REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI NICOLA Vito – Presidente –
Dott. CORBETTA Stefano – Rel. Consigliere –
Dott. CORBO Antonio – Consigliere –
Dott. NOVIELLO Giuseppe – Consigliere –
Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da
(OMISSIS) Francesco, nato a (OMISSIS) il xx/xx/19xx;
avverso la sentenza del 11/11/2022 del G.i.p. del Tribunale di Firenze;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Stefano Corbetta;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa Lidia Giorgio, che ha concluso chiedendo inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’impugnata sentenza, il G.i.p. del Tribunale di Firenze applicava, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., a Francesco (OMISSIS) la pena concordata in relazione a tre violazioni dell’art. 512-bis cod. pen. (capi 6, 7 e 8), nonché a plurimi fatti ex artt. 2 e 8 d.lgs. n. 74 del 2000 (capi da 12 a 40); il G.i.p., inoltre, ai sensi degli artt. 240 e 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000, disponeva la confisca di quanto in sequestro.
2. Avverso l’indicata sentenza, l’imputato, per il ministero dei difensori di fiducia, propone ricorso per Cassazione affidato a due motivi.
2.1. Con un primo motivo si chiede di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., in relazione agli art. 3 e 27, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non consente di proporre ricorso per cassazione per violazione di legge in relazione all’art. 129 cod. proc. pen. laddove risulti l’insussistenza del fatto anche ai sensi del comma 2 del predetto articolo.
Il ricorrente censura la motivazione, laddove afferma che l’assoluzione ai sensi dell’art. 425 cod. proc. pen. non può prevalente sull’accordo delle parti, perché l’art. 444 cod. proc. pen. rinvia solo alle cause di proscioglimento indicate dall’art. 129 cod. proc. pen., che non contempla quella per mancanza, insufficienze o contraddittorietà della prova.
Ad avviso del ricorrente, seguendo l’interpretazione accolta dal G.u.p., l’art. 448, comma 2-bis cod. proc. pen. si esporrebbe a dubbi di incostituzionalità, in relazione agli artt. 3 e 27 Cost., nella parte in cui non consente di censurare, con ricorso per cassazione, la valutazione ex art. 129 cod. proc. pen. operata dal giudice in sentenza, in quanto normativamente previsto dall’art. 444, comma 2, cod. proc. pen., il quale non è stato abrogato dalla I. n. 103 del 2017; non sarebbe perciò persuasivo l’arresto il quale ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., in relazione agli artt. 2, 24 e 111 Cost., in quanto la limitazione della facoltà di ricorso alle sole ipotesi espressamente previste dalla norma trova ragionevole giustificazione, nell’ambito delle scelte discrezionali riservate al legislatore, nell’esigenza di limitare il controllo di legittimità alle sole decisioni che contrastano con la volontà espressa dalle parti o che costituiscono disapplicazione dell’assetto normativo disciplinante l’illecito oggetto di cognizione (Sez. 5, n. 21497 del 2021).
Aggiunge il ricorrente che la sentenza impugnata erra laddove si confronta solo con il comma 1 dell’art. 129 cod. proc. pen., e non anche con il comma 2, che, nella prospettazione difensiva, consentirebbe il proscioglimento per insufficienza o contraddittorietà della prova.
Prova ne è che, nel caso in esame, nella medesima udienza in cui veniva emessa la sentenza impugnata il medesimo giudice pronunciava, nei confronti di taluni coimputati, sentenza assolutoria per alcuni capi di imputazione perché il fatto non sussiste; di qui la violazione dell’art. 3 Cost., essendo irragionevole la disparità di trattamento tra soggetti giudicati con riti alternativi diversi; a sostegno delle proprie argomentazioni, il ricorrente riporta parte della motivazione della sentenza di questa Corte n. 3238 del 2021.
2.2. Con un secondo motivo si deduce la violazione degli artt. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 111, comma 7, Cost., 240 cod. pen., 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000.
Lamenta il ricorrente che il G.u.p. ha disposto la confisca dei beni in sequestro sebbene nell’accordo raggiunto tra le parti vi fosse l’espressa indicazione che detti beni non potessero essere sottoposti a confisca non potendosi affermare che fossero il profitto del reato. In ogni caso la motivazione sarebbe carente e, comunque, contraddittoria, posto che lo stesso G.u.p. afferma che dagli atti non risulta in maniera chiara ed univoca quale sarebbe l’importo delle imposte evase a mezzo delle condotte illecite; di conseguenza, l’incertezza in ordine alla quantificazione del profitto impediva al G.u.p. di disporre la confisca.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. La prospettata questione illegittimità costituzionale è inammissibile perché generica in punto di rilevanza.
3. Invero, il presupposto logico e fattuale della prospettazione difensiva – ossia la possibilità di ricorrere per cassazione avverso la sentenza ex art. 444 cod. proc. pen. deducendo la violazione di legge con riguardo all’art. 129 cod. proc. pen. – è che emerga ictu oculi la sussistenza di una causa di proscioglimento, la quale non è stata considerata dal giudice e che il ricorrente ha l’onere di indicare in maniera puntuale: il che, nella specie, non è avvenuto.
Il G.u.p., infatti, ha esplicitato le ragioni in ordine all’insussistenza delle condizioni per una declaratoria di proscioglimento ex art. 129, comma 1, cod. proc. pen., facendo leva sulle risultanze dell’attività di intercettazione telefonica, sulle annotazioni redatte dalla G.d.F., sulla documentazione acquisita e sequestrata nel corso delle indagini, sulla consulenza tecnica del dott. (OMISSIS): materiale che, si legge nella motivazione, è “meglio esplicato e compendiato nell’ordinanza applicativa di misura cautelare e reale emessa a caso di (OMISSIS) Francesco, sulla base del quale emerge la fondatezza della contestazione formulata dal pubblico ministero” (p. 61 della sentenza impugnata).
A fronte di tale apparato argomentativo, certamente esaustivo e completo in relazione al tipo di valutazione “negativa” che è chiamato a compiere il giudice adito da una richiesta di applicazione della pena congiuntamente avanzata dalle parti ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., il motivo pone una questione meramente teorica (e quindi, appunto, priva di rilevanza pratica), perché non indica specifici elementi di prova da cui emergerebbero, con chiara evidenza, le condizioni per la pronuncia di una sentenza ex art. 129, comma 1, cod. proc. pen.
4. Non pertinente è il richiamo al comma 2 dell’art. 129 cod. proc. pen., il quale disciplina l’ipotesi – che certamente non ricorre nel caso in esame – in cui il giudice rilevi una causa di estinzione del reato, la quale diviene recessiva se “dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato”.
Come chiarito dalla Corte costituzionale (ord. n. 300 del 1991), “il principio della prevalenza delle formule assolutorie di merito su quelle dichiarative dell’estinzione del reato è razionalmente contemperato, anche a fini di economia processuale, con l’esigenza che appaia del tutto evidente dalle risultanze probatorie che ‘il fatto non sussiste’ o che ‘l’imputato non lo ha commesso’ o che ‘il fatto non costituisce reato’ o ‘non è previsto dalla legge come reato”.
5. Nemmeno pertinente è il richiamo alla sentenza n. 3238 del 2021, che si riferisce a un caso affatto diverso, relativo al ricorso per cassazione del pubblico ministero avverso la sentenza assolutoria emessa dal G.u.p., a cui era stata sottoposta dalle parti una richiesta di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen.
In quella decisione, la Corte affermò che “pur in presenza di una richiesta ex art. 444 cod. proc. pen., il giudice deve pronunciare il proscioglimento nel merito non solo quando agli atti già acquisiti risulti la prova positiva dell’innocenza dell’imputato, ma anche quando manchi la prova di colpevolezza a suo carico”; nel caso di specie, il g.u.p. aveva assolto l’imputato in quanto l’unica prova di accusa era rappresentata dalle dichiarazioni rese da un coimputato risultate prive di qualsivoglia elemento di riscontro.
6. Il secondo motivo è inammissibile perché generico.
7. Si osserva, in primo luogo, che, diversamente da quanto pare insinuare il ricorrente, nella richiesta di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen. non vi è alcun riferimento ad eventuali limitazioni della confisca, posto che l’istanza argomenta in ordine alla non applicabilità, nel caso di specie, del disposto di cui all’art. 13-bis d.lgs. n. 74 del 2000 In ogni caso, l’art. 444, comma 1, cod. proc. pen., come modificato dall’art. 25, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 150 del 2022, limita alla sola confisca facoltativa la richiesta, proveniente dalle parti e indirizzata al giudice, di non ordinarla ovvero di ordinarla con riferimento a specifici beni o a un importo determinato; di conseguenza, l’accordo tra le parti non può avere ad oggetto l’esclusione della confisca obbligatoria.
In tal caso l’accordo può eventualmente vertere solo sull’individuazione dell’oggetto sul quale far ricadere la confisca, ovvero sull’ammontare della stessa; ma anche di ciò non vi è traccia nella richiesta ex art. 444 cod. proc. pen.
8. Nella specie, posto che il (OMISSIS) è imputato anche dei delitti di cui agli artt. 2 e 8 d.lgs. n. 74 del 2000, si è proprio in presenza di una confisca obbligatoria, come emerge dal chiaro dato testuale dell’art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000, a tenore del quale “nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 del codice di procedura penale per uno dei delitti previsti dal presente decreto, è sempre ordinata la confisca dei beni che costituiscano il profitto o il prezzo”.
Si rammenta, inoltre, che la confisca per equivalente può interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del profitto accertato, indipendentemente dalla quota del medesimo riferibile ad ognuno di loro, ed anche qualora il singolo correo non sia entrato nella disponibilità di alcuna parte del provento illecito.
Tale interpretazione appare coerente con il principio solidaristico che ispira la disciplina del concorso di persone nel reato e che, di conseguenza, implica l’imputazione dell’intera azione delittuosa in capo a ciascun concorrente, nonché con la natura della confisca per equivalente, a cui va riconosciuto carattere eminentemente sanzionatorio (ex multis, cfr. Sez. 5, n. 19091 del 26/02/2020, dep. 23/06/2020, Buonpensiere, Rv. 279494; Sez. 6, n. 26621 del 10/04/2018, Ahmed, Rv. 273256; Sez. 2, n. 5553 del 09/01/2014, Clerici, Rv. 258342; Sez. 2, n. 45389 del 06/11/2008, Perino Gelsomino, Rv. 241974; Sez. 2, n. 9786 del 21/02/2007, Alfieri ed altri, Rv. 235842).
9. Ciò chiarito, il G.u.p. bene ha fatto a disporre “la confisca di quanto sequestrato all’imputato”, in forza dell’indicato art. 12-bis.
Al proposito, il G.u.p. ha ritenuto che i beni già oggetto di sequestro costituiscono il profitto dei reati contestati, “non essendo peraltro revocabile in dubbio che il (OMISSIS) abbia operato per conto e nell’interesse degli organizzatori del sodalizio, ottenendo un compenso per la proprie illecite prestazioni” (p. 62 della sentenza impugnata), con ciò alludendo, evidentemente, al fatto che ciò che è stato sequestrato rappresenta – almeno in parte – anche il prezzo del reato.
10. La sentenza, peraltro, non indica il profitto complessivo derivante dalla commissione dei numerosi reati oggetto in contestazione, precisando, anzi, che “dagli atti non risulta in maniera chiara ed univoca quale sarebbe l’importo delle imposte evase a mezzo delle condotte illecite”, e nulla dice in ordine a “quanto sequestrato all’imputato”, e quindi quali siano i beni oggetto del provvedimento ablativo.
Orbene, posto che la confisca per equivalente del profitto del reato va obbligatoriamente disposta, anche con la sentenza di applicazione di pena ex art. 444 cod. proc. pen., pur laddove essa non abbia formato oggetto dell’accordo tra le parti, attesa la sua natura di vera e propria sanzione, non commisurata alla gravità della condotta né alla colpevolezza dell’autore, ma diretta a privare quest’ultimo del beneficio economico tratto dall’illecito, anche di fronte all’impossibilità di aggredire l’oggetto principale dell’attività criminosa (Sez. 3, n. 6047 del 27/09/2016, dep. 09/02/2017, Zaini, Rv. 268829), il ricorso, laddove attacca la motivazione in ordine alla confisca, appare del tutto generico.
A fronte di una statuizione che, come detto, è obbligatoria e che dà atto che quanto già sequestrato al (OMISSIS) rappresenta il profitto e/o il prezzo dei reati oggetto di contestazione, sarebbe stato onere del ricorrente sia indicare l’oggetto di ciò che è stato sequestrato al ricorrente medesimo in sede di indagine, sia elevare specifiche contestazioni, come, ad esempio, che l’importo dei beni sequestrati è superiore al profitto dei reati contestati, il che non è avvenuto.
Di qui la genericità – e dunque l’inammissibilità – del motivo.
11. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di 3.000 euro in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 31/05/2023.
Depositato in Cancelleria, oggi 13 giugno 2023.