confermato la condanna di (omissis) (omissis) (presente in primo grado ed in appello) alla pena irrogatagli dal Tribunale di Pescara con sentenza del 6 luglio 2022 per i reati di rapina aggravata e lesioni, commessi il 19 agosto 2020 in Pescara, unificati dal vincolo della continuazione e previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla recidiva contestata.

2. Avverso l’anzidetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, articolando due motivi (di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.) e chiedendone l’annullamento.

2.1. Con il primo motivo, si deduce violazione dell’art. 601, comma 5, cod. proc. pen., nonché difetto di motivazione sull’eccezione tempestivamente formulata (della quale la sentenza impugnata dà atto in epigrafe) riguardante il termine a comparire accordato all’imputato per il giudizio di appello, pari a venti giorni in luogo dei quaranta asseritamente dovuti.

2.2. Con il secondo motivo, si deduce violazione dell’art. 62, primo comma, n. 4, cod. pen., nonché mancanza e contraddittorietà della motivazione, per non avere la Corte di appello considerato il valore esiguo della catenina di argento sottratta alla vittima e la pronta restituzione alla stessa del telefono cellulare pure sottrattole, secondo quanto riferito dalla persona offesa all’udienza del 6 marzo 2022, come puntualmente verbalizzato (a f. 11).

3. Il ricorso è stato assegnato alla Seconda sezione, che, con ordinanza n. 16364 del 5 aprile 2024, ne ha disposto la rimessione alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 618, comma 1, cod. proc. pen., rilevando l’esistenza di contrasti interpretativi sia in ordine alla determinazione del termine a comparire nel giudizio di appello a far data dal 30 dicembre 2022 (che un orientamento individua in giorni venti ed un altro in giorni quaranta), sia all’individuazione – in presenza di un fenomeno di successione di leggi (l’art. 601 cod. proc. pen., che disciplina gli atti preliminari al giudizio di appello, è stato in parte qua novellato dall’art. 34 d. Igs. n. 150 del 2022) – dell’atto da valorizzare in concreto ai fini dell’applicazione del principio tempus regit actum.

4. Con decreto del 9 maggio 2024 il Primo Presidente, preso atto dell’esistenza e della rilevanza ai fini della decisione dei contrasti giurisprudenziali ravvisati dall’ordinanza di rimessione, ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione l’odierna udienza; successivamente, con decreto del 29 maggio 2024, ha disposto, in accoglimento della richiesta del Procuratore generale, la trattazione orale. In data 11 giugno 2024 il Procuratore generale ha fatto pervenire ex art. 611 cod. proc. pen. una memoria, anticipando le proprie conclusioni.

All’odierna udienza pubblica la parte presente ha concluso come riportato in epigrafe.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Le questioni di diritto per risolvere le quali il ricorso è stato rimesso alle Sezioni Unite sono le seguenti: “se la disciplina dell’art. 601, comma 3, cod. proc. pen., introdotta dall’art. 34, comma 1, lett. g), d. Igs. 10 ottobre 2022, n. 150, che individua in quaranta giorni, anziché venti, il termine a comparire nel giudizio di appello, sia applicabile a far data dal 30 dicembre 2022 oppure dal 1 luglio 2024″; “se, in tema di successione di leggi regolanti il termine a comparire nel giudizio di appello, ai fini dell’individuazione della disciplina da applicare, debba farsi riferimento alla data di emissione del decreto di citazione in appello, considerata l’autonoma rilevanza dello stesso, ovvero a quella della deliberazione della sentenza impugnata“.

2. Prima di passare all’esame delle questioni controverse, appare opportuno ribadire che il mancato rispetto del termine a comparire previsto dall’art. 601, comma 3, cod. proc. pen. per il giudizio di appello integra una nullità di ordine generale c.d. “a regime intermedio”, relativa all’intervento dell’imputato, che deve essere rilevata od eccepita entro i termini previsti dall’art. 180 cod. proc. pen., ovvero prima della deliberazione della sentenza di secondo grado (Sez. 4, n. 48056 del 16/11/2023, Toto, Rv. 285796 – 01; Sez. 2, n. 49644 del 02/11/2023, Delle Fratte, Rv. 285674 – 02; Sez. 1, n. 6613 del 27/10/2022, dep. 2023, Amato, Rv. 283988 – 01; Sez. 6, n. 28408 del 23/06/2022, Fasulo, Rv. 283349 – 01).

Deve, infatti, ritenersi ormai superato il contrario orientamento a parere del quale la predetta nullità aveva natura meramente relativa, non rilevabile di ufficio e sanata se non eccepita nei termini di cui all’art. 181, comma 3, cod. proc. pen., ovvero subito dopo l’accertamento della costituzione delle parti (così, da ultimo, Sez. 2, n. 55171 del 25/09/2018, Marra, Rv. 275113 – 01).

2.1. Nel caso in esame, la presunta nullità della citazione dell’imputato ricorrente per il giudizio di appello per violazione dell’art. 601 cod. proc. pen. era stata tempestivamente eccepita (ne dà atto la sentenza impugnata in epigrafe a f. 2).

3. In ordine alla prima questione controversa, concernente l’individuazione del termine per comparire nel giudizio di appello, sono emersi in giurisprudenza due orientamenti.

3.1. Un orientamento (numericamente maggioritario) ritiene che la nuova disciplina dell’art. 601, commi 3, ultimo periodo, e 5, cod. proc. pen., introdotta dall’art. 34, comma 1, lett. g), d. Igs. n. 150 del 10 ottobre 2022, che individua in quaranta giorni, anziché in venti, il termine per comparire nel giudizio di appello, sia applicabile a far data dal 30 dicembre 2022: ciò si ricaverebbe dal combinato disposto del predetto art. 34, comma 1, lett. g), d. Igs. n. 150 del 2020, dell’art. 16, comma 1, d. I. 30 dicembre 2021, n. 228, convertito dalla legge 25 febbraio 2022, n. 15 e dell’art. 6 d. I. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito in legge 30 dicembre 2022, n. 199 (che ha novellato l’art. 94 delle disposizioni transitorie del d. Igs. n. 150 del 2022).

Le predette disposizioni non si interesserebbero dell’entrata in vigore delle disposizioni novellate riguardanti il termine a comparire per il giudizio di appello – rimessa all’operatività del tradizionale principio tempus regit actum -, ma solo delle modalità di accesso al rito con trattazione partecipata od orale, estendendone l’applicazione, da ultimo, alle impugnazioni proposte fino al 30 giugno 2024 (Sez. 4, n. 20334 del 10/04/2024, Marku, non mass.; Sez. 6, n. 12157 del 20/02/2024, Giusto, Rv. 286190 – 01; Sez. 2, n. 8976 del 01/02/2024, Pellegrino, non mass.; Sez. 3, n. 5481 del 24/01/2024, Dottore, Rv. 285945 – 01; Sez. 4, n. 7204 del 23/01/2024, Crugnale, non mass.; Sez. 3, n. 15115 del 10/01/2024, Agostinelli, non mass.; Sez. 4, n. 48056 del 16/11/2023, Toto, Rv. 285796 – 01; Sez. 2, n. 49644 del 02/11/2023, Delle Fratte, Rv. 285674 – 01).

3.1.1. In particolare, secondo Sez. 6, n. 12157 del 20/02/2024, Giusto, Rv. 286190 – 01, pur dovendosi dare atto dell’obiettiva incertezza determinata dalla scelta normativa di non prevedere una disposizione transitoria ad hoc, dovrebbe comunque previlegiarsi l’interpretazione letterale dell’art. 94, comma 2, d.lgs. n. 150 del 2022, poiché essa, «lì dove ha espressamente stabilito che “continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all’art. 23-bis d.l. n. 137 del 2020” fino al 30 giugno 2024, non consente in alcun modo di ricomprendere in tale previsione anche il differimento dell’entrata in vigore del termine di comparizione, essendo questo estraneo alle modifiche apportate dalla normativa emergenziale»; questa conclusione sarebbe legittimata dall’evoluzione della normativa transitoria che, nell’originaria previsione, richiamava espressamente l’art. 34, lett. g), d.Igs. n. 150 del 2022 e, cioè, la norma che contiene anche la modifica del termine di comparizione: «il fatto che nella successiva formulazione dell’art. 94, comma 2, d. Igs. n. 150 del 2022, tale richiamo non sia stato riprodotto, essendosi fatto riferimento alla sola normativa emergenziale, depone a favore della tesi secondo cui si è voluto non differire l’entrata in vigore della disciplina del termine di comparizione».

Non potrebbe valorizzarsi, in senso contrario, l’esistenza di una presunta interdipendenza tra il termine di comparizione per il giudizio di appello e la disciplina della trattazione emergenziale dettata dall’art. 23-bis d.l. n. 137 del 2020, come convertito, poiché quest’ultima disciplina sarebbe del tutto indipendente dalla determinazione del termine di comparizione, operando indifferentemente sia che il termine di comparizione sia quello originario di venti giorni, sia che si applichi quello più ampio introdotto dalla novella; né potrebbe argomentarsi l’esistenza di una incompatibilità funzionale tra il termine di comparizione introdotto dalla novella e la perdurante applicazione del rito emergenziale, a fronte del dato letterale della norma transitoria, nella quale è stato soppresso il riferimento alla norma che ha modificato il termine dilatorio di cui all’art. 601, comma 3, cod. proc. pen.

3.2. Altro orientamento ritiene che la nuova disciplina dell’art. 601, commi 3, ultimo periodo, e 5, cod. proc. pen., introdotta dall’art. 34, comma 1, lett. g), d. Igs. n. 150 del 10 ottobre 2022, sia applicabile, per effetto delle disposizioni transitorie ad hoc succedutesi nel tempo, e da ultimo della proroga disposta dall’art. 11, comma 7, d. I. 30 dicembre 2023, n. 215, come convertito, soltanto alle impugnazioni proposte dopo il 30 giugno 2024, ovvero a partire dal 1 luglio 2024: sussisterebbe, infatti, una “stretta correlazione” tra la perdurante applicazione delle disposizioni emergenziali (disposta dalla normativa transitoria emanata ad hoc) e l’entrata in vigore della disciplina riguardante il nuovo termine a comparire per il giudizio di appello (Sez. 2, n. 23261 del 04/04/2024, Pastinesi, non mass.; Sez. 5, n. 5347 del 02/02/2024, Pedata, Rv. 285912 – 01; Sez. 2, n. 7990 del 31/01/2024, Monaco, Rv. 286003 -01; Sez. 2, n. 12621 del 19/12/2023, dep. 2024, Hamza, non mass.; Sez. 5, n. 14344 del 16/11/2023, dep. 2024, Mutignani, non mass.).

3.2.1. In particolare, secondo Sez. 2, n. 7990 del 31/01/2024, Monaco, Rv. 286003 – 01, l’esistenza di una stretta correlazione fra la perdurante applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 23-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 7, del d. I. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, e l’entrata in vigore dell’art. 601, commi 3 e 5, cod. proc. pen. nella nuova formulazione, come modificata dal d. Igs. n. 150 del 2022 troverebbe conferma nel fatto che la trattazione “cartolare” costituisce allo stato il modello ordinario di celebrazione del processo in appello, risultando la trattazione orale mera ipotesi residuale, conseguente ad una richiesta di parte (art. 601, comma 1) oppure ad una decisione officiosa del giudice, consentita unicamente ricorrendo determinate condizioni (art. 601, comma 3).

Diversamente opinando, sarebbe, inoltre, necessario ritenere che il decreto di citazione dovrebbe contenere tutti gli avvisi previsti dal testo novellato dell’art.601 cod. proc. pen. (all’evidenza incompatibili con il rito emergenziale del quale è stata pacificamente disposta l’ultrattività fino al 30 giugno 2024: si pensi ad esempio alle diverse tempistiche per accedere all’udienza partecipata), non essendo stata esclusa dalle disposizioni transitorie de quibus (come interpretate dall’opposto orientamento) l’immediata entrata in vigore di questa parte della predetta disposizione novellata.

3.3. Ribadita, in ossequio al primo orientamento, l’assenza di specifiche disposizioni transitorie riguardanti il fenomeno successorio de quo, una decisione (Sez. 2, n. 6010 del 05/12/2023, dep. 2024, Chiacchio, Rv. 285970 – 01) ha ritenuto doversi fare riferimento, quale atto che determina l’operatività del vecchio o del nuovo termine a comparire per il giudizio di appello, alla data di emissione della sentenza impugnata, richiamando adesivamente un principio già affermato in generale dalle Sezioni Unite (cfr. Sez. U, n. 27614 del 29/03/2007, Lista Rv. 236537 – 01, per la quale, ai fini dell’individuazione del regime applicabile in materia di impugnazioni, allorché si succedano nel tempo diverse discipline e non sia espressamente regolato, con disposizioni transitorie, il passaggio dall’una all’altra, l’applicazione del principio tempus regit actum impone di far riferimento al momento di emissione del provvedimento impugnato e non già a quello della proposizione dell’impugnazione).

3.3.1. Diversamente, ad avviso di Sez. 2, n. 7990 del 31/01/2024, Monaco, Rv. 286003 – 01, l’accoglimento del primo orientamento non comporterebbe automaticamente che il termine dilatorio novellato di giorni quaranta sarebbe applicabile per i decreti di citazione di appello emessi a partire dal 30 dicembre 2022, occorrendo in proposito avere riguardo al principio tempus regit actum e conseguentemente alle diverse possibili soluzioni interpretative cui sarebbe possibile accedere per individuare l’atto all’uopo valorizzabile.

4. Nessuna analisi dottrinale risulta ad oggi avere incisivamente riguardato la prima questione sottoposta all’esame del collegio.

5. Prima di esaminarla, appare opportuno ribadire che, come in ogni altro caso, il criterio fondamentale cui occorre attenersi nell’interpretazione delle disposizioni de quibus è quello del rispetto del dato letterale dei testi normativi, «che costituisce un limite insuperabile anche quando si proceda ad una interpretazione estensiva, e che non può essere in alcun modo valicato mediante il richiamo ai lavori preparatori o alla relazione illustrativa» (Sez. U, n. 12759 del 14/12/2023, dep. 2024, L., non mass. sul punto).

Questa conclusione è imposta, a livello costituzionale, dall’art. 101, secondo comma, Cost. il quale, attraverso la previsione che «[i] giudici sono soggetti soltanto alla legge», individua, ad un tempo, in quest’ultima il fondamento, ma anche il limite, del potere del giudice.

5.1. In piena armonia con la predetta previsione, a livello di legge ordinaria il (pur previgente) art. 12 disp. prel. cod. civ. già disponeva che l’unico criterio ermeneutico impiegabile per superare il dato letterale di una disposizione di legge è quello dell’interpretazione analogica, peraltro consentita unicamente nel caso in cui una controversia non possa «essere decisa con una precisa disposizione» (ovvero in presenza di una lacuna, in relazione alla questione controversa in esame non enucleabile) e comunque vietata dall’art. 14 disp. prel. cod. civ. in riferimento alle leggi penali o eccezionali.

5.2. La stessa giurisprudenza costituzionale ha già chiarito che «la lettera della norma impugnata, il cui significato non può essere valicato neppure per mezzo dell’interpretazione costituzionalmente conforme (sentenza n. 219 del 2008), non consente in via interpretativa di conseguire l’effetto che solo una pronuncia di illegittimità costituzionale può produrre» (sentenza n. 110 del 2012).

5.3. Queste Sezioni Unite hanno, a loro volta, già chiarito che:

– l’art. 101, secondo comma, Cost. pone un principio di «fedeltà del giudice al tenore letterale della disposizione normativa quale canone fondamentale di interpretazione cui si deve attenere» (Sez. U, n. 32938 del 19/01/2023, L., non mass. sul punto);

– «non basta rilevare un inconveniente o una incongruenza o un effetto anomalo d’una legge per trarne un’interpretazione non consentita dalla lettera della legge stessa, anzitutto, e dai principi del sistema», poiché quello letterale «non è un criterio interpretativo ma il limite d’ogni altro metodo ermeneutico» (Sez. U, n. 11 del 19/95/1999, Tucci, Rv. 213494 – 01);

– l’interpretazione estensiva «attiene alle ipotesi in cui il risultato interpretativo si mantiene, comunque, all’interno dei possibili significati della disposizione normativa» (Sez. U, n. 14840 del 27/10/2022, dep. 2023, Società La sportiva, Rv. 284273 – 01);

– il criterio dell’interpretazione logica e sistematica «non può servire ad andare oltre quello letterale, quando la disposizione idonea a decidere è chiara e precisa» (Sez. U, n. 38810 del 13/06/2022, Banadin, rv. 283369 – 01; Sez. U, n. 40986 del 19/07/2018, P., Rv. 273934 – 01).

5.3.1. Come già osservato da Sez. U, n. 12759 del 14/12/2023, dep. 2024, L., non mass. sul punto, «l’inammissibilità di operazioni ermeneutiche volte a superare il dato letterale di una disposizione di legge sulla base dei lavori preparatori o della relazione illustrativa del testo normativo è direttamente determinata dal sistema delle fonti del diritto.

Invero, i testi di legge sono oggetto di procedure di approvazione “garantite”, nelle quali un ruolo centrale spetta al Parlamento ed alla formale espressione di volontà della sua maggioranza.

I testi di legge inoltre sono promulgati dal Presidente della Repubblica e possono essere sottoposti a controllo di legittimità costituzionale, oltre che a referendum abrogativo. Nulla di tutto questo, invece, è dato con riferimento ai lavori preparatori e alla relazione illustrativa».

Altra decisione delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, non mass. sul punto) ha ricollegato l’inidoneità del lavori preparatori a fondare interpretazioni di disposizioni di legge che travalichino il dato letterale delle stesse al rilievo che «proprio l’intenzione del legislatore deve essere “estratta” dall’involucro verbale (“le parole”), attraverso il quale essa è resa nota ai destinatari e all’interprete»: non può, infatti, dubitarsi del fatto «che detta intenzione non si identifichi con quella dell’Organo o dell’Ufficio che ha predisposto il testo, ma vada ricercata nella volontà statuale, finalisticamente intesa».

5.3.2. L’intenzione del legislatore che, ai sensi dell’art. 12 disp. prel. cod. civ., rappresenta uno dei molteplici criteri per l’interpretazione di una disposizione di legge costituisce, pertanto, un canone sussidiario e recessivo rispetto al criterio dell’interpretazione letterale, e va intesa «in senso “oggettivo”, dunque espressivo del significato immanente nella stessa legge, e non anche in senso “soggettivo”, vale a dire come volontà del legislatore dal punto di vista storico-psicologico» (Sez. U, n. 19357 del 29/02/2024, Mazzarella, non mass. sul punto).

5.4. A conclusioni non difformi sono reiteratamente pervenute in argomento le Sezioni Unite civili, ferme nell’evidenziare che l’interpretazione di ogni disposizione di legge non si sottrae al primato del criterio letterale, che, per il suo carattere di oggettività e per il suo naturale obiettivo di ricerca del senso normativo maggiormente riconoscibile e palese, rappresenta il criterio cardine nella interpretazione della legge e concorre alla definizione in termini di certezza, determinatezza e tassatività della fattispecie di volta in volta in questione (Sez. U civ., n. 23051 del 25/07/2022, Rv. 665453 – 01).

Nel caso in cui l’interpretazione letterale sia sufficiente ad individuare, in modo chiaro ed univoco, il significato e la portata precettiva di una norma di legge o regolamentare, l’interprete non deve ricorrere ai criterio ermeneutico sussidiario della mens legis, il quale acquista un ruolo paritetico e comprimario rispetto al criterio letterale soltanto nel caso in cui, nonostante l’impiego del criterio letterale e del criterio teleologico singolarmente considerati, la lettera della norma rimanga ambigua, mentre «può assumere rilievo prevalente nell’ipotesi, eccezionale, in cui l’effetto giuridico risultante dalla formulazione della disposizione sia incompatibile con il sistema normativo, non essendo, invece, consentito all’interprete correggere la norma nel significato tecnico proprio delle espressioni che la compongono nell’ipotesi in cui ritenga che tale effetto sia solo inadatto rispetto alla finalità pratica della norma stessa» (Sez. U civ, n. 8091 del 23/04/2020, non mass. sul punto).

5.4.1. Ed è comune anche il rilievo che ai lavori preparatori non va riconosciuto un peso determinante nel procedimento di interpretazione delle leggi, poiché essi, pur offrendo elementi per l’interpretazione di singole disposizioni, non possono sovrapporsi alla volontà della legge, quale risulta consacrata ed obiettivata nel testo della legge e quale si desume dal significato proprio delle parole usate, dalla sua ratio e dal suo coordinamento nel sistema nel quale va ad inserirsi (Sez. U civ., n. 1455 del 21/05/1973, Rv. 364180 – 01).

6. Per altro verso, occorre ribadire che, nella misura in cui l’affidamento costituisce un «valore essenziale della giurisdizione, che va ad integrarsi con l’altro – di rango costituzionale – della “parità delle armi”» e che «soddisfa l’esigenza di assicurare ai protagonisti del processo la certezza delle regole processuali e dei diritti eventualmente già maturati, senza il timore che tali diritti, pur non ancora esercitati, subiscano l’incidenza di mutamenti legislativi improvvisi e non sempre coerenti col sistema, che vanno a depauperare o a disarticolare posizioni processuali già acquisite» (Sez. U, n. 27614 del 29/03/2007, Lista, non mass. sul punto), s’impone, in materia processuale, l’esigenza che esso sia tutelato e, quindi, la necessità che le norme siano non soltanto chiare e prevedibili, ma anche interpretate senza stravolgerne, a sfavore dell’interessato, il significato letterale.

6.1. In proposito, assume particolare rilievo, pur essendo riferita alla materia civile, una recente decisione della Corte di Strasburgo (Corte EDU, 09/11/2023, Legros ed altri c. Francia, §§ 131 – 132 e §§ 151 ss.) che ha riconosciuto l’esistenza di una violazione dell’art. 6, § 1, CEDU, per ingiustificato diniego di accesso ad un tribunale, in un caso nel quale i ricorsi contenziosi dei ricorrenti erano stati dichiarati inammissibili per tardività in forza dell’imprevedibile applicazione retroattiva del nuovo e più breve termine enucleato dalla giurisprudenza a seguito di un revirement del proprio precedente orientamento che, alla data di presentazione dei ricorsi, riteneva applicabile un termine più ampio.

7. Ciò premesso, le Sezioni Unite ritengono che sia corretta la conclusione cui perviene il secondo degli orientamenti in precedenza passati in rassegna.

8. L’art. 601 cod. proc. pen., per quanto ai fini della risoluzione della prima questione controversa rileva, è stato modificato dall’art. 34, comma 1, lett. g), nn. 3 e 4), d. Igs. n. 150 del 2022, attraverso l’aumento del termine a comparire per il giudizio di appello da venti a quaranta giorni: la formulazione novellata della predetta disposizione prevede, rispettivamente, che «Il termine per comparire non può essere inferiore a quaranta giorni» (comma 3, ultimo periodo) e che «Almeno quaranta giorni prima della data fissata per il giudizio di appello, è notificato avviso ai difensori» (comma 5).

8.1. La Relazione illustrativa allo “Schema di decreto legislativo recante attuazione della legge 27 settembre 2021 n. 134 recante delega al governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari”, ricollegava chiaramente la necessità dell’ampliamento, da venti a quaranta giorni, del termine a comparire per il giudizio di appello alle nuove scansioni temporali imposte dalla novella per l’esercizio del contraddittorio cartolare ovvero per l’accesso alla trattazione partecipata.

8.1.1. La Relazione muoveva da alcune premesse che appare opportuno sintetizzare.

Nel novellato sistema processuale, «le forme di trattazione dell’appello con rito camerale “non partecipato” vengono disciplinate dal nuovo art. 598-bis cod. proc. pen., con modalità simmetriche rispetto al rito davanti alla Corte di cassazione di cui all’art. 611 cod. proc. pen., secondo la seguente cadenza temporale calcolata a ritroso dall’udienza: quindici giorni per le richieste del procuratore generale e per le memorie e richieste scritte delle altre parti, nonché per i motivi nuovi e la richiesta di concordato; cinque giorni per le memorie di replica, termini il cui tassativo rispetto garantisce un funzionamento efficiente del nuovo rito cartolare».

Il termine di quindici giorni prima dell’udienza «costituisce uno snodo processuale fondamentale, anche in considerazione della previsione innovativa che entro tale termine debba essere presentata la richiesta di concordato o a pena d’inammissibilità».

L’altro snodo processuale «è costituito dal termine di quindici giorni dalla ricezione del decreto di citazione in giudizio, entro il quale deve essere presentata a pena d’inammissibilità la richiesta di partecipazione all’udienza dell’appellante o, comunque, dell’imputato o del suo difensore». Il regime del comma 2 del nuovo art. 598-bis è, pertanto, «coerente con l’impostazione sistematica del codice che colloca le scelte sul rito a valle degli atti propulsivi del procedimento».

Con specifico riferimento alla novellazione dell’art. 601 cod. proc. pen., la predetta Relazione osservava che, «considerata la dialettica anticipata e scritta imposta dal rito “non partecipato”, vengono ampliati a quaranta giorni i termini dilatori (oggi di venti giorni) concessi per comparire e per la notifica dell’avviso di udienza ai difensori, ai sensi dell’art. 601, commi 3 e 5, cod. proc. pen.».

8.1.2. Questa, e non altra, era, dunque, la ragione dell’ampliamento del predetto termine dilatorio.

8.2. Per quanto riguarda i profili di diritto intertemporale, il fenomeno successorio che ha interessato l’art. 601 cod. proc. pen. era stato da principio espressamente regolato dall’art. 94, comma 2, d. Igs. n. 150 del 2022, a norma del quale «Le disposizioni degli articoli 34, comma 1, lettere c), e), f), g), numeri 2), 3), 4), e h), 35, comma 1, lettera a), e 41, comma 1, lettera ee), si applicano a decorrere dalla scadenza del termine fissato dall’articolo 16, comma 1, del decreto-legge 30 dicembre 2021, n. 228, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 febbraio 2022, n. 15». Quest’ultima disposizione prevedeva, a sua volta, che «Le disposizioni di cui all’articolo 221, commi 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 10 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, nonché le disposizioni di cui all’articolo 23, commi 2, 6, 7, 8, primo, secondo, terzo, quarto e quinto periodo, 8-bis, primo, secondo, terzo e quarto periodo, 9, 9-bis e 10, e agli articoli 23-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 7, e 24 del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, in materia di processo civile e penale, continuano ad applicarsi fino alla data del 31 dicembre 2022».

8.2.1. La disposizione transitoria ad hoc inizialmente prevista in relazione alla novella dell’art. 601 cod. proc. pen. ne prevedeva (ad eccezione del comma 1, contenente una mera disposizione di coordinamento) l’applicazione a far data dal 1 gennaio 2023.

Essa non aveva, peraltro, indicato il momento processuale in relazione al quale si sarebbe dovuta valutare l’applicabilità della nuova disciplina, ovvero se dovesse all’uopo aversi riguardo alla data della pronuncia della sentenza impugnata, alla data del deposito dell’atto d’impugnazione (e, in presenza di plurimi atti d’impugnazione, se di quello proposto per primo o per ultimo), ovvero alla data di emissione del decreto di citazione per il giudizio di appello.

8.3. Il d. Igs. n. 150 del 2022, pubblicato in GU, Supplemento ordinario, n. 243 del 17 ottobre 2022, doveva inizialmente entrare in vigore a partire dal 1 novembre 2022. L’art. 6 d. I. n. 162 del 31 ottobre 2022 ha però inserito nel predetto d.Igs. il nuovo art. 99-bis, che ne prorogava la vigenza al 30 dicembre 2022: è stata, in tal modo, uniformata l’entrata in vigore dell’intero d. Igs. n. 150 del 2022, ad eccezione delle specifiche disposizioni per le quali è stata espressamente stabilita una diversa vigenza, pur rimanendo fermo che l’art. 601, come novellato, sarebbe entrato in vigore a partire dal 1 gennaio 2023.

8.3.1. L’Ufficio del Massimario (relazione n. 68/2022) aveva immediatamente evidenziato che il previsto regime transitorio poneva, relativamente ai giudizi d’appello “in corso” alla data di entrata in vigore della riforma, un problema non superato dall’operato differimento, ex art. 99-bis d. Igs. n. 150 del 2022, dell’entrata in vigore al 30 dicembre 2022 dell’intero d.Igs., poiché, comunque, fino al 31 dicembre 2022 avrebbe trovato applicazione, in forza dell’art. 94, comma 2, stesso d.Igs., la disciplina emergenziale: si era, in particolare, evidenziato che, «relativamente agli appelli già proposti alla data del 30 dicembre 2022 ma rispetto ai quali non sia stata fissata la data per la trattazione, ricadente quindi dopo il 1 gennaio 2023, si pone la questione se operi il termine minimo per la comparizione di venti giorni previsto dal vecchio art. 601, comma 3, cod. proc. pen. nel testo ante riforma, o se debba già trovare applicazione il nuovo termine di quaranta giorni previsto dal riscritto art. 601 cod. proc. pen. post riforma».

8.4. L’art. 94, comma 2, d. Igs. n. 150 del 2022 è stato, a sua volta novellato dall’art. 5-duodecies d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, introdotto, in sede di conversione con modificazioni del predetto decreto-legge, dalla I. 30 dicembre 2022, n. 199.

Tale ultima disposizione stabilisce che «2. Per le impugnazioni proposte entro il 30 giugno 2023 continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all’articolo 23, commi 8, primo, secondo, terzo, quarto e quinto periodo, e 9, nonché le disposizioni di cui all’articolo 23-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 7, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176. Se sono proposte ulteriori impugnazioni avverso il medesimo provvedimento dopo il 30 giugno 2023, si fa riferimento all’atto di impugnazione proposto per primo».

E’ stata, pertanto, prevista la perdurante efficacia, fino al 30 giugno 2023, delle disposizioni emergenziali in tema di procedimento c.d. cartolare sopra richiamate, individuando nella proposizione dell’impugnazione il momento del processo in relazione al quale valutare l’applicabilità di tale nuova disciplina.

8.4.1. Ai sensi dell’art. 1, comma 2, I. n. 199 del 2022, la predetta modifica legislativa è entrata in vigore il 31 dicembre 2022, ovvero nella medesima data indicata quale limite temporale di applicazione del novellato art. 601 cod. proc. pen. dalla previgente formulazione dell’art. 94, comma 2, d. Igs. n. 150 del 2022.

8.5. La Relazione ministeriale alla proposta di emendamento della originaria disposizione transitoria contenuta nel d.l. n. 162 osservava che, a seguito del differimento dell’entrata in vigore del d. Igs. n. 150, «la cessazione dell’efficacia del regime emergenziale viene esattamente a sovrapporsi all’entrata in vigore del nuovo regime».

Evidenziava, peraltro, che «il nuovo modello di udienza non partecipata implica la preventiva adozione di un decreto di citazione con determinati avvisi e requisiti», una diversa modulazione dei termini entro i quali le parti hanno l’onere di richiedere la partecipazione in udienza e, per il giudizio di appello, l’introduzione di termini dilatori più ampi di quelli precedentemente previsti per la notifica alle parti. Riteneva, pertanto, indispensabile dettare una disciplina transitoria per chiarire le modalità di transizione dal precedente regime a quello nuovo.

Ciò premesso, chiariva che, a tal fine, riteneva opportuno «far ricorso a meccanismi già ampiamente sperimentati e che hanno trovato piena adesione da parte degli operatori, prevedendosi quindi che per i procedimenti nei quali l’impugnazione sia stata proposta prima della scadenza del 31 gennaio 2022 continuino ad applicarsi le disposizioni “emergenziali” di cui all’art. 23, comma 8, primo, secondo, terzo, quarto e quinto periodo, e comma 9, e di cui all’art. 23-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 7 del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176». In sede di conversione, la disposizione de qua veniva emendata in termini diversi da quelli proposti dal Ministero della Giustizia.

In particolare, si stabiliva che le “disposizioni emergenziali” continuassero a trovare applicazione a tutti i procedimenti impugnatori instaurati con impugnazioni proposte entro il 30 giugno 2023 (termine, come si vedrà, in seguito ulteriormente prorogato al 30 giugno 2024).

Nondimeno, pur essendo mutato l’elemento valorizzabile ai fine del predetto discrimin, poteva dirsi rimasta ferma la volontà di disciplinare con omogeneità il passaggio dal “rito emergenziale puro” al “rito novellato puro”, senza prevederne commistioni, ovvero senza accedere – in fase transitoria – alla creazione di un terzo regime per così dire “misto”, in parte “emergenziale”, in parte “novellato”.

8.6. Appare di grande significato, ai fini della risoluzione della prima questione controversa, il Dossier del Servizio studi del Senato riguardante la conversione del d.l. n. 162 del 2022, che documenta espressamente la voluntas legis di risolvere il problema posto dal d.l. n. 162 del 2022 e segnalato dall’Ufficio del Massimario.

In esso si afferma, infatti, che, con l’introduzione dell’illustrato regime transitorio, «il legislatore ha mostrato di recepire le osservazioni formulate dall’Ufficio del massimario della Corte di cassazione che, con riferimento alla sostituita disciplina transitoria, aveva rilevato come, relativamente agli appelli già proposti alla data del 30 dicembre 2022, ma rispetto ai quali non fosse stata fissata la data per la trattazione, ricadente quindi dopo il 1 gennaio 2023, si poneva la questione se operasse il termine minimo per la comparizione di venti giorni previsto dal vecchio art. 601, comma 3, cod. proc. pen. nel testo ante riforma, o se dovesse già trovare applicazione il nuovo termine di quaranta giorni previsto dal riscritto art. 601 cod. proc. pen. post riforma».

8.6.1. In particolare, dopo avere riepilogato i rilievi dell’Ufficio del Massimario, il predetto Dossier evidenzia che, con la disciplina transitoria in esame, il legislatore ha risolto il dubbio interpretativo sollevato, «specificando che, ove l’impugnazione sia proposta entro il 30 giugno 2023 (termine, come si vedrà, in seguito ancora prorogato al 30 giugno 2024), le fasi successive del procedimento continuano ad essere disciplinate dalla normativa emergenziale, attualmente in vigore, indipendentemente dalla circostanza che l’udienza di trattazione sia successiva alla scadenza di tale termine, trovando la nuova disciplina applicazione solo per le impugnazioni proposte dopo la scadenza del citato termine.

Tale decisione risulta ispirata al principio tempus regit actum, nel senso che, per individuare la disciplina regolatrice dello svolgimento del giudizio di impugnazione, occorre fare riferimento al regime giuridico vigente al momento in cui l’atto introduttivo di impugnazione è stato proposto».

8.7. L’art. 17 d. I. 22 giugno 2023, n. 75 (entrato in vigore il giorno seguente) ha ulteriormente novellato l’art. 94, comma 2, d. Igs. n. 150 del 2022, stabilendo che, «Per le impugnazioni proposte sino al quindicesimo giorno successivo alla scadenza del termine del 31 dicembre 2023, di cui ai commi 1 e 3 dell’articolo 87, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui agli articoli 23, commi 8, primo, secondo, terzo, quarto e quinto periodo, e 9, e 23-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 7, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176. Se sono proposte ulteriori impugnazioni avverso il medesimo provvedimento dopo la scadenza dei termini indicati al primo periodo, si fa riferimento all’atto di impugnazione proposto per primo».

E’ stata in tal modo estesa la vigenza delle indicate disposizioni emergenziali in tema di procedimento c.d. cartolare, riferendola alle impugnazioni proposte fino a 15 giorni dopo il 31 dicembre 2023 (data individuata in relazione all’art. 87, commi 1 e 3, d. Igs. n. 150 del 2022, recante la disciplina transitoria in materia di processo penale telematico).

8.7.1. In sede di conversione con modificazioni del predetto d. I. n. 75, la legge 10 agosto 2023, n. 112 (entrata in vigore il 17 agosto 2023) ha apportato all’art. 94, comma 2, d. Igs. n. 150 del 2022, come sostituito dal citato art. 17 d. I. n. 75 del 2023, modifiche meramente formali.

8.8. Infine, a compimento di questo iter particolarmente complesso, l’art. 11, comma 7, d. I. 30 dicembre 2023, n. 215 (c.d. «Decreto Milleproroghe 2023», entrato in vigore il giorno successivo ed in seguito convertito), come sostituito, in sede di conversione, dalla I. 23 febbraio 2024, n. 18, ha stabilito che:

«7. All’articolo 94, comma 2, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, recante disposizioni transitorie in materia di giudizi di impugnazione, le parole: “sino al quindicesimo giorno successivo alla scadenza del termine del 31 dicembre 2023, di cui ai commi 1 e 3 dell’articolo 87,” sono sostituite dalle seguenti: “sino al 30 giugno 2024».

9. All’esito della ricostruzione delle vicende normative che hanno caratterizzato il fenomeno successorio de quo, può rilevarsi quanto segue.

9.1. Da un punto di vista logico-sistematico, la dichiarata ratio della novellazione riguardante il termine dilatorio (aumentato dal d. Igs. n. 150 del 2022 da venti a quaranta giorni) previsto dall’art. 601 cod. proc. pen., individuata nell’esigenza di tenere conto delle nuove scansioni procedimentali previste per l’accesso al contraddittorio “cartolare” ed a quello “partecipato”, e il differimento della vigenza di tali nuove disposizioni, renderebbero incomprensibile l’entrata in vigore della sola nuova disposizione riguardante l’aumento del termine dilatorio da venti a quaranta giorni (che il legislatore considera inscindibilmente ricollegata alle residue parti della novella) e non anche, contestualmente, delle ulteriori disposizioni novellate del predetto art. 601.

9.2. Il mutamento, in sede di conversione, della disposizione transitoria presente nel testo originario del d.l. n. 162 del 2022 appare di per sé indicativo della voluntas legis di dettare una normativa transitoria diversa, superflua se, come ritenuto dal primo orientamento, anche la disposizione introdotta in sede di conversione dalla legge n. 199 del 2022 avesse previsto l’applicazione dell’intero art. 601 cod. proc. pen. (ad eccezione dell’ininfluente comma 1) a partire dal 1 gennaio 2023.

9.3. L’operatività (da ultimo fino al 30 giugno 2024) dell’art. 23-bis, comma 4, della disciplina emergenziale, che disciplinava l’accesso all’esercizio del contraddittorio cartolare ed alla trattazione orale, conferma, in difetto di una contraria espressa disposizione transitoria, la perdurante efficacia anche della originaria previsione del termine dilatorio di giorni venti contenuta nel testo ante novella dell’art. 601 cod. proc. pen., ed il differimento della vigenza del nuovo e più ampio termine dilatorio di giorni quaranta.

Invero, la normativa emergenziale era stata ab initio concepita come complemento, in deroga, di quella ordinaria, che la prima presupponeva inscindibilmente; di qui, l’impossibilità di ritenere che la sopravvenuta ultrattività dei segmenti della disciplina emergenziale prescindesse dalla disciplina ante novella del termine dilatorio per il giudizio di appello.

9.3.1. D’altro canto, questa affermazione si pone in linea con la espressa voluntas legis, inequivocabilmente emergente dai lavori preparatori, di non dar vita, in fase transitoria, ad un terzo regime, disciplinato in parte dalla normativa emergenziale e in parte dalla novella.

Tale volontà è ragionevolmente giustificata dalla necessità di venire incontro alle esigenze di certezza degli operatori del diritto ed ha coerentemente portato alla conferma dell’operatività di meccanismi processuali ormai ampiamente collaudati ed oggetto di interpretazioni costanti, che non ponevano più problemi esegetici, diversamente da quanto sarebbe inevitabilmente accaduto ove si fosse optato per la creazione, medio tempore, di un terzo regime, “misto”, derivante in parte dall’applicazione ultrattiva di segmenti della normativa emergenziale ed in altra parte dall’anticipazione della vigenza di segmenti della novella.

9.4. Peraltro, se la lettura delle norme transitorie succedutesi proposta dall’orientamento che ritiene entrata in vigore la sola parte della novella dell’art.601 cod. proc. pen. riguardante il termine dilatorio di giorni quaranta fosse corretta, dovrebbe – per le medesime ragioni sistematiche – derivarne anche l’entrata in vigore delle residue disposizioni novellate di cui al predetto articolo 601, disciplinanti la possibilità di disporre la trattazione orale di ufficio (in ordine alla quale la normativa emergenziale ultrattiva è silente), le forme e i termini degli avvisi e le modalità di accesso alla trattazione “cartolare” oppure a quella “partecipata”, al contrario tutte sicuramente differite perché senz’altro incompatibili con l’art. 23-bis, comma 4, delle disposizioni emergenziali, la cui operatività risulta pacificamente prorogata.

9.4.1. Ed ugualmente incompatibile “per eccesso” con le parti della normativa emergenziale che hanno conservato vigenza fino al 30 giugno 2024, risulterebbe anche l’immediata entrata in vigore del nuovo e più ampio termine dilatorio di giorni quaranta.

Invero il suo ampliamento, dichiaratamente funzionale all’applicazione delle nuove disposizioni in tema di accesso al contraddittorio “cartolare” ed a quello “partecipato” (peraltro incompatibili con le parti del rito emergenziale delle quali è stata da ultimo prevista l’ultrattività fino al 30 giugno 2024, e quindi sicuramente non ancora vigenti), risulterebbe eccentrico rispetto alle finalità perseguite dal legislatore, ossia il mantenimento in toto del collaudato regime emergenziale fino all’integrale entrata in vigore del regime risultante all’esito della novella.

9.5. La soluzione prescelta non si pone in contrasto con la formulazione letterale delle disposizioni transitorie succedutesi nel tempo, ed appare, anzi, in linea con le indicazioni emergenti dal complesso dei lavori preparatori innanzi riepilogato, che delle predette disposizioni transitorie chiarisce, puntualmente ed univocamente, la genesi e – nel caso della legge n. 199 del 2002 – le ragioni dell’evoluzione.

9.6. Deve, pertanto, concludersi che la disciplina dell’art. 601, comma 3, ultimo periodo, cod. proc. pen., introdotta dall’art. 34, comma 1, lett. g), d. Igs. 10 ottobre 2022, n. 150, nella parte in cui individua in quaranta giorni il termine a comparire nei giudizi di appello, è applicabile ai soli atti di impugnazione proposti a far data dal 1 luglio 2024.

10. Ai sensi dell’art. 173, comma 3, disp. att. cod. proc. pen., va, pertanto, enunciato il seguente principio di diritto: «la disciplina dell’art. 601, comma 3, cod. proc. pen., introdotta dall’art. 34, comma 1, lett. g), d. Igs. 10 ottobre 2022, n. 150, che individua in quaranta giorni il termine a comparire nei giudizi di appello, è applicabile ai soli atti di impugnazione proposti a far data dal 1 luglio 2024».

11. La soluzione accolta in ordine alla prima questione sottoposta all’esame del Collegio rende priva di rilievo, ai fini della decisione, la seconda questione controversa, che non va quindi esaminata.

Appare opportuno precisare che, secondo quanto espressamente previsto dalle disposizioni transitorie precedentemente indicate, per i giudizi di appello introdotti da atti d’impugnazione depositati a partire dal 1 luglio 2024 trova integrale applicazione il testo dell’art. 601 cod. proc. pen., come novellato ex d. Igs. n. 150 del 2022. 12. Il primo motivo di ricorso risulta, quindi, quanto alla dedotta violazione di legge, infondato.

12.1. A tale proposito, occorre rilevare, come già condivisibilmente ritenuto dalla giurisprudenza di questa Corte, che il ricorso per cassazione la cui definizione presupponga – come nel caso di specie – la risoluzione di una questione giuridica oggetto di contrasti non può considerarsi proposto per motivi manifestamente infondati, e, come tale, non è inammissibile (Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, Furlan, Rv. 276062 – 01; Sez. 6, n. 35391 del 11/07/2003, Scopelliti, Rv. 226332 – 01).

12.2. Al contrario, secondo la giurisprudenza costituzionale è manifestamente infondata la questione che si riveli «ictu oculi priva di ogni consistenza», ovvero che riproponga pedissequamente una questione già dichiarata non fondata in difetto «di nuovi motivi che possano indurre a modificare la precedente decisione» (cfr., fra le tante, Corte cost. n. 32 del 1963, n. 37 del 1970 e n. 8 del 1971).

Inoltre, la stessa Corte costituzionale (sentenza n. 186 del 2000), nel dichiarare in parte costituzionalmente illegittimo l’art. 616 cod. proc. pen., ha argomentato che la manifesta infondatezza del motivo di ricorso può essere contrassegnata, sempre sul piano funzionale, da una pretestuosità oggettiva, prescindente dalla deliberata volontà dell’interessato di ritardare la formazione del titolo esecutivo.

12.3. In adesione al predetto orientamento, in questa sede si intende ribadire il principio già espresso da Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L., non mass. sul punto, secondo cui l’attributo “manifesta” evoca «la significazione di palese inconsistenza delle censure» e la “manifesta infondatezza” «si traduce nella proposizione di censure caratterizzate da evidenti errori di diritto nell’interpretazione della norma posta a sostegno del ricorso, il più delle volte contrastata da una giurisprudenza costante e senza addurre motivi nuovi o diversi per sostenere l’opposta tesi, ovvero invocando una norma inesistente nell’ordinamento (…). Fino a profilare – sul piano funzionale – come costante la pretestuosità del gravame, non importa se conosciuta o no dallo stesso ricorrente».

13. Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta anche che, pur avendo tempestivamente eccepito la presunta violazione dell’art. 601 cod. proc. pen., per avere fruito di un termine a comparire inferiore rispetto a quello asseritamente spettantegli, la Corte di appello nulla avrebbe sul punto osservato; di qui, la nullità della sentenza impugnata (anche) per difetto assoluto di motivazione sull’eccezione tempestivamente formulata.

Questa doglianza non è consentita.

E’ già stato, infatti, chiarito che i vizi di motivazione indicati dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. non sono mai denunciabili con riferimento alle questioni di diritto, quale è indubbiamente quella in esame, non solo quando la soluzione adottata dal giudice sia giuridicamente corretta, ma anche nel caso contrario, essendo pur sempre, in tale ipotesi, necessario dedurre come motivo di ricorso l’intervenuta violazione di legge, e risultando, pertanto, di per sé irrilevante l’eventuale carenza assoluta di motivazione a sostegno dell’opzione interpretativa accolta (cfr., per tutte, Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027 – 05, nel solco di un orientamento assolutamente pacifico).

14. Il secondo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente deduce violazione dell’art. 62, primo comma, n. 4, cod. pen., nonché mancanza e contraddittorietà della motivazione, per non avere la Corte di appello considerato il valore esiguo della catenina di argento sottratta alla vittima e la pronta restituzione alla stessa del telefono cellulare pure sottrattole, secondo quanto sarebbe stato riferito dalla persona offesa nel corso dell’esame dibattimentale svolto all’udienza del 6 marzo 2022 (cfr. in particolare f. 11), è manifestamente infondato.

14.1. E’ opportuno premettere che il ricorrente ha specificamente indicato l’atto in relazione al quale deduceva il denunciato vizio motivazionale, ovvero il verbale dell’udienza del 6 marzo 2022, non allegato al ricorso, ma presente in atti. In proposito, la giurisprudenza di questa Corte ha già condivisibilmente chiarito che, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 165-bis, comma 2, disp. att. cod. proc. pen., introdotto dall’art. 7, comma 1, d. Igs. 6 febbraio 2018, n. 11, il ricorrente è gravato (non da un onere di materiale allegazione, bensì) da un mero onere di specifica indicazione degli atti il cui contenuto probatorio si assume travisato e dei quali si ritiene necessaria l’allegazione nel fascicolo d’ufficio, materialmente devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 5897 del 03/12/2020, dep. 2021, Cossu, Rv. 280419 – 01; Sez. 1, n. 48422 del 09/09/2019, Novella, Rv. 277796 – 01; Sez. 2, n. 35164 del 08/05/2019, Talamanca, Rv. 276432 – 01).

14.2. Ciò premesso, le doglianze del ricorrente si fondano sul rilievo che, secondo quanto dichiarato in dibattimento dalla vittima della rapina de qua, tra le res rapinate: – la catenina in argento sarebbe stata priva di apprezzabile valore; – il telefono cellulare le sarebbe stato successivamente restituito.

Cionondimeno, la Corte di appello avrebbe disatteso la richiesta di riconoscere all’imputato la circostanza attenuante di cui all’art. 62, primo comma, n. 4, cod. pen., osservando genericamente che «il profitto del reato consistette sia in un telefono cellulare che in una catenina di argento, oggetti il cui valore sommato supera i limiti entro i quali può essere riconosciuta tale attenuante».

14.3. La motivazione fornita sul punto dalla sentenza impugnata è inficiata da un errore di diritto, pur non determinante annullamento, che va, ai sensi dell’art.619 cod. proc. pen., corretto.

Invero, va ribadito il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale, ai fini della configurabilità, in relazione al delitto di rapina (ed anche al delitto di estorsione), della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità di cui all’art. 62, primo comma, n. 4, cod. pen., non è sufficiente che il bene mobile sottratto sia di modestissimo valore economico, occorrendo valutare anche gli effetti dannosi connessi alla lesione della persona contro la quale è stata esercitata la violenza o la minaccia.

Il delitto di rapina, ancorché incluso nel titolo XIII del secondo libro del codice penale, relativo ai delitti contro il patrimonio, ha in genere natura plurioffensiva, in quanto il danno che ne deriva non incide soltanto sulla sfera patrimoniale, ma comprende anche gli aspetti lesivi della libertà fisica o psichica della persona offesa aggredita per la realizzazione del profitto.

Ne discende che, ai fini della configurabilità della circostanza attenuante in esame, non può aversi riguardo unicamente al fatto che il bene materiale sottratto sia di modestissimo valore economico, ma occorre valutare anche gli effetti dannosi connessi al bene personale dell’integrità fisica e/o psichica della parte offesa contro la quale l’agente ha indirizzato l’attività violenta o minacciosa al fine di impossessarsi della cosa.

La predetta circostanza potrà essere ritenuta sussistente, sulla base di un apprezzamento riservato al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità, se immune da vizi logico-giuridici, soltanto nel caso in cui la valutazione complessiva dei pregiudizi arrecati ai beni tutelati risulti di speciale tenuità (Sez. 2, n. 28269 del 31/05/2023, Conte, Rv. 284868 – 01; Sez. 2, n. 50987 del 17/12/2015, Salamone, Rv. 265685 – 01; Sez. 2, n. 19308 del 20/01/2010, Uccello, Rv. 247363 – 01; Sez. 2, n. 21872 del 06/03/2001, Contene, Rv. 218795 – 01).

14.4. Deve, per completezza, evidenziarsi che il riferimento all’intervenuta restituzione del telefono cellulare è, comunque, privo di rilievo.

La giurisprudenza ha, infatti, già chiarito che, ai fini del riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 62, primo comma, n. 4, cod. pen., il momento in cui deve prendersi in considerazione l’entità del danno è quello della consumazione del reato, in quanto il danno non può divenire di speciale tenuità in conseguenza di eventi successivi (Sez. 2, n. 39703 del 13/09/2019, Amirante, Rv. 277709 – 01; Sez. 2, n. 4287 del 28/10/2003, dep. 2004, Quaglia, Rv. 228551 – 01).

14.1. A conclusioni diverse deve giungersi con riferimento agli istituti per i quali è il legislatore a prevedere espressamente la rilevanza di elementi susseguenti al reato.

15. Deve, per completezza, rilevarsi che il Tribunale (a f. 9 della propria sentenza) aveva specificato che le lesioni accertate erano pluriaggravate, e quindi procedibili di ufficio, pur se il capo di imputazione era sulle circostanze aggravanti del tutto silente; nondimeno, dall’esame diretto dell’atto di appello (sempre consentito, ed anzi doveroso, quando si tratti di esaminare e risolvere, anche d’ufficio, questioni di natura processuale in ordine alle quali la Corte di cassazione è giudice anche del fatto: argomenta da Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092 – 01) emerge che l’imputato aveva inequivocabilmente proposto appello solo con riguardo al reato di rapina aggravata cui al capo 1, il che non consente, in relazione a quello di lesioni di cui al capo 2, l’adozione di eventuali statuizioni officiose.

16. Ai sensi dell’art. 173, comma 3, disp. att. cod. proc. pen., vanno enunciati i seguenti principi di diritto:

«ai fini della configurabilità, in relazione al delitto di rapina, della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, non è sufficiente che il bene mobile sottratto sia di modestissimo valore economico, ma occorre valutare anche gli effetti dannosi connessi alla lesione della persona contro la quale è stata esercitata la violenza o la minaccia, attesa la natura plurioffensiva del delitto de quo, che lede non soltanto il patrimonio, ma anche la libertà e l’integrità fisica e morale della persona aggredita per la realizzazione del profitto, con la conseguenza che, solo ove la valutazione complessiva dei pregiudizi arrecati ad entrambi i beni tutelati sia di speciale tenuità, può farsi luogo al riconoscimento della predetta circostanza attenuante»;

«ai fini del riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 62, primo comma, n. 4 cod. pen., il momento in cui deve prendersi in considerazione l’entità del danno é quello della consumazione del reato, in quanto il danno non può divenire di speciale tenuità in conseguenza di eventi successivi».

17. Il rigetto, nel suo complesso, del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616 comma 1, cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 27/06/2024

Il Consigliere estensore                                                                                                      Il Presidente

Sergio Beltrani                                                                                                               Margherita Cassano

Depositato in Cancelleria, Roma, lì 15 novembre 2024.

SENTENZA     

Rispondi