Dieci villini al posto di una vecchia casa colonica: non è possibile parlare di ristrutturazione (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 18 gennaio 2023, n. 1670).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAMACCI Luca – Presidente –

Dott. DI NICOLA Vito – Consigliere –

Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere –

Dott. CERRONI Claudio – Consigliere –

Dott. NOVIELLO Giuseppe – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da

dal Procuratore della Repubblica del tribunale di Ancona;

nel procedimento a carico di

(OMISSIS) Davide nato a Jesi il 22/10/19xx;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Giuseppe Noviello;

udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dr. Pietro Molino che ha concluso per l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 24 maggio 2022, il tribunale del riesame di Ancona, adito nell’interesse di (OMISSIS) Davide ai sensi dell’art. 322 cod. proc. pen. avverso il decreto del 2 maggio 2022 del Gip del medesimo tribunale, con cui era stato disposto il sequestro preventivo di un’area con annessi edifici in relazione al reato di lottizzazione ex art. 44 lett. c) DPR 380/01, annullava il sequestro con restituzione di quanto in vinculis.

2. Avverso la predetta ordinanza il pubblico ministero del tribunale di Ancona propone ricorso deducendo un unico motivo di impugnazione.

3. Deduce il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 30 e 44 lett. c) DPR 380/01, 3 comma 1 lett. d) e comma 2 del DPR 380/01, 1 e 2 L.R. Marche 22/09, 24 e 25 NTA del PRG del Comune di Loreto.

Si contesta la decisione del tribunale del riesame che avrebbe sostenuto la legittimità delle opere sequestrate in violazione delle predette disposizioni.

Ciò perché sarebbe erronea la qualificazione, in termini di ristrutturazione, del complessivo intervento edilizio sequestrato, sia in quanto, da una parte, la ristrutturazione impone comunque la conservazione ovvero il recupero dell’immobile preesistente nonostante le modifiche per legge consentite, sia in quanto dall’altra, l’intervento in oggetto avrebbe comportato la demolizione pura e semplice di edifici preesistenti non ricostruiti nella loro fisica esistenza, con utilizzo delle volumetrie dei manufatti demoliti, aumento di volumetria, e quindi creazione di un organismo del tutto diverso, in ultima analisi integrante una ristrutturazione urbanistica in ragione della sostituzione del preesistente tessuto urbanistico ed edilizio, in zona agricola di interesse paesistico, anche a fronte della creazione di una apposita strada e di un parcheggio.

In tale quadro, si osserva che alla luce della qualificazione degli interventi contemplati nel piano di recupero assunto a riferimento per gli interventi in questione, la disciplina regionale applicabile sarebbe stata solo quella dell’art. 2 inerente interventi di demolizione e ricostruzione e non anche come invece ritenuto, quella di cui all’art. 1 della medesima legge.

Con evidente non conformità urbanistica degli interventi previsti dal piano di recupero, con riguardo alla prevista realizzazione di 10 – 12 unità immobiliari a fronte delle due esistenti, posto che la possibilità di aumento superiore ad una unità immobiliare rispetto alle esistenti sarebbe previsto dall’art. 1 comma 1 citato e non dall’articolo 2 citato della medesima legge regionale, inerente interventi di demolizione e ricostruzione rilevanti nel caso in esame.

La non conformità riguarderebbe anche i profili inerenti il mancato rispetto del tipo edilizio e delle caratteristiche edilizie storiche.

In particolare, alla luce dell’art. 24 e 25 delle NTA del PRG non sarebbero ammesse nuove costruzioni quali quelle in esame, ma solo essenzialmente costruzioni in termini, al più, di ristrutturazione e ampliamento per la residenza della famiglia coltivatrice dell’imprenditore agricolo e di costruzioni accessorie e impianti strumentali per l’attività agricola. Laddove il piano di recupero inerente gli interventi in questione non farebbe riferimento a tipologie di intervento quali quelle da ultimo indicate.

In ultima analisi emergerebbe una lottizzazione abusiva mista.

Quanto al periculum in mora, esso conseguirebbe all’immediato inizio dei lavori, realizzato senza comunicazione di inizio lavori al Comune e senza affissione della cartellonistica necessaria, oltre che alla già intervenuta demolizione dei manufatti accessori, per i quali sussistevano dubbi sulla relativa legittimità urbanistica, per cui i lavori all’indomani del dissequestro potranno essere ripresi trasformando l’area e pregiudicando anche ulteriori accertamenti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Premesso che è sollevato un vizio di violazione di legge, occorre stabilire se e quale sia l’intervento in ordine al quale si contesta la ricostruzione giuridica elaborata dal tribunale.

1.1. Dal provvedimento impugnato oltre che dal ricorso proposto, emerge che l’ipotesi accusatoria attiene all’intervenuto rilascio di un permesso di costruire autorizzante la demolizione di una casa colonica costituita da due unità immobiliari e cinque annessi agricoli di varia tipologia, con costruzione, in luogo di tali strutture, di un complesso residenziale costituito da 10 villini in linea, di cui 2 su due livelli, e un parcheggio a raso, costituito da 24 stalli con copertura fotovoltaica

1.2. Il tema essenziale proposto, è quello della configurabilità o meno di un intervento di ristrutturazione edilizia; quest’ultimo rinvenuto dal tribunale del riesame, con esclusione, quindi, di ogni abusività dell’intervento come invece sostenuto dal ricorrente in termini di lottizzazione.

1.3. Va premesso che la nozione di ristrutturazione edilizia, introdotta inizialmente con l’art. 31, lett. d), L. n. 457/1978, e da ultimo tradottasi nelle previsioni di cui all’art. 3 comma 1 lett. d) del DPR 380/01, è stata interessata da progressivi interventi legislativi, che hanno ampliato la stessa.

Di recente, con l’art. 10 del decreto del 16 luglio 2020 n. 76, convertito con modificazioni dalla L. 11 settembre 2020, n. 120, dettato “al fine di semplificare e accelerare le procedure edilizie e ridurre gli oneri a carico dei cittadini e delle imprese, nonché di assicurare il recupero e la qualificazione del patrimonio edilizio esistente e lo sviluppo di processi di rigenerazione urbana, decarbonizzazione, efficientamento energetico, messa in sicurezza sismica e contenimento del consumo di suolo” è stato novellato l’art. 3 comma 1 lett. d) del DPR 380/2001, nei seguenti termini: “alla lettera d), il terzo e il quarto periodo sono sostituiti dai seguenti: “nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico.

L’intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana.

Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza.

Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonché a quelli ubicati nelle zone omogenee A, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria.”

Per completezza va aggiunto che con D.L. dell’i marzo 2022 n. 17 , convertito in legge 27 aprile 2022 n. 34, con l’art. 28 comma 5 bis è stato disposto che “al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’articolo 3, comma 1, lettera d), sesto periodo, dopo le parole: “decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42,” sono inserite le seguenti: “ad eccezione degli edifici situati in aree tutelate ai sensi dell’articolo 142 del medesimo codice”.

Inoltre, con D.L. 17 maggio 2022, n. 50 convertito con modificazioni dalla L. 15 luglio 2022, n. 91 si è disposto, con l’art. 14, comma i-ter, lettera a), la modifica dell’art. 3, comma 1, lettera d) nel senso che “al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’articolo 3, comma 1, lettera d), sesto periodo, le parole: “dell’articolo 142” sono sostituite dalle seguenti: “degli articoli 136, comma 1, lettere c) e d), e 142”.

1.4. Purtuttavia, nonostante il riportato ampliamento, in particolare con la citata novella del 2020, dell’ambito di operatività della nozione attuale di ristrutturazione, con particolare riferimento agli immobili non sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonché a quelli ubicati nelle zone omogenee A, permane comunque la ratio qualificante l’intervento edilizio, che postulando la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare, è comunque finalizzata al recupero del medesimo, pur con le ammesse modifiche di esso. Si tratta di un indirizzo più volte sottolineato negli anni, oltre che dalla dottrina, anche dalla giurisprudenza.

In tal senso si è espressa anche di recente la giurisprudenza amministrativa, laddove ha evidenziato che la ristrutturazione edilizia, quale intervento sul preesistente, non può fare a meno di una certa continuità con l’edificato pregresso (TAR Veneto Sez. H n. 660 del 2 maggio 2022; T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna Sez. II, 16 febbraio 2022, n. 183; Consiglio di Stato, Sez. II, 6 marzo 2020 n. 1641) e analogamente ha fatto questa Suprema Corte (Sez. 3 – n. 23010 del 10/01/2020 Rv. 280338 – 01) laddove ha precisato, ancorché rispetto a un quadro normativo non inclusivo ancora del citato decreto legge del luglio 2020 n. 76, che l’art. 3, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 380 del 2001, nel definire gli “interventi di ristrutturazione edilizia” non prescinde, né potrebbe, dalla necessità che venga conservato l’immobile preesistente, del quale deve essere comunque garantito il recupero.

Allo stesso modo la ristrutturazione dei manufatti crollati o demoliti è possibile al solo fine del loro “ripristino”, termine quest’ultimo dal significato univoco nella parte in cui esclude la mera demolizione a vantaggio di un edificio diverso.

La ristrutturazione, per definizione, non può mai prescindere dalla finalità di recupero del singolo immobile che ne costituisce l’oggetto. In tale quadro è stata sottolineata, molto opportunamente, “la necessità di un’interpretazione della definizione dell’intervento di ristrutturazione edilizia di cui alla lettera d) dell’art. 3, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001, che sia aderente alla (e non tradisca la) finalità di conservazione del patrimonio edilizio esistente, finalità che contraddistingue tale intervento rispetto a quelli di “nuova costruzione” di cui alla successiva lettera e), e non si presti all’elusione degli standard urbanistici vigenti al momento della riedificazione ed applicabili in caso di nuova costruzione.

Del resto, la conferma della ontologica necessità che l’intervento di ristrutturazione edilizia, pur con le ampie concessioni legislative in termini di diversità tra la struttura originaria e quella frutto di “ristrutturazione”, non possa prescindere dal conservare traccia dell’immobile preesistente, è fornita dallo stesso art. 10 sopra già citato, integrativo dell’art. 3 comma 1 lett. d) del DPR 380/01, laddove si premette che le novelle introdotte rispondono “al fine di semplificare e accelerare le procedure edilizie e ridurre gli oneri a carico dei cittadini e delle imprese, nonché di assicurare il recupero e la qualificazione del patrimonio edilizio esistente e lo sviluppo di processi di rigenerazione urbana, decarbonizzazione, efficienta mento energetico, messa in sicurezza sismica e contenimento del consumo di suolo”.

Anche la lettura stessa del citato articolo 3 del DPR 380/01 depone in tal senso, laddove, da una parte, definisce come ristrutturazione “gli interventi edilizi volti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso”, dall’altra, distingue rispetto ad essa gli “interventi di nuova costruzione” (art. 3 comma 1 lett. e), che sono strutturalmente connotati dalla assenza di una preesistenza edilizia.

In altri termini, con riguardo alla ristrutturazione non vi è spazio per nessun intervento che lasci scomparire ogni traccia del preesistente.

1.5. Alla luce delle precedenti considerazioni, deve essere esaminato l’intervento oggetto di sequestro.

Che risulta indiscutibilmente consistente nell’abbattimento, in zona agricola, di edifici rurali accessori ad una casa colonica – composta di due unità immobiliari – non ancora demolita, con aumenti di cubatura previsti per l’intervento finale, consistente nella creazione di un complesso residenziale costituito da 10 villini in linea, di cui 2 su due livelli, e un parcheggio a raso costituito da n. 24 stalli con copertura fotovoltaica.

Si tratta di interventi edilizi in corso, funzionali, come appare evidente per quanto immediatamente sopra illustrato, non alla realizzazione di un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente ma pur sempre identificabile con quest’ultimo, quanto, piuttosto, di plurimi e diversi organismi, quali le villette, ancorché in linea; laddove la previsione di una strada e di 24 parcheggi a raso conferma la predisposizione di un nuovo complesso residenziale, come tale distante dal criterio fondante della ristrutturazione, che pur con l’ampiezza operativa concessa ai sensi dell’articolo 3 attualmente vigente, impone, comunque, per rispettare la ratio dell’intervento e la distinzione rispetto ad altre operazioni edilizie, e in particolare rispetto alle “nuove costruzioni”, un connubio materiale o comunque funzionale e identitario, tra l’edificio originario e l’immobile frutto di ristrutturazione.

Correlazione evidentemente assente allorquando, come nel caso di specie, rispetto ad un unico edificio – quale la casa colonica comprensiva di due unità immobiliari – si prospettano plurime e autonome unità immobiliari, quali le 10 ville, nel contesto, peraltro, di una strada e di un parcheggio integranti interventi per i quali pare assente ogni riferimento strutturale originario, idoneo a inquadrare anche tali ultime opere nel novero di una ristrutturazione.

Né, per quanto detto, e anche per quanto di seguito si preciserà circa i rapporti tra DPR 380/01 e leggi regionali, appare pertinente la precisazione, in ordinanza, per cui con legge regionale sarebbe caduto il divieto dì realizzare, previa demolizione e ricostruzione, diverse unità immobiliari, atteso che qui viene in rilievo non la possibilità, consentita, che il nuovo organismo contempli, in sé, altre unità immobiliari, ma la necessità che l’operazione di ripristino non si traduca nella moltiplicazione, da un unico edificio, di più distinte e autonome strutture edilizie.

In altri termini, seppure la recente novella del 2020 abbia contribuito a delineare la possibilità di interventi di ristrutturazione fortemente innovativi rispetto all’organismo preesistente, tanto che alcuni criteri prima utilizzati dalla legge e giurisprudenza, per sancire la corrispondenza tra i due organismi interessarti appaiono via via sfumati o scomparsi (quali, in sintesi, con riferimento in particolare a zone non vincolate, la fedele ricostruzione comprensiva di limitate innovazioni, oppure, poi, la medesima sagoma volumetria o, ancora, l’identità del sedime), permane il requisito, insuperabile, per cui deve pur sempre trattarsi di interventi di recupero del medesimo immobile ancorché trasformato in organismo edilizio in tutto o in parte diverso.

Per cui, in tale quadro va esclusa la moltiplicazione, da un unico edificio, di plurime distinte strutture o, di converso, l’assorbimento di plurimi immobili in un unico complesso edilizio.

1.6. In proposito, è utile osservare come tale impostazione sia seguita dall’art. 2 della L. 22/2009 della regione Marche che, nel consentire la demolizione e ricostruzione, fa chiaro riferimento al parametro, permanente, prima e dopo dell’intervento, dell’organismo edilizio preesistente, mediante le espressioni ” ricostruzione” e “ricomposizione planovolumetrica” oltre che con riferimento – in zone agricole – alla realizzazione di un “nuovo edificio” (piuttosto che di plurimi edifici “generati” da un unico edificio – oltre che annessi “assorbiti” – come nel caso in esame); peraltro, si noti bene, il tutto per delineare i confini reali della fattispecie di ristrutturazione sancita dalla disciplina in esame, pur sempre “secondo il tipo edilizio e le caratteristiche edilizie storiche”.

Non sembra inoltre trascurabile, nel caso in esame, il seguente ulteriore dato: pur stabilendo, l’attuale articolo 3 del DPR 380/01, che la ristrutturazione può prevedere altresì “nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana”, tale previsione fa evidentemente riferimento, nel quadro della già delineata ricostruzione normativa, ad ampliamenti relativi a ciascun singolo edificio da ristrutturare. Solo entro tali limiti, dunque, è ammesso un aumento volumetrico.

Di contro, il rinvio di cui all’art. 2 comma 8 della L. Marche 22/2009 all’art. 1 comma 6 della stessa, appare riferibile a fattispecie diversa, quale l’accorpamento, all’edificio principale, della volumetria di accessori ad esso di pertinenza e diversi, che nella misura in cui si traduca, come pare nel caso di specie, nella demolizione di immobili accessori distinti, con acquisizione all’immobile principale della relativa volumetria, e scomparsa, di fatto, dei predetti locali si traduce in un intervento che, per quanto sopra detto, con riguardo alla necessaria identificabilità del singolo immobile ristrutturato con il nuovo organismo realizzato, esula dalla nozione legislativamente fissata di ristrutturazione.

Cosicché, pur alla luce delle più recenti novelle, l’utilizzazione, a favore dell’unico edificio ricostruito, delle volumetrie espresse da altri edifici anch’essi demoliti è concetto totalmente estraneo – e come tale deve essere interpretato il rinvio disposto dall’art. 2 comma 8 citato all’art. 1 comma 6 pure citato – alla definizione detta ristrutturazione: manca infatti, in tal caso, la “ricostruzione” dell’ edificio demolito (che invece scompare, con mero “acquisto”, in favore dell’immobile principale, della relativa volumetria), ancorché rinnovato e modificato (nei termini di legge consentiti).

Di rilievo, in tal senso, appare il principio affermato da Cons. Stato Sez. VI Sent., 16/12/2008, n. 6214, secondo cui la trasformazione di due manufatti agricoli in villa ad uso residenziale, con accorpamento di volumi e parziale spostamento dell’area di sedime, esula dalla nozione di ristrutturazione, sia come attualmente definita dall’art. 3, comma 1, lettera d) del D.P.R. n. 380/2001, sia in rapporto alla elaborazione giurisprudenziale.

Si tratta di decisione che, seppure formulata in un quadro giuridico più restrittivo rispetto a quello attualmente vigente a seguito della novella del 2020, ribadisce il senso della disciplina della ristrutturazione, nella sua correlazione tra edificio demolito ed edificio ricostruito, laddove evidenzia come “ciò che distingue, infatti, gli interventi di tipo manutentivo e conservativo da quelli di ristrutturazione è, indubbiamente, il carattere innovativo di quest’ultima in ordine all’edificio preesistente; ciò che contraddistingue, però, la ristrutturazione dalla nuova edificazione è la già avvenuta trasformazione del territorio, attraverso una edificazione di cui si conservi la struttura fisica (sia pure con la sovrapposizione di un “insieme sistematico di opere, che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”), ovvero la cui stessa struttura fisica venga del tutto sostituita”.

1.7. Né osta a tale ultimo rilievo, sulla corretta interpretazione del rinvio di cui all’art. 2 comma 8 della L. Marche 22/2009 all’art. 1 comma 6, la previsione dell’art. 2 comma 8 ter L. R. Marche 22/2009, per cui “gli interventi previsti da questo articolo costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia di cui alla lettera d) del comma 1 articolo 3 del Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001 n. 380”, atteso che l’art. 1, comma 1, del DPR n. 380/2001, stabilisce che “il presente testo unico contiene i principi fondamentali e generali e le disposizioni per la disciplina dell’attività edilizia”, e i commi 1 e 3 dell’art. 2, prevedono, rispettivamente, che “le regioni esercitano la potestà legislativa concorrente in materia edilizia nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale desumibili dalle disposizioni contenute nel testo unico” e “le disposizioni, anche di dettaglio, del presente testo unico, attuative dei principi di riordino in esso contenuti, operano direttamente nei riguardi delle regioni a statuto ordinario, fino a quando esse non si adeguano ai principi medesimi”.

Di rilievo è anche il terzo comma dell’art. 117 Cost., secondo cui sono materie di legislazione concorrente, tra le altre, quelle relative al “governo del territorio” e, “nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”.

Consegue che la nozione di ristrutturazione di cui all’art. 3 comma 1 lett. d) del DPR 380/01, costituendo un principio fondamentale della legislazione statale dettato in tema di caratteristiche di interventi latu sensu conservativi e di recupero, non può essere integrata o modificata con legge regionale.

Tanto, del resto, risulta già stabilito da questa Suprema Corte, laddove si è precisato che in materia urbanistica, le disposizioni introdotte da leggi regionali devono rispettare i principi generali stabiliti dalla legislazione nazionale, e conseguentemente devono essere interpretate in modo da non collidere con i detti principi (Sez. F – n. 46500 del 30/08/2018 Rv. 274173 – 01; Sez. 3, n. 30657 del 20/12/2016 Ud. (dep. 20/06/2017) Rv. 270210 – 01).

1.8. Con riguardo, dunque, alla qualificazione giuridica dell’intervento, appare corretto il rilievo del ricorrente nel senso della esclusione di un’operazione di ristrutturazione, a fronte di un nuovo complesso residenziale dal notevole impatto edilizio ed urbanistico. Le cui caratteristiche, peraltro in area a destinazione agricola, non possono prescindere dalla considerazione dei principi più volte ribaditi da questa Suprema Corte, secondo i quali in materia edilizia, è configurabile il reato di lottizzazione abusiva anche nel caso di interventi realizzati, in difetto di uno strumento pianificatorio di dettaglio, in zone già urbanizzate o parzialmente urbanizzate, purché di consistenza e complessità tali da costituire una notevole trasformazione del territorio, inammissibile in mancanza di un piano per la realizzazione degli interventi infrastrutturali, che garantisca il raccordo della nuova edificazione a quella preesistente (Sez. 3 – , n. 36616 del 07/06/2019 Rv. 277614 – 02).

Inoltre, integra il reato di lottizzazione abusiva il frazionamento e la predisposizione di un terreno agricolo alla realizzazione di più edifici aventi natura e destinazione residenziale, in quanto trattasi di attività edificatoria fittiziamente connessa alla coltivazione ed allo sfruttamento produttivo del fondo ed incompatibile con l’originaria vocazione dell’area (Sez. 3, n. 15605 del 31/03/2011 Rv. 250151 – 01) ed ancora, in tema di reati urbanistici, nel caso di costruzione in zona agricola, la destinazione del manufatto alle opere dell’agricoltura ed il possesso dei requisiti soggettivi di imprenditore agricolo in capo a chi lo realizza – tanto al momento della richiesta e del rilascio del permesso di costruire, quanto al tempo della eventuale voltura del titolo abilitativo in favore di terzi – sono elementi rilevanti nella valutazione della rispondenza dell’opera alle prescrizioni dello strumento urbanistico e, di conseguenza, anche per l’eventuale valutazione di conformità ai fini del rilascio della sanatoria (Sez. 3, n. 7681 del 13/01/2017 Rv. 269159 – 01).

1.9. Rispetto a tale ricostruzione, anche di principio, le ulteriori considerazioni critiche in ordine alla interpretazione di atti amministrativi quali le NTA del PRG vigente, citate in ricorso, muovono su un piano fattuale, inammissibile in questa sede, proponendo un’analisi non effettuabile da parte di questa Corte, atteso che in tema di misure cautelari reali, costituisce violazione di legge deducibile mediante ricorso per cassazione soltanto l’inesistenza o la mera apparenza della motivazione, ma non anche l’affermata erronea interpretazione di un atto amministrativo, poiché essendo relativa ad atti privi di carattere normativo rientra, ai sensi dell’art. 325, comma primo, cod. proc. pen. nella valutazione del fatto (Sez. 3 – n. 14977 del 25/02/2022 Rv. 283035 – 01; Sez. 3, n. 37451 del 11/04/2017 (dep. 27/07/2017) Rv. 270543 – 01).

2. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che l’ordinanza impugnata debba essere annullata con rinvio al Tribunale di Ancona per nuovo esame in relazione alla ipotesi accusatoria formulata, alla luce delle considerazioni sopra riportate.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Ancona competente ai sensi dell’art. 324, co. 5, c.p.p.

Così deciso il 06/10/2022.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.