LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SECONDA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati
ANTONIO SCARPA Presidente
ROSSANA GIANNACCARI Consigliere
GIUSEPPE FORTUNATO Consigliere
RICCARDO GUIDA Consigliere – Rel.
CHIARA BESSO MARCHEIS Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n.10406/2024 R.G. proposto da:
(omissis) (omissis) (omissis) (omissis), rappresentato e difeso dall’avvocato (omissis) (omissis).
– Ricorrente –
Contro
PREFETTURA PESARO, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato.
– Controricorrente –
Avverso la sentenza del Tribunale di Pesaro n. 260/2024 depositata il 14/03/2024.
Udita la relazione svolta dal Consigliere dr. Riccardo Guida nella camera di consiglio del 12 giugno 2025.
Rilevato che:
1. Con ricorso in data 15/01/2024, (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) ha appellato la sentenza del Giudice di pace di Pesaro che aveva respinto l’opposizione dallo stesso proposta contro l’ordinanza prefettizia di revoca della patente di guida a seguito di sentenza del Tribunale di Pesaro (irrevocabile il 28/09/2022) di estinzione del reato di cui all’art. 186 comma 2 lett. c) e comma 2 bis del codice della strada, per esito positivo della messa alla prova.
Il Tribunale, nel contraddittorio della prefettura, ha respinto l’appello dopo avere ritenuto non fondati i dubbi dell’appellante di costituzionalità dell’art. 224 comma 3 c.d.s., per contrasto con gli artt. 3, 24, 27 Cost., nella parte in cui la norma prevede che il prefetto proceda all’accertamento della sussistenza delle condizioni di legge per la revoca della patente di guida, senza tenere conto dell’estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova, con conseguente disparità di trattamento rispetto alla disciplina del lavoro di pubblica utilità ex art. 186 comma 9bis c.d.s.;
2. avverso la sentenza d’appello, (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) ha proposto ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi, cui ha resistito la prefettura con controricorso.
Il Sostituto Procuratore Generale, dr. Michele Di Mauro ha depositato conclusioni scritti ed ha chiesto che il ricorso sia rigettato e dichiarato inammissibile.
In prossimità dell’udienza, il ricorrente ha depositato una memoria.
Considerato che:
1. il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 219, comma 3ter, c.d.s., come richiamato dall’art. 224, comma 3, c.d.s., in relazione all’avvenuta estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova (art. 168bis c.p.).
La sentenza sarebbe viziata nella parte in cui afferma che, in caso di guida in stato di ebbrezza di cui all’art. 186 comma 2 lett. c) c.d.s., aggravata da un incidente stradale (comma 2 bis) , la revoca della patente di guida è applicabile in modo automatico anche nell’ipotesi di estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova, trascurando che la S.C., con sentenza n. 3019/2024, ha stabilito che, in base a un’interpretazione delle suddette norme costituzionalmente orientata e coerenti con i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 75 del 2020, non può ritenersi consentita la revoca della patente di guida da parte del prefetto in caso di estinzione del reato di guida in stato di ebbrezza alcolica per svolgimento positivo della messa alla prova;
1.1. il motivo è infondato;
occorre richiamare, in breve, le norme e la giurisprudenza (costituzionale e di legittimità) di riferimento.
Sul piano normativo, la revoca della patente è disposta dal prefetto nei confronti del conducente che ha commesso la contravvenzione di cui all’art. 186 comma 2 lett. c) e comma 2 bis del codice della strada, che si ha nel caso del conducente che guida in stato di ebbrezza,nei confronti del quale sia stato accertato un tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l, e che provoca un incidente stradale.
Ricorrendo tale fattispecie di reato, ai sensi del comma 9 bis dell’articolo 186, la sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità non è prevista: infatti, la disposizione così recita: “Al di fuori dei casi previsti dal comma 2 bis del presente articolo, la pena detentiva e pecuniariapuò essere sostituita […] con quella del lavoro di pubblica utilità di cui all’art. 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 […]”.
Sul piano della giurisprudenza, la Corte costituzionale, con sentenza n. 75 del 2020, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 224 ter comma 6 del codice della strada, nella parte in cui prevede che il prefetto verifica la sussistenza delle condizioni di legge per l’applicazione della sanzione amministrativa accessoria della confisca del veicolo, anziché disporne la restituzione all’avente diritto, in caso di estinzione del reato di guida sotto l’influenza dell’alcool per esito positivo della messa alla prova.
La sentenza (vedi punto 3.4.1.) spiega che « è manifestamente irragionevole che, pur al cospetto di una prestazione analoga, qual è il lavoro di pubblica utilità, e pur a fronte della medesima conseguenza dell’estinzione del reato, la confisca del veicolo venga meno per revoca del giudice, nel caso di svolgimento positivo del lavoro sostitutivo, e possa essere invece disposta per ordine del prefetto, nel caso di esito positivo della messa alla prova.
L’irragionevolezza è resa ancor più evidente dal fatto che la sanzione amministrativa accessoria della confisca, mentre viene meno per revoca giudiziale nell’ipotesi di svolgimento positivo del lavoro sostitutivo, può essere disposta per ordinanza prefettizia nell’ipotesi di esito positivo della messa alla prova nonostante quest’ultima costituisca una misura più articolata ed impegnativa dell’altra, in quanto il lavoro di pubblica utilità vi figura insieme al compimento di atti riparatori da parte dell’imputato e all’affidamento dello stesso al servizio sociale».
Questa Corte, con sentenza n. 3019 del 2024 – che il ricorrente adduce a sostegno della tesi dell’illegittimità della revoca automatica della patente disposta dal prefetto – ha inteso estendere il principio desumibile dalla pronuncia costituzionale in tema di confisca alla sanzione accessoria della revoca della patentedi guida.
Il precedente sezionale, che non si sofferma su alcuna specifica ipotesi di guida in stato di ebbrezza tra quelle disciplinate dall’art. 18 6 c.d.s.,non ha ripercussioni sulla fattispecie concreta all’attenzione del Collegio, che riguarda la revoca della patente in relazione alla violazione del conducente, che provoca un incidente stradale, nei confronti del quale sia stato accertato un tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l, rispetto alla quale il Tribunale ha correttamente negato che possa essere estensivamente applicata la sentenza della Corte cost. n. 75 del 2020.
E questo perché – puntualizza la sentenza impugnata , con ciò dissipandoil dubbio che l’impianto normativo contrasti con il principio di ragionevolezza desumibile dall’art. 3 Cost. – in materia di sanzione accessoria della revoca della patente di guida, il lavoro di pubblica utilità non rileva come tertium comparationis in ragione del fatto che, in base alcomma 9 bis dell’art. 186 c.d.s., la sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità non può essere applicata nei casi previsti dal comma 2 bis del medesimo articolo, ossia, appunto, nella fattispecie (oggetto di questo giudizio) del conducente, che provoca un incidente stradale, nei confronti del quale sia stato accertato un tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l.
L’esatta esegesi del dato normativo prescelta dal giudice territoriale fa leva sulla particolarità dell’illecito aggravato in esame ed è coerente con il dictum costituzione (vedi punto 3.4. della sentenza n. 75 del 2020 e giurisprudenza ivi richiamata) – che è idoneo a dissolve re i dubbi di costituzionalità manifestati dal ricorrente – secondo cui, per costante giurisprudenza costituzionale, la discrezionalità del legislatore nella determinazione del trattamento sanzionatorio dei fatti di reato incontra il limite della manifesta irragionevolezza delle scelte compiute.
Inoltre, tale linea interpretativa è corroborata da un’altra decisione della Corte costituzionale (ordinanza n. 210 del 2023) che, in primo luogo, rimarcache la sentenza n. 163 del 2022 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 224, comma 3, cod. strada, nella parte in cui non prevede che, nel caso di estinzione del reato di guida sotto l’influenza dell’alcool di cui all’art. 186, comma 2, lettere b) e c), del medesimo codice, per esito positivo della messa alla prova, il prefetto, applicando la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente, ne riduca la durata della metà;
in secondo luogo, precisa che detta precedente sentenza ha affermato che l’illegittimità costituzionale dell’art. 224, comma 3, cod. strada discende dalla manifesta irragionevolezza della conseguenza applicativa per cui, al cospetto di una prestazione analoga, qual è il lavoro di pubblica utilità, e a fronte del medesimo effetto dell’estinzione del reato, la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente era ridotta alla metà dal giudice in caso di svolgimento positivo del lavoro sostitutivo, mentre risultava escluso il beneficio dell’identica riduzione ove applicata dal prefetto in caso di esito positivo della messa alla prova;
da ultimo, evidenzia che, tuttavia, la sentenza n. 163 del 2022 ha ravvisato l’irragionevolezza dell’art. 224, comma 3, cod. strada, nei limiti dei casi regolati dalla fattispecie dell’art. 186, comma 9-bis, dello stesso codice, utilizzata come norma di raffronto, la quale ammette il lavoro di pubblica utilità, cui si correla la funzione premiale del suo positivo svolgimento, nelle sole ipotesi di reato di guida in stato di ebbrezza diverse da quelle contemplate dal comma 2-bis del medesimo articolo.
In ultima analisi, l’impostazione del giudice d’appello trova ulteriore conforto nella sentenza n. 194 del 2023 della Corte costituzionale, che ha dichiarato inammissibili e non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 186, comma 2-bis, cod. strada, come da ultimo modificato dall’art. 33, comma 1, lettera b), della legge n. 120 del 2010, nella parte in cui prevede l’automatica applicazione della sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida qualora per il conducente che provochi un incidente stradale sia accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l.
La sentenza (vedi punto 8) osserva che « deve considerarsi che la fattispecie di guida in stato di ebbrezza di cui all’art. 186 cod. strada si declina – come si è già visto (sopra punto 6 e seguenti) – secondo una precisa ed articolata graduazione che accomuna pena principale e sanzione accessoria in una scala di gravità progressivamente maggiore.
In tal modo, l’impianto sanzionatorio, che punisce la guida in stato di ebbrezza, prevede diversi “gradi di intensità” della violazione, ai quali corrispondono differenti livelli di sanzioni in progressione crescente finalizzati alla prevenzione e repressione di comportamenti pericolosi per gli utenti della strada. Il divario tra le varie misure – detentive, pecuniarie e accessorie – è correlato all’incremento della pericolosità della condotta, graduata sulla base del livello del tasso alcolemico.
In particolare, la sanzione amministrativa accessoria è determinata in un intervallo che va dalla sospensione della patente di guida per tre mesi, per le condotte meno gravi, fino alla revoca della patente, per la condotta più grave.
Tale è la guida in stato di ebbrezza con tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l, ove la condotta sia aggravata per aver il conducente provocato un incidente.
Tale circostanza aggravante, che mostra che il superamento della soglia di 1,5 g/l di tasso alcolemico è stato tale, in concreto, da aver compromesso il controllo dell’autovettura, individua e sanziona una condotta particolarmente pericolosa, quale che sia l’entità dell’incidente, e rende non irragionevole che, anche a fini di deterrenza per la salvaguardia della sicurezza pubblica nella circolazione stradale, sia collocata in cima alla scala delle condotte sanzionate in misura progressivamente più elevata»;
aggiunge (vedi punto 9) che «per il reato di guida in stato di ebbrezza il giudice ha già un margine di apprezzamento sufficiente perché la sanzione inflitta sia proporzionata alla complessiva considerazione delle peculiarità oggettive e soggettive del caso di specie, potendo l’aumento della pena oscillare tra un minimo e un massimo, raddoppiati nell’ipotesi aggravata, ma comunque da determinarsi in funzione della gravità del danno derivante dal sinistro o del grado della colpa.
L’eventualità che, a seguito della concessione di benefici di legge, la revoca della patente di guida mantenga un primario ruolo afflittivo, permanendo come unica misura punitiva concretamente efficace, risulta, poi, coerente sia con la finalità preventiva della sanzione, perché consente di evitare che il reo ricrei la situazione di pericolo per un congruo periodo di tempo; sia con la finalità deterrente, perché sollecita una maggiore consapevolezza della gravità del comportamento; sia con la funzione rieducativa, perché impone al condannato di affrontare il percorso di esami che lo abilita alla guida per ottenere la nuova patente, instaurando un processo virtuoso tramite una utile formazione finalizzata alla prevenzione»;
2. il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., l’omesso esame, da parte del Tribunale, della questione di legittimità costituzionale dell’art. 22 4 comma 3 c.d.s. (che richiama l’art. 219 c.d.s., in tema di revoca della patente di guida) che, lì dove prevede l’automatismo della revoca della patente di guida da parte del prefetto, determina una disparità di trattamento sanzionatorio, pur in presenza di situazioni identiche, tra chi abbia svolto il lavoro di pubblica utilità (ex art. 186 comma 9 bis c.d.s.) e chi invece abbia avuto accesso alla misura della messa alla prova ex art. 168-bis c.p.;
2.1. il motivo è inammissibile; per un verso, la censura non è sussumibile entro il vizio delineato dall’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c.:
in effetti, si prospetta una questione di diritto e non si lamenta, come invece prescrive l’indicato parametro normativo, che il giudice di merito abbia omesso di esaminare uno specifico fatto “storico”, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso del giudizio; per altro verso, si è nel campo d’azione dell’art. 348 ter comma 5 c.p.c., che esclude che possa essere così censurata la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado” e che risulti fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della sentenza di primo grado (cosiddetta doppia conforme). Invero, il ricorrente non ha nemmeno allegato che le sentenze di merito poggino su eterogenee basi fattuali;
3. il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 219 commi 2 e 3 bis c.d.s.: il Tribunale avrebbe disatteso, senza prenderla in considerazione, la richiesta di riduzione da tre a due anni della revoca della patente di guida fatta dal l’appellante all’udienza del 14/03/2024;
3.1. il motivo è inammissibile;
in tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di specificità, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel “thema decidendum” del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio (Cass. nn. 20694/2018, 15430/2018, 38228/2021, 18018/2024).
Nel caso di specie, è chiaro che il giudice di appello ha giustamente omesso di esaminare la richiesta dell’appellante di riduzione da tre a due anni della durata della sanzione accessoria della revoca della patente di guida, in ragione del fatto che la relativa questione non rientrava nel tema del decidere del giudizio di appello, in quanto proposta per la prima volta all’udienza del 14/03/2024, nella quale la causa è stata decisa, non dedottatra i motivi di appello (che la sentenza menziona) né inserita nelle conclusioni rassegnate dall’appellante (anch’esse trascritte in sentenza);
4. il quarto motivo denuncia la violazione dell’art. 91 c.p.c.: il capo della sentenza che condanna l’appellante alle spese del grado sarebbe viziato per l’eccessività del compenso (euro 2.906,00) liquidato a favore dell’Avvocatura generale dello Stato, e, comunque, perché non è stata disposta la compensazione delle spese nonostante la complessità della questione ed in ragione dell’orientamento espresso da Cass. n. 3019/2024;
4.1. il motivo è inammissibile;
si lamenta, in maniera generica, l’esorbitanza del compenso attribuito dal giudice alla parte pubblica vittoriosa, senza considerare che spetta al ricorrente in cassazione, a pena d’inammissibilità del ricorso, specificare analiticamente le voci tariffarie e gli importi in ordine ai quali il giudice di merito sarebbe incorso in errore, nonché le singole spese contestate o dedotte come omesse, in modo da consentire alla Corte il controllo di legittimità senza necessità di ulteriori indagini (Cass. nn. 24635/2014, 18584/2021, 33931/2022).
Adempimento, questo, che il ricorrente non ha assolto.
Inoltre, posto che la sentenza si è uniformata al principio della soccombenza ex art. 91 c.p.c., è altresì utile ricordare che, per la giurisprudenza della Corte ( Cass. n. 12697 / 2024 ), «[ i]n tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse (Cass. Sez. I, 4 agosto 2017, n. 19613).
Con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di cassazione è pertanto limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti»;
5. il ricorso, pertanto, è respinto, e ciò comporta la condanna del ricorrente al rimborso delle spese, liquidate in dispositivo;
6. ai sensi dell’art. 13, comma 1- quater, del d.P.R. n. 115/2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, che liquidain euro 4.500 ,00, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115/2002, dichiara che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte di Cassazione il giorno 12 giugno 2025.
Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2025.