Strage di Ustica: respinti i ricorsi dei Ministeri, confermata la condanna a pagare 330 mln a Itavia (Corte di Cassazione, Sezione III Civile, Sentenza 14 giugno 2023, n. 17004).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Giacomo TRAVAGLINO – Presidente –

Dott. Danilo SESTINI – Consigliere –

Dott. Enrico SCODITTI – Consigliere –

Dott. Francesco Maria CIRILLO – Consigliere –

Dott. Enzo VINCENTI – Consigliere Rel. –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 29775/2020 R.G. proposto da:

MINISTERO DELLA DIFESA e MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, rappresentati e difesi dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui uffici in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, sono domiciliati ex lege;

-ricorrente-

contro  

(OMISSIS) (OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS);

controricorrente-

 nonché contro 

(omissis) (omissis) (omissis) (omissis)

nonchè contro

(OMISSIS) (OMISSIS) S.P.A. IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA, (OMISSIS) (OMISSIS);

intimati-

e sul ricorso incidentale proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS);

-ricorrente incidentale-

 contro

MINISTERO DELLA DIFESA e MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, rappresentati e difesi dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui uffici in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, sono domiciliati ex lege;

-controricorrenti allincidentale-

 nonché contro

(OMISSIS) (OMISSIS) S.P.A. IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA, (OMISSIS) (OMISSIS);

intimati-

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO ROMA n. 2013/2020, depositata il 22/04/2020.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 22/05/2023 dal Consigliere dott. ENZO VINCENTI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. MARIO FRESA, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi, principale e incidentale;

udito l’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS) per l’Avvocatura generale dello Stato;

uditi gli avvocati (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

1. (omissis) (omissis) S.p.A.  (di  seguito  anche (omissis)) convenne in giudizio il Ministero della difesa, il Ministero dei trasporti e il Ministero dell’interno, per sentirli condannare al risarcimento dei danni patiti a seguito della sciagura area verificatisi nel cielo di quale era andato distrutto il (omissis) (omissis) in occasione della di proprietà di essa attrice ed erano decedute 81 persone.

A tal fine, la società attrice: dedusse che detto evento, determinato dall’abbattimento del velivolo da parte di un missile lanciato da altro aereo o dalla presenza a bordo di un ordigno, doveva ascriversi alla responsabilità delle Amministrazioni convenute per l’omesso controllo e vigilanza sul traffico aereo o per l’omessa prevenzione di atti terroristici; sostenne che la anzidetta sciagura aerea era stata anche la “causa scatenante” della crisi economica e finanziaria (omissis) con danni ricollegabili alla perdita del traffico aereo, al costo di noleggio di altro aeromobile armato, al fermo imposto dal Registro (omissis) italiano alla flotta per l’effettuazione di ispezioni straordinarie, alla mancata effettuazione o cessione a terzi di voli e/o contratti charter, al deterioramento dell’immagine commerciale.

Le Amministrazioni convenute costituendosi in giudizio contestarono la fondatezza delle domande.

Si costituì successivamente la (omissis) (omissis) S.p.A. in amministrazione straordinaria, facendo proprie le domande avanzate dall’attrice.

Con sentenza n. 37714 del 26 novembre 2003, l’adito Tribunale di Roma – ritenuto che il DC 9 (omissis) fosse stato abbattuto da un missile e che le Amministrazioni convenute non avessero garantito la regolare circolazione del volo e la sua sicurezza – accolse la pretesa risarcitoria e condannò i Ministeri dell’interno, della difesa e dei trasporti, in solido tra loro, al pagamento della complessiva somma di euro 108.071.773,64, oltre accessori, nonché alle spese di lite.

2. – L’impugnazione di tale decisione da parte delle Amministrazioni soccombenti venne accolta dalla Corte di appello di Roma con sentenza dell’aprile 2007, la quale, a sua volta, fu oggetto di ricorso per cassazione da parte della (omissis) (omissis) S.p.A., in amministrazione straordinaria, sulla base di nove motivi.

3. – Questa Corte, con la sentenza 10285 del 2009, dichiarò inammissibile il ricorso nei confronti del Ministero dell’interno (con compensazione delle spese tra le parti), ne accolse i primi sette motivi nei confronti dei Ministeri della difesa e dei trasporti, dichiarò inammissibili i restanti ed enunciò i principi di diritto ai quali il giudice di rinvio doveva attenersi.

4. – A seguito di riassunzione da parte della (omissis) (omissis) S.p.A., in amministrazione straordinaria, la Corte di appello di Roma, nel contraddittorio con il Ministero dell’interno, il Ministero della difesa ed il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con sentenza resa pubblica il 27 settembre 2012, pronunciò in via definitiva sulla domanda proposta dall’attrice nei confronti del Ministero dell’interno, rigettandola con compensazione delle spese processuali dei gradi di merito; pronunciò in via non definitiva sulla domanda proposta dalla stessa società in amministrazione straordinaria nei confronti degli altri due Ministeri convenuti, dei quali  accertò  la  responsabilità  nella  verificazione  del  disastro occorso in data (omissis) nel quale andò distrutto il (omissis) di proprietà (omissis) rimettendo la causa sul ruolo, con separata ordinanza, per la determinazione dell’ammontare del danno.

Sotto tale ultimo profilo, il giudice di appello ritenne necessario disporre apposita c.t.u. per non essere condivisibile il metodo di liquidazione adottato dal Tribunale, ancorato all’importo dei debiti (omissis) al 31 dicembre 2000 (data di certificazione dell’ammissione al passivo da parte del commissario straordinario), là dove, in assenza di scritture contabili e dei bilanci societari in base ai quali riscontrare la situazione patrimoniale antecedente al sinistro, non vi erano “elementi per poter affermare che il totale ammontare del passivo fallimentare fosse stato determinato dai fatti per cui è causa”.

5. – Con sentenza definitiva resa pubblica il 4 ottobre 2013, la Corte di appello di Roma condannò il Ministero della difesa ed il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in solido tra loro, al pagamento, in favore della (omissis) (omissis) S.p.A., in amministrazione straordinaria, della somma di euro 265.154.431,44 (di cui euro 27.492.278,56 a titolo di risarcimento del danno, euro 105.185.457,77 per rivalutazione ed euro 132.476.695,11 per interessi), oltre interessi legali dalla sentenza al saldo, nonché al pagamento dei ¾ delle spese processuali di tutti i giudizi, con compensazione del restante ¼.

5.1. – La  Corte territoriale escluse che potesse essere risarcito il danno per la perdita dell’aeromobile (omissis) giacché la società attrice aveva incassato nell’anno (omissis) per tale evento, un indennizzo assicurativo da parte (omissis) di lire 3.800.000.000, mentre il valore del velivolo al momento del sinistro, come  accertato dal c.t.u., era di lire 1.586.510.540.

5.2. – Quanto alla voce di danno relativa al valore dell’avviamento commerciale (omissis), il giudice di appello, sulla scorta delle risultanze della c.t.u. e confutando le contestazioni mosse dai Ministeri convenuti (pp. 6/7 della sentenza, sub A, B e C), lo determinò in euro 14.287.480,69, al dicembre 1980.

5.3. – In riferimento al danno per il fermo della flotta, la Corte di merito, in base alla c.t.u., ritenne che la riduzione di attività fosse causalmente collegata al disastro per il 70% e liquidò a tal fine l’importo di euro 13.204.797,87; escluse, invece, ogni ulteriore posta risarcitoria per la voce di danno correlata alla revoca delle concessioni di volo, reputandola sostanzialmente assorbita nel riconoscimento del danno per il fermo della flotta.

6. – Per la cassazione delle sentenze, non definitiva e definitiva, della Corte di appello di Roma proposero ricorso per cassazione sia  il  Ministero della difesa ed il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in via principale, sia la (omissis) (omissis) S.p.A., in amministrazione straordinaria, in via incidentale.

7. – Sulla questione della portata del principio della compensatio lucri cum damno nell’ambito delle conseguenze risarcitorie da fatto illecito, la causa venne rimessa alle Sezioni Unite civili, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., dapprima con l’ordinanza interlocutoria n. 19555 del 2015 (che ebbe esito non decisivo) e, quindi, con l’ordinanza interlocutoria n. 15534 del 2017.

Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 12565 del 22 maggio 2018, dichiararono inammissibile il primo motivo del ricorso principale e rigettarono il primo motivo del ricorso incidentale sulla anzidetta questione della cd. compensatio lucri cum damno, rimettendo a questa Sezione lo scrutinio dei restanti motivi di entrambi i ricorsi.

8. – Questa Corte, con la sentenza 31546 del 6 dicembre 2018, prese atto della reiezione del primo motivo del ricorso incidentale, rigettò il ricorso principale e accolse, per quanto di ragione, il secondo motivo del ricorso incidentale, dichiarando assorbito il terzo motivo e inammissibile il quarto motivo (entrambi sulle statuizioni relative alle spese processuali dei gradi di merito) del medesimo ricorso.

8.1. – In particolare, sul secondo motivo di ricorso incidentale che aveva lamentato la violazione degli 1223, 1226 e 2056 cod. civ. “in relazione al danno per revoca delle concessioni di volo” questa Corte ritenne sussistere la violazione degli 1223 e 1226 c.c. (cfr. § 4 – e relativi sottoparagrafi – delle “Ragioni della decisione”; pp. 11-16 della sentenza), per non aver il giudice di appello “liquidato interamente il pregiudizio patito (omissis) e, segnatamente, quello, ulteriore, da cessazione dell’attività di trasporto aereo, pur disponendo, nella prospettiva di una liquidazione equitativa, del parametro del 30% di residua attività di aerolinea, mantenuta dopo la riduzione della stessa nel periodo giugno/dicembre 1980, poi definitivamente venuta a cessare con la sospensione dell’attività stessa e la revoca delle concessioni di volo”.

9. – Il giudizio veniva, quindi, riassunto da (omissis) (omissis) S.p.A., in amministrazione straordinaria, nei confronti dei Ministeri della difesa e delle infrastrutture e dei trasporti.

9.1. – Nel giudizio di rinvio spiegavano atto di intervento la (omissis) (omissis) S.p.A. e (omissis) (omissis) quali azionisti (la prima per  conto dei propri fiducianti) di (omissis) (omissis) S.p.A., chiedendo entrambi che fosse quantificato e liquidato il danno subito dalla predetta società “per la perdita delle concessioni di volo con connessa definitiva cessazione d’ogni attività (per la quantificazione del quale è stato il rinvio disposto dalla sent. Cass. 31546/2018) nella misura già quantificata dai CC.TT.UU. in causa in euro 87.804.538,20: somma pari all’ammontare dello Stato passivo (euro 108.071.773,64) detratto l’attivo realizzato dalla Procedura (euro 20.267.235,44); salvo diversa misura”, con conseguente condanna dei convenuti Ministeri “al pagamento dell’ulteriore indicata somma di euro 87.804.538,20”, oltre accessori “in favore (omissis) (omissis) S.p.A. in Amm.ne Straordinaria in liquidazione”.

10. – Con sentenza resa pubblica il 22 aprile 2020 (n. 2013), la Corte di appello di Roma, in sede di rinvio, dichiarava  inammissibili gli atti di intervento della (omissis) (omissis) S.p.A. e di (omissis) (omissis) nonché condannava il Ministero della difesa e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in solido tra loro, al pagamento della somma di euro 33.151.477,647 in favore di (omissis) (omissis) S.p.A., oltre rivalutazione e interessi legali con decorrenza dal 27 giugno 1980 al saldo, provvedendo altresì alla regolamentazione delle spese processuali di tutti i gradi di giudizio.

10.1. – La Corte territoriale, a fondamento della decisione (e per quanto ancora rileva in questa sede), osservava che:

a) gli interventi della (omissis) (omissis) S.p.A. e della (omissis) erano inammissibili (anche se da ritenersi soltanto ad adiuvandum) in quanto effettuati nel giudizio di rinvio, a struttura “chiusa”, e non potendo ravvisarsi i presupposti:

a.1) né dell’opposizione di terzo ai sensi dell’art. 404, primo comma, c.p.c., non essendo il socio di società di capitali, in relazione al danno subito dalla compagine sociale, “titolare di un diritto distinto e autonomo, individualmente separatamente tutelabile nei confronti dei terzi, rispetto a quelli facenti capo all’ente”;

a.2) né dell’azione surrogatoria ex art. 2900 c.c., in assenza della «”inerzia” del debitore nel caso in cui il medesimo, come nel caso di specie, abbia comunque azionato in giudizio i propri diritti; essendo escluso che, attraverso l’azione surrogatoria, il debitore possa contestare le modalità di esercizio dei diritti medesimi»;

b) in base a quanto statuito dalla sentenza di annullamento n. 31546/2018, compito del giudice di rinvio era “quello di provvedere a liquidare (oltre a quello già riconosciuto nella sentenza cassata, in relazione alla cui quantificazione deve intendersi formato il giudicato interno) anche il pregiudizio ulteriore subito (omissis) per effetto della cessazione dell’attività di trasporto aereo”, a seguito della revoca delle concessioni;

b.1) tale danno andava quantificato alla luce del parametro – indicato dalla sentenza rescindente – “rappresentato dal 30% del valore residuo dei ricavi dell’attività di trasporto aereo, come stimato dalla C.T.U.”;

b.2) pertanto, assumendo “come punto di riferimento il valore del 70% dell’attività quantificato in sede di relazione peritale (ritenuto dalla Corte come corrispondente al danno conseguente al fermo della flotta) e pari ad euro 13.204.797,87, ne consegu(iva) che il valore integrale dell’attività commerciale era valutabile” in complessivi euro 18.863.996,957 e che, quindi, “il 30% di tale importo” era pari a euro 5.659.199,087;

b.3) “(p)er l’effetto, in aggiunta alla somma liquidata” in precedenza con la sentenza del 19 settembre 2013 (“e ivi quantificata in euro 27.492.278,56 a titolo di risarcimento del danno, oltre interessi e rivalutazione monetaria decorrenti dalla data dell’evento sino alla pubblicazione della sentenza ed oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della presente decisione al soddisfo), i Ministeri convenuti (andavano) altresì solidalmente condannati al pagamento della predetta ed ulteriore somma, per un importo complessivo di euro 33.151.477,647”;

b.4) “(s)ulla predetta somma, trattandosi di debito di valore derivante da risarcimento di fatto illecito, andranno altresì calcolati – con decorrenza dalla data dell’evento dannoso (27.06.1980) – sia la rivalutazione monetaria sia gli interessi legali”, questi ultimi “calcolati anno per anno sul valore della somma via via rivalutata secondo indici ISTAT nell’arco di tempo compreso fra l’evento dannoso e la liquidazione”.

11. – Per la cassazione di tale sentenza ricorrono congiuntamente il Ministero della difesa e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, affidando le sorti dell’impugnazione a quattro motivi.

Resiste con controricorso la (omissis) (omissis) S.p.A., che ha anche proposto ricorso incidentale sulla base di tre motivi, avverso il quale i ricorrenti principali resistono con controricorso.

Non  hanno  svolto  attività  difensiva  in  questa  gli  intimati (omissis) (omissis) (omissis) S.p.A., in amministrazione straordinaria, e (omissis) (omissis).

Il pubblico ministero ha depositato le proprie conclusioni scritte, chiedendo il rigetto di entrambi i ricorsi, principale e incidentale.

La (omissis) (omissis) S.p.A. ha depositato memoria.

RAGIONE DELLA DECISIONE

Ricorso principale dei Ministeri della difesa e delle infrastrutture e dei trasporti.

1. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, 4, c.p.c., nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 2909 c.c. e 329 c.p.c., per non aver la Corte territoriale, nel liquidare la complessiva somma di euro 33.151.477,67, “oltre alla rivalutazione monetaria e agli interessi legali sulla somma, via via rivalutata, con decorrenza dal 27.6.1980 sino al saldo effettivo”, tratto le corrette conseguenze rispetto al giudicato interno formatosi sulla liquidazione del danno in favore di (omissis)effettuata in precedenza, nel giudizio di appello, con la sentenza n. 5247 del 4 ottobre 2013, avente ad oggetto le voci di danno “da perdita dell’avviamento” e “da fermo flotta”; danno quantificato complessivamente – ossia comprensivo “di quanto spettante a titolo di rivalutazione monetaria a decorrere dalla data dell’evento fino a quella di pubblicazione della sentenza, nonché degli interessi legali maturati in quel periodo di tempo” – in euro 265.154.431,44.

Il giudice di appello avrebbe, quindi, violato il vincolo del giudicato “derivante dall’accertamento, ormai divenuto definitivo, della spettanza di tali accessori solo nella misura determinata nella predetta sentenza con riferimento al periodo compreso tra il (omissis) data in cui occorso l’evento lesivo, ed il (omissis) data in cui fu pubblicata la sentenza n. 5247/2013”.

2. – Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, 4, c.p.c., nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 384, secondo comma, c.p.c., per non essersi la Corte territoriale uniformata al principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 31546/2018, che aveva cassato la decisione allora impugnata solo “sulla pretesa risarcitoria (omissis) elativa alla cessazione dell’attività di (omissis) (con conseguente revoca delle concessioni di volo) alla luce dei principi enunciati al § 4.1.2.” e, dunque, imponendo al giudice del rinvio di «determinare, equitativamente, il quantum debeatur a tale titolo, facendo riferimento al “parametro del 30% di residuo attività di (omissis) mantenuta dopo la riduzione della stessa nel periodo (omissis) poi definitivamente venuto a cessare con la sospensione dell’attività stessa e la revoca delle concessioni di volo”».

Il giudice del rinvio avrebbe, invece, violato il vincolo derivante da detto principio di diritto “nel disporre che la rivalutazione monetaria e gli interessi legali devono essere determinati, non con esclusivo riferimento alla somma già liquidata a titolo di danno da cessazione dell’attività di trasporto aereo, ma anche sull’ulteriore somma liquidata a titolo di risarcimento della restante parte del danno nella sentenza n. 5247/2013 della Corte d’appello di Roma”, che “aveva già autonomamente provveduto a determinare l’ammontare dei predetti accessori sul capitale liquidato”.

3. – Con il terzo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, 4, c.p.c., nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., per aver la Corte territoriale liquidato la rivalutazione e gli interessi legali “non già sulla sola somma liquidata a titolo di risarcimento del danno da cessazione dell’attività di trasporto aereo” – e, dunque, su quanto richiesto da (omissis) alla Corte di appello di Roma (“determinare e liquidare, in aggiunta ai danni liquidati da codesta Corte, con sentenza definitiva del 4/10/2013 in euro 265.154.431,44, il danno ulteriore per cessazione totale e definitiva dalle attività aeree revoca delle concessioni di volo pari a euro 55.830.136,71, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali .”) -, ma anche sulla somma liquidata a titolo di risarcimento delle ulteriori voci di danno ritenute risarcibili dalla Corte appello di Roma con la sentenza n. 5247/2013, già passata in giudicato in parte qua“.

4. – Con il quarto mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 1223 c.c., per aver la Corte territoriale – nel liquidare in favore di (omissis) “la rivalutazione monetaria e gli interessi legali sulla somma complessivamente liquidata a titolo di risarcimento del danno subito, in conseguenza del disastro aviatorio di Ustica, anziché prevedere che la rivalutazione monetaria e gli interessi legali debbano essere corrisposti solo su quanto liquidato a titolo di risarcimento del danno da cessazione attività di trasporto aereo” – determinato “un’indebita duplicazione del risarcimento del danno ritenuto risarcibile, in favore (omissis) dalla Corte d’appello di Roma, con la sentenza n. 5247/2013.  con cui si era già provveduto a determinare la somma, comprensiva di rivalutazione monetaria ed interessi legali, dovuti (omissis) titolo di risarcimento del danno da perdita dell’avviamento commerciale da fermo della flotta”.

5. – I motivi, da scrutinarsi congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono infondati.

5.1. – Va premesso che la sentenza rescindente di questa Corte, 31546/2018, nell’accogliere per quanto di ragione il secondo motivo del ricorso incidentale (omissis)ia, nella parte in cui aveva censurato l’error in iudicando “in relazione al danno per revoca delle concessioni di volo”, ha cassato la sentenza di appello 5247/2013 per non aver la Corte territoriale, in violazione dei principi di integralità del risarcimento e di liquidazione equitativa a fronte della prova  particolarmente  difficoltosa  sul  quantum debeatur, “liquidato interamente il pregiudizio patito (omissis) e, segnatamente, quello, ulteriore, da cessazione dell’attività di trasporto aereo, pur disponendo, nella prospettiva di una liquidazione equitativa, del parametro del 30% di residua attività di (omissis) mantenuta dopo la riduzione della stessa nel periodo giugno/dicembre 1980, poi definitivamente venuta a cessare con la sospensione dell’attività stessa e la revoca delle concessioni di volo” (cfr. p. 16 sentenza n. 31546/2018).

Dalla medesima sentenza rescindente si evince (pp. 5 e 6) che la voce di danno, “ulteriore”, relativa alla “cessazione dell’attività di trasporto aereo” era quella, per l’appunto, non riconosciuta dal giudice di appello, che aveva liquidato, a titolo di risarcimento del danno in favore di (omissis) per l’abbattimento del suo  aeromobile  nella  sciagura  di (omissis) del (omissis) soltanto due diverse voci di danno:

a) il pregiudizio al valore  dell’avviamento commerciale, nella misura di euro 14.287.480,69;

b) il danno da riduzione di attività (ossia il d. danno per fermo flotta), per un importo di euro 13.204.797,87.

Lo stesso giudice di appello, quindi, aveva proceduto a quantificare l’importo complessivo oggetto della condanna solidale dei Ministeri convenuti in euro 265.154.431,44, derivante dalla sommatoria (euro 27.492.278,56) degli importi relativi alle anzidette voci di danno e del calcolo su di essa della rivalutazione monetaria (euro 105.185.457,77) e degli interessi legali (euro 132.476.695,11).

La Corte territoriale, con la sentenza impugnata in questa sede, ha ritenuto che la voce di danno relativa alla “cessazione dell’attività di trasporto aereo” ammontasse a euro 5.659.199,087, alla data dell’evento lesivo, e ha, quindi, proceduto a sommarla all’importo in precedenza liquidato “a titolo di risarcimento del danno” dalla sentenza n. 5247/2013, ossia la somma di euro 27.492.278,56, alla data dell’evento lesivo, così da condannare in solido i Ministeri convenuti al pagamento della complessiva somma risarcitoria, alla data dell’evento lesivo, di euro 33.151.477,647, per poi statuire che “(s)ulla predetta somma, trattandosi di debito di valore derivante da risarcimento di fatto illecito, andranno altresì calcolati – con decorrenza dalla data dell’evento dannoso (27.06.1980) – sia la rivalutazione monetaria sia gli interessi legali”, questi ultimi “calcolati anno per anno sul valore della somma via via rivalutata secondo indici ISTAT nell’arco di tempo compreso fra l’evento dannoso e la liquidazione” (pp. 21 e 22 della sentenza di appello n. 2013/2020).

5.2. – Ciò premesso, occorre ricordare che – secondo il “diritto vivente” (tra le tante, n. 11190/1998; Cass. n. 2580/2003; Cass. n. 24468/2020;  Cass.  n.  36878/2021) – l’obbligazione del risarcimento del danno da fatto illecito ha natura di debito di valore, in quanto volto alla reintegrazione del patrimonio della parte lesa nella situazione in cui si sarebbe trovata se non si fosse verificato l’evento dannoso, con la conseguenza che l’adeguamento dell’effettivo valore monetario al momento della decisione (per effetto della svalutazione monetaria) e il riconoscimento degli interessi compensativi (per il ritardato pagamento della somma risarcitoria dovuta) integrano una componente del danno stesso che nasce dal medesimo fatto generatore della obbligazione risarcitoria.

Alla luce di tali più generali principi, questa Corte ha, quindi, enunciato il principio per cui – posto che il risarcimento del danno da fatto illecito, come detto, costituisce debito di valore e, in caso di ritardato pagamento di esso, gli interessi e la svalutazione non costituiscono un autonomo diritto del creditore, ma svolgono una funzione compensativa tendente a reintegrare il patrimonio del danneggiato, qual era all’epoca del prodursi del danno, e la loro attribuzione costituisce una mera modalità o tecnica liquidatoria -, una volta che sia impugnato il capo della sentenza contenente la liquidazione del danno, non può invocarsi il giudicato in ordine alla misura legale degli interessi precedentemente attribuiti e il giudice dell’impugnazione (o del rinvio), anche in difetto di uno specifico rilievo sulla modalità di liquidazione degli interessi prescelta dal giudice precedente, può procedere alla riliquidazione della somma dovuta a titolo risarcitorio e dell’ulteriore danno da ritardato pagamento, utilizzando la tecnica che ritiene più appropriata al fine di reintegrare il patrimonio del creditore, restando irrilevante che vi sia stata impugnazione o meno in relazione agli interessi già conseguiti e alla misura degli stessi (Cass., S.U., n. 8520/2007; Cass. n. 9926/2010; Cass. n. 15709/2011).

5.3. – Nella specie, la Corte territoriale si è attenuta ai principi appena rammentati, non incorrendo in alcuna delle violazioni addebitatele dai Ministeri ricorrenti.

Il giudicato formatosi a seguito della sentenza rescindente n. 31546/2018 era, infatti, unicamente quello sulle voci di danno patito da (omissis)alla data dell’evento lesivo, come conseguenza del fatto illecito dell’abbattimento del suo aeromobile, siccome riconosciute dalla sentenza di appello n. 5247/2013 e in essa quantificate nell’importo complessivo di euro 27.492.278,56 (euro 14.287.480,69 per la voce di danno al valore dell’avviamento commerciale; euro 13.204.797,87 per la voce di danno per fermo flotta).

Diversamente, essendo ancora in discussione la liquidazione integrale del danno patito dalla società attrice in conseguenza di  quel fatto illecito, spettando ad essa una “ulteriore” posta risarcitoria, nessun giudicato si era formato sulle componenti (rivalutazione monetaria e interessi legali) aventi funzione compensativa-reintegratrice del patrimonio del danneggiato per il pregiudizio subito per l’evento lesivo occorso il (omissis); componenti integrative che, dunque, andavano nuovamente quantificate e liquidate in relazione all’ammontare effettivo del danno-conseguenza riconosciuto e liquidato nella sua integralità dal giudice di rinvio proprio sulla scorta del vincolante principio di diritto enunciato dalla sentenza rescindente.

Il giudice di appello, senza infrangere il giudicato interno effettivamente formatosi, ha, dunque, statuito in conformità al vincolo di cui all’art. 384, secondo comma, c.p.c. e al principio di risarcimento integrale del danno di cui all’art. 1223 c.c., senza, quindi, incorrere in una non consentita duplicazione risarcitoria, operando, in armonia con il principio anzidetto, una liquidazione che, nel rapportare la rivalutazione monetaria e gli interessi legali compensativi all’integrale danno-conseguenza generatosi dall’illecito, ha svolto la sua coerente funzione volta a reintegrare il patrimonio del danneggiato qual era all’epoca del prodursi del danno.

Né, infine, è dato ravvisare la dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c., giacché – come si evince dallo stesso motivo di ricorso (cfr. 3, che precede) – la pretesa svolta da (omissis) in sede di rinvio prosecutorio a seguito della sentenza rescindente n. 31546/2018, era orientata proprio ad ottenere il risarcimento integrale del danno patito a seguito dell’evento dannoso occorso il (omissis), invocando quell’ulteriore posta risarcitoria (“per cessazione totale e definitiva dell’attività aerea e revoca delle concessioni di volo”) “in aggiunta ai danni liquidati” dalla sentenza di appello, in sede di rinvio, n. 5247/2013, la cui indicazione nell’importo oggetto della condanna  solidale  dei  Ministeri  allora  pronunciata  (euro 265.154.431,44), siccome comprensivo di rivalutazione monetarie ed interessi legali, non era tale, per tutte le ragioni già evidenziate, a cristallizzare la domanda sulla base di detta somma omnicomprensiva.

Ricorso incidentale di (omissis) (omissis) S.p.A.

6. – Con il primo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, 3, c.p.c., la violazione e la falsa applicazione dell’art. 394 c.p.c. relativamente alla legittimazione all’intervento ex art. 344 c.p.c. nel giudizio di appello, per aver la Corte territoriale erroneamente escluso l’ammissibilità di detto intervento (effettuato sia ad adiuvandum ai sensi dell’art. 105, secondo comma, c.p.c., sia in surrogatoria ai sensi dell’art. 2900 c.c.: cfr. p. 24 del ricorso incidentale), legittimato invece dall’art. 404 c.p.c., avendo essa società, unitamente all’altro interveniente, rivendicato la qualità terzi aventi interesse autonomo “in quanto azionisti e creditori residuali in sede di liquidazione della loro quota di partecipazione azionaria”, poiché l’ulteriore danno da liquidarsi avrebbe incrementato “esclusivamente il residuo del patrimonio della società destinato agli azionisti” e ad essi esclusivamente appartenente pro quota.

7. – Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, 3, c.p.c., la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2900 c.c. relativamente alla legittimazione all’intervento in surrogatoria nel giudizio di appello, per aver la Corte territoriale erroneamente escluso l’ammissibilità di detto intervento – che ha “natura conservativo-cautelare” e, quindi, è “mezzo di tutela indiretta del credito in quanto ha come effetto immediato l’incremento del patrimonio del debitore con conseguente vantaggio di tutti i creditori e non solo di quello che ha agito in surroga, con la conseguenza che questi ne trae un’utilità mediata” -, non avendo essa società contestato “le modalità di esercizio del diritto”, bensì esercitato l’azione ex art. 2900 c.c. “per chiedere un maggiore e diverso credito”.

8. – Con il terzo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, 4, c.p.c., nullità della sentenza per violazione dell’art. 384, secondo comma, c.p.c., “per omessa valutazione delle risultanze probatorie della CTU in relazione al danno da cessazione  dell’attività di (omissis) per “motivazione apparente”, non essendosi la Corte territoriale uniformata al principio di diritto enunciato dalla sentenza rescindente della Corte di cassazione n. 31546/2018, che imponeva di quantificare il danno anzidetto come emergente dall’elaborato peritale, ossia in euro 87.804.538,20, pari alla differenza tra l’importo complessivo dello Stato passivo accertato dalla Procedura in euro 108.071.773,64 e quanto d’attivo da essa realizzato in euro 20.267.235,14″.

9. – I primi due motivi, congiuntamente scrutinabili perché in stretta connessione tra loro, sono infondati, con assorbimento del terzo motivo che veicola censure sul fondo della decisione della Corte territoriale impugnata in questa sede.

9.1. – Giova rammentare che, alla luce di quanto chiaramente previsto dall’art. 344 p.c. (da cui il “diritto vivente” rispetto al quale non sono prospettate ragioni per cui discostarsene), l’intervento in appello è ammissibile soltanto quando l’interventore sia legittimato a proporre opposizione di terzo ai sensi dell’articolo 404 c.p.c., ossia nel caso in cui egli rivendichi, nei confronti di entrambe le parti, la titolarità di un diritto autonomo la cui tutela sia incompatibile con la situazione accertata o costituita dalla sentenza di primo grado, e non anche quando l’intervento stesso sia qualificabile come adesivo, perché volto a sostenere l’impugnazione di una delle parti per porsi al riparo da un pregiudizio mediato dipendente da un rapporto che lega il diritto dell’interventore a quello di una delle parti (tra le tante, Cass. n. 1219/1983; Cass. n. 1175/1987; Cass. n. 12114/2006).

E’, altresì, principio consolidato quello per cui, qualora una società di capitali subisca, per effetto dell’illecito commesso da un terzo, un danno, ancorché esso possa incidere negativamente sui diritti attribuiti al socio dalla partecipazione sociale, nonché sulla consistenza di questa, il diritto al risarcimento compete solo alla società e non anche a ciascuno dei soci, in quanto l’illecito colpisce direttamente la società e il suo patrimonio, obbligando il responsabile al relativo risarcimento, mentre l’incidenza negativa sui diritti del socio, nascenti dalla partecipazione sociale, costituisce soltanto un effetto indiretto di detto pregiudizio e non conseguenza immediata e diretta dell’illecito (Cass., S.U., n. 27346/2009; Cass. n. 2087/2012).

Ne consegue, pertanto, che il socio di società di capitali, che, come nel caso di specie, lamenti un pregiudizio alla propria quota di partecipazione azionaria derivante da un fatto illecito di un terzo, non può qualificarsi come terzo legittimato all’opposizione ex art. 404 c.p.c., in quanto non è titolare di un diritto distinto ed autonomo, individualmente e separatamente tutelabile nei confronti dei terzi, rispetto al diritto fatto valere dalla compagine sociale (cfr. Cass. n. 12615/1999; Cass. n. 6179/2009; Cass. n. 15875/2022, in tema di opposizione revocatoria).

Di qui, pertanto, l’inammissibilità dell’intervento spiegato in sede di giudizio di rinvio dinanzi alla Corte territoriale.

Quest’ultima ha, dunque, fatto corretta applicazione dei ricordati principi (cfr. sintesi al § 10.1. dei “Fatti di causa”; pp. 15/17 della sentenza di appello), là dove, poi, i precedenti (Cass. 19405/2005; Cass. n. 1192/2006; Cass. n. 23933/2013; Cass. n. 15721/2015; Cass. n. 15721/2017) ai quali fa riferimento la ricorrente incidentale nelle difese spiegate con il ricorso (p. 26), e finanche con la memoria ex art. 378 c.p.c. (p. 21; Cass., S.U., n. 6070/2013, Cass., S.U., n. 6072/2013; Cass. n. 17492/2018, Cass.  15637/2019 e Cass. n. 12758/2020, in tema di legittimazione ad agire degli ex soci di società di capitali estinta), non sono pertinenti rispetto alla fattispecie qui in esame.

La società ricorrente, sempre con la memoria ex art. 378 c.p.c., oltre ad insistere sul profilo del danno che in concreto verrebbe a patire come azionista in ragione della minore quantificazione  dell’importo  risarcitorio  risultante  dall’azione promossa (omissis) deduce ulteriormente (cfr. pp. 17/20) che:

a) non sarebbe applicabile l’art. 344 c.p.c. al giudizio di rinvio, che non potrebbe «qualificarsi come “giudizio di appello” ma un vero e proprio primo grado (ovvero unico, qualificato anche come “giudizio chiuso”) il cui thema decidendum . si restringe ineludibilmente all’applicazione, nel merito, del decisum della Corte di Cassazione»;

b) l’art. 344 p.c., “ove applicabile”, si riferirebbe soltanto all’intervento di cui al primo comma dell’art. 105 c.p.c. e non a quello del secondo comma della medesima norma, «che postula per la sua ammissibilità solo l'”interesse”»; c) la giurisprudenza sopra richiamata, alla quale si è ispirata la stessa Corte territoriale, sarebbe pertinente soltanto alla situazione di una società in bonis e non già “in liquidazione”.

E’ agevole evidenziare che le doglianze sub b) e sub c), nonché quella sull’esistenza di un danno concretamente patito dall’azionista, non si misurano affatto con i consolidati principi innanzi ricordati, in punto di ammissibilità dell’intervento e sulla natura solo indiretta del pregiudizio patito dal socio di società di capitali – essendo indifferente che la stessa sia in bonis o in fase di liquidazione o sottoposta a procedura concorsuale (e, dunque, non venendo in rilievo il fenomeno successorio relativo all’ipotesi di società estinta e cancellata dal registro delle imprese, cui si riferiscono, come detto, i precedenti citati ulteriormente nella memoria ex art. 378 c.p.c.) – alla propria quota di partecipazione in conseguenza di un fatto illecito commesso da un terzo.

Quanto alla censura sub a), essa si scontra con la chiara disciplina di riferimento, giacché il rinvio c.d. proprio o prosecutorio, a norma dell’art. 383, comma primo, c.p.c., opera dinanzi al giudice che ha emesso la pronuncia cassata (come nella specie, la Corte di appello di Roma, giudice di rinvio in sede di appello avverso la sentenza n. 37714/2003 del Tribunale di Roma) o un ufficio territorialmente diverso, ma sempre di pari grado (tra le altre, Cass. n. 5938/2021 e Cass. n. 2114/2021) e, come dispone, l’art. 394, primo comma, c.p.c., “(i)n sede di rinvio si osservano le norme stabilite per il procedimento davanti al giudice al quale la Corte ha rinviato la causa”; nella specie, le norme sul giudizio di appello, tra cui, per l’appunto, l’art. 344 c.p.c.

9.2. – In riferimento, poi, alla doglianza che deduce la violazione dell’art. 2900 c., la stessa – come correttamente deciso dal giudice di rinvio ed evidenziato anche dal pubblico ministero – è priva di consistenza alla luce delle argomentazioni già svolte in punto di inammissibilità dell’intervento spiegato dalla (omissis) (omissis) S.p.A.

Del pari evidente è, in ogni caso, l’infondatezza della censura in considerazione dell’orientamento consolidato di questa Corte (tra le altre, Cass. n. 34940/2022), secondo cui l’azione surrogatoria, consentendo al creditore di prevenire e neutralizzare gli effetti negativi che possano derivare alle sue ragioni dall’inerzia del debitore, il quale ometta di esercitare le opportune azioni dirette ad incrementare il suo patrimonio, conferisce al creditore stesso la legittimazione all’esercizio di un diritto altrui, ed ha perciò carattere necessariamente eccezionale, potendo essere proposta solo nei casi ed alle condizioni previsti dalla legge.

Ne discende che, qualora (come nella specie) il debitore non sia più inerte, per aver posto in essere comportamenti idonei e sufficienti a far ritenere utilmente espressa la sua volontà in ordine alla gestione del rapporto, viene a mancare il presupposto perché a lui possa sostituirsi il creditore il quale non può sindacare le modalità con cui il debitore abbia ritenuto di esercitare i suoi diritti nell’ambito del rapporto, né contestare le scelte e l’idoneità delle manifestazioni di volontà da lui poste in essere a produrre gli effetti riconosciuti dall’ordinamento, soccorrendo all’uopo altri strumenti di tutela a garanzia delle pretese del creditore, quali, ove ne ricorrano i requisiti, l’azione revocatoria ovvero l’opposizione di terzo (nella specie, però, non consentita per le ragioni anzidette).

Conclusioni.

10. – Entrambi i ricorsi, principale e incidentale, devono, quindi, essere rigettati, con compensazione integrale tra le rispettive parti delle spese del giudizio di legittimità in ragione della reciproca soccombenza.

Non occorre provvedere alla regolamentazione di dette spese nei confronti delle parti intimate che non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

P.Q.M.

rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale, con compensazione integrale delle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 22 maggio 2023.

Depositato in cancelleria il 14 giugno 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.