LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE CIVILE
Composta da
Enrico Scoditti – Presidente –
Giacomo Travaglino – Consigliere –
Lina Rubino – Rel. Consigliere –
Enzo Vincenti – Consigliere –
Emilio Iannello – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6264/2022 R.G. proposto da
(omissis) (omissis) rappresentato e difeso dall’avvocato (omissis) (omissis) con sede in Roma in via (omissis)
– ricorrente –
contro
Azienda Sanitaria Unica Regionale delle Marche (AZUR Marche) di (omissis) rappresentato e difeso dall’avvocato (omissis) (omissis), presso i cui uffici domicilia, via (omissis) (omissis) n. 73;
– controricorrente –
contro
GENERALI ASS.NI e UNIPOL SAI rappresentata e difesa dall’avvocato (omissis) (omissis);
– controricorrenti –
e
(omissis) (omissis) Sindaco di Urbino
– controricorrente –
(omissis) (omissis) Sindaco di Cantiano, rappresentato e difeso dall’avvocato (omissis) (omissis);
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona, n. 523/22, pubblicata il 27 aprile 2022.
Sentita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/10/2024 dal Consigliere dr.ssa Lina Rubino.
FATTI DI CAUSA
1.- (omissis) (omissis) propone ricorso per cassazione articolato in tre motivi nei confronti di (omissis) (omissis), della Azienda Sanitaria Unica Regionale delle Marche (AZUR Marche), di (omissis), del sindaco di Urbino, (omissis) (omissis), di (omissis) (omissis), (omissis) (omissis), (omissis) (omissis) e del Comune di Cantiano, nonché di GENERALI ITALIA Spa e della Compagnia Assicuratrice UNIPOLSAI Spa per la cassazione della sentenza n. 523/2022 della Corte d’Appello di Ancona, pubblicata il 27.4.2022, notificata l’11.5.2022.
2.- Resistono con distinti controricorsi il (omissis), il Sindaco del Comune di Urbino, il Comune di Cantiano, i dott. (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) (con controricorso congiunto), la (omissis), il (omissis) (omissis), la Asur Marche e GENERALI ITALIA Spa
2.1. – In prossimità della data fissata per l’adunanza camerale hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c. la difesa della (omissis) (che ha depositato anche un atto successivo denominato memoria di replica), il (omissis) (omissis) e i signori (omissis) e (omissis) (omissis).
3.- Questa la vicenda, per quanto ancora di interesse in questa sede:
– nel 2013 la ricorrente (omissis) (omissis) conveniva in giudizio l’allora sindaco del Comune di Urbino (omissis) (omissis) in qualità di autorità sanitaria locale, l’Asur di Urbino, l’Asur Marche, il dottor (omissis) (omissis), in servizio di guardia medica presso l’Ospedale di (Omissis) chiamato ad intervenire dal 118 il giorno dei fatti, il dottor (omissis) (omissis), primario del reparto di Pronto Soccorso dell’Ospedale di Urbino, il dottor (omissis) (omissis), psichiatra presso il reparto di salute mentale dello stesso Ospedale, l’agente di polizia municipale di Cantiano (omissis) (omissis), il maresciallo della stazione dei carabinieri di Cantiano (omissis) (omissis), chiedendo che tutti venissero condannati nei suoi confronti al risarcimento del danno non patrimoniale patito per essere stata sottoposta per nove giorni a un trattamento sanitario obbligatorio dichiarato illegittimo dal giudice, a seguito di un diverbio verificatosi tra la (omissis) (omissis) e un suo vicino di casa, sulla piazza del Comune di Cantiano, durante una sagra, che provocava l’intervento della vigilessa, quindi del maresciallo dei carabinieri ed infine dei medici citati, che ne richiedevano il TSO, la cui ordinanza era poi sottoscritta dal Sindaco di Urbino. Era chiamata in causa GENERALI ITALIA Spa, assicuratrice per la responsabilità civile del Comune di Urbino. La (omissis) chiamava in causa in manleva il Comune di Cantiano e questo a sua volta evocava in giudizio in manleva la UNIPOLSAI.
4. – Il Tribunale di Ancona e poi la Corte d’Appello di Ancona, con la sentenza qui impugnata, rigettavano la domanda.
4.1. – In particolare, il Tribunale affermava che l’accertata illegittimità della ordinanza dispositiva del TSO emessa dal Sindaco di Urbino e del conseguente decreto di convalida del giudice tutelare non dessero automaticamente diritto al risarcimento del danno in favore della destinataria del provvedimento, e che mancasse la prova che la sottoposizione a TSO, pur illegittima ed ingiustificata, avesse determinato conseguenze risarcibili, non potendo il danno non patrimoniale ritenersi mai in re ipsa.
Aggiungeva che l’attrice aveva una personalità caratterizzata da significative difficoltà relazionali pregresse e che la doglianza di essere etichettata ed apostrofata dal vicinato come “matta”, qualora fosse stata rispondente alla realtà, non necessariamente doveva collegarsi al ricovero forzato ma, più verosimilmente, era da ricondursi al contrasto sociale già creato intorno a sé con i suoi comportamenti.
4.2. – La Corte d’Appello, con la sentenza qui impugnata, ha confermato il rigetto della domanda per mancanza di prova del danno.
Previo il richiamo a Cass. n. 3900 del 2016, a mente della quale il TSO pur illegittimo ed annullato non esime dal provare l’esistenza di un danno ingiusto come conseguenza del trattamento subito, la sentenza impugnata aggiunge che l’annullamento del TSO, giacché disposto all’esito di un provvedimento con un petitum diverso rispetto a quello azionato nel presente giudizio, ed anche tra parti diverse, essendo state parti nel procedimento di annullamento solo la (omissis) (omissis) e il sindaco di Urbino, emittente, non spiega efficacia di giudicato nel giudizio risarcitorio.
La Corte d’Appello prosegue escludendo il diritto al risarcimento del danno da illegittima sottoposizione a TSO in mancanza della prova del danno conseguenza. Specifica che non è provato che i farmaci che sono stati forzatamente somministrati alla ricorrente le abbiano causato danni alla salute.
Quanto alla privazione della libertà personale, afferma che non è equiparabile il TSO – pur se annullato – alla ingiusta detenzione, la cui disciplina non è applicabile neppure in via analogica, e quindi che alla ricorrente non spetta una indennità di equa riparazione per ogni giorno di ingiustificata permanenza in ospedale contro la sua volontà, prescindente dalla prova del danno.
Aggiunge che la (omissis) (omissis) viveva già in una condizione di disagio psichico, sia prima che dopo la sottoposizione, pur se ingiustificata, al trattamento sanitario obbligatorio, per cui non è possibile individuare un prima e un dopo delle sue condizioni rispetto al TSO, ovvero non è apprezzabile se le sue condizioni fisiopsichiche ed anche la sua credibilità sociale e la sua immagine siano peggiorate a causa del trattamento.
5.- La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio, all’esito della quale il Collegio ha riservato il deposito della decisione nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La ricorrente formula tre motivi di ricorso.
1.- Con il primo motivo la ricorrente denuncia l’erronea e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059 c.c. con riferimento anche all’art. 185 c.p. nonché degli artt. 2,13 e 32 della Costituzione e dell’art. 5 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Evidenzia di aver chiesto non soltanto e non tanto il risarcimento del danno alla salute, quanto il complessivo risarcimento del danno conseguente alla illecita privazione della libertà personale, lesa da un provvedimento dichiarato illegittimo e quindi eliminato dal mondo del diritto, fonte di un danno non patrimoniale consistente nella sofferenza pura e nel discredito, da liquidarsi con criterio equitativo.
Sottolinea di essere stata sottoposta a trattamenti sanitari a base anche di potenti antipsicotici, del tutto ingiustificati e che per nove giorni è stata ingiustificatamente privata della libertà personale, con una condotta da parte dei medici riconducibile ai reati di lesioni e violenza privata: rivendica che il danno non patrimoniale che ha subito deve essere risarcito, in tutte le sue componenti.
2. – Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, in via subordinata, l’erronea e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e degli artt. 2699 e 2700 c.c. non essendosi la corte territoriale pronunciata in merito al secondo motivo di appello.
Mediante il secondo motivo di appello la (omissis) (omissis) intendeva contestare l’affermazione del giudice di primo grado secondo la quale, come risulterebbe da un documento in atti al quale è stato attribuito valore di atto pubblico, la ricorrente, finiti i nove giorni di ricovero coattivo, si sarebbe trattenuta altri due giorni in ospedale per sua scelta volontaria, e che ciò farebbe venir meno l’illegittimità della intera condotta, perché con quel comportamento volontario ella avrebbe accettato, apprezzandone implicitamente l’utilità, tutta l’attività precedente.
Sostiene che quel documento, ovvero la comunicazione del dott. (omissis) in cui si riferisce la volontà della paziente di proseguire volontariamente le terapie in ospedale, scaduto il periodo di TSO, non poteva valere fino a querela di falso, e che non era impegnativo nei suoi confronti perché riportava una dichiarazione altrui. Nessuna valenza di ratifica dell’attività illegittima precedente svolta dai medici poteva avere il predetto documento perché non le fu mai, neppure allora, dopo la fine del TSO, consentito di formarsi un consenso informato.
Aggiunge che, quand’anche si volesse ritenere provato il prolungamento volontario della degenza dopo la scadenza dei nove giorni, ciò non fa venir meno l’illegittimità del comportamento precedente di tutti i soggetti coinvolti.
3. – Con il terzo motivo di ricorso, la ricorrente denuncia l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
Questi i fatti decisivi indicati:
– che la (omissis) (omissis) era ancora docente presso l’Università di Ancona al momento dei fatti, mentre in sentenza si è affermato il contrario;
– l’inesistenza di documentati episodi precedenti attestanti una sua condizione di alterazione psichica;
– l’inesistenza del consenso della (omissis) (omissis) alla prosecuzione volontaria della permanenza in ospedale scaduto il TSO.
4. – I controricorrenti a loro volta ricostruiscono i fatti, chiariscono il loro ruolo nell’episodio a seguito del quale la ricorrente è stata sottoposta a TSO, e in considerazione del loro ruolo del tutto marginale nella vicenda alcuni dei controricorrenti (la vigilessa (omissis), il Comune di Cantiano, il maresciallo dei carabinieri (omissis) (omissis), il medico di guardia presso l’Ospedale di (Omissis) dott. (omissis)), evidenziano la propria estraneità alla richiesta di TSO, al relativo iter provvedimentale e ai danni da essa eventualmente conseguenti in capo alla ricorrente.
5. – I dottori (omissis) e (omissis), richiedenti il TSO, sostengono nel loro controricorso che il provvedimento sindacale e il relativo annullamento non sono loro opponibili perché non sono stati parti del procedimento amministrativo che ha portato all’annullamento dell’ordinanza sindacale.
6.- Tutto ciò premesso, il primo motivo di ricorso è fondato e va accolto, i successivi rimangono assorbiti.
6.1. – Come già affermato da questa Corte (Cass. n. 509 del 2023 e Cass. n. 25127 del 2024), il trattamento sanitario obbligatorio – che integra un evento terapeutico straordinario, finalizzato alla tutela della salute mentale del paziente – può essere disposto anche senza il consenso informato dello stesso, ove, a fronte di alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, non sia possibile adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extra-ospedaliere e il paziente rifiuti gli interventi terapeutici proposti.
La sottoposizione ad un trattamento limitativo della libertà personale quale il TSO, che si accompagna anche ad eventuali terapie farmacologiche o nei casi estremi a misure di contenzione personali imposte, per preservare la salute e la sicurezza prima di tutto del paziente in condizioni di fragilità psichica e di quanti vengano a contatto con lui, avviene all’esito di una complessa procedura (analiticamente ricostruita da Cass. n. 509 del 2023) che si articola in una richiesta a doppia firma volta a segnalare la necessità di sottoposizione al trattamento, proveniente dal medico di medicina generale di un ospedale pubblico e controfirmata dallo specialista di psichiatria del medesimo ospedale, preceduta necessariamente dalla visita di entrambi al paziente, in una ordinanza sottoscritta dal sindaco come autorità di vigilanza del territorio in materia sanitaria, a sua volta sottoposta al vaglio del controllo da parte del giudice tutelare (e quindi del giudice ordinario, perché idonea a determinare la compressione di un diritto fondamentale).
Nel caso di specie, la paziente, portata in ospedale, è stata visitata dai due medici che hanno richiesto per lei il TSO, ma l’ordinanza sindacale è stata successivamente annullata perché si è accertato che fosse totalmente priva di adeguata motivazione. Essa, come provvedimento legittimante la temporanea privazione della libertà personale in capo alla ricorrente, non esiste più.
6.2. – Ciò premesso, è in sé corretta l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, in base alla quale l’annullamento della ordinanza del Sindaco di Urbino non implica, di per sé, che il destinatario del provvedimento dichiarato illegittimo sia esonerato dal dover dimostrare l’esistenza del danno ingiusto come conseguenza del trattamento subito, atteso che, anche in caso di illegittima sottoposizione a TSO non si può, senza aggiungere altre considerazioni, affermare che dal trattamento sanitario illegittimo discendono automaticamente delle conseguenze dannose a carico di chi lo ha subito, risarcibili in via equitativa. Come in ogni altro caso in cui sia allegato il verificarsi di un danno non patrimoniale, scaturente come conseguenza da un determinato evento dannoso, l’esistenza del medesimo è comunque essere oggetto di prova, non potendo derivare con carattere di automaticità dall’annullamento del provvedimento autorizzativo del TSO (in questo senso, a proposito di danni da TSO, Cass. n. 3900 del 2016, citata dalla sentenza impugnata).
È bene puntualizzare che, nel caso di specie, la (omissis) (omissis) ha agito per il risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla illegittima, prolungata sottoposizione a un trattamento limitativo della sua libertà personale, in tutte le sue componenti, consistenti sia nella sofferenza legata alla vicenda in sé, che nel danno dinamico relazionale provocatole dall’episodio che ha portato al suo ricovero in ospedale e poi dal trattenimento forzato e nella sottoposizione forzosa a terapie.
6.3. – Nel caso di specie, il verificarsi del danno evento, ovvero il fatto illecito, nella sua materialità, consistente nella privazione della libertà personale per nove giorni e nella sottoposizione forzata, nell’indicato periodo, a un trattamento farmacologico e antipsicotico imposto senza il consenso dell’interessata (il TSO legittimamente adottato prescinde appunto dal consenso), è stato accertato e non è neppure oggetto di contestazione, conseguendo all’intervenuto annullamento dell’ordinanza sindacale autorizzativa del TSO.
La Corte d’Appello conferma però il rigetto della domanda risarcitoria ritenendo che la ricorrente non abbia offerto alcuna prova del danno conseguenza, sulla base di una serie di considerazioni che non sono idonee a sostenere la decisione, in quanto alcune inconferenti, altre errate in diritto.
6.4. – è corretta, in sé – ma inconferente – l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo la quale la situazione della illegittima sottoposizione a TSO non sia equiparabile alla ingiustificata detenzione, per la quale la legge prevede un indennizzo forfettario calcolabile sulla base dei giorni di ingiustificata privazione della libertà a prescindere dalla prova del danno (salvo ipotesi particolari che possono portare al non riconoscimento dell’indennizzo) e che quella disciplina non sia applicabile neppure in via analogica al caso di specie, perché solo per riparare alle ipotesi di ingiusta detenzione è stata introdotta una previsione normativa specifica, di stretta interpretazione.
La Cassazione penale (Cass. n. 17718 del 2008) ha già avuto occasione di dichiarare inammissibile la domanda di riconoscimento del diritto all’indennizzo presentata in relazione ad una ipotesi di illegittima sottoposizione a trattamento sanitario obbligatorio proposta con il rito previsto per la riparazione della ingiusta detenzione.
Nel giudicare sul ricorso proposto avverso l’impugnazione del provvedimento della Corte d’Appello penale come giudice di merito in unico grado, ex art. 314 e 315 c.p.p. (quindi emesso all’esito del procedimento speciale di riparazione attivato fuori dai presupposti di legge) la Cassazione penale dava atto che non vi è dubbio che la sottoposizione al trattamento sanitario obbligatorio effettuato al di fuori del paradigma legale costituisca una illecita ed ingiusta privazione della libertà personale, ma al tempo stesso dichiarava inammissibile la domanda in quanto l’istituto della riparazione per ingiusta detenzione è istituto speciale, ristretto in una cornice molto precisa, circoscritta esclusivamente alle fattispecie di detenzione cautelare ingiusta disposta ed eseguita in ambito penale, non suscettibile di applicazione analogica ad altre ipotesi di ingiusta privazione della libertà personale. Si tratta di un giudizio sottratto ai canoni dell’art. 2043 c.c., di competenza del giudice penale, regolato almeno in parte dall’impulso di ufficio, in cui anche l’imputato assolto dalla incolpazione per la quale è stato sottoposto a carcerazione preventiva potrebbe essere ritenuto non meritevole dell’indennizzo ove ritenuto in colpa dal giudicante (Cass. n. 24007 del 2024).
6.5. – Se per riparare al pregiudizio da illegittima sottoposizione a TSO non si può utilizzare la diversa e specifica disciplina dettata per l’indennizzo da ingiusta detenzione, per contro, qualora la domanda di risarcimento danni da illegittima sottoposizione a TSO sia stata proposta, come in questo caso, essa va esaminata, e non può essere legittimamente rigettata per difetto di prova del danno, senza dar spazio all’attività istruttoria, senza adeguatamente motivare in merito alla eventuale inconcludenza delle prove articolate, e senza procedere a verificare se sia utilizzabile ai fini della prova del danno il ragionamento presuntivo ove richiesto. Che alla (omissis) (omissis) non possa esser riconosciuto l’indennizzo per ingiusta detenzione non fa venir meno il fatto obiettivo della privazione della libertà personale, e l’allegazione del pregiudizio conseguente, che nella sua intrinseca idoneità afflittiva non è stato preso adeguatamente in considerazione al fine di essere valutato sotto il profilo delle eventuali conseguenze pregiudizievoli per chi lo ha subito.
La Corte d’Appello, dopo le considerazioni in ordine alla non predicibilità della disciplina per l’ingiusta detenzione, ha confermato il rigetto della domanda negando recisamente che fosse stata offerta la prova del danno conseguenza, ovvero del pregiudizio patito dalla persona sottoposta illecitamente a trattamento sanitario obbligatorio, negando l’ingresso alle prove testimoniali ed anche alla consulenza tecnica richieste dalla ricorrente.
6.6. – Va a questo proposito puntualizzato che la illegittima privazione della libertà personale e la sottoposizione contro la propria volontà a trattamenti sanitari non consentiti ed indesiderati, consistendo in una ingiustificata compressione del diritto inviolabile alla libertà personale costituzionalmente tutelato, può essere causa di danno risarcibile anche a prescindere dal fatto che essa si associ ad un apprezzabile danno alla salute della persona.
La ricorrente non contesta il punto della decisione in cui, adesivamente rispetto al primo giudice, si conferma che la (omissis) (omissis) non abbia allegato alcuna patologia conseguente alle terapie cui è stata forzatamente sottoposta, né abbia lamentato specifici danni fisici. Osserva che non le sia stato di fatto consentito di provare il pregiudizio subito sotto il profilo della sofferenza e della perdita di considerazione sociale.
Deve essere osservato, quanto invece al danno non patrimoniale in sé, nella sua duplice specificazione del profilo della sofferenza vera e propria e del danno dinamico relazionale, che in quest’ambito particolarmente rileva l’afflittività della eventuale sottoposizione a misure di contenzione, che possono essere utilizzate solo come strumento ultimo e inevitabile, e comunque temporaneo e sottoposto a controlli medici, finalizzato esclusivamente alla tutela della sicurezza dell’interessato e delle persone con le quali questi entra in contatto, e non alla più facile gestione del paziente da parte della struttura sanitaria (v. Corte EDU, Lavorgna c. Italia, 7 novembre 2024, n. 8436/2021, che ha recentemente condannato lo Stato italiano per la sottoposizione di un paziente sottoposto a TSO, per diversi giorni, ad un trattamento con cinghie di contenzione, evidenziando la natura eccezionale delle misure di contenimento fisico e di sedazione farmacologica da adottarsi nei confronti di pazienti affetti da una patologia psichiatrica: misure che possono essere giustificate solo dalla necessità di impedire un danno, concreto e imminente, al soggetto ricoverato in una struttura ospedaliera, correlata alla certezza che la pericolosità di tali soggetti non possa essere neutralizzata diversamente, con il ricorso a trattamenti clinici meno invasivi).
6.7. – Va ulteriormente aggiunto che la condizione di eventuale fragilità psicologica o psichica del paziente illegittimamente sottoposto a TSO non costituisce, come sembra ritenere la Corte d’Appello, una condizione ostativa alla apprezzabilità da parte del danneggiato e alla valutabilità da parte del giudice delle conseguenze pregiudizievoli dell’illecito, né quanto alla componente di sofferenza pura, né per quanto riguarda il pregiudizio nella sfera dinamico relazionale.
La condizione di eventuale fragilità del danneggiato rileva solo sotto il profilo della maggior complessità dell’accertamento ovvero della necessità di procedere ad un accertamento del danno che tenga conto, nelle sue modalità, della particolare condizione del potenziale danneggiato, al fine di indagare con mezzi adeguati, pur nei limiti dei fatti allegati e dei mezzi di prova proposti, e non di escludere a priori, se la privazione della libertà personale ridondi in una particolare sofferenza o se al contrario venga limitatamente o non apprezzabilmente percepita come tale dal soggetto, come pure a verificare se e in che misura il rapporto già eventualmente difficoltoso con gli altri della persona psicologicamente fragile sia stato negativamente intaccato, nell’immagine e nella considerazione sociale, dalla sottoposizione a TSO, rivelatasi a posteriori illegittima.
L’equazione che si ricava dalla motivazione della sentenza impugnata, secondo la quale il fatto incontestato della forzata privazione della libertà personale della ricorrente, i trattamenti farmacologici subiti a forza, la destabilizzazione conseguente di un equilibrio già precario, la perdita di reputazione sociale fossero fatti sostanzialmente irrilevanti, proprio perché si trattava di una persona fragile e il cui rapporto con gli altri era comunque già problematico, prima che si verificassero i fatti per cui è causa, è errata e si traduce nella mancanza di una corretta verifica dell’esistenza e dell’entità dei danni conseguenza.
In altri termini, va ribadito, ove necessario, giacché la Corte d’Appello sembra non esserne stata consapevole, che i comportamenti illeciti possono rilevare sotto il profilo del danno conseguenza come danno non patrimoniale, nelle sue componenti della sofferenza pura e del danno dinamico relazionale, anche nei confronti di una persona psicologicamente fragile e che non goda di elevata considerazione sociale, perché ogni persona ha diritto a non essere coinvolta illegittimamente in episodi che mettano (ancor più) a repentaglio il suo equilibrio e la sua reputazione pubblica.
Diversamente opinando si arriverebbe all’estrema, inaccettabile conseguenza, di affermare che gli episodi di violenza, di minaccia, di dileggio che si consumano a danno di persone psichicamente instabili o comunque che si collocano ai margini della società, e di illegittima privazione della libertà personale nei confronti di queste persone non producono mai alcun danno perché queste persone anche prima non godevano di elevata considerazione sociale o perché le stesse, avendo un equilibrio fragile e instabile, non sono in grado di avvertire il peso delle umiliazioni o di soffrire per la privazione della propria libertà.
È quindi del tutto errata e censurabile, perché priva di ogni riscontro e di una effettiva analisi dei fatti nonché della valutazione delle eventuali conseguenze subite dalla ricorrente, anche perché prescindente da ogni approfondimento clinico e psicologico, pur richiesti, l’affermazione (a pag. 15 della sentenza impugnata) secondo la quale, attesa la preesistente situazione di disagio psichico della signora, vissuta sia intimamente che nelle relazioni con il prossimo, non sia possibile “individuare un prima e un dopo rispetto a quanto accaduto nel maggio 2009”.
Ugualmente e correlatamente errata è, in siffatta situazione, la scelta di non ammettere la consulenza tecnica, pur richiesta, perché ritenuta meramente esplorativa, laddove nei casi in cui la comunicazione diretta con la parte e l’apprezzamento delle sue condizioni psicofisiche è problematica per il giudice, la consulenza tecnica (avvalendosi se del caso anche di specialisti in psicologia) diviene uno strumento istruttorio officioso necessario al fine di fornire il supporto tecnico adeguato per compiere la verifica delle conseguenze del fatto lesivo sul danneggiato; la sua richiesta non può, pertanto, essere ritenuta meramente esplorativa, dovendosi intendere come tale soltanto l’istanza rivolta a supplire le deficienze allegative ed istruttorie di parte, così da aggirare il regime dell’onere della prova sul piano sostanziale o i tempi di formulazione delle richieste istruttorie sul piano processuale.
7.- Il primo motivo di ricorso è accolto, gli altri ne restano assorbiti. La sentenza impugnata è cassata e la causa è rinviata, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Ancona in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’Appello di Ancona in diversa composizione.
Così deciso nella camera di consiglio della Corte di cassazione il 24 ottobre 2024.
Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2024