REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SIANI Vincenzo – Presidente –
Dott. MASI Paola – Consigliere –
Dott. CURAMI Micaela – Consigliere –
Dott. LANNA Angelo Valerio – Relatore –
Dott. CENTONZE Alessandro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), nato a (omissis) il xx/xx/19xx;
avverso la sentenza del 21/11/2022 del TRIBUNALE di GORIZIA;
visti gli atti, del provvedimento impugnato e ii ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ANGELO VALERIO LANNA;
letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa MARIAEMANUELA GUERRA, che ha concluso per il rigetto del ricorso (requisitoria rassegnata ai sensi del DL n.137 del 2020 art. 23 e ss. mod.).
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, il Tribunale di Gorizia ha ritenuto (omissis) (omissis) responsabile della contravvenzione di cui all’art. 660 c.p., per avere – per petulanza o altro biasimevole motivo – arrecato molestia e disturbo a (omissis) (omissis), inviatogli oltre cento email che gli venivano recapitate sui cellulare di servizio; per l’effetto, il Tribunale ha condannato l’imputato alla pena di seicento Euro di ammenda, oltre che al pagamento delle spese processuali, concedendogli il beneficio della sospensione condizionale.
Attenendosi alla ricostruzione di carattere storico e oggettivo sussunta nella decisione impugnata, nell’anno 2018 il (omissis) (omissis) lamentava come – dalla strada adiacente alla sua abitazione – provenissero continuamente rumori notturni, prodotti dal fatto che vi stazionassero dei camion frigorifero.
Il (omissis) (omissis) – nella vesti di agente della polizia municipale veniva prima interessato alla vicenda e, dopo essersi incontrato con il (omissis) (omissis), gli consigliava di chiedere l’intervento dell’ARPA.
Sempre stando alle conclusioni raggiunte dal Tribunale di Gorizia, però, il (omissis) (omissis) non consentiva l’effettuazione delle misurazioni ad opera dell’ARPA; prendeva invece, inopinatamente a imputare proprio al (omissis) (omissis) un’inerzia nella adozione dei provvedimenti ritenuti opportuni e, consequenzialmente, ricollegava a tale condotta – asseritamente omissiva – la mancata interruzione dei disturbi.
Così l’imputato iniziava ad inviare al (omissis) centinaia di mali, corredate di epiteti offensivi e di bestemmie, a mezzo delle quali lamentava una pretesa incompetenza da parte della polizia municipale.
La sentenza, infine, precisa come le mail incriminate siano state inviate all’indirizzo di posta elettronica istituzionale che era – all’epoca – in uso alla persona offesa; (omissis) (omissis) ha riferito in dibattimento, quindi di essersi trovato costretto – appunto trattandosi di mail spedite alla casella istituzionale – ad aprirle e leggerle. Da ciò, la contestazione ex art. 660 c.p. e la condanna a carico dell’imputato.
2. Ricorre per cassazione (omissis) (omissis), a mezzo dell’avv. (omissis) (omissis), deducendo due motivi, entrambi caratterizzati da una matrice sostanzialmente unitaria e che vengono di seguito sintetizzato entro i limiti necessari per la motivazione a norma dell’art. 173 disp att cod proc pen.
2.1. Con il primo motivo, viene denunciata inosservanza o erronea applicazione dell’art. 660 c.p., in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen.,. con riferimento all’elemento oggettivo della fattispecie tipica; non essendo la stessa configurabile in caso di invio di posta elettronica e viepiù essendo irrilevante il dato della conoscibilità delle e-mail da parte del destinatario, circostanza che, peraltro, non risulta afferrabile con certezza nei caso di specie.
2.2. Con il secondo motivo, viene denunciata inosservanza o erronea applicazione dell’art. 660 c.p., in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) c.p.p., per quanto inerisce al dato della conoscibilità delle e-mail da parte del destinatario, circostanza che non può essere ritenuta provata con certezza, nella concreta fattispecie.
Si sostiene, altresì, l’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato, desumibile dalla carenza di prova circa la consapevolezza della lettura delle mail ad opera della persona offesa: è mancata, infatti, qualsiasi forma di interazione, tra ii mittente e n destinatario delle comunicazioni, a causa dall’adozione dello strumento della posta elettronica.
3. Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, integrano ia contravvenzione ex art. 660 c.p. la condotta molesta del soggetto attivo e – in via fra loro alternativa – gli ulteriori elementi della pubblicità o dell’apertura al pubblico del luogo in cui si svolge l’azione, oppure l’utilizzazione del telefono, quale mezzo adoperato per la commissione del reato.
Il mezzo telefonico assume rilievo, allora, a causa dei carattere invasivo della comunicazione, alla quale il destinatario non può sottrarsi, se non disattivando l’apparecchio telefonico.
Al mezzo telefonico vanno equiparati altri mezzi di trasmissione, che operano tramite la rete telefonica e la rete cellulare delle bande di frequenza, di voci e di suoni, purché essi vengano imposti al destinatario.
Il progresso tecnologico consente poi, mediante l’utilizzo di un telefono adatto, la trasmissione di voci e di suoni in modalità sincrona; tali trasmissioni danno notizia al destinatario dell’invio e della contestuale ricezione delle comunicazioni, si tratti di messaggi di testo (sms) o di messaggi WhatsApp.
Al termine “telefono”, espressivo dell’instrumentum della contravvenzione, deve essere equiparato – senza esondare dai confini della previsione normativa – qualsiasi mezzo di trasmissione, tramite rete telefonica e rete cellulare, di voci e di suoni, che vengano imposti ai destinatario.
Anche l’invio di un messaggio di posta elettronica può concretizzare, dunque, una diretta e non gradita intrusione del mittente nella sfera privata del destinatario.
Riveste importanza decisiva, in conclusione, l’analisi della manifestazione concreta della condotta criminosa.
4. La difesa ha presentato conclusioni scritte, a mezzo delle quali ha chiesto l’accoglimento dei motivi di ricorso e l’annullamento della sentenza impugnata; in particolare ha sottolineato – a confutazione di quanto dedotto dai Procuratore generale – come la condotta consistente nel mero invio di mali non possa integrare l’elemento oggettivo della fattispecie tipica, essendo comunque richiesto un quid pluris, rispetto a detto invio, rappresentato da un altro elemento fattuale, costituito da un segnale acustico o visivo, la cui percezione possa incidere negativamente sulla tranquillità del destinatario.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è infondato.
2. La censura difensiva inerente alla asserita strutturale inadeguatezza deiie mail, a formare oggetto della condotta incriminata dall’art. 660 c.p., non si confronta in maniera consona con il capo di accusa, da ritenersi confermato dall’esito accertativo di merito, secondo cui queste mail confluivano come messaggi sul cellulare di servizio, che la persona offesa era tenuta ad aprire e leggere. In via preliminare, rispetto alla decisione del ricorso in esame, pare allora opportuno compiere un breve excursus, inerente alla evoluzione giurisprudenziale verificatasi, in ordine ai requisiti necessari per la configurabilità del contestato paradigma normativo.
2.1. Secondo una prima posizione ermeneutica espressa dalla giurisprudenza di legittimità, non può restare integrata la stretta materialità del contestato modello legale contravvenzionale, laddove la molestia o petulanza vengano poste in essere attraverso l’invio di posta elettronica.
Tale filone interpretativo si richiama essenzialmente al dictum di Sez. 1, n. 24510 dei 17/06/2010, D’Alessandro, Rv. 247558, a mente della quale: “Non integra il reato di molestia o disturbo alla persona col mezzo del telefono o l’invio di un messaggio di posta elettronica che provochi turbamento o fastidio nel destinatario” (nello stesso senso, si sono recentemente espresse Sez. 1, n. 24670 del 07/06/2012, Cappuccio, Rv. 253339 e Sez. 1, n. 28959 del 04/05/2021, Scutti, Rv. 281755, la quale ultima ha ribadito la non configurabilità del reato di molestia o disturbo alle persone, in caso di ripetuto invio di messaggi di posta elettronica).
Stando a tale posizione teorica, la pur avvertita necessità di ampliare lo spazio di protezione della tranquillità, assicurata al singolo, confligge con il perimetro ontologico e strutturale intrinseco della legge penale, che è rappresentato dai principio ai legalità e ai tipizzazione delle condotte vietate, di cui all’art. 25, comma 2, Cost. e dall’art. 1 c.p.
Il mezzo del telefono può svolgere la funzione di allargare l’alveo previsionale della figura tipica – che resterebbe, in assenza di tale specifica previsione codicistica, circoscritta al campo del disturbo posto in essere in luogo pubblico o aperto ai pubblico – in ragione del connotato di marcata invasività della comunicazione; Questa non consente infatti al destinatario di evitare la molestia, a meno di non voler interrompere la funzionalità stessa dell’apparecchio telefonico.
2.2. Altre pronunce della Corte di cassazione hanno spostato il fuoco dell’attenzione, dirottandola dal mezzo propriamente detto, adoperato dal soggetto attivo per arrecare molestia al carattere delle modalità di interruzione nella sfera privata del destinatario.
Trattasi, in particolar modo, di pronunce nelle quali la Corte ha affrontato il tema della configurabilità della figura tipica de qua, nel caso di molestia che venga veicolata mediante l’invio di sms; ovvero di messaggi viaggianti sull’applicativo WhatsApp.
Questo orientamento invero origina da una molto risalente decisione della Corte di cassazione, secondo la quale – nella generica dizione letterale, adoperata dal Legislatore nel testo dell’art. 660 cod. pen laddove viene indicato che la molestia debba essere arrecata col mezzo telefono devono intenderci ricompense parimenti da molestia e disturbo che viaggino grazie ad altri analoghi mezzi di comunicazione a distanza (quale può essere, ad esempio, il citofono); l’architrave di tale lettura della norma è rappresentata dalla perfetta sovrapponibilità riscontrata in fra il telefono e il citofono, mezzi equipollenti di trasmissione vocale a distanza ( così Sez. 6 n. 8759 del 05/05/1978, Ciconi, Rv. 139560).
Un ulteriore sviluppo di tale impostazione si rinviene nella pronuncia Ballarino di questa sezione secondo la quale – in punto di elementi atti a integrare l’elemento oggettivo della figura tipizzata in analisi – vengono in rilievo gli strumenti diffusivi idonei alla trasmissione di voci e suoni, che abbiano un connotato di invasività tale da elidere la possibilità, in capo al destinatario, di sottrarsi alla interazione coartata.
Si potrà vedere, sul punto specifico, anzitutto la succitata Sez. 1 n. 36779 del 27/09/2011, Ballarino Rv. 250807 a mente nella quale: “Ai fini della configurabilità del reato di molestia o disturbo alla persona, al mezzo del telefono deve equipararsi qualsiasi mezzo di trasmissione – tramite rete telefonica del cellulare delle bande di frequenza di voci e suoni imposti ma destinatario senza alcuna possibilità di sottrarsi all’immediata interazione con il mittente, se non dismettendo l’uso del telefono (trattasi di fattispecie concreta attinente all’inoltro di numerosi messaggi di posta elettronica a mezzo di computer; nella quale la Suprema Corte ha escluso la sussistenza del carattere esclusivo del mezzo impiegato atteso che i destinatari in assenza di qualsivoglia modalità di avviso, circa l’arrivo di tali comunicazioni – avevano conservato la possibilità di leggere gli stessi, solo allorquando si fossero determinati a consultare la casella di posta elettronica) P poi per una posizione sostanzialmente equiparabile sez 1 n. 30294 del 24/06/2011, Donato, RV. 250912 tale indirizzo esegetico si trova sussunto, da ultimo, nella decisione assunta da questa Sezione nel marzo 2021, così massimata: “Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 660 c.p. commesso attraverso ii mezzo dei telefono, ciò che rileva è il carattere invasivo del mezzo impiegato per raggiungere il destinatario, e non la possibilità per quest’ultimo di interrompere o prevenire l’azione perturbatrice, escludendo o bloccando il contatto o l’utenza non gradita; ne consegue che costituisce molestia anche l’invio di messaggi telematici, siano essi di testo (sms) o messaggi WhatsApp” (Sez. 1, n. 37974 del 18/03/2021, D’Antoni, Rv. 282045).
3. Sotto il profilo dogmatico, pare allora utile evidenziare come il bene giuridico oggetto di tutela, ad opera della previsione incriminatrice in argomento, sia costituito dall’ordine pubblico, inquadrato sul peculiare versante della pubblica tranquillità.
La tutela assicurata dall’ordinamento all’interesse alla privata quiete, dunque, rappresenta il mezzo per conseguire il risultato della salvaguardia 401 bene della civile convivenza; quest’ultima potrebbe venire turbata, infatti, sia da una eventuale reazione della vittima dell’azione disturbatrice, sia dalla diminuzione di fiducia nella tutela assicurata dall’ordinamento, che sarebbe inevitabilmente correlata ad un eventuale vuoto di tutela nel campo specifico.
Precipitato logico di tale costruzione ideologica era – nella formulazione originaria della figura tipica la perseguibilità d’ufficio della contravvenzione in analisi (l’art. 3, comma 1, lett. b) n. 1 D.Lgs. n. 10 ottobre 2022, n. 150, entrato in vigore il 30/12/2022, ai sensi del D.L. n. 162 del 31/10/2022, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 19930/12/2022, ha previsto ia procedibiiità a querela, con l’esclusione dei casi in cui il fatto sia commesso in danno di persona incapace, per età o per infermità; l’art. 85 del medesimo D.Lgs. n. 150 del 2022 ha poi dettato disposizioni transitorie, in materia di procedibilità e producibilità acquarella in questo caso concreto così superata dall’avvenuta costituzione di parte civile della persona offesa.
3.1. Quanto ai profilo inerente alla stretta materialità della condotta tipica, con il termine “molestia” si indica ogni agire che sia atto a incidere, provocando fastidio, sul normale equilibrio psichico della vittima; la dizione di “disturbo”, invece, coincide con le indebite interferenze sulle normali condizioni di vita del destinatario.
Tale condotta molestatrice deve raggiungere obiettivi ben determinati, rivolgendosi ad uno o più destinatari ben individuati, non essendo bastevole che essa venga indirizzata verso una comunità indifferenziata di destinatari.
Molestia o disturbo rientrano nella cornice previsionale della figura tipica in esame, esclusivamente allorquando risultino arrecati per petulanza o altro biasimevole motivo (“petulante” è una condotta che possa essere qualificata tracotante, arrogante e caparbiamente invasiva; il motivo “biasimevole” ricorre laddove la condotta appaia intimamente riprovevole, in quanto magari strumentale ai dileggio dei destinatario, in correlazione a qualità o condizioni personali di quest’ultimo).
Trattasi, infine, di una contravvenzione che presenta – quanto ai coefficiente psichico – una connotazione di chiara matrice intrinsecamente dolosa.
4. In forza dei principi di diritto sopra enucleati la prima doglianza espressa dal ricorso non può che essere disattesa.
Il contenuto della censura è rappresentato, appunto, dalla asserita impossibilità di configurare l’elemento oggettivo del modello legale de quo, allorquando la molestia risulti veicolata attraverso l’invio di posta elettronica; restando ininfluente, comunque, il dato della possibile conoscenza delle mail, da parte dei destinatario.
4.1. Questo Collegio, come sopra sostanzialmente anticipato, intende rifarsi al filone esegetico originato dalla sopra citata sentenza Ballarino (Sez. 1, n. 36779 del 27/09/2011, per V 250807 nello stesso senso del resto si era già espressa Sez. 3, n. 28680 dei 26/06/2004, Modena, Kv. 229464).
Integrando l’analisi sopra già effettuata in relazione a tale pronuncia, si può sottolineare come essa abbia elevato a criterio guida, in tema di elemento integrativo della fattispecie tipica, lo specifico canone dell’invasività della condotta all’interno dalla sfera privata del destinatario.
Ciò che davvero rileva, a fini della possibilità di ritenere integrato i modello legale in esame, è quindi l’idoneità della comunicazione ad introdursi nella sfera personale del destinatario.
4.2. Non ti di mente l’aspetto eventuale ed estemporaneo costituito dalla presenza di un segnale, che annunci l’arrivo de messaggi.
Ad avviso della Corte, infatti, non sussiste in realtà alcuna differenza fenomenica e strutturale, fra la situazione del destinatario di comunicazioni di posta elettronica, che venga preavvertito dell’arrivo di una mail; grazie ad un avviso che compare sulla schermata dei telefono (ovvero anche da un segnale acustico di allarme) e quella di colui che – non avendo preventivamente ricevuto avvisi di tal fatta – si risolva liberamente ad accedere ai contenuti della casella di posta, trovandovi comunicazioni moleste.
4.3. In tale ottica, perde quota anche la tradizionale differenziazione adottata nella materia, fra la comunicazione a carattere istantaneo (che, quindi, appaia dotata della specifica attitudine ad attingere – in via immediata e diretta – a sfera privata dei destinataria) e la meccanografia (CMC) che può entrare nella sfera di conoscenza dei destinatane, in via esclusiva, su base volontaristica, ossia a seguito di una lettura effettuata da quest’ultimo. In entrambi i casi, infatti, il mittente realizza una indebita ingerenza nella vita privata del destinatario.
4.4. Di scarta significazione e l’influente argomento secondo il quale nel caso d messaggeria telematica, destinatane conserva la facoltà di escludere le comunicazioni provenienti dal mittente che gli appaia fastidioso, attivando le varie funzionalità di blocco consentite dalla moderna tecnologia (blocco del contatto ovvero esclusione della telefonata proveniente da utenza sgradita). vero che l’attivazione di tali modalità di estromissione, di variegata tipologia, non comprometterebbe la complessiva funzionalità dell’apparecchio della vittima; vero però anche che già la necessità di escludere la ricezione di comunicazioni inviate da un mittente non gradito, rappresenta niente altro, se non una forma di già realizzato nocumento al bene giuridico protetto.
In altri termini: laddove il destinatario divenga vittima di comunicazioni moleste e si risolva, reagendo a tale intromissione, escludere nella ripetizione ad opera del mittente fastidioso. risulta – a ben vedere – già perfettamente realizzata l’azione perturbatrice e, quindi, consumato il reato (stante, peraltro, la connotazione non necessariamente abituale, che tale paradigma normativo presenta).
4.5. Merita di essere definitivamente abbandonato per tanto i criteri di schivo rigido e formale rappresentato dalla modalità trasmissiva della comunicazione molesta, criterio sposato dalla succitata sentenza D’Alessandro; si deve ritenere, al contrario, che anche l’invio di messaggi attraverso la posta elettronica rappresenti condotta conforme al modello legale ex art. 660 cod. pen., in quanto azione pienamente alta da arrecare turbamento e fastidio al destinatario.
A tale conclusione si perviene – quale approdo concettuale obbligato e consequenziale – valorizzando l’intima essenza del bene giuridico tutelato dalla norma.
Se è pacifico, infatti, cha la figura tipica sia posta a presidio dalla tranquillità pubblica suscettibile di risultare turbata da condotte moleste perpetrate in danno di singoli, che siano tali da dare origine a reazioni idonee a turbare l’ordine pubblico, pare evidente che la linea di demarcazione, connotante condotta punita debba incentrarsi non su un mezzo o sulla modalità comunicativa bensì sullo specifica attitudine intrusiva.
4.6. La già richiamata sentenza D’Alessandro aveva posto una ulteriore quaestio juris: se la interpretazione estensiva della figura tipica, in ordine al fatto che la molestia ho il disturbo debbano essere portati con il mezzo del telefono sia suscettibile di venire ampliata fino ad includere l’invio di corrispondenza a mezzo posta elettronica di carattere fastidioso, che arrechi turbamento o, almeno, fastidio.
Giova allora precisare che le interpretazione estensiva della previsione ordinatrice è concetto non sovrapponibile a quello di analogia, vietata in via di principio in ambito penale.
La prima, infatti, è il percorso concettuale che si pone in essere, allorquando il perimetro applicativo di una determinata figura tipica – a causa di una necessità di un ordine logico semantico ovvero in virtù di una sostanziale equivalenza riscontrabile nei dati empirici- venga esteso ad un caso, che, sebbene non rientri nell’ambito previsionale, secondo la rigorosa veste testuale dello schema normativo; si possa reputare ricompreso nella sfera applicativa della fattispecie stessa; operazione di “ricongiunzione”, che può esser compiuta all’esito di ricollegamento ideale, del caso stesso alle intenzioni del legislatore e, quindi, alla ratio della norma, secondo il dettato dell’art. 12 delle disposizioni della legge in generale. Interpretazione estensiva, pertanto, non incorre nelle limitazioni di cui all’art 14 delle Disposizioni sulla legge in generale: essa non dilata (impropriamente) il contenuto effettivo della previsione incriminatrice, bensì scongiura la possibilità che fattispecie, ad essa soggette, restino ingiustamente immuni dalla disciplina precettiva e sanzionatoria, a causa di un immotivato limite fissato da mere espressioni letterali.
Dovere specifico dell’interprete è, infatti, quello di applicare la norma in maniera anche più estesa, rispetto al mero dato testuale, così da far coincidere la portata della norma stessa con il pensiero la volontà del legislatore (sul punto potranno vedere le risalenti, ma ma rivisitate, Sez. 5, n. 3.291 dei 08/01/1980, Riva, Rv. 144606 e Sez. 4, n. 11380 del 27/04/1990, Dolci, Rv. 185084).
4.7. Tanto precisato – e venendo più specificamente alla concreta vicenda per la quale si procede ci si accorgerà come la soluzione della questione debba rinvenire sotto profilo della (vorticosa, forse inarrestabile) evoluzione degli strumenti tecnologici che, ormai, sono a disposizione di una platea vastissima e indifferenziata di soggetti.
E quindi:
– le comunicazioni di posta elettronica vengono ordinariamente ricevute e inviate;
– addirittura quasi in maniera prevalente, attraverso gli apparecchi telefonici, per cui non ha davvero più alcun senso porre distinzioni (incongrue e anacronistiche) incentrate sulla asserita non conformità dello strumento della posta telefonica al dettato normativo, che postula l’invio della le invio della comunicazione sgradita con mezzo telefono.
In realtà, proprio la dimensione multifunzionale – oltre che inclusiva di plurime forme di comunicazione – ormai raggiunta dallo strumento telefonico, che davvero non può più essere visto alla stregua di un semplice veicolo di trasmissione acustica, conduce a reputare elusa ogni distinzione, fra le diverse modalità trasmissive. Con lo strumento telefonico, in conclusione, possono riceversi e inviarsi messaggi di posta elettronica, similmente a quanto avviene attraverso i computer (siano essi portatili, ovvero dotati di postazioni fisse).
E a conferma di ciò, non potrà sfuggire come- nella concreta fattispecie – i numerosissimi messaggi sgraditi siano stati ricevuti, dalla persona offesa, proprio sul cellulare di servizio.
4.8. Circa l’ulteriore caposaldo del difforme argomentare, rappresentato dalla modalità asincrona che connetterebbe la comunicazione di inviata a mezzo posta elettronica, diversamente dalla contestualità che caratterizzerebbe la trasmissione vocale (propriamente attuata, secondo tale orientamento, “con il mezzo telefono) si é sopra già ampiamente soffermati sulla linea di confine fra ciò che rientra – una interpretazione non analogica, bensì doverosamente estensiva – nell’alveo previsionale della norma e, invece, l’indifferente penale% è collocata sul crinale della attitudine intrusiva della condotta, piuttosto che sulla sincronia eventualmente riscontrabile, fra la molestia portata dai mittente e la ricezione della stacca da parte dei destinatario.
5. La seconda doglianza difensiva attiene al profilo della impossibilità di ritenere provato con il necessario grado di attendibilità dato a fondare una pronuncia di penale responsabilità che il destinatario abbia avuto contezza del contenuto della mail punto la mancata interazione fra soggetto attivo e vittima dovrebbe anche rendere insussistente in ipotesi difensiva il necessario coefficiente psicologico.
La censura si appalesa del tutto inammissibile.
5.1. Fare brevemente utile rammentare come esuli di poteri della Corte di Cassazione, quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti alla base della decisione la cui valutazione è in via esclusiva demandata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa (per il ricorrente maggiormente propizia) valutazione delle risultanze processuali (per tutte: Sez Un n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, RV. 20 7944; Si veda anche sez 4 n 4842 del 02/12/2003 dep 2004, Elia RV 229369).
Il motivo invece è finalizzato proprio ad ottenere un inammissibile nuova ricostruzione dei fatti, mediante l’adozione di canoni valutativi diversi, rispetto a quelli adottati da giudice di merito.
5.2. Quest’ultimo ha del resto applicato le ragioni del suo convincimento con un apparato motivazionale ampio e convincente, oltre che esente da vizi logici e giuridici e virgola quindi, destinato a rimanere immune da qualsivoglia stigma in sede di legittimità.
Il tribunale ha ben chiarito, infatti, come la persona offesa (omissis) si sia vista costretta a consultare la casella di posta elettronica e, conseguenzialmente, apprendere conoscenza del contenuto delle comunicazioni inviate dal (omissis), proprio perché queste venivano inviate ad un indirizzo email di servizio; tale circostanza del tutto comprensibile virgola in pratica obbligava il (omissis) a leggere tutti i messaggi.
5.3. Ma anche con riferimento alla invocata insussistenza dell’elemento soggettivo virgola non è possibile prevenire a difformi lumi il tribunale infatti ha motivato in modo adeguato e coerente, ricordando come sia emerso dagli atti che il (omissis) prese contatti e incontrò il (omissis), così rendendo perfettamente chiaro a questi come la casella di posta elettronica venisse regolarmente consultata.
6. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato; segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 28 aprile 2023.
Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2023.