REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DOVERE Salvatore – Presidente –
Dott. CAPPELLO Gabriella – Consigliere –
Dott. CENCI Daniele – Consigliere –
Dott. MARI Attilio – Consigliere –
Dott. RICCI Anna Luisa Angela – Relatore –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS) nata a VENEZIA il xx/xx/19xx;
avverso la sentenza del 08/05/2023 del GIUDICE DI PACE di VELLETRI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa ANNA LUISA ANGELA RICCI;
udito il PG in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa GIUSEPPINA CASELLA che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore avvocato (OMISSIS) (OMISSIS) del foro di ROMA in difesa di (OMISSIS) (OMISSIS), che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Giudice di Pace di Velletri, con sentenza dell’8 marzo 2023, ha condannato (omissis) (omissis) in ordine al reato di cui all’art. 590 cod. pen. commesso in danno di (omissis) (omissis) (commesso in Pomezia I’1 ottobre 2019) alla pena di euro 500 di multa.
(omissis) è stata ritenuta responsabile per avere, nella qualità di proprietaria del cane di grossa taglia razza Akita, cagionato alla persona offesa lesioni personali consistite in una ferita all’avambraccio giudicata guaribile in giorni 15.
L’addebito di colpa è stato individuato nell’avere l’imputata omesso di adottare, ai sensi dell’art. 672 cod. pen., le debite cautele nella custodia del cane, che con guinzaglio lungo circa un metro e mezzo e senza museruola (tenuta al braccio della imputata), si era avventato contro la persona offesa e l’aveva morsicata.
2. Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso l’imputata, a mezzo di difensore, formulando due motivi.
2.1 Con il primo motivo, ha dedotto la violazione di legge ed in specie degli artt. 41 cpv, 590 e 672 cod. pen.
Il difensore, dopo aver ricordato che la responsabilità del proprietario di un animale per le lesioni arrecate a terzi dall’animale medesimo può essere affermata ove sia accertata la colpa in forza dei parametri stabiliti in tema di obblighi di custodia dall’art. 672 cod. pen., osserva che nessuna colpa era nel caso in esame addebitabile all’imputata e che le lesioni dovevano piuttosto essere casualmente ricondotte al comportamento imprudente e negligente della persona offesa nell’accostarsi ad un cane di grossa taglia.
Il comportamento della vittima aveva determinato l’interruzione del nesso di causa fra la condotta del titolare della posizione di garanzia e l’evento, in quanto era stata causa sopravvenuta che aveva innescato un rischio nuovo e incommensurabile, rispetto a quello originario attivato dalla prima condotta.
Le condotte punibili da parte del proprietario del cane, infatti, ai sensi dell’art. 672 cod. pen. si sostanziano:
1) nel lasciare libero l’animale ritenuto pericoloso;
2) nel custodire l’animale senza le dovuto cautele;
3) nell’affidare l’animale ad una persona inesperta.
Nel caso in esame all’imputata non poteva essere addebitata alcuna delle predette condotte.
2.2. Con il secondo motivo, ha dedotto la violazione di legge ed in specie dell’art. 533 cod. pen., in forza del quale può essere pronunciata sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio.
Il giudice -afferma il difensore- deve valutare i decorsi causali alternativi, rispetto a quelli prospettati dall’accusa, sicché l’affermazione di colpevolezza che non sia sorretta sulla invalidazione delle ipotesi alternative deve ritenersi scorretta dal punto di vista giuridico e logico.
Nel caso di specie nella motivazione della sentenza sono stati definiti apoditticamente “irrilevanti” i dati prospettati dalla difesa tesi a dimostrare la sussistenza di una condotta della vittima di per sé idonea a cagionare l’evento.
3. Il Procuratore generale, nella persona del sostituto, Dott.ssa Giuseppina Casella, ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
2. Il primo motivo, con cui si lamenta la insussistenza della responsabilità colposa, sotto il profilo della violazione della regola cautelare e della interruzione del nesso di causa, è manifestamente infondato.
La difesa non contesta l’aggressione della persona offesa ad opera del cane, quanto piuttosto la sussistenza del nesso causale fra la condotta della proprietaria e l’evento, prospettando che lo stesso fosse avvenuto non già per violazione di regole cautelari da parte dell’imputata, quanto per il comportamento imprudente della vittima che si era avvicinata al cane di grossa taglia e ne avrebbe determinato, anche in ragione di una pregressa infiammazione all’orecchio ignota all’imputata, la reazione.
La doglianza non si confronta con il percorso argomentavo del giudice di merito, il quale aveva argomentato che il proprietario del cane o chi ne fa le veci non si esonera da responsabilità con l’uso del semplice guinzaglio, perché non si può escludere che l’animale possa ugualmente aggredire o mordere se non assicurato correttamente al fianco del padrone.
Nel caso di specie la dinamica ed in particolare il fatto che il cane fosse saltato per ben due volte sulla persona offesa, nonostante l’imputata avesse cercato di tirarlo a sé con il guinzaglio, valeva a dimostrare che ella non era stata in grado di gestirlo e custodirlo in modo che non arrecasse danno a terzi.
Proprio in ragione della sua incapacità di trattenere il cane a sé e della consapevolezza che il cane presentava una escoriazione nell’orecchio (come emerso dalla testimonianza del veterinario), sarebbe stato suo onere assicurare l’animale, per natura portato anche a reazioni istintuali improvvise, con un guinzaglio più corto, affinché non potesse sfuggirle, ovvero fargli calzare la museruola.
La sentenza impugnata, dunque, nel fondare la pronuncia di condanna, sulla mancata adozione da parte della proprietaria delle doverose cautele, è conforme ai principi di diritto afferenti alla responsabilità colposa collegata al danno cagionato da animale in custodia.
Per la esatta individuazione di tal obblighi, non può che rimandarsi ai principi elaborati da questa Corte, secondo cui “la responsabilità del proprietario di un animale per le lesioni causate a terzi dall’animale stesso (nella specie, un cane) può essere affermata ove si accerti in positivo la colpa in forza dei parametri, stabiliti in tema di obblighi di custodia, dall’art. 672 cod. pen., nonostante l’intervenuta abrogazione di detto articolo” (Sez. 4 n. 43420 del 17/07/2009, Badei, Rv. 245468) e secondo cui “la posizione di garanzia assunta dal detentore di un cane, discendente anche dalle ordinanze del Ministero della Salute del 3 marzo 2009 e del 6 agosto 2013, impone l’obbligo di controllare e custodire l’animale adottando ogni cautela per evitare e prevenire le possibili aggressioni a terzi (Sez. 4 n. 31874 del 27/06/2019, Giambelluca, Rv. 276705).
Invero la pericolosità degli animali -ha precisato questa Corte di legittimità- non può essere ritenuta solo in relazione agli animali feroci, ma può sussistere anche per gli animali domestici, quali il cane, che, in date circostanze, possono divenire pericolosi.
Ne consegue che al proprietario del cane fa capo una posizione di garanzia per la quale egli è tenuto ad adottare tutte le cautele necessarie a prevenire le prevedibili reazioni dell’animale, considerando la razza di appartenenza ed ogni altro elemento rilevante ( Sez. 4 n. 6393 del 10/01/2012, Manuelli Rv 251951).
La condotta della persona offesa, consistita nell’avvicinarsi al cane, non poteva valere ad interrompere il nesso di causa fra la condotta colposa dell’imputata e l’evento, posto che la regola cautelare violata era volta a prevenire i rischi collegati anche a comportamenti quali quello tenuto dalla (omissis).
Anche sotto tale profilo la decisione del Tribunale non è censurabile in quanto rispettosa del principio per cui, nei reati omissivi impropri, l’effetto interruttivo del nesso causale può essere ravvisato solo a fronte di circostanza che introduca un rischio nuovo o comunque radicalmente esorbitante rispetto a quelli che il garante è chiamato a governare (Sez. 4 n. 22691 del 25/02/2020, Romagnolo, Rv279513; Sez.4 n. 20270 del 06/03/2019, Palnnieri, Rv276238).
3. Il secondo motivo, con cui si lamenta l’affermazione della responsabilità, pur a fronte di ragionevoli dubbi rispetto alla ricostruzione dell’accusa, è inammissibile per difetto di specificità e comunque manifestamente infondato.
La censura contiene mere petizioni di principio in ordine alla necessità che il giudice assuma l’onere di verificare la praticabilità di ipotesi alternative, senza, tuttavia, operare alcun richiamo alla specificità del caso concreto.
In ogni caso la doglianza è manifestamente infondata, posto che il giudice ha preso in considerazione anche i dati di fatto prospettati dalla difesa e in maniera argomentata ha ritenuto tali dati irrilevanti, alla luce delle ragioni di diritto su cui già ci si è soffermati nel trattare il primo motivo.
4. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere di versare la somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Deciso in Roma il 21 novembre 2023.
Depositato in Cancelleria il giorno 28 dicembre 2023.