Rubano delle biciclette custodite in diversi garages per poi venderle. Condannati per furto in luogo di privata dimora (Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 7 marzo 2023, n. 9466).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOVERE Salvatore – Presidente –

Dott. CAPPELLO Gabriella – Rel. Consigliere –

Dott. RANALDI Alessandro – Consigliere –

Dott. DAWAN Daniela – Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) Mattia, nato a (OMISSIS) il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 21/09/2021 della Corte appello di Bologna;

visto glia atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

svolta la relazione dal Consigliere Dott.ssa Gabriella CAPPELLO;

il Procuratore generale, in persona del sostituto Dott. Simone PERELLI, ha depositato conclusioni scritte chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende;

l’avv. Gianluca (OMISSIS), per (OMISSIS) ha depositato memoria scritta, con la quale ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al fine di provvedere alla richiesta di applicazione  di una pena sostitutiva e, segnatamente, il lavoro di pubblica utilità ovvero la detenzione domiciliare, chiedendo altresì che, all’indomani della nuova formulazione dell’art. 131 bis, cod. pen. di cui al decreto legislativo n. 150/2022, entrato in vigore il 30 dicembre 2022, che ha esteso la applicabilità della causa di non punibilità di cui sopra a reati puniti con una pena minima non superiore ad anni 2, venga dichiarata la esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto (precisando che all’epoca del commesso reato la violazione di cui all’art. 624 bis, cod. pen. era punita con la pena da anni uno ad anni sei di reclusione).

Ritenuto in fatto

1. La Corte d’appello di Bologna ha confermato, limitatamente all’imputato (OMISSIS) Mattia, la sentenza del Tribunale di Forlì, con la quale costui era stato condannato per il reato di furto in luogo di privata dimora in continuazione e in concorso con (OMISSIS) Georgia, separatamente giudicata, consistito nell’essersi i due impossessati di beni custoditi in garages condominiali rispettivamente di pertinenza delle abitazioni di (OMISSIS) Tiziana e (OMISSIS) Marco (in Forlì, il 14 gennaio 2015).

2. La difesa dell’imputato ha proposto ricorso, formulando due motivi, con quali ha dedotto la violazione di norme processuali, stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, con riferimento alla asserita, omessa verifica della credibilità della chiamante in correità, (OMISSIS) Georgia, e con riguardo alla utilizzazione delle dichiarazioni rese dall’imputato a verbale di interrogatorio, siccome richiamanti quelle in precedenza rese senza le garanzie di legge.

3. Il Procuratore generale, in persona del sostituto dott. Simone PERELLI, ha rassegnato sue conclusioni scritte, con le quali ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della Cassa delle ammende.

4. La difesa dell’imputato ha depositato memoria scritta, con la quale ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al fine di provvedere alla richiesta di applicazione di una pena sostitutiva e, segnatamente, il lavoro di pubblica utilità ovvero la detenzione domiciliare, chiedendo altresì che, all’indomani della nuova formulazione dell’art. 131 bis, pen., di cui al d. lgs. n. 150/2022, entrato in vigore il 30 dicembre 2022, che ha esteso l’applicabilità della causa di non punibilità di cui sopra a reati puniti con una pena minima non superiore ad anni 2, venga dichiarata la non punibilità per particolare tenuità del fatto (precisando che all’epoca del commesso reato la violazione di cui all’art. 624 bis, cod. pen. era punita con la pena da uno a sei anni di reclusione).

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile.

2. La Corte di merito nell’esaminare la seconda doglianza veicolata con l’appello (riprodotta nel  primo  motivo  di  ricorso),  ha  ritenuto  che  le  dichiarazioni  della (OMISSIS) (pienamente accusatorie rispetto ai fatti predatori attribuiti all’imputato in concorso), sia pur non sempre precise e puntuali, avessero offerto elementi a conferma del fatto che la donna si era trovata con il (OMISSIS) allorquando i due avevano sottratto delle biciclette da un garage in Forlì, per rivenderle per strada a una donna musulmana e a un cittadino rumeno.

Il che era pienamente coerente, peraltro, con le ampie dichiarazioni confessorie dell’imputato, il quale aveva reso interrogatorio alla PG delegata il 11/3/2015, con l’assistenza del difensore di fiducia, ricevendo tutti gli avvertimenti di rito; in quella sede, il (OMISSIS) aveva confermato, dopo lettura, ogni dichiarazione dal medesimo in precedenza resa, a nulla rilevando che, in luogo della ripetizione delle dichiarazioni ampiamente confessorie già rese, si fosse limitato a richiamarle e confermarle (“le cose sono andate esattamente così”, come riportato a pag. 6 delle sentenza impugnata).

Sul punto, a fronte della specifica doglianza difensiva (riproposta con il secondo motivo di ricorso), la Corte territoriale ha rilevato che l’eventuale nullità delle dichiarazioni rese senza le garanzie di legge non si estende agli atti istruttori ritualmente assunti, nei quali il soggetto precedentemente sentito confermi le precedenti dichiarazioni, sia pur richiamandole per relationem, posto che una cosa è la nullità dell’interrogatorio, altra l’autonomia concettuale e narrativa del testo riprodotto nell’atto, presupposto che giustifica la possibilità che quella narrazione dei fatti sia poi richiamata dal dichiarante in altra sede.

3. I motivi sono manifestamente infondati.

È vero che i temi devoluti ripropongono questioni di diritto, sub specie di violazione di legge processuale e che, pertanto, essendo incontroverso il fatto, il requisito della specificità risulta soddisfatto anche in caso di riproposizione della medesima questione interpretativa – anche senza elementi di novità – sempre che risulti pertinente ai contenuti della decisione impugnata e miri a una rivalutazione della “quaestio iuris” da parte del giudice di grado superiore (sez. 1, n. 20272 del 16/6/2020, Bellocco, Rv. 279369, con riferimento al giudizio di appello).

Ma, nella specie, deve pure considerarsi che la Corte del merito ha puntualmente disatteso le doglianze in termini perfettamente coerenti con i principi più volti ribaditi in sede di legittimità.

Da un lato, infatti, ha spiegato perché ha ritenuto l’attendibilità del riferito accusatorio e la credibilità della dichiarante, richiamando a riscontro le stesse dichiarazioni conformi dell’imputato.

E, sul punto, deve rilevarsi la inammissibilità del ricorso fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (sez. 2, n. 42046 del 17/7/2019, Boutartour, Rv. 277710).

Il ricorrente, infatti, asserisce un difetto motivazionale, palesemente smentito però dal tenore delle ragioni esposte nel documento impugnato.

Quanto all’altro profilo, invece, la questione riproposta in questa sede è stata decisa dai giudici territoriali in maniera del tutto coerente con quello che deve considerarsi indirizzo ermeneutico consolidato.

È già stato più volte chiarito, infatti, che la nullità delle dichiarazioni rese senza le previste garanzie da soggetto che doveva sin dall’inizio essere sentito quale imputato non si estende al successivo interrogatorio nel quale il medesimo soggetto, nel rispetto delle regole procedurali, le conferma, richiamandole per relationem, in quanto, non sussistendo connessione essenziale tra i vari interrogatori, non è applicabile la regola dettata dall’art. 185, cod. proc. pen., sulla comunicazione della nullità di un atto a quelli successivi dipendenti e la nullità di uno di essi non fa venire meno il testo linguistico incorporato in questo, che può essere richiamato successivamente dallo stesso soggetto (sez. 1, n. 46566 del 21/2/2017, M., Rv. 271230; sez. 2, n. 39716, del 12/7/2018, Cicciù, Rv. 273818, in cui il medesimo principio è stato affermato con riferimento alla posizione del soggetto originariamente indagato, la cui posizione sia poi stata archiviata, con contestuale assunzione della veste di parte offesa, che renda dichiarazioni etero-accusatorie, svolto senza le previste garanzie, entrambe richiamate nella sentenza impugnata che attualizzano e riprendono quanto affermato anche in sez. 1, n. 8401 del 10/12/2008, dep. 2009, Martello, Rv. 242969; n. 46274 del 7/11/2007, Ditta, Rv. 238487).

Trattasi di principi reiterati e ripresi anche più di recente: si è, per esempio, affermato, con riferimento all’incidente probatorio, che esso prescinde dai risultati dichiarativi precedenti ed è sottratto all’incidenza di eventuali vizi delle assunzioni testimoniali già espletate in sede di sommarie informazioni o di denuncia (sez. 5, n. 36862 del 23/10/2020, E., Rv. 280138, in cui, in applicazione del principio, la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione del giudice di appello che aveva ritenuto la testimonianza resa dalla persona offesa nel corso di incidente probatorio non inficiata dalla nullità delle dichiarazioni dalla stessa espresse in sede di denuncia per l’incompatibilità assoluta dell’interprete che l’aveva assistita, sottoposto a misura di sicurezza personale).

4. Anche le questioni introdotte per la prima volta con la memoria difensiva sono manifestamente infondate, ma la loro trattazione, riguardando aspetti inerenti alla successione delle leggi nel tempo, necessita di più di una premessa e i motivi della manifesta infondatezza sono diversi.

Il ricorrente ha invocato in questa sede due istituti che sono stati interessati dalla riforma che ha da ultimo riguardato il diritto e il processo penale, vale a dire l’art. 131 bis, cod. pen. e l’art. 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689 che disciplina la sostituzione delle pene detentive brevi.

5. Quanto al primo istituto, deve rilevarsi intanto che il nuovo art. 131 bis, pen., come modificato dall’art. 1, c. 1, lett. c), n. 1), d. lgs. n. 150/2022, prevede l’applicabilità generalizzata dell’istituto a tutti i reati puniti con pena minima pari o inferiore a due anni. Cade, dunque, ogni riferimento al limite massimo della pena edittale.

Cosicché, ferme restando le eccezioni previste dalla norma, il nuovo istituto potrà trovare applicazione rispetto a un numero più ampio di reati, tra i quali, per esempio, i furti aggravati che, in larga parte, sono oggi diventati punibili a querela ad opera della stessa riforma e, tra le novità, con specifico riferimento ai parametri di valutazione, va segnalata anche quella che consente al giudice di considerare la condotta susseguente al reato.

La norma è entrata in vigore il 30 dicembre 2022, giusto disposto dell’art. 6 del d.l. n. 162/2022.

Sulla natura della norma in esame soccorre il diritto vivente: l’istituto ha natura sostanziale ed è applicabile, per i fatti commessi prima dell’entrata in vigore del d. lgs. 16 marzo 2015, n. 28, anche ai procedimenti pendenti davanti alla Corte di cassazione e – solo per questi ultimi – la relativa questione, in applicazione degli artt. 2, c. 4, cod. pen. e 129, cod. proc. pen., è deducibile e rilevabile d’ufficio ai sensi dell’art. 609, c. 2, cod. proc. pen., anche nel caso di ricorso inammissibile (Sez. U, n. 13681 del 25/2/2016, Tushaj, Rv. 266593-01, in cui, in motivazione, la Corte ha specificato che, invece, ove non si discuta dell’applicazione della sopravvenuta legge più favorevole, la inammissibilità del ricorso preclude la deducibilità e la rilevabilità d’ufficio della questione).

Ne discende che la norma, come novellata, troverà applicazione anche ai fatti di reato commessi prima dell’entrata in vigore della riforma, in ossequio alla regola generale di cui all’art. 2, c. 4, cod. pen., siccome legge più favorevole rispetto a quella previgente.

La relativa questione, pertanto, ove non proponibile con il gravame o nel corso del giudizio di appello, sarà deducibile e rilevabile d’ufficio ai sensi dell’art. 609, c. 2, cod. proc. pen. e, se la Corte di cassazione ne riconosce la sussistenza, potrà dichiararla anche d’ufficio ai sensi dell’art. 129, c. 1, cod. proc. pen., annullando senza rinvio la sentenza impugnata a norma dell’art. 620, c. 1, lett. i) cod. proc. pen. (sul punto, sempre Sez. U, n. 13681/2016, Tushaj, cit.).

6. Tuttavia, nella specie non sussistono le condizioni per addivenire ex officio a una pronuncia demolitoria da parte di questa Corte di legittimità.

Il tema non ha formato oggetto di trattazione nel giudizio di merito e, pertanto, dalla sentenza non è dato rilevare alcun elemento al quale possa essere agganciata la relativa valutazione.

Dal canto suo, parte ricorrente, che ne ha comunque l’onere (pena la genericità del ricorso ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 581, c. 1, lett. d) e 591, c. 1, lett. c), cod. proc. pen.), ha omesso ogni allegazione sul punto, essendosi limitata a richiamare le condizioni di astratta operatività dell’istituto (natura sostanziale della norma novellata e abbassamento delle preclusioni ricollegate alla forbice edittale), ma non anche quelle in fatto e in diritto che giustifichino, nel caso concreto, una valutazione nel senso sollecitato.

Sul punto, soccorre ancora una volta il diritto vivente, allorquando richiama l’interprete a sindacare, in primo luogo, la specificità intrinseca, ancor prima che quella estrinseca, dell’atto di impugnazione che richiede, per l’appunto, che essa non si articoli attraverso doglianze del tutto generiche o astratte (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Gattelli, in motivazione).

Ciò che è avvenuto nella specie, essendosi il ricorrente limitato alla richiesta senza correlarla ad alcun elemento in fatto e in diritto.

7. Quanto, invece, alla seconda questione, deve rilevarsi che la stessa, a differenza di quella testé esaminata, non è deducibile nei termini di cui all’art. 609, c. 2, cod. pen., poiché il legislatore (che, con l’art. 71, c. 1, lett. a), d. lgs. n. 150/2022, ha sostituito l’art. 53 della legge n. 689/81, ampliando i limiti di applicabilità e ridefinendo la tipologia di sanzioni) ha espressamente introdotto una norma transitoria, in forza della quale le norme, in quanto più favorevoli, trovano applicazione nei procedimenti pendenti in primo e secondo grado al momento dell’entrata in vigore delle legge stessa (cioè il 30 dicembre 2022), laddove, per quelli pendenti in cassazione, l’interessato dovrà, nel termine di giorni trenta dalla irrevocabilità della sentenza, proporre apposita istanza di applicazione di pena sostitutiva al giudice dell’esecuzione (art. 95, c. 1, del d. lgs. n. 150/2022).

8. Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 616 proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità (Corte cast. n. 186/2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Deciso il 15 febbraio 2023.

Depositato in Cancelleria, oggi 7 marzo 2023.

SENTENZA – é copia conforme -.