REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUARTA SEZIONE PENALE
Composta da:
Dott. SALVATORE DOVERE -Presidente-
Dott. ALESSANDRO RANALDI -Relatore-
Dott. LOREDANA MICCICHÉ -Consigliere-
Dott. ATTILIO MARI -Consigliere-
Dott. (OMISSIS) (OMISSIS) -Consigliere-
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
(omissis)
avverso la sentenza del 21/06/2022 della CORTE APPELLO di VENEZIA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ALESSANDRO RANALDI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa GIUSEPPINA CASELLA
II Proc. Gen. conclude per il rigetto dei ricorsi.
E’ presente l’avvocato parti civili (omissis) del foro di (omissis) nell’interesse delle (omissis) (omissis) difensore si associa alle conclusioni del procuratore generale, si riporta alla memoria già in atti e deposita conclusioni e nota spese di cui chiede l’accoglimento.
L’avvocato (omissis) é altresì presente in sostituzione dell’avvocato (omissis) (omissis). II difensore deposita nomina ex art. 102 c.p.p., con procura speciale e conclusioni con nota spese di cui chiede l’accoglimento.
E’ altresì presente l’avvocato (omissis) (omissis) del foro di (omissis) nell’interesse della parte civile (omissis) (omissis).
L’avvocato (omissis) (omissis) é presente anche in sostituzione dell’avvocato (omissis) (omissis) nell’interesse delle parti civili (omissis) (omissis). Il difensore deposita conclusioni e nota spese di cui chiede l’accoglimento.
II difensore deposita nomina ex art. 102 c.p.p., conclusioni e nota spese per le parti civili (omissis) (omissis) (omissis) (omissis). L’avvocato (omissis) (omissis) di cui chiede l’accoglimento. Sostituisce altresì dell’avvocato (omissis) (omissis) per le parti civili eredi di (omissis) (omissis). Il difensore deposita nomina ex art. 102 c.p.p., si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento.
E’ presente l’avvocato (omissis) (omissis) del foro di (omissis) nell’interesse delle parti civili (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) che illustra le proprie argomentazioni concludendo pe l’inammissibilità o infondatezza dei ricorsi, deposita conclusioni nota spese.
L’avvocato (omissis) (omissis) é altresì presente in sostituzione dell’avvocato (omissis) (omissis) nell’interesse dei (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) congiunti di (omissis) (omissis). I difensore deposita nomina ex art. 102 c.p.p., conclusioni e nota spese per (omissis) (omissis) ed (omissis) (omissis) di cui chiede l’accoglimento.
É presente l’avvocato (omissis) (omissis) dell’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO in difesa del responsabile civile (omissis) (omissis), che illustra motivi di ricorso insistendo per l’accoglimento.
É infine presente l’avvocato (omissis) dell’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO in difesa degli imputati (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) concludendo per l’accoglimento.
Si dà atto della presenza, ai fini della pratica forense, della dott.ssa (omissis) (omissis), di (omissis) con tesserino n. (omissis).
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 6.2022, la Corte di appello di Venezia, per quanto qui interessa, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) responsabili dei reati di omicidio colposo in danno di diversi soggetti, sul presupposto che gli stessi imputati avevano rivestito posizioni di garanzia nei confronti delle persone offese (tutti dipendenti della (omissis) che avevano contratto patologie asbesto-correlate), in quanto titolari di incarichi apicali nell’ambito della (omissis) nel periodo compreso tra il (omissis) la stessa sentenza ha confermato l’assoluzione degli imputati per analoghi reati nei confronti di altre persone offese e dichiarato estinti per prescrizione i reati in danno di altri soggetti, con conferma delle relative statuizioni civili.
2. Rispetto al giudizio integralmente assolutorio emesso dal Tribunale di Padova con sentenza del 14.1.2019, la Corte d’appello veneziana, disposta una perizia collegiale per l’accertamento della causa di morte delle persone offese, ha riconosciuto – diversamente dal primo giudice – validità scientifica alla teoria del c.d. “effetto acceleratore”, secondo la quale un’esposizione che dura nel tempo aggiunge fibre a quelle già presenti nel polmone (dose cumulativa) favorendo e accelerando i passaggi che si sviluppano nel processo di cancerogenesi; per contro, ha ritenuto inconferente la questione sollevata dalla difesa degli imputati e del responsabile civile riguardo alta prova che nel caso concreto una effettiva accelerazione vi fosse stata in ciascuna persona offesa, atteso che “nel caso specifico, per definire ii nesso di causa, l’unico strumento disponibile e quello di riferirsi a risultati statistici (e quindi epidemioloqici) per costruire quella legge che contempla ciascun caso individuale”.
Riscontrata, dunque, l’effettiva esposizione ad amianto delle persone offese in periodi coincidenti in tutto o in parte con quelli in cui i suddetti imputati avevano svolto gli incarichi specificamente descritti nel capo di imputazione, i giudici di appello hanno desunto la sussistenza del nesso causate fra le condotte addebitate al (omissis) e i decessi di (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) fra le condotte addebitate al (omissis) e al (omissis) e i decessi di (omissis) (omissis) fra le condotte addebitate al (omissis) ed il decesso del (omissis) derivandone la condanna dei predetti imputati in ordine ai relativi reati di omicidio colposo, aggravati dalla violazione della disciplina per la prevenzione degli infortuni sul lavoro; sono seguite le relative condanne civili generiche nei confronti dei predetti imputati, in solido con il responsabile civile (omissis) con liquidazione di provvisionali in favore delle parti civili costituite.
Gli imputati (omissis) (omissis) e (omissis) in solido con ii responsabile civile, sono stati altresì, civilmente condannati in relazione ai decessi di (omissis) (omissis) (omissis) i cui relativi reati sono stati dichiarati estinti per prescrizione.
3. Avverso la sentenza della Corte veneziana, propongono distinti ricorsi l’Avvocatura Generale dello Stato, a difesa degli imputati (omissis) (omissis) (omissis) e (omissis) nonché del responsabile civile lamentando (in sintesi, giusta il disposto di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.) quanto segue.
I) Difetto di motivazione per mancato superamento del ragionevole dubbio circa la responsabilità degli imputati, in violazione dell’art. 533 cod. proc. pen.
Si premette che ii Giudice che intenc:la riformare in peius la sentenza assolutoria non possa limitarsi ad indicare gli elementi di prova da cui ha inteso inferire la responsabilità degli imputati, dovendo altresì esplicitare le ragioni della non condivisione dell’interpretazione fattuale e giuridica offerta dal prime Giudice.
Relativamente al mesotelioma maligno, il dato indiscusso che emerge dalle pagine dell’istruttoria dibattimentale e che nel caso non può dirsi provata l’esistenza di una legge universalmente riconosciuta nel mondo scientifico sul c.d. effetto acceleratore e men che meno che sia provato ii momento in cui la malattia diventa irreversibile (termine del periodo di induzione). Sono gli stessi periti a riconoscere che nel singolo “noi non sappiamo quando insorge, diventa irreversibile il processo ...” (dott. (omissis) ud. 7.7.2021). La durata del periodo di induzione non é nota, né in media né per il singolo individuo, ed al momento non é scientificamente determinabile.
II quesito sulle modalità del passaggio dal risultato epidemiologico nel gruppo al risultato nel singolo e state oggetto di attenzione durante il procedimento ma i periti non hanno fornito argomenti decisivi, arrivando a sostenere che lo studio di gruppo si applica automaticamente al singolo.
La sentenza impugnata solo apparentemente ha valutato la fondatezza delle conclusioni dei periti e dato atto di aver preso in considerazione le osservazioni dei consulenti della difesa rispetto alla perizia. I Giudici hanno omesso di stabilire fino a quale momento le esposizioni dei lavoratori all’amianto abbiano avuto efficacia causale sullo sviluppo della malattia, e quindi di correlare, al di là di ogni ragionevole dubbio, l’efficacia causale delle condotte di ciascuno dei garanti chiamati a rispondere dei diversi eventi lesivi ai fini dell’insorgenza delle patologie nei singoli casi.
II) Violazione di legge e vizio di motivazione relativamente all’affermazione della penale responsabilità degli imputati condannati per omicidio colposo in danno di (omissis) (omissis) e (omissis) ed alla declaratoria di estinzione dei reati di omicidio colposo in danno di (omissis) (omissis) per intervenuta prescrizione degli stessi.
Si denuncia che la Corte territoriale ha apoditticamente affermato che la qualità dello studio epidemiologico di coorte – che ha indotto i periti ad affermare l’esistenza, sul piano epidemiologico, del c.d. effetto acceleratore – varrebbe a dimostrare che tale effetto “ormai generalmente constatato deve necessariamente avere una ricaduta a live/lo individuale” (pag. 34); ragionando in tal mode, i giudici di merito hanno omesso di sottoporre a Verifica, nel singolo caso concreto, l’attendibilità della legge statistica dell’effetto acceleratore.
Cio vizia irrimediabilmente la motivazione della sentenza impugnata, la quale non ha verificato la validità dell’ipotesi ricostruttiva del nesso causale secondo i noti canoni dell’alta probabilità logica, mediante la combinazione dei dati forniti dalla legge statistica con quelli delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile, onde confermare la sussistenza, per ciascuna persona offesa, dell’intervenuta accelerazione dei tempi delta malattia nei vari periodi di esposizione all’amianto riconducibili ai diversi soggetti garanti.
III) Vizio di motivazione in relazione ad atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame, in relazione alla riforma della statuizione assolutoria per omicidio colposo.
Si rappresenta che nel corso del processo sono stati prodotti documenti della (omissis) e del Gruppo di lavoro “dell’Associazione Italiana di Epidemiologia, entrambi in tema di malattie asbesto-correlate, le cui conclusioni appaiono diametralmente opposte relativamente, fra l’altro, al ruolo causale delle diverse esposizioni avvenute nel tempo, a dimostrazione del dibattito ancora in corso su alcuni specifici argomenti.
Sulla teoria multistadio la Corte territoriale ha ignorato le argomentazioni addotte nel procedimento di prime grado e confermate dal documento IARC (international Agency for Research on Cancer: Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) in cui si afferma che la vecchia teoria multistadio e superata alla luce delle acquisizioni sul ruolo della genetica nello sviluppo, dei tumori.
La connessione tra teoria multistadio e accelerazione dei singoli eventi e pura opinione del Giudice territoriale, non supportata da nessuno degli esperti intervenuti. II Collegio ammette l’impossibilita di affrontare il caso singolo se non applicandogli le valutazioni epidemiologiche che affrontano la questione dal punto di vista statistico.
In realtà, periti hanno affermato che la accelerazione/anticipazione non si può misurare (o stimare) nel singolo individuo, trattandosi di concetto epidemiologico; per passare dc1lla anticipazione epidemiologica a quella nel singolo individuo occorre una teoria biologica che giustifichi e motivi tale passaggio, teoria che oggi per ii mesotelioma non c’é.
La Corte territoriale non esce dall’equivoco sulla validità del dato epidemiologico nello spiegare fenomeni che si vorrebbero identificare nel caso singolo; non si comprende che la “dose cumulativa” e un dato epidemiologico, del tutto generico, che ha una valenza nell’ambito della disciplina epidemiologica ma nessuna valenza nel singolo. La dose cumulativa maggiore non determina una accelerazione degli eventi ma produce un numero di eventi maggiore (rischio) nel gruppo dei maggiormente esposti.
I giudici non hanno risposto alle critiche mosse dalla difesa degli imputati e del responsabile civile allo studio di (omissis) del 2017, in ipotesi dimostrativo della fondatezza della teoria dell’accelerazione. Diversamente da quanta ritenuto dai giudici, tale studio non affronta mai il tema della anticipazione dell’insorgenza clinica del mesotelioma e neppure quello della riduzione del tempo di vita del malato.
La motivazione é carente e contraddittoria anche in ordine alle conclusioni modificate del Quaderno n. 15 della salute, a distanza di circa un anno dalla precedente versione ed espresse da un gruppo di lavoro in composizione parzialmente diversa da quella originaria, chi non possono ritenersi valide e condivise sul piano scientifico.
IV) Vizio di motivazione in relazione agli atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame, relativamente all’affermazione della penale responsabilità dell’imputato (omissis) per il delitto di omicidio colposo in danno di (omissis) (omissis).
La sentenza impugnata ha condannato il (omissis) per il reato di omicidio colposo in danno della persona offesa (omissis) (omissis) deceduto il (omissis) per carcinoma polmonare metastatizzato, avendo ricondotto l’insorgenza di tale patologia ad esposizione professionale ad amianto nel corso del servizio prestato per la anche nel periodo 1983-1985 e 1986-1991. I giudici hanno osservato che “l’incidenza diretta e rilevante dell’esposizione ad amianto sul progresso del tumore e provato dalla presenza di placche pleuriche calcifiche (…) e dall’asbestosi pleuro polmonare, diagnosi con cui era stato dimesso nel 2009”.
Tuttavia, a pag. 172 della perizia si attesta, quanta al (omissis) che “non risulta dai referti radiografici presenza di asbestosi polmonare”. Trattasi di travisamento che rende illogica la motivazione, laddove per il tumore al polmone responsabile della morte del signor (omissis) la Corte di merito esclude che il tumore sia riconducibile alla sua esposizione ad amianto, proprie in ragione del fatto che dall’esame autoptico non fosse risultata la presenza di asbestosi polmonare.
V) Carenza di motivazione in ordine alla prevedibilità del decesso delle persone offese.
Si censura la ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo dei reati contestati agli imputati, non essendo stata dimostrata la prevedibilità dell’anticipazione dell’evento morte che ha interessato le persone offese che, nella prospettiva del giudice di merito, se tutelate, avrebbero ottenuto un guadagno di tempo di vita, potendo continuare a lavorare con un’esposizione alle polveri di gran lunga minore.
L’esito positivo del giudizio controfattuale formulate dalla Corte di appello presuppone risolta in senso positivo la questione della possibilità di ascrivere alle condotte omissive contestate agli imputati l’effetto acceleratore dello sviluppo delle patologie responsabili del decesso delle persone offese. Ma a tale questione non e possibile rispondere, stante la mancanza di prove in ordine all’applicabilità nel caso concrete della legge statistica attestante l’effetto acceleratore delle esposizioni ad amianto successive all’esposizione che ha determinate l’iniziazione della patologia.
La motivazione non si e neanche confrontata con le argomentazioni svolte dai consulenti della difesa, a proposito della concreta possibilità di attuare a bordo delle navi militari e degli altri ambienti di vita e di lavoro le misure di prevenzione normalmente utilizzate nel periodo d’interesse in ambito industriale. Anche l’adozione di stringenti controlli sanitari sarebbe stata inidonea ad evitare l’insorgenza degli eventi lesivi, trattandosi di patologie caratterizzate da lunghi periodi di latenza.
VI) Carenza di motivazione in ordine alla certa esposizione professionale ad amianto delle persone offese (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis).
Quanto al (omissis) si obietta che il suo incarico di capo elettricista e addetto al servizio economato dell’ospedale della (omissis) nel periodo 1983-1991, aveva natura logistica e amministrativa e non prevedeva lo svolgimento di attività tecniche su materiali contenenti amianto.
Quanto al (omissis) si osserva che la sentenza non si confronta con le considerazioni svelte nella consulenza tecnica difensiva circa l’improbabilità di un’effettiva esposizione ad amianto nel periodi successive al 1983, sulla base di un attento esame delle mansioni svolte in quel periodo.
Quanto al (omissis) si espone che lo stesso sia stato esposto ad amianto in attività non riferibili alla (omissis) dove fu assunto nel 1982.
Quanto al (omissis) si obietta che per ii periodo 1986-1995 sono gli stessi periti che hanno parlato di esposizioni possibili, mentre i giudici non hanno confutato le argomentazioni della consulenza della difesa, seconde cui l’esposizione più significativa a fibre di amianto sia avvenuta nel periodo 1966-1983, quando il (omissis) era addetto ai servizi elettrici anche a bordo di navi.
Analoghe considerazioni valgono per il (omissis) il quale, nel periodo 1983-2000, risulta aver svolto mansioni di coordinamento o di natura logistico amministrativa, tali da non comportare diretti interventi operativi su materiali contenenti amianto.
Quanta al (omissis) si osserva che l’incarico di capo gruppo supporto tecnico mobile none equiparabile alla mansione di un motorista, attività cui fanno riferimento le dichiarazioni della vedova (omissis) (omissis).
4. Sono state depositate memorie scritte nell’interesse delle parti civili (omissis) (omissis) con cui si insiste per la reiezione dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. L’esame dei motivi di ricorso proposti impone, in via preliminare, di operare una doverosa distinzione fra i profili di responsabilità che attengono all’insorgenza e allo sviluppo del mesotelioma pleurico rispetto a quelli riguardanti l’altra patologia che qui rileva, vale a dire ii tumore polmonare.
Ciò appare necessario in quanta il nodo cruciale su cui vertono gran parte delle doglianze oggetto di esame e costituito dal tema della causalità, che si dipana in maniera particolarmente complessa nella materia in disamina, ma che presenta aspetti peculiari proprio con riferimento alla patologia del mesotelioma, i cui meccanismi di insorgenza non risultano ancora compiutamente chiariti dalla scienza medica.
Quello che si può dire, al riguardo, e che nel corso degli anni sono stati acquisiti alcuni punti “fermi” (nei limiti in cui questo termine può essere utilizzato nell’ambito di una scienza in continua evoluzione) che si sono riversati nell’esperienza giudiziaria attraverso gli strumenti propri del processo penale, costituiti dall’espletamento di consulenze tecniche e perizie, i cui risultati continuano a formare oggetto di accese controversie fra le parti ma anche, talvolta, di esiti giudiziari fra loro contrastanti.
Va aggiunto che, nella specie, con esclusivo riferimento 211 mesotelioma, si presenta l’ulteriore problematica, strettamente connessa con ii tema della causalità, concernente la possibilità di attribuire alle condotte degli imputati – i quali, durante i periodi di esposizione dei lavoratori all’amianto, si siano succeduti in distinti sub-periodi nel ruolo di “garanti” dell’integrità fisica dei dipendenti – effettiva incidenza causale nella insorgenza e/o progressione della patologia da cui é derivata la morte delle persone offese.
2. Prima, però, di affrontare le questioni di causalità attinenti alle patologie asbesto correlate di cui si discute nel presente procedimento, ragioni di priorità logica impongono di esaminare pregiudizialmente le censure articolate con il sesto motive, che contestano – sotto il profilo del vizio motivazionale – la stessa ricorrenza in concrete di una situazione di esposizione professionale ad amianto rispetto a ciascuna delle persone offese (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) e (omissis) nei rispettivi periodi in cui le stesse hanno lavorato alle dipendenze della (omissis).
É evidente, infatti, che la detta esposizione costituisce il presupposto fattuale indefettibile da cui muove l’addebito mosso agli imputati, in mancanza della quale verrebbe meno ii fatto-reato oggetto di imputazione.
2.1. Tali censure sono prive di pregio, avendo i giudici del merito compiutamente e logicamente motivate al riguardo, coerentemente con i dati probatori processualmente emersi, in relazione a ciascuna delle menzionate persone offese, secondo le considerazioni che
2.2. Quanto al (omissis) i ricorrenti obiettano che ii suo incarico di capo elettricista e addetto al servizio economato dell’ospedale (omissis) nel periodo 1983-1991, aveva natura logistica e amministrativa e non prevedeva lo svolgimento di attività tecniche su materiali contenenti amianto.
2.2.1. I giudici territoriali, al contrario, hanno motivatamente riscontrato che nel periodo 1981-1988, nel questionario del (omissis) il (omissis) nella qualità di “capo elettricista”, dichiarava che l’amianto era usato come coibente per rifasciare i fili ed era presente nei pannelli elettrici, nelle pareti delle cucine e nelle tubazioni, in tal modo evidenziando i suoi contatti diretti con l’amianto anche nell’Ospedale (omissis).
2.3. Quanto al (omissis) (omissis) i ricorrenti osservano che la sentenza non si confronta con le considerazioni svelte nella consulenza tecnica difensiva circa l’improbabilità di un’effettiva esposizione ad amianto nel periodo successive al 1983, sulla base di un attento esame delle mansioni svelte in quel periodo.
2.3.1. La sentenza impugnata, per contro, ha esaurientemente considerate le mansioni della persona offesa e ha logicamente ribattuto alle obiezioni difensive, sulla scorta di quanto processualmente emerso in ordine alla storia professionale del (omissis) assistente sanitario/infermiere, in servizio per la (omissis) dal 1966 al 2004, perlopiù imbarcato per lunghi periodi su unità navali, tra cui la nave (omissis) (nel periodo 1987-1988), nella quale erano presenti vecchie coibentazioni da cui scaturivano polveri di amianto, nonché su (nel periodo 1989-1992), nave in cui era stata riscontrata la presenza di amianto e che venne scoibentata solo nel 1999.
2.4. Quanto al (omissis) i ricorrenti lamentano che lo stesso fu esposto ad amianto in attività non riferibili alla (omissis) dove fu assunto nel 1982.
2.4.1. I giudici veneziani hanno congruamente dato cor1to del fatto che ii (omissis) prima del 1982, aveva svolto diverse attività lavorative, le quali avevano determinato una possibile esposizione indiretta ad amianto; ma hanno anche incensurabilmente affermato, sulla scorta degli accertamenti peritali svolti, che l’esposizione ad amianto doveva essere considerata altamente probabile/certa nel periodo 1982-1994, quando il (omissis) aveva svolto – per la (omissis) mansioni di (omissis) di coperta e di addetto alla conduzione delle cabine di sabbiatura presso il cantiere di costruzione, demolizione e manutenzione navale dell’arsenale (omissis) (omissis).
ln particolare, la sentenza ha riportato quanto riscontrato dai periti in ordine alla ecosistema e intensità dell’esposizione nel periodo in cui ii soggetto lavorava nelle cabine di sabbiatura, tanto che lo stesso (omissis) aveva ricordato che “si impolverava a tal punto da cominciare a ripulirsi almeno dopo la terza doccia; nello stanzone non c’erano impianti di aspirazione”, e la sabbiatura veniva effettuata anche su manufatti in amianto, tanto e vero che ai sabbiatori veniva pagato il relativo “rischio”.
2.5. Quanto al (omissis) i ricorrenti obiettano che per ii periodo 1986-1995 gli stessi periti hanno parlato di esposizioni possibili, mentre i giudici non hanno confutato le argomentazioni della consulenza della difesa, secondo cui l’esposizione più significativa a fibre di amianto sia avvenuta nel periodo 1966-1983, quando il (omissis) era addetto ai servizi elettrici anche a bordo di navi.
2.5.1. La sentenza impugnata, per contra, ha insindacabilmente accertato che le mansioni del (omissis) di “specialista elettricista” erano tra quelle cui spettava l’indennità di rischio per esposizione a silice o amianto, atteso che in tale sua veste egli “doveva togliere dal cavo ii rivestimento protettivo in amianto e successivamente provvedeva a riposizionarlo”; inoltre, a volte prestava servizio a terra ed anche in tal caso poteva “incorrere in manufatti d’amianto”.
In definitiva, la sentenza d’appello ha riportato le conclusioni degli accertamenti peritali – non rivalutabili in questa sede – secondo cui l’esposizione del (omissis) e certa non solo per gli anni 1983-1985 ma anche per quelli 1986-1995, poiché ii suo lavoro di elettricista lo metteva necessariamente a contatto con l’amianto.
2.6. Anche per ii (omissis) le difese dei ricorrenti contestano la ricostruzione operata dai giudici di merito in ordine ad una sua esposizioni, ad amianto nel periodo 1983-2000, periodo in cui costui avrebbe svolto solo mansioni di natura logistico-amministrativa.
2.6.1. Sul punto i giudici veneziani hanno motivatamente risposto, precisando che la stessa persona offesa aveva ricordato di aver sempre lavorato a bordo di navi militari, effettuando, fra l’altro, coibentazioni di tubazioni e di essersi trovato negli stessi ambienti di chi coibentava.
É stato precisato che il (omissis) aveva la mansione di tecnico meccanico motorista navale, riconosciuta come “qualificata” per la spettanza dei benefici previdenziali ex art. 13 I. n. 257/1992 (esposizione superiore a 100 ff/I continuative per più di 10 anni).
I giudici hanno logicamente argomentato nel senso che la persona offesa aveva continuato a svolgere le sue mansioni di meccanico fino al 1994, operando in navi militari non ancora bonificate: la sua esposizione all’amianto, oltre agli anni 1983-1986, pur diminuita net periodo 1986-1993, avendo operate presso il (omissis) (omissis) e poi prosegu1ita con l’intensiti1 precedente negli anni 1993-1994, anni in cui aveva navigate (per un anno, sette mesi e ventuno giorni) a bordo dell’unita navale
2.7. Per quanto attiene alla posizione del (omissis) le chiese eccepiscono che l’incarico di capo gruppo supporto tecnico mobile non e equiparabile alla mansione di un motorista, attività cui fanno riferimento le dichiarazioni della vedova (omissis) (omissis) in ordine all’asserita esposizione ad amianto.
2.7.1. La doglianza prospetta una non consentita censura di merito, a fronte di una sentenza che ha motivatamente dato conto di quanto risultante dalle dichiarazioni rese dalla vedova della persona offesa, secondo cui il marito, nel periodo 1981-1985, lavorava per 8/10 ore “alla manutenzione ed alla messa a punto degli apparati motori degli aliscafi” e “operava in primis sulle macchine termiche, sulle turbine e sugli apparati motore”; in quel periodo, inoltre, la persona offesa aveva fatto parte di squadre antincendio, vestendo tute d’amianto. Anche i periti – secondo quanto riportato in sentenza – hanno confermato una esposizione significativa ad amianto dal 1967 al 1975 e dal 1981 al 1985.
3. Tanto chiarito in ordine all’insussistenza di vizi motivazionali riguardanti l’accertata esposizione ad amianto dei suddetti lavoratori nell’ambito delle mansioni svolte per la (omissis) nei periodi che qui rilevano, occorre tornare alla principale censura sviluppata nei restanti motivi oggetto dei ricorsi in esame, attinente al tema della causalità.
Trattasi di censura fondata, quanto alla patologia del mesotelioma, nei termini di seguito indicati.
4. La sentenza della Corte distrettuale ha ribaltato l’esito assolutorio che era stato pronunciato dal Tribunale, avvalendosi della perizia collegiate espletata in sede di gravame da parte dei dottori (omissis) (omissis) (epidemiologo e medico del lavoro) e (omissis) (omissis) (anatomopatologo), al fine di approfondire l’esatta natura delle malattie delle persone offese (tutte dipendenti della l’eventuale correlazione di tali malattie con l’esposizione all’amianto e le problematiche ad esse connesse.
Con specifico riferimento al mesotelioma, ii quesito formulato dai giudici di appello e stato quello di descrivere “la natura, ii decorso ed ii periodo di latenza” di tale patologia e se questa fosse, o meno, “una malattia dose correlata con effetto acceleratore nel caso del protrarsi dell’esposizione”.
5. La risposta fornita dai periti, ritenuta dai giudicanti “articolata ed approfondita”, e stata riportata in sentenza e viene qui di seguito sintetizzati.
5.1. Gli esperti hanno osservato che recenti studi hanno evidenziato il ruolo dell’infiammazione nel causare la trasformazione neoplastica delle cellule, rilevante anche per la cellula di mesotelioma. L’attivazione della cascata infiammatoria indotta da asbesto “sembra giocare un ruolo importante nello sviluppo del mesotelioma quando e associate a esposizioni cumulative di asbesto”.
L’infiammazione cronica persistente favorisce la crescita delle cellule mesoteliali, nel senso che l’accumulo di danni genetici causati dall’esposizione ad amianto comporta (non la morte ma) la divisione della cellula, con la conseguenza che, se si accumulano in essa modificazioni genetiche chiave, alla fine essa si trasforma in cellula di mesotelioma. La permanenza di un microambiente infiammatorio correlato alla persistenza delle fibre e/o alla continua esposizione ad asbesto, “promuove formazione di coni neoplastici e quindi progressione delta malattia, indicando come l’asbesto sia coinvolto nella i111iziazione del tumore e nella sua progressione”.
In tal modo i periti – osservano i giudici – hanno descritto le modalità con cui la fibra di amianto, assunta negli alveoli dell’organismo, produce, attraverso alterazioni molecolari, la cellula di mesotelioma, confermando che tale malattia é (può essere) asbesto correlata.
5.2. I periti hanno poi descritto le varie fasi della malattia, nei termini di seguito riportati dai giudici di merito.
Successivamente all’inizio del periodo di esposizione ad amianto (E), vi é un momento in cui inizia l’induzione del processo neoplastico (II, inizio induzione, o iniziazione), che prosegue per un certo periodo (c.d. “periodo di induzione”), fino a che si ha la fine dell’induzione, con insorgenza delta malattia (FI/IM), la quale viene definitivamente innescata (nel senso che ii tumore inizia la sua crescita irreversibile). Da questo momento inizia la fase di latenza (c.d. “latenza vera” o “fase preclinica”), in cui ii processo neoplastico e presente ma non visibile (per l’appunto “latente”, troppo piccolo per essere rivelato con gli attuali strumenti diagnostici). Questa fase (”latenza vera”) termina con la comparsa dei sintomi (S); si entra, quindi, nella fase “clinica” (malattia manifesta) che conduce alla diagnosi (D), cui segue inevitabilmente la morte.
Ricapitolando, le fasi della malattia sonio state cos] schematizzate: inizio esposizione (E), inizio induzione (II), fine induzione/insorgenza malattia (Fl/IM), fase preclinica di latenza “vera” (malattia insorta ma non visibile), comparsa dei sintomi (S), diagnosi della malattia (D), morte.
É stato precisato che l’inizio dell’induzione (II) non coincide con l’induzione irreversibile della malattia, ma e solo l’inizio di una serie di eventi, potenzialmente reversibili, al cui termine può avvenire l’innesco irreversibile del processo patologico. In particolare, i periti hanno osserv,i1to che ii periodo di induzione (II -Fl/IM) “e una fase molto complessa, nota solo in parte, in cui si verificano molti eventi a livello molecolare, cellulare e tissutale”; esso “non si esaurisce in un memento” ma “potrebbe durare tempi molto lunghi”, durante i quali gli eventi sono potenzialmente reversibili; solo alla fine di esso (FI/IM) si può avere l’insorgenza irreversibile del processo neoplastico.
I periti, sulla scorta dell’ampio consenso formatosi nella comunità scientifica nazionale ed internazionale, hanno sostenuto la presenza di una relazione dose-risposta per il mesotelioma macigno, nel senso che, a maggiore esposizione cumulativa ad amianto, corrisponde un maggior rischio di (contrarre la) malattia, mentre la riduzione o l’interrompersi dell’esposizione provoca un attenuarsi o flettersi dell’aumento del rischio altrimenti crescente al trascorrere del età e della latenza. Hanno quindi concluso nel senso che “ciascun periodo di esposizione ad amianto e quindi ciascuna dose aggiuntiva sono parte del processo causale che porta, in quel soggetto, allo sviluppo del mesotelioma”.
In proposito, i giudici territoriali si sono soffermati su alcune citazioni svolte dai periti, con particolare riguardo agli studi che hanno mostrato come l’esposizione all’amianto aumenti ii rischio di mesotelioma e di tumore ai polmoni (Boffetta e Stayner, 1996; IARC 2012, Magnani et al, 2013 e 2015, Barone et al 2020) ed a quelli che hanno rimarcato il ruolo della dose cumulativa nella genesi del mesotelioma (in particolare, lo studio di Larson del 2010, “in cui si osserva una crescita lineare nei rischi relativi per patologie asbesto-correlate e stima dell’esposizione cumulativa (…); quello di (omissis) “in cui si e osservato che sia nel genere maschile che femminile, ii tasso di mesotelioma aumenta in maniera progressiva e crescente sia in relazione alla durata della permanenza a Wittenoom – cittadina australiana dove vi era una miniera di crosolite – sia per l’esposizione cumulativa stimata”; quello di “che documenta un incremento costante di mesotelioma per ogni successiva durata di esposizione in anni e per probabilità cumulativa per intensità”). Ancora, viene riportato ,:he “Un aumento del rischio in funzione dell’esposizione cumulativa e stato osservato dal gruppo di (omissis) (2014) e da un successivo studio di i (omissis) et al (2016) e di (2016) il quale osserva come ii rischio di mesotelioma (…) risulta aumentare pressoché linearmente in relazione al carico di Fibre inalate”.
5.3. In definitiva – osserva la Corte di merito – gli esperti hanno affermato che “sebbene vi siano opinioni diverse, appare ampiamente condiviso presso la comunità scientifica ii fatto che un’esposizione che dura nel tempo aggiunge fibre a quelle già presenti nel polmone (dose cumulativa) favorendo i passaggi che si sviluppano nel processo di cancerogenesi (…). Vi é inoltre evidenza che una riduzione del livello di esposizione comporta la diminuzione del rischio di mesotelioma: ciò per via della riduzione del eci1rico polmonare di fibre d’amianto (clearence) consentito dall’interruzione dell’esposizione e dalla capacita dell’organismo di ridurre nel tempo ii carico di fibre già aspirate”.
6. Da quanto esposto nella perizia – in cui si descrive la c.d. teoria multistadio per spiegare ii processo della malattia e si da per assodata la circostanza secondo cui, per lo sviluppo del mesotelioma, un ruolo determinante sia svolto dalla c.d. “dose cumulativa” assorbita nel tempo – i giudici territoriali hanno desunto che tutto ciò “comporta un’accelerazione dell’intero processo e un’anticipazione dell’insorgenza della malattia o della morte”. A riscontro di tale affermazione hanno aggiunto che anche la III Consensus Conference aveva affermato che “un aumento dell’esposizione che causa un aumento dell’incidenza nella popolazione in studio necessariamente interessa anche l’anticipazione del tempo per la comparsa della malattia…anticipazione e aumento della frequenza di malattia (incidenza) con l’aumento dell’esposi2ione sono aspetti inscindibili dello stesso fenomeno”.
La sentenza impugnata, nel descrivere ii suddetto effetto acceleratore, assume che “i soggetti maggiormente esposti si ammalino prima degli altri, determinando così l’incremento dell’incidenza rilevata dagli studiosi ed evidenziando la relazione esistente tra i tassi di incidenza e l’anticipazione dell’evento”.
I giudici di appello ritengono che anche le difese degli imputati abbiano riconosciuto la validità del rapporto dose cumulativa, incidenza e anticipazione dell’evento, essendo ormai dimostrato che l’esposizione all’amianto provochi ii mesotelioma, per cui “all’aumentare della dose cumulativa corrisponde l’aumento della probabilità dell’insorgenza del mesotelioma, cioè aumenta la frequenza/l’incidenza dei casi” (citazione tratta dalla memoria difensiva del 27.4.2022, p. 28).
In definitiva, i giudici veneziani hanno optato per il riconoscimento della validità del rapporto dose cumulativa, incidenza e anticipazione dell’evento.
7. La Corte territoriale ha successivamente precisato che la tesi dell’accelerazione/anticipazione costituisce un concetto epidemiologico, che si fonda cioè su dati statistici tratti dall’osservazione di gruppi di persone in un dato contesto ambientale, al fine di studiare la frequenza (probabilistica) con cui si manifestano le malattie e le condizioni che favoriscono od ostacolano il loro sviluppo.
All’obiezione difensiva secondo cui l’anticipazione dell’evento nel singolo soggetto non e osservabile, proprio perché la tesi dell’accelerazione si basa su dati statistici che attengono al gruppo e non al singolo individuo, 121 sentenza ribatte che “non e determinante il fatto che nel singolo individuo esposto l’anticipazione non sia osservabile, posto che, a livello di gruppo, la sua sussistenza (dose cumulativa-effetto acceleratore) é stata, come vista, riconosciuta dalla comunità scientifica; il dott. (omissis) nella perizia, ha solo spiegato che ciò che conta non é ciò che succede al processo biologico, perché quello che é incontrovertibile é che i soggetti più esposti si ammaleranno prima dei non esposti”. Secondo la Corte territoriale, tale fenomeno (accelerazione dell’evento), in quanto constatato a livello generale, “deve necessariamente avere una ricaduta a livello individuate; mentre la prova (…) che nel caso concreto una effettiva accelerazione vi sia stata in ciascuna persona offesa appare – in sostanza – una prova diabolica (…) La questione pasta dai difensori della difesa degli imputati e del responsabile civile costituisce un falso problema se si considera che nel caso specifico, per definire i nesso di causa, l’unico strumento disponibile é quello di riferirsi a risultati statistici (e quindi necessariamente epidemiologici) per costruire quella legge universale che contempla ciascun caso individuale”.
8. Tali affermazioni, alquanto confuse e per certi versi oscure, sono frutto di manifesta contraddittorietà e illogicità, nonché di evidente e1-roneita sul piano della valutazione della affermata relazione causale fra le condotte ascritte agli imputati e le morti dei lavoratori per mesotelioma.
In estrema sintesi, la Corte veneziana assume la validità scientifica della tesi (statistico-probabilistica) dell’effetto acceleratore, utilizzabile (solo) sul piano della causalità generale, per affermare, sul diverso piano della causalità individuale, che ogni esposizione significativa ,i causalmente rilevante e tale da determinare l’accelerazione dell’evento anche con riferimento a ciascuna persona esposta. Secondo tale assunto, in altri termini, l’effetto acceleratore sarebbe una conseguenza inevitabile della protratta esposizione ad amianto, cui andrebbe incontro ogni soggetto deceduto a causa di mesotelioma pleurico asbesto correlate.
La fallacia di un simile ragionamento deriva principalmente dall’avere attribuito alla tesi dell’effetto acceleratore ii valore di legge universale, nonostante ii suo enunciato abbia indiscusso carattere statistico-probabilistico, come peraltro riconosciuto dalla stessa Corte distrettuale, le cui argomentazioni sul punto si rivelano, pertanto, intrinsecamente contraddittorie e illogiche.
Ed invero, una legge scientifica avente valore statistico, come quella – tratta dagli studi epidemiologici – del c.d. effetto acceleratore, non può essere, per definizione, considerata una legge universale (intesa come legge esplicante una immancabile e specifica relazione di causa-effetto) ma solo probabilistica, in quanto espressione di una regola desunta da studi statistici, secondo i quali l’accelerazione/anticipazione dell’evento, nei soggetti esposti, si produce con una certa percentuale di frequenza statistica nell’ambito della coorte di persone oggetto di studio ma non, immancabilmente!, nei confronti di tutti i singoli componenti di quel gruppo di individui.
9.1. Ciò non significa che la legge probabilistica non possa essere utilizzata per argomentare in materia di causalità, posto che – sin dalla fondamentale sentenza Franzese (cfr. Sez. U, 30328 del 10/07/2002), e come ribadito in ulteriori importanti arresti, tra i quali merita di essere segnalato, per ii particolare ed esaustivo approfondimento della tematica, proprio nella fattispecie di mesotelioma asbesto correlato contratto in ambiente lavorativo, la sentenza Cozzini di questa Sezione (cfr. Sez. 4, n. 43786 del 17/09/2010) – qualsiasi ragionamento causale in ambito giudiziario non può basarsi soltanto su inferenze di tipo nomologico-deduttivo, affidate esclusivamente alla forza Esplicativa di leggi universali, ma può e deve affidarsi anche a leggi statistiche, dotate di determinati coefficienti di probabilità frequentista, fra cui rientrano a pieno titolo le rilevazioni epidemiologiche.
La citata giurisprudenza precisa che, a tali fini, non e tanto importante ii date costituito dal più o meno alto coefficiente probabilistico riscontrato dalle indagini statistiche; e essenziale, invece, che ii coefficiente probabilistico espresso dalla legge scientifica esprima prima una indiscussa relazione eziologica tra una categoria di condizioni ed una categoria di eventi.
Infatti, una volta che sia accertata la relazione causale espressa dalla generalizzazione probabilistica (secondo cui, in linea generale, un evento può derivare da un fatto, ma non sempre), occorre stabilire se la relazione causale si sia effettivamente realizzata nel caso concrete sottoposto a giudizio. Scopo dell’indagine, allora, e la verifica critica in ordine all’ipotesi che riguarda Ila riferibilità di un evento concrete ad una spiegazione racchiusa in una legge scientifica: un ragionamento che, prendendo le mosse da una ipotesi causale scientificamente accreditata sul piano probabilistico (abduzione), deve trovare nelle contingenze del caso concreto (induzione) la sua conferma o la sua falsificazione (cit. sent. Cozzini).
La verifica richiesta al giudice sul tema della causalità non può, quindi, prescindere dall’adozione del c.d. modello bifasico di cui al fondamentale insegnamento della sentenza a S.U. Franzese, costantemente seguito (ed anche precisato e sviluppato da ulteriori arresti, tra i quali, oltre alla citata sentenza Cozzini, merita di essere segnalata la sentenza Espenhahn: Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014) da tutta la giurisprudenza di legittimità che si e successivamente occupata del tema in questione.
Secondo tale modello, in estrema sintesi, l’indagine causale deve passare da una prima fase, in cui viene riconosciuta, sulla base di una legge probabilistica, la sussistenza di una generate (non immancabile ma possibile) relazione causate tra un fatto ed un evento, ad una seconda fase, in cui occorre trovare nei fatti processualmente emersi la conferma o, per meglio dire, la corroborazione dell’ipotesi derivante dalla generalizzazione probabilistica. Si tratta, insomma, di valutare i fatti, i segni emergenti dai dati probatori, al fine di stabilire (e argomentare) se tali segni siano idonei a corroborare (o a falsificare) l’ipotesi in ordine alla sussistenza del nesso causate fra una condotta umana e l’evento di cui si discute.
Tale insegnamento e efficacemente riassunto nella massima secondo cui il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull’analisi delta caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto (massima tratta dalla citata Sez. U Espenhahn, n. 38343/2014, Rv. 261103 – 01).
9.2. La corroborazione dell’ipotesi causale generate, basata sull’analisi dei fatti processualmente emersi, posta alla base del giudizio di “elevata probabilità logica” del nesso di condizionamento, e frutto di una sintesi valutativa che non può essere misurata in termini numerici o quantitativi (non a case la sentenza Cozzini parla, al riguardo, di contenuto valutativo “vago per eccellenza”).
Sotto questo profilo, e importante non confondere la nozione di “probabilità logica”, derivante dalla valutazione conclusiva del giudice alla luce dell’evidenza processuale, con quella di “probabilità statistica”, espressione di un coefficiente numerico (solitamente percentuale) indicative delle volte in cui l’evento studiato si può verificare in una serie (più o meno lunga) di casi rappresentativi delta stessa situazione.
Tanto per chiarire, il giudice non può, affermare la sussistenza, nel caso sottoposto al suo esame, di una sicura relazione causale tra un fatto ed un evento, anche se statisticamente occorrente nel 90% di casi analoghi (probabilità statistica); tale dato, infatti, esprime ii coefficiente numerico della relazione tra una classe di condizioni ed una classe di eventi ma, di per se, non implica che la relazione causale presa in considerazione si sia effettivamente realizzata nel caso concreto oggetto di esame: sappiamo solo che, statisticamente, in 90 casi su 100, a parità di condizioni, si può verificare la relazione causale ipotizzata, ma non sappiamo se tra i 90 casi vi possa rientrare proprio quello che riguarda la vicenda concreta oggetto di valutazione.
A tal fine, occorre un ulteriore passaggio valutativo, di tipo induttivo, elaborato attraverso la compiuta analisi dei fatti storici e delle peculiarità che caratterizzano il caso concreto. Se tali fatti non falsificano ma corroborano l’ipotesi fondata sulla generalizzazione probabilistica, ii giudice può affermare, con elevato grado di credibilità razionale, quindi sul piano della “probabilità logica”, la sussistenza del nesso di causa nella vicenda sub iudice.
La “vaghezza” di una simile valutazione (per usare ii termine adottato dalla sentenza Cozzini) attiene solo all’intrinseca imponderabilità del relativo procedimento logico, non trattandosi di una operazione quantificabile, misurabile in termini strettamente numerici. Essa e la risultante di una operazione concettuale (immateriale per definizione) elaborata attraverso un ragionamento che, muovendo dai fatti provati, giunge alla conferma o menc, della potenziale concatenazione causale derivante dalla legge probabilistica dedotta in giudizio.
9.3. A tale riguardo, é necessario che l’indagine causale sia svolta in maniera logica e rigorosa.
Come ricorda sempre la sentenza Cozzini, occorre un approccio critico, che si confronti in maniera serrata con i fatti per rinvenirvi i segni che si conformano con la teoria del caso concreto ma anche per cercare elementi di critica, di crisi della stessa.
Tale valutazione, in ultima analisi, trova ii suo banco di prova nell’apparato motivazionale della decisione, dovendo il giudice dare compiutamente conto dell’ipotesi causale da cui e partito, esplicitare le leggi di copertura adottate (scientifiche o esperienziali, universali o probabilistiche) e indica1·e specificamente i dati probatori utilizzati per corroborare (o falsificare) l’ipotesi iniziale. II tutto al fine di giungere, eventualmente, ad un motivato giudizio di “alta probabilità logica” in ordine alla sussistenza del nesso di causa oggetto di esame nel caso concreto. Per contro, l’assenza o l’insufficienza di dati probatori idonei a corroborare l’ipotesi probabilistica, ovvero la ricorrenza di fatti contrastanti con tale ipotesi o idonei a falsificarla nel caso concreto, devono inevitabilmente condurre ad una valutazione di insussistenza del nesso di causa rilevante ai fini del giudizio.
10. Nel caso in disamina, come fondatamente osservato dai ricorrenti, con riguardo ai decessi per mesotelioma la Corte veneziana ha completamente omesso di svolgere la necessaria valutazione bifasica richiesta dalla sentenza Franzese, cui si e fatto cenno innanzi, al fine di affermare (o negare) la effettiva verificazione dell’accelerazione dell’evento nei casi, sottoposti alla sua attenzione, di decessi dovuti a mesotelioma pleurico.
A ben vedere, la sentenza non ha minimamente affrontato la problematica dell’accertamento della causalità individuale in rapporto alla te-si del c.d. effetto acceleratore, liquidando la questione con l’affe1·mazione che si tratterebbe di una “prova diabolica” e facendo assurgere a valori di legge universale quella che la Corte stessa definisce una legge probabilistica, in quanta risultante da dati statistici a carattere epidemiologico, e come tale necessitante di una corroborazione induttiva basata su una approfondita analisi dei dati probatori riguardanti i singoli decessi, operazione che ., del tutto mancata nel percorso argomentativo della sentenza in disamina.
10.1. In tale prospettiva, l’illogicità dell’approccio dei giudici di appello si manifesta chiaramente laddove si esplicita, in motivazione (pag. 30), che la difesa degli imputati avrebbe ammesso la validità della tesi dell’accelerazione, avendo riconosciuto che all’aumentare della dose cumulativa corrisponde l’aumento della probabilità dell’insorgenza del mesotelioma, vale a dire si registra un incremento del tasso di frequenza/incidenza dei casi.
In questo caso la Corte di merito confonde la nozione di tasso di incidenza probabilistica, attinente alla frequenza dei casi di mesotelioma, da quella che attiene all’effetto di accelerazione della insorgenza/progressione della malattia, che é cosa ben diversa.
La prima indica ii coefficiente percentuale di probabilità di insorgenza della malattia, in quanta tale; la seconda implica che la malattia da cui é affetto il singolo lavoratore sia insorta o si sia aggravata o si sia manifestata in un tempo più breve di latenza per effetto dell’esposizione al fattore di rischio.
10.2. La confusione dei due distinti piani dianzi indicati (tasso di insorgenza, da un lato, accelerazione, dall’altro) e resa evidente da un ulteriore passaggio motivazionale della sentenza di appello, in cui si afferma (pag. 30): “// rapporto incidenza/anticipazione della malattia e stato riconosciuto in aula anche da uno dei consulenti degli imputati, il prof (omissis) (che facendo un esempio ha dichiarato: “se il signor (omissis) faceva parte del gruppo dei più esposti, il tasso di incidenza nei più esposti sarà avvenuto X anni prima rispetto ai non esposti” (v. verbale udienza 28/10/2021, pp. 78)”.
Ma qui é evidente che fa riferimento solo al tasso di incidenza della malattia, riconoscendo la maggiore frequenza statistica dei casi di insorgenza del mesotelioma nel gruppo degli esposti rispetto al gruppo dei soggetti non esposti all’amianto; tale affermazione, per contro, non significa – come erroneamente opinato dalla Corte di appello – che nei confronti di (omissis) quale soggetto esposto, la patologia sia insorta sicuramente prima e progredita più rapidamente, causando la riduzione della latenza e l’anticipazione dell’evento morte.
Occorre sempre ricordare che la tesi dell’effetto acceleratore, nella prospettiva assunta dagli stessi giudicanti, non é una legge universale ma probabilistica, con la conseguenza che tale effetto può dirsi riscontrato, sulla base dei dati statistici, per una certa percentuale dei casi esaminati, ma non in tutti.
10.3. A tale proposito, e bene chiarire che, sebbene la tesi del c.d. effetto acceleratore sia strettamente collegata all’adozione della tesi della dose dipendenza, dalle stesse decisioni di merito si coglie che le due tematiche non siano perfettamente sovrapponibili.
La tesi della dose cumulativa implica che l’intensità ed il prolungamento dell’esposizione aumentino proporzionalmente l’incidenza o ii rischio di contrarre la malattia; la tesi dell’effetto acceleratore si innesta a malattia insorta, assumendo che nell’organismo del malato si verifichi un’anticipazione del processo induttivo ed un’abbreviazione del tempo di latenza reale nel singolo individuo, causando sostanzialmente l’anticipazione dell’evento morte (per analoghe considerazioni v. Sez. 4, n. 44943 dell’08/07/2021, in motivazione).
11. In definitiva, e riassumendo quanto in precedenza osservato sul tema della causalità nei decessi per mesotelioma, si può affermare che la Corte di merito ha dimostrato di essere consapevole del fatto che la tesi dell’effetto acceleratore costituisca un elemento fondamentale per rendere causalmente rilevanti, indistintamente, tutte le esposizioni dei lavoratori ad amianto nei vari sub-periodi in cui si sono succeduti gli imputati nella posizione di soggetto “garante” della incolumità fisica delle persone offese.
Infatti, se si assume che ogni dose di amianto assunta nell’organismo sia idonea a causare l’accelerazione della fase induttiva (FI/IM), appare evidente che ogni periodo temporale di esposizione, anche minima, abbia concreta efficacia causale, anticipando l’insorgenza della malattia e, in definitiva, la morte anticipata del lavoratore esposto.
Tuttavia, la motivazione offerta sul punto dai giudici di appello e largamente carente, illogica e non rispettosa degli insegnamenti della Corte di legittimità in tema di accertamento del nesso di causalità, con specifico riferimento alla necessaria verifica dell’inveramento del ripetuto effetto acceleratore a livello di causalità individuale.
Tale aspetto, come già vista, e state del tutto obliterate dalla sentenza impugnata, che lo ha (erroneamente) superato con un espediente retorico manifestamente illogico, costituito dall’avere attribuito alla tesi dell’effetto acceleratore una valenza di legge universale, nonostante si tratti, al più, di legge probabilistica, come riconosciuto dalla stessa Corte distrettuale, le cui argomentazioni al riguardo si rivelano, pertanto, anche internamente contraddittorie.
Trattandosi di legge probabilistica, la stessa non può essere sufficiente a fondare la responsabilità dei prevenuti, la cui condotta causalmente efficiente deve essere adeguatamente dimostrata mediante l’adozione di un metodo dialettico di verifica dell’ipotesi accusatoria.
Come già osservato, l’inferenza causale deve essere sostenuta dai dati indiziari processualmente emersi e unitariamente considerati, in ipotesi idonei (o non idonei) a condurre ad una valutazione di elevata credibilità razionale circa l’effettiva verificazione, nel caso concrete, della relazione causale ipotizzata (nella specie, della intervenuta accelerazione della patologia nel singolo individuo), secondo un procedimento logico “non dissimile dalla sequenza del ragionamento inferenziale dettato in tema di prova indiziaria dall’art. 192 comma 2 c.p.p.” (sentenza Sezioni Unite Franzese).
12. La sentenza impugnata, invece, non offre alcuna valutazione dei dati probatori (caratterizzanti i singoli casi di decesso per mesotelioma) per dare riscontro e fornire una motivata conclusione logica, caratterizzata da un alto grado di credibilità razionale, circa l’inveramento effettivo di una “accelerazione” della patologia nell’organismo di ciascuna delle singole persone offese, tale da determinare l’anticipazione dell’evento morte.
Ciò al fine di rendere causalmente rilevante qualsiasi periodo di esposizione ad amianto dei lavoratori, quantomeno per tutta la fase della c.d. induzione e fino a quella di insorgenza (irreversibile) della malattia, fase che sarebbe stata accelerata, secondo l’ipotesi ricostruttiva adottata dai giudici veneziani ma illogicamente, argomentata in sentenza.
12.1. In proposito, la sentenza d’appello si limita ad indicare i (prolungati) periodi di esposizione lavorativa ad amianto delle persone offesa e a verificare la corrispondenza di tali periodi (o sub-periodi) con la durata cronologica degli incarichi fondanti la posizione di responsabilità dei diversi garanti succedutisi nel tempo, ritenendoli tutti causalmente rilevanti.
Una simile impostazione, evidentemente, non fornisce alcun riscontro indiziario specifico sul tema dell’effetto acceleratore che, come già visto, non attiene tanto alla indiscussa (sul piano probc1bilistico) relazione eziologica fra esposizione ad amianto ed insorgenza/progressione del mesotelioma, quanto ai meccanismi patologici che possono essere innescati nell’organismo del soggetto esposto alla dose cumulativa, in maniera tale da determinare non soltanto l’insorgenza e progressione della malattia, ma anche l’accelerazione della fase induttiva, con abbreviazione della latenza e, in definitiva, anticipazione della morte del soggetto malato.
Ne discende che non può bastare la sola impostazione cronologica adottata dai giudici veneziani, dettata dai tempi prolungati di esposizione, per affermare la sussistenza di tale accelerazione, ma occorre analizzare (se esistenti) dati indiziari ulteriori.
É necessario stabilire se l’ipotizzata tesi dell’effetto acceleratore, statisticamente validata sul piano della causalità generale, sia riscontrabile a livello di causalità individuale, secondo i canoni tipici della “certezza processuale”, vale a dire sulla scorta di una valutazione complessiva dei dati indiziari esplicativi del caso concreto, idonea a condurre ad una conclusione caratterizzata da elevato grado di credibilità razionale, compiutamente e logicamente argomentata nella motivazione della sentenza.
12.2. Tutto ciò é assente nella sentenza impugnata, il che rende irrimediabilmente viziato l’argomentare della Corte di merito sul piano della causalità individuale, con riferimento ai decessi per mesotelioma pleurico; conseguentemente, ne va disposto l’annullamento con rinvio, per nuovo giudizio, dinanzi ad altra sezione della Corte di appello veneziana, come sarà di seguito specificato.
12.3. Va solo aggiunto che ii reato di omicidio colposo in danno di (omissis) (omissis)risulta, ad oggi, estinto per intervenuta prescrizione, visto che il decesso (per mesotelioma) della citata persona offesa risale all'(omissis) sicché é ormai decorso il termine massimo di 15 anni previsto dall’art. 157 cod. pen. Stante la presenza di parti civili nel processo, l’annullamento senza rinvio della sentenza per tale capo sarà limitato ai soli effetti penali.
13. Resta da esaminare ii quarto motivo di censura, che riguarda l’unico decesso per tumore polmonare di cui e stata pronunciata condanna per omicidio colposo nei confronti del (omissis) vale a dire quello del lavoratore (omissis) (omissis) deceduto il (omissis) per carcinoma polmonare metc1statizzato.
L’insorgenza di tale patologia é stata ricondotta ad esposizione professionale ad amianto nel corso del servizio prestato per la (omissis) (anche) nel periodo 1983-1985 e 1986-1991.
Secondo i giudici distrettuali, “l’incidenza diretta e rilevante dell’esposizione ad amianto sul progresso del tumore e provato dalla presenza di placche pleuriche calcifiche (…) e dall’asbestosi pleura polmonare, diagnosi con cui era stato dimesso nel 2009”.
13.1. II ricorrente denuncia travisamento della prova in ordine alla affermata presenza di una diagnosi di asbestosi pleuro-polmonare nei confronti del (omissis) sostenendo che, in realtà, a pag. 172 della perizia espletata in appello, viene attestato che “non risulta dc1i referti radiografici presenza di asbestosi polmonare”.
Deduce, quindi, l’evidente illogicità della motivazione, visto che, in relazione al decesso di un altro lavoratore (omissis) (omissis) dovuto alla stessa patologia, la Corte di appello aveva escluso che il tumore polmonare fosse riconducibile alla esposizione ad amianto, proprio in ragione del fatto che dall’esame autoptico non era risultata la presenza di asbestosi polmonare.
13.2. II motivo é privo di pregio.
Non sussiste alcun travisamento della prova, tale da rendere illogica la motivazione della sentenza impugnata in ordine alle cause del decesso del (omissis) congruamente argomentate in sentenza alla luce delle risultanze peritali.
In particolare, la sentenza impugnata, nel dare conto della ricostruzione della storia clinica della persona offesa da parte dei periti, descrive (a pag. 56) gli esiti della cartella clinica relativa al ricovero del (omissis) al reparto pneumologia dell’ospedale (omissis) ha riportando la relativa diagnosi di dimissione: “asbestosi pleuro-polmonare e OSAS (ndr: sindrome da apnea ostruttiva nel sonno)”. Si tratta proprio della diagnosi cui fa riferimento la Corte distrettuale quando, nel contestato passaggio motivazionale, accenna alla patologia di asbestosi pleuro-polmonare, diagnosticata al (omissis) nel 2009.
Del resto, le considerazioni dei periti – riportate a pag. 172 della relazione peritale, esaminabile da questa Corte in quanto richiamata dalla specifica doglianza di travisamento oggetto di esame – sono net senso che ii decesso del (omissis) sia da attribuire a carcinoma polmonare metastatizzato, causato da elevata esposizione ad amianto, come rivelato, secondo gli esperti, da una “ben documentata” pleuropatia benigna (placche pleuriche calcifiche) asbesto correlata; mentre la presenza di asbestosi polmonare nel paziente non viene esclusa in via assoluta: i periti precisano solo che tale patologia “non risulta dai referti radiografici”. Tale patologia risulta invece diagnosticata, come già visto, all’esito del ricovero subito dal (omissis) nel 2009.
In ogni caso, le conclusioni dei periti sono inequivocabilmente net senso che, pur tenuto canto dell’accertata qualità di fumatore del soggetto (fino al 1987), la prolungata esposizione della vittima ad amianto “ha avuto un ruolo concausale con il fumo di sigaretta nella genesi del tumore polmonare”.
Tali conclusioni, fatte proprie dalla Corte di appello, non hanno formato oggetto di specifica doglianza da parte della difesa del (omissis) 31 di la del denunciato vizio di travisamento della prova, della cui infondatezza si e già argomentato innanzi.
Pertanto, rimane fermo ii giudizio in ordine al riscontrato nesso causale fra la condotta colposa attribuita al (omissis) e il decesso del (omissis) per carcinoma polmonare dovuto a prolungata esposizione ad amianto nei luoghi di lavoro.
14. Dalle superiori considerazioni discendono le seguenti statuizioni finali.
Deve essere annullata la sentenza impugnata relativamente ai decessi di (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Venezia, che provvederà anche alla regolamentazione tra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.
Deve essere annullata senza rinvio la sentenza impugnata, agli effetti penali, relativamente al decesso di (omissis) (omissis) perché il reato é estinto per prescrizione.
Deve essere annullata la medesima sentenza, agli effetti civili, relativamente ai decessi di (omissis) (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Venezia, che provvederà anche alta regolamentazione tra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.
Vanno rigettati ricorsi di (omissis) (omissis) e del responsabile civile, (omissis) (omissis) limitatamente alle statuizioni concernenti il decesso di (omissis) (omissis) con condanna dei predetti ricorrenti, in solido, alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità in favore delle parti civili costituite, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata relativamente ai decessi di (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis), con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Venezia, cui demanda anche la regolamentazione tra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, agli effetti penali, relativamente al decesso di (omissis) (omissis) perché il reato é estinto per prescrizione.
Annulla la medesima sentenza, agli effetti civili, relativamente ai decessi di (omissis) (omissis e (omissis) e (omissis) con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Venezia, cui demanda anche la regolamentazione tra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.
Rigetta ii ricorso di (omissis) (omissis) e del responsabile civile, (omissis) (omissis) limitatamente alle statuizioni concernenti il decesso di (omissis) (omissis) e condanna i predetti ricorrenti, in solido, alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità in favore delle parti civili (omissis) (omissis) (omissis) (omissis), liquidate in euro quattromilaottocento, oltre accessori come per legge; in favore dell’Associazione (omissis) (omissis) liquidate in euro tremila, oltre accessori come per legge; in favore di Medicina Democratica, Associazione (omissis) (omissis) e Associazione (omissis) (omissis); in favore di Federazione (omissis) (omissis); liquidate in euro tremila, oltre accessori come per legge.
Cosi deciso ii 6 luglio 2023.
Depositato in Cancelleria, oggi 6 novembre 2023.