Ricattava una donna per ottenere i suoi nudi, ad inchiodarlo gli screenshot dei messaggi (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 16 gennaio 2023, n. 1358).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE GEREGORIO Eduardo – Presidente –

Dott. ROMANO Michele – Rel. Consigliere –

Dott. PILLA Egle – Consigliere –

Dott. BORRELLI Paola – Consigliere –

Dott. CUOCO Michele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), nato a (OMISSIS) il xx/xx/1983;

avverso la sentenza del 14/06/2021 della Corte di appello di Bari;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere, Dott. Michele Romano;

lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Pasquale Serrao d’Aquino, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

lette le richieste del difensore, avv. Enrico (OMISSIS), che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Bari ha parzialmente riformato, applicando il beneficio della sospensione condizionale della pena, la sentenza del 27 maggio 2019 del Tribunale di Foggia che aveva affermato la penale responsabilità di (OMISSIS) (OMISSIS) per il reato di violenza privata e lo aveva condannato alla pena di giustizia, oltre che al risarcimento del danno, da liquidarsi separatamente, in favore della persona offesa, costituitasi parte civile.

Al (OMISSIS) si contesta di avere costretto (OMISSIS) (OMISSIS) a mostrarsi a seno nudo in occasione di una videochiamata sul sito facebook minacciando alla stessa di pubblicare su internet le registrazioni di altre videochiamate in cui la stessa volontariamente si era mostrata in siffatte condizioni.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso (OMISSIS) (OMISSIS), a mezzo dei suoi difensori, chiedendone l’annullamento ed articolando due motivi.

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza del reato anche per effetto dell’incompleta motivazione in ordine ai motivi ai motivi.

È emerso che tra l’imputato e la persona offesa era intercorsa, sin dal 2008, una relazione sentimentale che, pur essendo solo virtuale, era basata sull’attrazione fisica e che anche dopo la proposizione della querela la vittima non aveva privato l’imputato della «amicizia» sul portale facebook e, pur non potendo più accedere al suo profilo, aveva cercato di contattarlo; inoltre, la persona offesa aveva manifestato dispiacere a seguito dell’affermazione da parte del (OMISSIS) di frequentare un’altra donna.

Sulla base di tali elementi la difesa aveva ipotizzato che la querela fosse stata sporta allo scopo di accusare ingiustamente il (OMISSIS) onde punirlo per avere mostrato indifferenza nei suoi confronti ed avere instaurato una relazione con un’altra donna, ma la Corte di appello ha escluso la validità di tale ipotesi alternativa di ricostruzione dei fatti, senza chiarirne le ragioni.

Il ricorrente evidenzia anche che le dichiarazioni accusatorie della persona offesa sono prive di riscontro e che, in particolare, la pubblicazione su internet delle foto a seno nudo della persona offesa, che questa aveva asserito essere avvenuta sia pure per un limitatissimo periodo di tempo, è rimasta Indimostrata.

Sostiene che essendosi la persona offesa costituita parte civile, l’attendibilità delle sue dichiarazioni andava valutata con maggior rigore, che era invece mancato.

A fronte dei tentativi della persona offesa di ricontattare il (OMISSIS) dopo la querela, la credibilità della querelante era dubbia.

La Corte territoriale aveva affermato che la donna era attendibile perché non si era vergognata dell’accaduto e non aveva taciuto circostanze sulle quali l’appellante aveva fondato i suoi motivi, ma tale argomento, sostiene il ricorrente, non appare decisivo e non offre risposta ai motivi di gravame. La persona offesa si era trovata costretta a rispondere alle domande postele dalle parti per non cadere in contraddizione.

In ogni caso, il comportamento della persona offesa, che aveva cercato di ricontattare il (OMISSIS) per non perderlo, deponeva per la non gravità della minaccia che era stata addebitata all’imputato.

Del resto, la persona offesa aveva ammesso che dopo la videochiamata dell’aprile 2014 il (OMISSIS) non aveva pubblicato su internet le sue foto a seno nudo, cosicché non  poteva ritenersi sussistente il reato di violenza privata, mentre l’episodio del maggio 2014 era stato stralciato ed aveva costituito oggetto di una richiesta di archiviazione.

Alla minaccia dell’imputato dell’aprile 2014 era poi seguita una condotta diversa, in quanto le foto erano state pubblicate su internet in modo che fossero visibili alla sola persona offesa; in mancanza della condotta di pubblicazione delle foto, il reato non poteva ritenersi consumato ed era configurabile un mero tentativo.

Inoltre, occorreva la sussistenza del dolo, mentre il comportamento del (OMISSIS), che aveva rassicurato la vittima dopo che questa aveva iniziato a piangere, dicendole che le foto erano state cancellate e che non sarebbe più successo nulla, portava alla sua esclusione.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la mancanza o manifesta illogicità della motivazione in ordine al diniego della causa di non punibilità di cui all’ 131-bis cod. pen.

Nel caso di specie, considerata la natura non intimidatoria delle richieste rivolte dall’imputato alla persona offesa e l’assenza della condotta che la minaccia era tesa ad ottenere, il fatto andava ritenuto di particolare tenuità e doveva applicarsi la causa di esclusione della pena prevista dalla citata disposizione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il primo motivo del ricorso è inammissibile.

Quanto alla attendibilità della vittima, la Corte di appello ha fornito adeguata motivazione, priva di contraddizioni o manifeste illogicità, evidenziando non solo che le dichiarazioni della persona offesa sono dettagliate e convincenti e che la

stessa è apparsa sincera, tanto da non negare di aver provato per il (OMISSIS) un’attrazione fisica e finanche gelosia, quando egli aveva manifestato interesse per altre donne, ma anche che il suo racconto ha trovato conferma nelle stampe degli screenshot allegate alla denuncia e valutate dal perito come effettivamente provenienti dall’account intestato al (OMISSIS).

Sulla base di tali elementi, essi hanno escluso che la vittima abbia falsamente accusato l’imputato onde vendicarsi.

Non può, quindi, affermarsi che la credibilità della denunciante non sia stata valutata in modo rigoroso.

Quanto alla natura intimidatoria delle frasi rivolte dal (OMISSIS) alla persona offesa, essa è stata affermata dai due giudici del merito osservando che il (OMISSIS) aveva prospettato alla vittima la pubblicazione su internet di foto che la ritraevano a seno nudo laddove lei non avesse esaudito la sua richiesta di partecipare ad un’altra videochiamata esibendogli le sue nudità.

In sostanza, sulla base della ricostruzione del fatto da essi accolta, egli ha minacciato alla donna di offendere il suo pudore e la sua riservatezza portando a conoscenza del pubblico, senza il suo consenso, immagini che la ritraevano nuda e certamente trattasi di una vera e propria minaccia di un male ingiusto che è stata ritenuta idonea a costringere la donna a compiere quanto le veniva richiesto.

Del tutto logicamente la Corte di appello ha osservato che non rileva che successivamente la persona offesa abbia cercato di contattare il (OMISSIS), poiché tale comportamento trova giustificazione nella attrazione che la stessa provava per l’odierno imputato e che la induceva a cercare di conservare il suo rapporto con lui.

Neppure ha rilievo, ai fini della consumazione del delitto di violenza privata, la circostanza che l’imputato non abbia poi attuato la sua minaccia, essendo

sufficiente che la vittima abbia tenuto la condotta alla quale il (OMISSIS) voleva costringerla, ossia partecipare a seno nudo ad un’ulteriore videochiamata.

L’attuazione del male minacciato non è un elemento costitutivo del delitto di violenza privata.

Quanto alla sussistenza  del  dolo, deve osservarsi  che esso del  tutto logicamente è stato ritenuto sussistente dalla Corte di appello sulla base della circostanza che la pubblicazione delle foto su internet da parte del L era stata da quest’ultimo prospettata alla persona offesa quale conseguenza di un suo eventuale rifiuto ad acconsentire alla videochiamata a seno nudo e quindi allo scopo di coartare la sua volontà.

Peraltro, il delitto di violenza privata si consuma nel momento in cui la vittima tiene la condotta alla quale è costretta dalla altrui minaccia e violenza.

Le rassicurazioni del (OMISSIS), secondo la ricostruzione fattuale operata dai giudici del merito, sono intervenute solo dopo che egli aveva raggiunto il suo obiettivo, ossia la partecipazione della vittima ad una videochiamata esponendo il suo seno nudo, e quindi non valgono ad escludere il dolo.

Nel resto, le censure del ricorrente attengono al merito, in quanto volte ad una rivalutazione del fatto o delle prove che è inammissibile in questa sede di legittimità.

Anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile, avendo la Corte di appello fornito adeguata motivazione in ordine alle ragioni per le quali l’offensività del delitto di violenza privata commesso dall’imputato non può essere ritenuta di particolare tenuità, per le particolari modalità del fatto.

All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, ai sensi dell’art. 616, comma 1, proc. pen., al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si reputa equo fissare in euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. n. 196/03 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso il 27/10/2022.

Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.