REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUINTA SEZIONE PENALE
composta da
GRAZIA ROSA ANNA MICCOLI – Presidente
ALFREDO GUARDIANO – Consigliere
EGLE PILLA – Consigliere
PAOLA BORRELLI – Rel. Consigliere
ROSARIA GIORDANO – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
(OMISSIS) (OMISSIS) nato a (OMISSIS) il xx/xx/19xx;
(OMISSIS) (OMISSIS) nato a (OMISSIS) il xx/xx/19xx;
avverso la sentenza del 10/11/2022 della CORTE APPELLO di TORINO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa PAOLA BORRELLI;
lette le conclusioni del Procuratore generale, Dott. TOMASO EPIDENDIO, che ha chiesto rigettarsi i ricorsi;
lette le conclusioni dell’Avv. (OMISSIS) (OMISSIS) per il ricorrente, che ha chiesto, preliminarmente, il rinvio a nuovo ruolo in attesa della decisione della Corte Costituzionale sulle questioni di costituzionalità promosse da vari Tribunali in relazione alla perdurante procedibilità di ufficio del danneggiamento aggravato dall’esposizione del bene danneggiato alla pubblica fede; “nel merito” chiede l’annullamento della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
1. La pronunzia impugnata è stata deliberata dalla Corte di appello di Torino il 10 novembre 2022 che, in parziale riforma della sentenza di condanna del Tribunale di Biella, ha dichiarato non doversi procedere per prescrizione nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS) per la contravvenzione di cui all’art. 4 I. 110 del 1975 rideterminando di conseguenza la pena -, mentre ne ha confermato la condanna quanto ai reati di cui agli artt. 56, 614, contestato ad entrambi, e 635 (aggravato in relazione all’art. 625, comma 1, n. 7 cod. pen.) e 612, comma 2, cod. pen. ascritti al solo (OMISSIS) (OMISSIS).
2. Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati con il ministero del comune difensore, che ha redatto un unico atto.
2.1. Il primo motivo di ricorso lamenta violazione dell’art. 533, comma 2, cod. pen. quanto al calcolo della pena così come rideterminato. La Corte territoriale – si legge nel ricorso – ha rimodulato la pena dopo il proscioglimento per prescrizione in ordine alla contravvenzione, individuando la pena base e poi l’aumento per la continuazione per il reato satellite ascritto al solo (OMISSIS).
L’errore risiederebbe nel fatto che la pena andava rideterminata tenendo conto anche di quella per il reato prescritto, nonché della diminuzione per il tentativo per il reato di cui al capo a) e, prima di tutto, in ossequio al disposto di cui alla disposizione violata, individuando la pena per ciascun reato, per poi determinare quella per la continuazione. Solo così la Corte di merito avrebbe consentito la verifica circa la legalità della pena e si sarebbe adeguata – precisano i ricorrenti – al principio elaborato dalla Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 47127 del 24 giugno 2021.
2.2. Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione dell’art. 635 pen. ed “errata qualificazione della pubblica fede” laddove la Corte di appello ha ritenuto che la zanzariera danneggiata da (OMISSIS) (OMISSIS) fosse esposta alla pubblica fede; ciò sarebbe errato perché, nel caso di specie, il proprietario era presente all’interno dell’abitazione ed esercitava la custodia sulla res.
Dall’auspicata esclusione dell’esposizione alla pubblica fede discenderebbe il proscioglimento dell’imputato perché il fatto, senza tale connotazione, non è più previsto dalla legge come reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili.
1. Il primo motivo di ricorso – in cui sono condensate varie censure che attengono alla commisurazione della pena – è manifestamente infondato.
Va innanzitutto precisato che le censure suddette non sono del tutto organicamente e chiaramente esplicitate, sicché l’impugnativa patisce un difetto di chiarezza che non giova alla sua ammissibilità.
Ad ogni buon conto – cercando di isolare i vari aspetti su cui sembra concentrarsi il ricorso – può affermarsi quanto segue.
1.1. In ordine alla mancata individuazione anche della pena per il reato prescritto, il ricorso è inammissibile laddove non si comprende quale interesse coltivino gli imputati a questo proposito, né tale interesse è chiarito dai ricorrenti, che si limitano ad insistere sull’esistenza di un dovere del Giudice di merito in tal senso.
1.2. I ricorsi sono del pari inammissibili, in quanto manifestamente infondati, quando accennano alla mancata esplicitazione della diminuzione per il tentativo, giacché legittimamente la Corte di appello ha individuato la pena per la fattispecie posta a base del calcolo (ovvero l’unica, riguardando la posizione di (OMISSIS) (OMISSIS) era il minimo e il massimo così come rideterminati ex art. 56 cod. pen. e non ha, invece, specificato la diminuzione per il tentativo sulla pena individuata per la fattispecie consumata.
La tecnica commisurativa della Corte territoriale è, infatti, ineccepibile, come persuasivamente sancito da questa Corte (da ultimo da Sez. 5, n. 40020 del 18/06/2019, Halilovic, Rv. 277528), secondo cui la determinazione della pena nel caso di delitto tentato può essere indifferentemente effettuata con il cosiddetto metodo diretto o sintetico, cioè senza operare la diminuzione sulla pena fissata per la corrispondente ipotesi di delitto consumato, oppure con il metodo bifasico, mediante scissione dei due momenti indicati, fermi restando la necessità del contenimento della riduzione della pena prevista per il reato consumato nei limiti di legge e l’obbligo di dar conto in motivazione della scelta commisurativa.
Ciò posto, indiscusso che la pena individuata per la fattispecie base rientri nella cornice edittale così come ridisegnata ex art. 56 cod. pen., il Collegio osserva altresì che, sulle ragioni dell’individuazione della sanzione, la Corte distrettuale ha adeguatamente motivato, facendo riferimento sia alla personalità dei prevenuti (gravati da alcuni precedenti), sia alle caratteristiche del fatto.
1.3. Quanto alla mancata individuazione della pena stabilita per ciascun reato, prima di procedere alla quantificazione della pena base e di quelle per i singoli reati satellite, ex 533, comma 2, cod. proc. pen., il ricorso – che, evidentemente, in questo riguarda solo la posizione di (omissis) (omissis) – è manifestamente infondato giacché è sufficiente, per soddisfare l’onere motivazionale imposto da Sezioni Unite Pizzone (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021 Rv. 282269) – evocata proprio dal ricorrente – l’individuazione della pena base e di quelle in aumento per il reato satellite, operazione che, nella specie, è stata effettuata.
Proprio a quest’ultimo riguardo, va, tuttavia, osservato che in sentenza non vi è una precisa individuazione del quantum di aumento ex art. 81, comma 2, cod. pen. per ciascuna delle due fattispecie confluite nel capo e) della rubrica, cui ha fatto generico riferimento la Corte di appello quando – a correzione di un’omissione del Giudice di prime cure – ha individuato un aumento omnibus di un mese di reclusione, sia per il danneggiamento che per la minaccia aggravata.
Tale vizio, tuttavia, contrariamente a quanto pure sembrerebbe sostenere il ricorrente, non deve indurre a dubitare della correttezza del trattamento sanzionatorio.
La sentenza Pizzone, infatti, ha valorizzato l’esegesi secondo la quale è ammissibile il ricorso per cassazione contro la sentenza che non abbia specificato il quantum dei singoli aumenti inflitti a titolo di continuazione in relazione a ciascun reato satellite, a condizione che venga dedotto un interesse concreto ed attuale a sostegno della doglianza (Sez. 2, n. 26011 del 11/04/2019, Cuocei, Rv. 276117; Sez. 3, n. 550 del 11/09/2019, dep. 2020, Pettè, Rv 278279).
Tale lettura è condivisibile – hanno tuttavia sostenuto le Sezioni Unite – «quando la censura si concreti nella sola doglianza della mancata indicazione dei singoli aumenti di pena, venendo tuttavia fatta implicita o esplicita acquiescenza alla pena come determinata nel suo complesso (come nel caso della sentenza Pettè). Ma quando, all’inverso, il rilievo è strumentale alla contestazione della assenza della motivazione posta a sostegno del giudizio di congruità della pena, o della sua contraddittorietà o manifesta illogicità, non è possibile sostenere che occorre l’espiicitazione da parte dell’impugnante di uno specifico interesse perché a/l’evidenza quest’interesse ricorre e si concreta nella determinazione di un più favorevole trattamento sanzionatorio».
Ebbene, il ricorso non contesta specificamente la ragionevolezza della quantificazione complessiva della pena – peraltro attestata su un livello estremamente contenuto, sia quanto alla pena base del calcolo che a quella per i reati satellite – sicché può dirsi che (OMISSIS) (OMISSIS) non sia animato dal necessario interesse a ricorrere.
2. Con il secondo motivo di ricorso, (OMISSIS) (OMISSIS) lamenta la mancata esclusione dell’esposizione alla pubblica fede in relazione al bene oggetto del reato di danneggiamento sub e), esclusione che, nell’ottica della parte, sarebbe stata il preludio al proscioglimento perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato in relazione.
Su questo motivo di ricorso si innestano le argomentazioni sviluppate nelle conclusioni scritte del difensore a proposito dei giudizi di costituzionalità promossi in relazione al d.lgs 150 del 2022 ed al mancato inserimento del danneggiamento su beni esposti alla pubblica fede nel novero dei reati procedibili a querela di parte, a differenza del furto ugualmente circostanziato.
Orbene, il Collegio ritiene che il ricorso sia inammissibile e che non fosse necessario attendere l’esito dei giudizi di costituzionalità, in quanto il tema della perdurante procedibilità a querela del delitto di danneggiamento di beni esposti alla pubblica fede pur dopo l’entrata in vigore del d.lgs 150 del 2022 non era agitato nel ricorso, che sosteneva non già la tesi dell’improcedibilità (in effetti inedito), ma quella dell’irrilevanza penale del fatto, postulando, allo scopo, la necessità di escludere la circostanza aggravante in discorso, oggi elemento costitutivo del reato di cui all’art. 635 cod. pen. E’, quindi, rispetto a questo tema che va valutata l’ammissibilità del ricorso.
Valutazione che deve avere esito negativo, dal momento che il ricorso, così inquadrato, non si confronta con la seconda delle rationes decidendi che hanno indotto la Corte di appello a disattendere la medesima questione, vale a dire che, oltre all’essere stato realizzato su un bene ritenuto esposto alla pubblica fede, il reato era stato commesso con minaccia alla persona, evenienza che, indipendentemente dalla prima, determina la perdurante rilevanza penale del fatto di danneggiamento.
Su tale giustificazione il ricorso non si è soffermato, il che rende anche superfluo attardarsi sull’ulteriore tema, su cui effettivamente vi è contrasto in seno alla giurisprudenza di questa Corte, della possibilità di ritenere l’esposizione alla pubblica fede della porta di abitazione laddove il proprietario si trovi, come in questo caso, al suo interno.
3. All’inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna di ciascuna parte ricorrente, ai sensi dell’art. 616 proc. pen. (come modificato ex I. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, così equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere i proponenti in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. 13/6/2000 n.186).
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 18/5/2023.
Depositato in Cancelleria Roma, lì 16 giugno 2023.