REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SECONDA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Rosa Maria DI VIRGILIO – Presidente –
Dott. Milena FALASCHI – Consigliere –
Dott. Vincenzo PICARO – Consigliere –
Dott. Stefano OLIVA – Consigliere –
Dott. Remo CAPONI – Consigliere Rel. –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n.4171/2018, proposto da:
FIORELLA (OMISSIS), domiciliata in Roma, Via (OMISSIS) 23, presso lo studio dell’avv. MARCO (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avv. ALFREDO (OMISSIS);
-ricorrente-
contro
(OMISSIS) VINCENZO, domiciliato in Roma, Via (OMISSIS) 36, presso lo studio dell’avv. MARIO (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avv. ALESSANDRA (OMISSIS);
-controricorrente e ricorrente incidentale-
avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI NAPOLI n. 627/2017, depositata il 10/02/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 03/02/2023 dal cons. dott. REMO CAPONI.
FATTI DI CAUSA
Con citazione del 22/05/2004, Fiorella (omissis) conveniva Vincenzo (omissis) dinanzi al Tribunale di Napoli. Costei premetteva di essere proprietaria di un appartamento con terrazzo, confinante con altro terrazzo separato da un muro di proprietà del convenuto.
Lamentava che costui, nel corso degli anni:
(a) aveva realizzato una serie di opere in violazione delle distanze tra le costruzioni e per le vedute;
(b) aveva alterato il decoro architettonico del l’edificio.
Su questa base, nella sua qualità di proprietaria dell’unità immobiliare e di condomina, domandava la condanna alla riduzione in pristino e la condanna generica al risarcimento dei danni.
(omissis) contestava la domanda, eccependo sia l’usucapione che la prescrizione dell’azione altrui.
Il Tribunale accertava che (omissis) aveva realizzato, in appoggio al muro di confine tra i due terrazzi, un manufatto abitabile composto da più vani, coperto dai seguenti tre solai calpestabili, costituenti lastrici solai, situati a differenti quote: il primo a 2,25 metri dal calpestio, raggiungibile da una scala provvisoria e privo di parapetto; i restanti due rispettivamente a 3,00 e 3,30 metri, accessibili dal primo tramite un gradino di 75 centimetri, muniti di parapetti, posizionati a 1,03 metri dal terrazzo dell’attrice e a 5,90 metri dalla finestra del salone di quest’ultima.
Il giudice di primo grado accertava poi che dai due lastrici protetti è possibile sporgersi e guardare in tutte le direzioni nel fondo della vicina, applicava l’art. 905 c.c. (distanza minima di un metro e mezzo per l’apertura di vedute dirette), di conseguenza ordinava l’arretramento dei parapetti, oltre al risarcimento dei danni da liquidarsi in separato giudizio.
Escludeva, invece, la violazione dell’art. 873 c.c., osservando che era osservata la distanza minima dalla costruzione dell’attrice, poiché era possibile costruire in aderenza al muro, in applicazione del principio della prevenzione, senza che il regolamento comunale prevedesse qualcosa in contrario.
In secondo grado la pronuncia è stata confermata, previo rigetto dell’appello principale del convenuto e dell’incidentale dell’attrice.
Ricorre in cassazione l’attrice con due motivi.
Resiste il convenuto con controricorso e ricorso incidentale con quattro motivi, illustrati da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo del ricorso principale si deduce violazione degli artt. 873 e ss. c.c., 68 e 20 regolamenti edilizi, rispettivamente del 1999 e del 1935, per avere la Corte di Appello rigettato la domanda di condanna all’arretramento delle opere dal muro di confine.
La parte di sentenza censurata afferma che l’arretramento alla distanza regolamentare «potrebbe essere impartito per le sopraelevazioni che postulano una volumetria significativa dei piani sottostanti e tale certo non è lo sbalzo del solaio, anche considerato il principio per il quale, al fine del computo delle distanze, l’altezza dell’edificio si calcola al colmo piuttosto che alla gronda».
Il primo motivo è fondato.
In tema di distanze tra gli edifici, la scelta del preveniente di costruire sul confine è definitiva, nel senso che – una volta edificato nel sopraelevare l’opera, egli deve far combaciare il fronte della sopraelevazione con il fronte della costruzione inferiore, proseguendo in linea retta verticale, oppure deve arretrare il fronte della sopraelevazione fino a distanza dal confine non inferiore a quella legale o fino alla maggiore distanza prevista dai regolamenti locali vigenti al tempo della sopraelevazione (cfr. Cass. 7762/1999, 14077/2003).
Su questa base il primo motivo è accolto.
Spetterà al giudice di merito disporre l’applicazione delle distanze previste dal regolamento edilizio vigente al tempo della prima sopraelevazione.
2. – Con il secondo motivo del ricorso principale si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1127 c.c., con riferimento alla valutazione delle caratteristiche e dell’aspetto architettonico del fabbricato, per avere la Corte di appello omesso qualsiasi indagine volta ad individuare, in concreto, il preciso stile del fabbricato e dell’opera realizzata, giungendo alla conclusione secondo cui «non è apprezzabile l’incompatibilità con lo stile architettonico dell’edificio».
Il motivo è fondato.
Come si evince dalla sentenza, il c.t.u. ha rilevato che le opere realizzate dal (omissis) «alterano senz’altro lo stato originario di progetto del fabbricato. [ … ] Tali opere chiaramente osservabili dagli appartamenti circostanti (anche di altri edifici) a quota uguale o maggiore. [ … ] Le forme realizzate, quali ad esempio archi delle portefinestre, non risultano in sintonia con l’estetica del fabbricato, caratterizzata dalla linea dritta […] . Inoltre, i volumi realizzati introducono elementi di disturbo e confusione (quali ad esempio solai a differenti altezze), compromettendo ulteriormente un giudizio positivo sull’estetica del fabbricato».
La Corte ritiene di poter sottovalutare questi elementi, osservando che: «queste alterazioni sono intervenute su un prospetto dell’edificio già gravemente compromesso da plurimi interventi di altri condomini che hanno concorso a disperdere la simmetria, l’estetica e l’aspetto generale del fabbricato, oltre che dal degrado connesso alla vetustà della struttura […] Inoltre, essi non sono visibili dalla strada su cui aggetta il prospetto interessato di talché non è apprezzabile l’incompatibilità con lo stile architettonico dell’edificio, né la disomogeneità delle linee e delle strutture se non perdendo di vista l’armonia estetica dell’edificio e orientando lo sguardo da siti privati, con un’attenzione al particolare, piuttosto che all’insieme».
Tale motivazione urta contro la giurisprudenza di questa Corte già perché attribuisce rilevanza alla visibilità delle alterazioni.
Infatti, per decoro architettonico deve intendersi l’estetica del fabbricato risultante dall’insieme delle linee e delle strutture che lo connotano intrinsecamente, imprimendogli una determinata armonica fisionomia ed una specifica identità. Pertanto, è irrilevante il grado di visibilità delle nuove opere sottoposte a giudizio, in relazione ai diversi punti da cui si osserva l’edificio (cfr. Cass. 851/2007).
Inoltre, sottesa all’argomentazione della Corte territoriale è l’idea che non possa avere incidenza lesiva del decoro architettonico un’opera modificativa dell’edificio, quando l’originario decoro si sia già degradato in conseguenza di interventi modificativi precedenti di cui non sia stato preteso il ripristino.
Tale idea, se può vantare qualche appiglio nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. 4679/2009), è da coordinare con una considerazione sistemica che, nel valutare l’impatto sul decoro architettonico di un’opera modificativa, adotta un criterio flessibile, di maggiore o minore rigore, in vista delle caratteristiche dell’edificio di volta in volta sottoposto a giudizio, ove devono essere reciprocamente temperati i rilievi attribuiti all’unitarietà di linee e di stile originaria, alle menomazioni apportate da precedenti modifiche altrui e all’alterazione prodotta dall’attuale opera modificativa (cfr. Cass. 5417/2002).
A tutto ciò si aggiunge che nel caso di specie l’allegata lesione del decoro architettonico si congiunge ad un’altra violazione accertata (in materia di distanze) che impone comunque una revisione della nuova opera.
In tale contesto, far pesare in modo decisivo gli effetti delle plurime alterazioni precedenti per negare l’incidenza lesiva del decoro architettonico dell’opera modificativa sottoposta a giudizio priverebbe tale parametro estetico di qualsiasi forza normativa per il futuro, proprio nel momento in cui s’impone per altre ragioni una revisione della nuova opera. Su questa linea, cfr. già Cass. 851/2007 cit., che nega rilevanza a pregresse modifiche non autorizzate.
In sintesi, questo è il principio di diritto che fonda l’accoglimento del secondo motivo: «in materia di condominio negli edifici, nel valutare l’impatto di un’opera modificativa sul decoro architettonico è da adottare un criterio di reciproco temperamento tra i rilievi attribuiti all’unitarietà di linee e di stile originaria, alle menomazioni apportate da precedenti modifiche e all’alterazione prodotta dall’opera modificativa sottoposta a giudizio, senza che possa conferirsi rilevanza da sol a decisiva, al fine di escludere un’attuale lesione del decoro architettonico, al degrado estetico prodotto da precedenti alterazioni».
In conclusione, il secondo motivo del ricorso principale è accolto.
3. – Passando all’esame del ricorso incidentale, con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116, 345 co. 3 c.p.c., 1117, 1158, 2665, 2697 c.c., nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti per avere la Corte di appello rigettato l’eccezione di difetto di legittimazione dell’attrice fondata sul fatto che costei non ha dimostrato di essere proprietaria del terrazzo per cui è causa.
Il motivo è infondato.
Con esso il ricorrente incidentale sovrappone il proprio apprezzamento ricostruttivo della situazione di fatto rilevante a quello del giudice di merito, il quale non presta il fianco a censure ammissibili nel giudizio di legittimità.
L’argomentazione complessiva del motivo urta contro il principio secondo il quale il giudice di merito che fondi il proprio apprezzamento su alcune prove piuttosto che su altre non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere esplicitamente ogni singolo elemento probatorio o a confutare ogni singola deduzione che aspiri ad una diversa ricostruzione della situazione di fatto rilevante. In tal modo sono da ritenersi disattesi i rilievi che, sebbene non menzionati, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata.
L’apprezzamento del giudice di merito è censurabile in sede di legittimità solo nel caso in cui la motivazione sia talmente inadeguata da non consentire di ricostruire l’iter logico seguito dal giudice, mentre non vi è spazio per una critica ad opera del ricorrente che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente ricostruzione dei fatti.
Nel caso di specie, la Corte di appello di Napoli ha sufficientemente motivato il proprio convincimento che l’attrice sia proprietaria del terrazzo sulla base dell’esame del titolo (la scrittura privata del 19/12/1983) che menziona un terrazzo a livello annesso all’appartamento; le planimetrie presentate dal costruttore per l’accatastamento (17/07/1963); il possesso ultraventennale; la qualità accessoria del terrazzo rispetto all’appartamento dell’attrice, dal quale è esclusivamente raggiungibile.
Tale motivazione non è scalfita da alcuna fra le obiezioni mosse del convenuto. In particolare, non lo è da quella che fa leva sulla nota di trascrizione, che non costituisce fonte di prova del contenuto del titolo, ma solo uno dei vari elementi sui quali il giudice può fondare il proprio convincimento, anche perché la trascrizione ha la funzione di risolvere il diverso problema del conflitto tra più aventi causa dallo stesso autore (cfr. Cass 20641/2013).
Non è scalfita dalla censura relativa alla mancata ammissione della documentazione prodotta per la prima volta in appello, che in ogni caso è da ravvisare come superflua ex art. 209 c.p.c.
Infine, la ratio che si basa sulla qualità di condomina dell’attrice non vale certo a scalzare la sua legittimazione quale proprietaria esclusiva del terrazzo, ma assume carattere palesemente accessorio.
In conclusione, il primo motivo del ricorso incidentale è rigettato.
4. – Con il secondo motivo del ricorso incidentale si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1158, 2934 c.c., 31 l. 47/1985, nonché omesso esame circa un fatto decisivo, per avere la Corte di appello omesso di dichiarare l’usucapione del diritto di servitù a mantenere le opere realizzate a distanza inferiore a quella prevista dalla legge e dai regolamenti edilizi locali.
Il motivo non è fondato.
La sentenza accerta il difetto di prova che le opere effettuate nel 1993 abbiano investito una superficie analoga a quella attualmente occupata e che l’edificazione sulla zona prospiciente il muro di confine sia rimasta immutata nel tempo. Al contrario, la seconda istanza di condono rinviene la propria ragione sufficiente nell’esigenza di sanare l’abbattimento dell’originaria veranda, sostituita da una nuova costruzione in muratura.
Da questo e da altri elementi, la Corte territoriale desume che l’inclusione del precedente manufatto in una più vasta struttura impone di qualificare come nuova l’opera e impedisce di far regredire il dies a quo del ventennio utile alla prescrizione (acquisitiva ed estintiva) al completamento della precedente struttura (veranda), totalmente diversa. Tale apprezzamento non esibisce profili censurabili nel giudizio di legittimità. In conclusione,
il secondo motivo è rigettato.
5. – Con il terzo motivo del ricorso incidentale si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 905 e 1102 c.c., nonché omesso esame circa un fatto decisivo, per avere la Corte di appello ritenuto che la fattispecie per cui è causa debba essere disciplinata dall’art. 905 c.c., accertandone la violazione e non già dall’art. 1102 c.c.
Il motivo è infondato.
In via di principio, la disciplina delle distanze delle costruzioni si osserva anche n ei rapporti tra condomini di un edificio purché sia compatibile con la disciplina relativa alle cose comuni, che quindi prevale in ipotesi di contrasto, determinando l’inapplicabilità delle norme sulle distanze (cfr. Cass 30528 del 2017). La Corte di appello ha correttamente constatato che nella situazione de qua non sussistesse contrasto tra le due discipline.
In conclusione, il terzo motivo è rigettato.
6. – Con il quarto motivo del ricorso incidentale, si deduce violazione degli artt. 905 e 2697 c.c., nonché omesso esame circa un fatto decisivo, poiché la Corte di appello ha ritenuto sussistente il danno in re ipsa in capo all’attrice.
Il motivo è infondato.
La Corte di appello ha accolto la domanda di condanna generica, conformandosi alla giurisprudenza di legittimità secondo cui l’accertata violazione della disciplina delle distanze reca con sé di regola un danno da risarcire, salva la possibilità dell’autore della violazione di dare la prova di fatti impeditivi del danno, come le peculiarità dei luoghi o dei modi della lesione (cfr. Cass. 25082/2020).
In questo senso è da intendere il concetto di danno in re ipsa, cioè come danno che normalmente (secondo il corso ordinario degli eventi) coincide con l’evento della lesione (del contenuto ) di certi diritti (come la proprietà e gli altri diritti reali) e che si produce come modalità della lesione, salva la prova contraria, cioè che il danno non si è verificato per un andamento delle cose accidentalmente divergente dall’id quod plerumque accidit. Tale è l’impostazione recentemente avallata da Cass. SU 33645/2022.
In conclusione, il quarto motivo è rigettato.
7. – Con il quinto motivo del ricorso incidentale si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., nonché omesso esame circa un fatto decisivo, con riferimento al governo delle spese del giudizio di primo grado, per avere la Corte di appello, da un lato, confermato la decisione di prime cure che applicato il criterio della soccombenza integrale di cui all’art. 91 c.p.c., dall’altro lato, disposto la compensazione integrale delle spese in secondo grado, in una situa- zione in cui vi è una evidente soccombenza reciproca.
Del quinto motivo è da dichiarare l’assorbimento, poiché l’accoglimento del ricorso principale è accompagnato dal giudizio di rinvio, all’esito del quale il giudice dovrà procedere ad una rideterminazione delle spese, secondo l’esito finale della lite.
8. – In conclusione, è accolto il ricorso principale; sono rigettati i primi quattro motivi del ricorso incidentale; è assorbito il quinto motivo del ricorso incidentale; è cassata la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti del ricorso principale; è rinviata la causa alla Corte di appello di Napoli, che si pronuncerà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Inoltre, ai sensi dell’art. 13, co. 1-quater d.p.r. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17 l. 228/12, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera della parte ricorrente incidentale, dell’ulteriore somma pari al contributo unificato per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale; rigetta i primi quattro motivi del ricorso incidentale; dichiara assorbito il quinto motivo del ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti del ricorso principale; rinvia la causa alla Corte di appello di Napoli in diversa composizione, che si pronuncerà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Inoltre, ai sensi dell’art. 13, co. 1-quater d.p.r. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17 l. 228/12, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera della parte ricorrente incidentale, dell’ulteriore somma pari al contributo unificato per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 03/02/2023.
Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2023.