Rifredi, operaio morì travolto dal treno mentre stava eseguendo dei lavori sui binarti. I giudici confermano la condanna (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 8 gennaio 2025, n. 538).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAMACCI Luca – Presidente – 

Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere –

Dott. GALTERIO Donatella – Consigliere –

Dott. MENGONI Enrico – Relatore –

Dott. ANDROINO Alessandro Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da

Torre Francesco, nato a (omissis) (omissis) (xx) il x/x/19xx;

avverso la sentenza del 17/10/2023 della Corte di appello di Firenze;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

sentita la relazione svolta dal consigliere Dott. Enrico Mengoni;

udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa Cinzia Parasporo, che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza;

udite le conclusioni del difensore del ricorrente, Avv. (omissis) (omissis), che ha chiesto l’accoglimento del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 17/10/2023, la Corte di appello di Firenze, pronunciandosi in sede di rinvio, rideterminava nella misura del dispositivo la pena irrogata dal locale Tribunale, con sentenza dell’8/5/2017, nei confronti di Carlo Manetti, Alessandro Bartoloni, Paolo Ceccherini e Francesco Torre, tutti imputati – nelle rispettive qualità – del delitto di omicidio colposo che aveva cagionato la morte di Domenico Ricco.

2. Propone ricorso per cassazione il Torre, deducendo i seguenti motivi: – mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione sulla circostanza decisiva dell’esistenza di un accordo tra il ricorrente ed i manutentori circa la protezione del cantiere.

La Corte di appello, chiamata dalla sentenza rescindente a verificare l’effettiva esistenza di un accordo tra il Torre e la squadra, avrebbe concluso in termini affermativi sulla base delle sole parole del teste Gheri, dalle quali, tuttavia, non emergerebbe affatto tale accordo, ma soltanto una richiesta generica rivolta al dirigente del movimento della stazione.

In particolare (il ricorso riporta in stralcio alcune delle dichiarazioni, poi allegate per intero), il teste avrebbe impiegato espressioni generiche (“appoggiarsi” a Torre, la richiesta di una specie di “scorta”), che non darebbero conto di alcuna prova di accordo nel senso individuato in sentenza, ossia che Torre avrebbe “protetto” la squadra dall’eventuale arrivo di treni. Le parole di Gheri, peraltro, non avrebbero trovato alcuna conferma, neppure dal compagno Ceccherini.

Sotto altro profilo, si evidenzia l’incompatibilità logica di questo indimostrato accordo con la circostanza, invece pacifica, che il Ceccherini – giunto al binario con Gheri e Ricco – avrebbe telefonato al Torre soltanto per la questione tecnica dello scambio, non anche per sapere se stesse sopraggiungendo un treno.

Al ricorrente, peraltro, non si contesterebbe di non aver chiamato la squadra per avvertirli dell’arrivo del convoglio, ma – diversamente – di non aver comunicato a Ceccherini, che lo aveva cercato per tutt’altro, del sopraggiungere di un convoglio. Il fatto che il capo squadra Ceccherini non avesse chiesto nulla a Torre su questo profilo, dunque, risulterebbe in insanabile contrasto con il presunto accordo raggiunto con il ricorrente.

Infine sul punto, il motivo evidenzia che Gheri, in posizione analoga a quella di Ceccherini (definitivamente condannato), avrebbe avuto ogni interesse a scaricare su Torre ogni responsabilità; – manifesta illogicità della motivazione circa la violazione dell’art. 14 delle istruzioni di protezione dei cantieri.

La sentenza sarebbe illogica anche laddove addebiterebbe al Torre questa violazione, in quanto la protezione in esame costituirebbe onere esclusivo della squadra dei manutentori e non del ricorrente (pacificamente privo di una posizione di garanzia). Ne consegue che, anche a voler ritenere provato l’accordo di cui al primo motivo, questo non avrebbe reso legittimo il comportamento della squadra nei termini in cui era stato tenuto; – manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla mancanza dell’uomo in cabina”.

La Corte di appello, per un verso, avrebbe riconosciuto a Torre le circostanze attenuanti generiche perché, al momento del fatto, impegnato in attività di rilievo e, per altro verso, avrebbe giustificato l’assenza dell’uomo in cabina” con la scarsità del traffico ferroviario.

Dalla deposizione Moncini, valorizzata nella sentenza rescindente, risulterebbe inoltre che la presenza di questa figura avverrebbe nella normalità dei casi, per il fatto che il dirigente del movimento sarebbe di solito impegnato in altre mansioni; – manifesta illogicità della motivazione quanto alla consapevolezza, in capo al ricorrente, della presenza dei manutentori al deviatoio.

La sentenza avrebbe affermato questa circostanza, che, tuttavia, non inciderebbe affatto sul contenuto dell’obbligo ipotizzato. Tale conoscenza, infatti, non avrebbe potuto generare alcun ulteriore dovere di protezione in capo all’imputato, specie nei confronti di lavoratori esperti che avevano deciso autonomamente di operare senza chiedere l’interruzione della linea sul binario (e senza che Torre potesse o dovesse ingerirsi nelle loro competenze). Ne deriva che il ricorrente ben avrebbe potuto fare legittimo affidamento sul fatto che una simile modalità di intervento fosse stata valutata dalla squadra, così da escludere ogni responsabilità.

Ancora sul punto, si censura il travisamento della prova con riguardo alle parole del teste Gori, che avrebbe detto che la squadra non sarebbe andata al binario, ma al piano inferiore rispetto alla cabina di movimento, ossia alla “sala relè”.

Ulteriore travisamento, poi, riguarderebbe le parole di Gheri: aver saputo da Ceccherini – che aveva parlato con Torre – di spostarsi perché era in arrivo un treno non avrebbe nulla a che vedere con la prova della consapevolezza del ricorrente del punto in cui gli operanti si trovavano, che non avrebbe ricevuto alcuna conferma (risultando accertata, anzi, la circostanza contraria); – infine, si contesta l’erronea applicazione dell’art. 41 cod. pen.

La Corte avrebbe affermato che il comportamento imprudente della squadra non costituirebbe causa esclusiva dell’evento, senza valutare l’argomento difensivo in forza del quale la condotta del Ceccherini (e dell’intero gruppo di manutentori) avrebbe invece introdotto un fattore di rischio aggiuntivo del tutto eccentrico rispetto all’area di rischio tipica: la squadra, infatti, avrebbe deciso la liberazione del binario “su avvistamento”, dunque senza interruzione della linea, nonostante le condizioni di tempo e di luogo non lo consentissero e senza adottare alcuna cautela, al punto che, conosciuto l’arrivo di un convoglio, gli operai non avrebbero abbandonato il fascio di binari ma avrebbero atteso ben due minuti sulla sede ferroviaria medesima, poi spostandosi su un altro a circolazione attiva. Tutte queste condotte, totalmente estranee all’agire del ricorrente, avrebbero dunque generato un fattore di rischio aggiuntivo idoneo ad escludere ogni responsabilità in capo al Torre.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso risulta manifestamente infondato.

4. L’intera impugnazione ruota intorno ad un elemento invero decisivo nella vicenda, non a caso posto come primo argomento nella sentenza rescindente di questa Corte, in quella rescissoria qui impugnata e nel ricorso per cassazione: la prova di un effettivo accordo tra il Torre – dirigente del movimento della stazione di Firenze Rifredi – e la squadra di manutentori, tale da far sorgere sul primo una posizione di garanzia di fatto, in (pacifica) assenza di un analogo obbligo per fonte normativa.

4.1. Ebbene, con riguardo a questo elemento invero fondamentale la motivazione della sentenza risulta immune dai vizi contestati, non emergendo alcuna illogicità manifesta né travisamento della prova, ma – diversamente – una più che solida ed adeguata lettura delle emergenze processuali, con pieno rispetto dei principi fissati nella sentenza rescindente.

5. Con particolare riguardo alle dichiarazioni del teste Gheri, il primo motivo di ricorso sostiene che le stesse (in parte trascritte, pagg. 8-10) non darebbero conto di alcun accordo espresso in forza del quale Torre avrebbe assicurato la segnalazione di eventuali treni in arrivo: al più, risulterebbe una generica richiesta rivolta al direttore del movimento, fondata su una altrettanto generica prassi – non codificata e da rinnovare volta per volta – secondo cui la squadra di manutentori si sarebbe “appoggiata un pò” al direttore stesso, ricevendone “una specie di scorta”. Un’affermazione, dunque, ritenuta fumosa, e peraltro riferita soltanto dallo stesso testimone.

5.1. Ebbene, questa censura risulta inammissibile, in quanto, dietro la parvenza della manifesta illogicità della motivazione, tende ad ottenere in questa sede una rivalutazione in fatto della prova dichiarativa, evidentemente non consentita in sede di legittimità.

Le parole del teste, inoltre, hanno ricevuto in sentenza una lettura del tutto piana e coerente con il loro tenore, affermando espressamente Gheri che “gliel’avevamo chiesto (a Torre, n.d.e.), cioè di informarci dei treni che sopraggiungevano (…), visto che in stazione è la persona che fa transitare i treni. (…) Ci eravamo messi d’accordo con il dirigente che doveva parlarci dei treni (…) nel senso dirci i treni che sarebbero transitati in quel luogo”.

5.2. In forza di queste parole, la Corte di appello ha quindi ritenuto provato l’accordo tra il dirigente Torre e la squadra, il cui oggetto era, per l’appunto, la tempestiva comunicazione circa l’eventuale sopraggiungere di treni, quel che il ricorrente ben poteva verificare in ogni momento dal pannello elettronico presente nella propria cabina.

La sentenza, ancora, ha valutato che tale “protezione” del dirigente del movimento sulla squadra operativa non era regolata da norma ma oggetto di una prassi, e proprio in ragione di ciò – si ribadisce – ha escluso la presenza di una formale posizione di garanzia in capo al primo; questa circostanza, tuttavia, è stata adeguatamente ritenuta recessiva rispetto alla situazione di fatto emersa e riscontrata nel dibattimento con solida motivazione, ossia il già richiamato accordo, assoluto architrave del processo, che aveva fatto sorgere nello stesso ricorrente un obbligo di tutela nei confronti dei componenti della squadra.

6. Ancora nel primo motivo, poi, il ricorso censura il difetto di motivazione con riguardo ad una presunta “incompatibilità logica” della sentenza: ammettere l’esistenza del più volte citato accordo sarebbe incompatibile con la circostanza, definita pacifica, che la telefonata fatta da Ceccherini a Torre prima di fare ingresso sui binari avrebbe avuto ad oggetto soltanto il problema tecnico che si cercava di risolvere (relativo ad uno scambio) e non il sopraggiungere di un treno, con riguardo al quale il primo non avrebbe chiesto nulla.

6.1. Ebbene, la Corte non riscontra alcuna “incompatibilità logica” tra i due elementi.

Le sentenze di merito hanno ricostruito lo sviluppo della vicenda in termini non contestati, così accertando che la squadra di manutentori:

a) era stata chiamata dal Torre per un problema relativo ad uno scambio;

b) aveva cercato di risolvere il problema dalla cabina di questi, senza però riuscirvi;

c) pertanto, aveva deciso di operare direttamente sui binari, e Ceccherini (che della squadra faceva parte insieme a Gheri ed al defunto Ricco) aveva quindi relazionato Torre.

Date queste pacifiche premesse, risulta allora evidente che la conversazione tra i due aveva avuto ad oggetto proprio il guasto da risolvere, che costituiva l’unico motivo per il quale la squadra prima era stata chiamata, poi aveva operato sui binari; l’eventuale comunicazione circa il sopraggiungere di treni, pertanto, costituiva un “di più”, oggetto di un impegno assunto di fatto dal ricorrente, ma evidentemente accessorio rispetto al tenore della telefonata, di natura tecnica.

Questa conclusione trova adeguata e rigorosa conferma ancora nella sentenza impugnata, nella quale si afferma che era stato lo stesso Torre ad ammettere di aver ricevuto una telefonata da Ceccherini, alle 23.23, “nella quale questi gli chiedeva di effettuare la manovra per verificare il funzionamento dello scambio n. 5”.

Il ricorrente, peraltro, nell’occasione aveva risposto di non poter effettuare lo scambio medesimo a causa del sopraggiungere di un treno merci sul sesto binario, così però tacendo del contemporaneo arrivo sul settimo binario di un treno in transito, che di lì a poco avrebbe travolto il Ricco.

6.2. In forza di ciò, il fatto che Ceccherini, telefonando al ricorrente, non si fosse informato sulla circolazione dei treni sul binario non costituisce un vulnus della sentenza, laddove questa ha accertato l’esistenza di un accordo tra Torre e la squadra nei termini citati: i Giudici di merito hanno adeguatamente provato che la telefonata era funzionale alla verifica del corretto intervento sul campo (e cioè se lo scambio fosse nuovamente azionabile dalla cabina del direttore di movimento), e che tale verifica non era stata possibile in quanto il ricorrente aveva riscontrato l’arrivo di un treno, senza tuttavia colposamente comunicare il contemporaneo sopraggiungere di un altro convoglio.

6.3. Concludendo sul punto, il ricorso risulta poi inammissibile quanto all’ultima considerazione (pagg. 14-15), secondo cui il Gheri – in posizione analoga a quella del Ceccherini, definitivamente condannato – avrebbe avuto ogni interesse ad addebitare le responsabilità del decesso al Torre: questa affermazione, infatti, costituisce una mera illazione e non può trovare ingresso nel giudizio di legittimità.

7. Risulta manifestamente infondata, di seguito, anche l’ulteriore censura proposta, con la quale si denuncia la manifesta illogicità della motivazione circa la violazione dell’art. 14 delle Istruzioni per la protezione dei cantieri.

7.1. Non può essere accolta, infatti, la tesi secondo cui, anche a ritenere provato l’accordo “di protezione” tra Torre e la squadra, la responsabilità per l’evento sarebbe da addebitare esclusivamente a quest’ultima e al suo preposto Ceccherini per la palese violazione delle norme sulla protezione del cantiere (in particolare, aver deciso di operare a circolazione attiva, dunque senza chiedere l’interruzione della linea, in ore serali, con scarsa visibilità e senza apporre segnali).

Questa tesi risulta superata in sentenza proprio dall’accertamento in fatto che sostiene l’intera decisione, ossia l’accordo tra il ricorrente e i manutentori: muovendo da tale dato, infatti, le decisioni di merito hanno implicitamente ritenuto recessivo il successivo agire dei componenti della squadra, costituendo entrambi i comportamenti – l’imprudente allestimento del cantiere e l’omessa comunicazione dell’arrivo del treno – fattori tra loro indipendenti, ma evidentemente collegati, che hanno contribuito a causare l’evento morte.

D’altronde, si ricava per implicito dalla sentenza impugnata, il Torre non avrebbe avuto alcuna ragione di assumere l’impegno di “proteggere” la squadra, nei termini più volte indicati, qualora fosse stato convinto che il cantiere sarebbe stato allestito nel pieno rispetto della normativa antinfortunistica.

8. Il ricorso, ancora, non merita accoglimento nella parte in cui contesta il vizio di motivazione con riguardo all’assenza del “quarto uomo” (componente della squadra) nella cabina del direttore di manutenzione Torre; in particolare, la sentenza non denota alcuna illogicità, tantomeno manifesta, laddove ribadisce le circostanze attenuanti generiche già riconosciute all’imputato in ragione del “concomitante impegno in attività di rilievo”, al momento del fatto di reato, ed al contempo nega la presenza dell’uomo in cabina” a causa dello scarso traffico ferroviario in corso.

8.1. A ciò si aggiunga che la tematica ha costituito oggetto di motivazione, con argomento più che adeguato e sotto due distinti profili.

8.1.1. In primo luogo, la Corte di appello ha sottolineato che la figura dell’uomo in cabina” era stata delineata dal teste (omissis), che aveva riferito della prassi di posizionare tale soggetto a supporto della squadra, senza tuttavia poter riferire nulla sul caso specifico (nel quale pacificamente l'”uomo” in cabina non c’era); prassi che, per il teste Gori (capostazione presente sul posto con Torre e tale (omissis), estraneo al processo), costituiva “un problema per noi”, in quanto il manutentore in cabina era soltanto “un ospite” e non sempre il capo reparto era d’accordo sul fatto che intervenisse. Muovendo da queste considerazioni, la sentenza ha quindi concluso – con argomento privo di illogicità manifesta – che nella vicenda in oggetto questa figura non era stata presente in ragione dello scarso traffico ferroviario al momento.

8.1.2. Sotto diverso profilo, la Corte di appello ha poi escluso qualunque incompatibilità logica tra le ragioni delle circostanze attenuanti generiche (i concomitanti impegni del Torre) e quelle poste a fondamento dell’assenza dell'”uomo in cabina” (lo scarso traffico ferroviario). Pronunciandosi sul punto, il Collegio ha rilevato che l’operazione di instradamento dei carri cantiere, che il ricorrente stava compiendo quella sera, non creava alcuna interferenza con il lavoro da eseguire sul deviatoio n. 5, in quanto – per come riferito dallo stesso Torre – la movimentazione aveva impegnato esclusivamente il primo ed il secondo binario.

9. La motivazione della sentenza, poi, risulta priva di vizi anche con riguardo alla censura – ampiamente sviluppata (pagg. 18-25) – circa la consapevolezza o meno del ricorrente della presenza della squadra sul deviatoio n. 5.

9.1. In primo luogo, la questione si sviluppa su inammissibili termini di merito, con il ripetuto richiamo a deposizioni testimoniali dalle quali si ricaverebbe che, per quanto riferito al Torre, la squadra – lasciando la cabina – non sarebbe andata sui binari, ma nella sala relè.

9.2. Questa tesi, peraltro, risulta del tutto infondata, sotto un duplice aspetto.

9.2.1. Per un verso, il più volte richiamato ed accertato accordo “di protezione”, di fatto raggiunto tra Torre e la squadra, rendeva evidente la piena consapevolezza, in capo al primo, che i tre manutentori sarebbero andati ad operare sui binari, proprio in corrispondenza del deviatoio n. 5, così cercando di attivare manualmente quello scambio che non si riusciva ad azionare in via elettrica dalla cabina del dirigente del movimento.

9.2.2. Per altro verso, tale consapevolezza è stata ampiamente riscontrata in sentenza in forza della telefonata (anch’essa già menzionata) che Ceccherini aveva rivolto al Torre, ed il cui tenore, non contestato, si giustifica soltanto con l’avvenuto intervento degli operai sul binario, sulla loro perdurante presenza sul posto e sulla piena conoscenza di ciò in capo al ricorrente: la richiesta al Torre di “provare a manovrare lo scambio”, infatti, presupponeva che la squadra avesse già operato sul binario e si trovasse ancora lì per verificare la correttezza del proprio intervento, e dunque la ristabilita possibilità di azionare lo scambio dalla cabina dove si trovava il Torre. Tanto che, come già riportato, questi aveva risposto di non poter effettuare al momento la prova per il sopraggiungere di un treno, senza tuttavia avvedersi del concomitante arrivo di un altro convoglio sul binario accanto.

9.3. Infine circa la consapevolezza della presenza della squadra sul binario, non può essere ammesso neppure l’argomento che il ricorso pone come incipit della censura, perché di puro merito: ossia, il fatto che, quand’anche il ricorrente avesse saputo dove si trovavano i manutentori, non avrebbe dovuto esercitare alcun ulteriore obbligo di protezione, ben potendo fare legittimo affidamento sul fatto che l’intervento era stato deciso in autonomia dalla squadra, composta da operai esperti che certamente avevano verificato tutti i possibili rischi di un’azione sui binari senza interruzione della linea.

10. Il motivo, peraltro, è strettamente legato al successivo, del pari manifestamente infondato, che contesta l’erronea applicazione della legge penale ed il vizio di motivazione con riguardo al tema dell’interruzione del nesso causale; in particolare, la censura non può essere accolta per il carattere ancora evidentemente fattuale, proprio della sola fase di merito, con il quale si sostiene che la condotta colposa del Ceccherini e della squadra nell’allestimento del cantiere (dettagliatamente richiamata alle pagg. 28-29) avrebbe introdotto un fattore di rischio aggiuntivo del tutto eccentrico rispetto all’area del rischio tipica.

10.1. Anche sul punto, peraltro, la Corte di appello si è pronunciata con la sentenza qui in esame, sviluppando una motivazione ancora del tutto congrua, conforme alla costante giurisprudenza di legittimità e priva di illogicità manifesta; come tale, dunque, non censurabile.

10.2. In particolare, è stato sottolineato che la condotta tenuta dal Ceccherini, definitivamente accertata in termini di responsabilità penale, non aveva introdotto nella eziologia della vicenda alcun elemento di rischio nuovo o, comunque, radicalmente eccentrico rispetto alla posizione di garanzia che il ricorrente aveva di fatto assunto.

La sentenza di appello ha quindi affermato che il decesso del Ricco doveva essere addebitato anche al comportamento omissivo colposo tenuto dal Torre, il quale – non comunicando alla squadra il sopraggiungere di quel treno che avrebbe poi investito il manutentore – aveva scaturito una linea causale conclusasi con l’evento letale, che non poteva ritenersi alterata, né tantomeno interrotta, dal mancato rispetto della disciplina antinfortunistica in sede di allestimento del cantiere.

D’altronde, l’accertato accordo “di protezione”, vero punto nodale del processo, nasceva proprio sul presupposto – evidentemente conosciuto al ricorrente – che l’intervento sarebbe stato eseguito sui binari, in un punto di limitata visibilità, in ore serali e con chiaro rischio per gli operatori.

In senso contrario, peraltro, non rileva il fatto che, venuti a sapere dell’arrivo del convoglio, gli operai non avessero abbandonato i binari, attendendo per ben due minuti sulla stessa sede, senza mettersi in sicurezza; un simile comportamento, infatti, ha trovato giustificazione – per come ampiamente motivato in sentenza – proprio nel comportamento addebitato al ricorrente, che aveva comunicato al Ceccherini, dunque all’intera squadra, l’imminente arrivo di un treno ma non di quello che, in senso contrario, aveva di lì a poco causato il decesso del Ricco.

11. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.

Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro tremila.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa della ammende.

Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2024.

Depositato in Cancelleria, oggi 8 gennaio 2025.

SENTENZA – copia non ufficiale -.

Notizia apparsa sul quotidiano de FirenzeToday

Stante l’interesse della sentenza, a quo, attinente al mondo del lavoro, in particolar modo alle morti sul posto di lavoro, si ritiene di non oscurare i dati identificativi delle persone coinvolte in tale statuizione. Qualora, la persona menzionata reclami l’oscurità dei suoi dati, ce lo può comunicare tramite e-mail, che provvederemo al soddisfo.