REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SPIRITO Angelo – Presidente
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere
Dott. ROSSETTI Marco – Rel. Consigliere
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente
O R D I N A N Z A
sul ricorso n. 37007/19 proposto da:
-) (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS) domiciliati presso l’indirizzo PEC del proprio difensore, difesi dall’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS) in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
-) (OMISSIS) (OMISSIS) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliato presso l’indirizzo PEC del proprio difensore, difeso dall’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS) in virtù di procura speciale apposta in calce al controricorso;
– controricorrente –
nonché
-) (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS) s.p.a.;
– intimati –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro 3 luglio 2019 n. 1448;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 31 gennaio 2023 dal Consigliere relatore dott. Marco Rossetti;
FATTI DI CAUSA
1. Nel 2001 (OMISSIS) (OMISSIS) dichiarando di agire sia in proprio che quale rappresentante ex art. 320 c.c. del figlio minore (OMISSIS) (OMISSIS), convenne dinanzi al Tribunale di Castrovillari (OMISSIS) (OMISSIS) le società Italiana (OMISSIS) (OMISSIS) s.p.a. e (OMISSIS) (OMISSIS) s.p.a., esponendo che:
-) il proprio figlio (OMISSIS) (OMISSIS) il 16 aprile 2000 era rimasto coinvolto in un sinistro stradale, allorché era trasportato sul motociclo condotto da (OMISSIS) (OMISSIS) ed assicurato dalla (OMISSIS) (OMISSIS) s.p.a. (che in seguito muterà ragione sociale in (OMISSIS) s.p.a.);
-) il suddetto motociclo venne urtato e fatto cadere dal veicolo Ford Fiesta condotto da (OMISSIS) (OMISSIS) di proprietà di (OMISSIS) (OMISSIS) ed assicurato contro i rischi della r.c.a. dalla (OMISSIS) (OMISSIS) s.p.a. (che in seguito per effetto di incorporazione muterà ragione sociale in (OMISSIS) s.p.a.; e come tale sarà d’ora innanzi indicata);
-) in conseguenza del sinistro il minore (OMISSIS) (OMISSIS) aveva sofferto gravissimi danni alla persona.
Chiese pertanto la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni rispettivamente patiti da lei e dal figlio in conseguenza del suddetto sinistro.
2. Si costituirono soltanto le due società assicuratrici, ciascuna addossando all’assicurato dell’altra la responsabilità dell’accaduto, e comunque invocando il concorso di colpa della vittima per omesso uso del casco.
3. Con sentenza 7.2013 n. 629 il Tribunale di Castrovillari attribuì a ciascuno dei conducenti un pari concorso di colpa in via presuntiva ex art. 2054, secondo comma, c.c., e ritenne che di conseguenza anche il risarcimento dovuto agli attori dovesse essere ridotto del 50%.
La sentenza fu appellata dai due danneggiati in via principale e dalle due società assicuratrici in via incidentale.
4. Con sentenza 7.2019 n. 1448 la Corte d’appello di Catanzaro:
-) condannò tutti i corresponsabili in solido al risarcimento integrale del danno in favore dei due appellanti principali, così eliminando la riduzione del 50% disposta dal Tribunale;
-) incrementò il risarcimento del danno biologico patito da (OMISSIS) (OMISSIS)
-) escluse che quest’ultimo avesse allegato o provato la sussistenza di peculiarità tali da giustificare un incremento del valore tabellare standard del danno biologico;
-) escluse la sussistenza di un danno patrimoniale da lucro cessante, osservando che (OMISSIS) (OMISSIS) avrebbe presumibilmente svolto da adulto una professione intellettuale, la quale non sarebbe stata impedita né limitata dai postumi dell’infortunio;
-) escluse che (OMISSIS) (OMISSIS) avesse subito un danno patrimoniale ulteriore rispetto a quello liquidato dal Tribunale;
-) ritenne fondato l’appello di (OMISSIS) (OMISSIS) nella parte in cui lamentava l’omessa liquidazione del danno biologico; stimò tale danno nella misura di euro 69.385,83, ivi compresi gli interessi compensativi, ed accertato che (OMISSIS) (OMISSIS) aveva ricevuto complessivamente dai due assicuratori una somma superiore, la condannò a restituire a ciascuna delle due compagnie assicuratrici la somma di euro 29.184,11.
5. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dai due danneggiati con ricorso fondato su sei motivi, tutti concernenti il quantum debeatur (i primi tre motivi riguardano la posizione di (OMISSIS) (OMISSIS) gli ultimi tre la posizione di (OMISSIS) (OMISSIS)).
Ha resistito con controricorso illustrato da memoria la sola (OMISSIS) (OMISSIS) s.p.a..
6. Il ricorso, fissato per la discussione nell’adunanza camerale del 10.6.2022, con ordinanza interlocutoria del 6.9.2022 è stato rinviato a nuovo ruolo, al fine di consentire ai ricorrenti la rinnovazione ex art. 331 c.p.c. della notifica alla società (OMISSIS) (OMISSIS).
Assolto l’incombente, la causa è stata fissata e decisa nell’odierna adunanza camerale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo è riferibile alla posizione del solo (OMISSIS) (OMISSIS)
Con esso il ricorrente lamenta, ai sensi dell’articolo 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli articoli 2059, 2727, 2729 c.c., nonché dell’articolo 115 c.p.c.
Al di là di tali riferimenti normativi, il motivo ascrive alla sentenza d’appello di non aver proceduto alla necessaria “personalizzazione del risarcimento del danno non patrimoniale in ragione della compromissione della sfera esistenzial-dinamico-relazionale” della vittima.
Nella illustrazione del motivo si sostiene che erroneamente il Tribunale ha ritenuto non dimostrata l’esistenza di circostanze tali, da giustificare un innalzamento della misura standard del risarcimento del danno non patrimoniale patito da (OMISSIS) (OMISSIS).
Il ricorrente deduce al riguardo:
-) che il consulente tecnico nominato d’ufficio aveva dichiarato nella sua relazione che “l’evento dannoso ha prodotto certamente un peggioramento delle condizioni di vita [della vittima], come attitudine allo svolgimento delle attività esistenziali“;
-) che in conseguenza dell’infortunio la vittima, (OMISSIS) all’epoca del fatto, aveva patito “difficoltà ad intrattenere relazioni sociali“; aveva perduto due anni scolastici; non aveva potuto svolgere attività sportiva;
-) che in conseguenza delle suddette circostanze la Corte d’appello “avrebbe dovuto presumere ex articolo 2727 c.c. la sussistenza di una evidente compromissione della sfera esistenzial-dinamico-relazionale della vittima, incrementando percentualmente l’entità del risarcimento a quest’ultimo accordato“.
1.1. Il motivo è inammissibile per più ragioni.
1.2. Innanzitutto il motivo è inammissibile perché non investe l’autonoma ratio decidendi con cui la Corte d’appello ha ritenuto che la d. personalizzazione del risarcimento non potesse essere accordata in quanto il danneggiato “non aveva allegato specifiche circostanze di fatto” idonee a giustificare un incremento del risarcimento standard (così la sentenza d’appello, pagina 15, quarto capoverso).
La Corte d’appello, dunque, ha ritenuto non assolto da (OMISSIS) (OMISSIS) l’onere assertivo, prima ancora dell’onere probatorio: e cioè l’onere di indicare chiaramente nell’atto di citazione quali fossero le “specificità del caso concreto”, tali da giustificare un risarcimento più elevato di quello base.
Tale valutazione, giusta o sbagliata che fosse, doveva essere impugnata per essere rimossa; il ricorso tuttavia né ha investito tale statuizione, né ha indicato in quali termini, nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, fu dedotta l’esistenza di fatti idonei a giustificare un innalzamento del risarcimento del danno alla salute rispetto alla misura standard suggerita dalla tabella.
1.3. In secondo luogo il motivo è inammissibile perché trascura di impugnare l’ulteriore, autonoma ratio decidendi con cui la Corte d’appello ha ritenuto che nella personalizzazione del risarcimento del danno biologico non si potesse tener conto di eventuali pregiudizi alla vita di relazione od alle ripercussioni sulla “sfera sessuale e sulla sistemazione matrimoniale e sociale“, perché questioni sollevate per la prima volta in appello.
La domanda di c.d. “personalizzazione” del risarcimento venne dunque rigettata (anche) perché reputata nuova ex art. 345 c.p.c., ed anche tale valutazione – giusta o sbagliata che fosse – non è stata impugnata nella presente sede.
1.4. Reputa comunque doveroso la Corte rilevare ad abundantiam, a fronte delle deduzioni svolte dal ricorrente alle pp. 26-29 del ricorso, che il primo motivo sarebbe stato comunque manifestamente infondato nel merito, se del merito si fosse potuto discorrere.
Il ricorrente, infatti, in buona sostanza intende sostenere un principio così riassumibile: “poiché le lesioni patite dalla vittima furono gravi, gravi furono del pari le conseguenze di esse sulla vita di tutti i giorni; ergo, il giudice di merito aveva l’obbligo di aumentare la misura standard del risarcimento”.
Si tratta tuttavia d’una tesi giuridicamente non corretta.
La c.d. personalizzazione del risarcimento del danno alla salute può spettare quando la vittima deduca e dimostri che l’infortunio le ha causato conseguenze diverse e più gravi rispetto a quelle che qualunque altra persona, della stessa età e con gli stessi postumi, avrebbe sofferto.
Ma nel caso di specie il ricorrente non spiega perché ed in che misura solo la sua disartria, e solo le sue difficoltà motorie sarebbero diverse e più gravi da quelle che avrebbero attinto qualunque altra persona dello stesso sesso e della stessa età, che avesse patito identico infortunio.
La gravità dei postumi conseguiti ad una lesione della salute, infatti, si riflette sul grado percentuale di invalidità permanente, ed il grado percentuale di invalidità permanente – quando il danno è liquidato col sistema c.d. “a punto” – si riflette a sua volta sulla monetizzazione del risarcimento.
Dunque la gravità dei postumi è già di per sé un fattore che incrementa il quantum debeatur, sicché costituirebbe una duplicazione risarcitoria pretendere un risarcimento ulteriore “perché i postumi sono gravi”.
Pertanto le conseguenze d’una menomazione dell’integrità psicofisica che sono generali ed inevitabili per tutti coloro che abbiano patito il medesimo tipo di lesione, guarita col medesimo tipo di postumi, non giustificano l’aumento del risarcimento di base previsto per il danno non patrimoniale, come ripetutamente affermato da questa Corte (Sez. 3, Sentenza n. 15924 del 18.5.2022; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 9612 del 24.3.2022; Sez. L, Ordinanza n. 35015 del 17.11.2021; Sez. L, Ordinanza n. 31583 del 4.11.2021; Sez. 3, Sentenza n. 26118 del 27.9.2021).
Soltanto in presenza di circostanze specifiche ed eccezionali allegate dal danneggiato, che rendano il danno più grave rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età, è consentito al giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 10912 del 07/05/2018, Rv. 649024 – 01).
2. Col secondo motivo (che concerne la posizione del solo (OMISSIS) (OMISSIS)) il ricorrente lamenta, ai sensi dell’articolo 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli articoli 1223, 2043 e 2056 c.c., nonché dell’articolo 41 della Costituzione.
Al di là di tali riferimenti normativi, con questo motivo il ricorrente censura la sentenza d’appello nella parte in cui ha rigettato la domanda di risarcimento del danno patrimoniale da perdita della capacità di guadagno.
L’illustrazione del motivo è così riassumibile:
-) la Corte d’appello ha escluso l’esistenza di un danno patrimoniale da incapacità lavorativa sul presupposto che il danneggiato, di estrazione sociale elevata, da adulto avrebbe esercitato una professione intellettuale, professione non impedita dai postumi del sinistro, giacché questi ultimi avevano lasciate intatte le sue funzioni intellettive;
-) questa valutazione fu erronea, perché l’infortunio aveva lasciato postumi permanenti consistenti in disartria e limitazioni funzionali agli arti, e tali postumi non potevano non nuocere anche all’esercizio di professioni intellettuali.
2.1. Il motivo è inammissibile.
La Corte d’appello, dopo aver elencato una serie di corretti princìpi giuridici (pagine 16-17), a pagina 18 conclude affermando di “ritenere presuntivamente” che i futuri redditi della vittima non sarebbero stati inferiori a quelli che avrebbe percepito se fosse rimasta sana.
Fonda questa presunzione su tre argomenti:
-) la vittima frequenta l’università “con profitto”;
-) la vittima ha conservato “piene ed integre” le funzioni cognitive;
-) la vittima proviene da una famiglia composta da persone laureate.
La Corte d’appello, pertanto, né si è sottratta al dovere di valutare le specificità del caso concreto ed i fatti dedotti dalle parti; né si è sottratta al dovere di motivare (non ha, dunque, commesso alcuno degli errori che, soli, potrebbero comportare la cassazione con rinvio di decisioni reiettive della domanda di risarcimento del danno da incapacità lavorativa patito da minori).
La Corte d’appello ha, al contrario, ritenuto dimostrato “in via presuntiva” (e dunque ex art. 2727 c.c.) che i redditi del danneggiato non si ridurranno in futuro e in conseguenza dell’infortunio.
Si tratta di una valutazione di merito, come tale insindacabile in sede di legittimità, e rispetto alla quale, per di più, il ricorrente si limita a contrapporre frontalmente le proprie deduzioni in facto a quelle compiute dalla Corte d’appello, prospettando così una censura che non rientra in alcuna delle critiche che è consentito sottoporre a questa Corte, in base alle previsioni di cui all’art. 360 c.p.c..
3. Anche il terzo motivo di ricorso concerne la posizione del solo (OMISSIS) (OMISSIS).
Con esso il ricorrente prospetta, ai sensi dell’articolo 360, n. 3, c.p.c., la violazione di sei diverse norme del codice civile, ed investe la sentenza d’appello nella parte in cui ha rigettato la domanda di risarcimento del danno emergente rappresentato dalle spese “sanitarie e riabilitative future”.
Il motivo, se pur unitario, contiene in realtà due censure.
3.1. Con una prima censura il ricorrente sostiene che sulla domanda di risarcimento del danno rappresentato dalla necessità di sostenere spese mediche future la Corte d’appello non ha adottato “pronuncia alcuna” (p. 31 del ricorso, primo capoverso, ultimo rigo).
3.2. Con una seconda censura il ricorrente sostiene che:
-) le gravissime lesioni da lui subite erano “dirette ad aggravarsi col passare degli anni”, e ciò avrebbe dovuto indurre il giudice a ritenere dimostrata in via presuntiva l’esistenza del danno “per visite, cure, assistenza, viaggi e permanenza per raggiungere ed intrattenersi in centri specialistici e di riabilitazione“;
-) in ogni caso due deposizioni testimoniali, quelle di (OMISSIS) (OMISSIS) avevano fornito la prova che la vittima “aveva bisogno di terapie di vario tipo e assistenza continua“.
3.3. La prima delle suesposte censure è infondata.
La Corte d’appello ha rigettato la domanda di risarcimento del danno per spese mediche future affermando che la necessità di tali spese future non era provata, “considerato altresì che gli esiti sono stabilizzati” (pagina 18 della sentenza impugnata, penultimo capoverso).
E naturalmente lo stabilire se la vittima di un infortunio abbia o non abbia necessità, in futuro, di sostenere spese di cura è un tipico apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito ed insindacabile in questa sede.
3.4. La seconda delle suesposte censure è inammissibile non solo perché investe la valutazione delle prove ma, prima ancora, perché non chiarisce quali sarebbero le “spese future” di cui nei gradi di merito si è chiesto il risarcimento, e che non sarebbero state considerate dalla Corte d’appello.
A causa di tale mancanza il ricorso è aspecifico, e non soddisfa l’onere previsto a pena di inammissibilità dall’art. 366, n. 3, c.p.c..
4. Il quarto motivo di ricorso concerne la posizione della sola (OMISSIS) (OMISSIS).
Il motivo investe la sentenza d’appello nella parte in cui ha determinato la misura del risarcimento del danno non patrimoniale sofferto dalla madre della vittima primaria.
Deduce la ricorrente che tale liquidazione sarebbe erronea perché la Corte d’appello:
-) non ha tenuto conto del danno morale causato dalla compromissione della salute psichica, a sua volta provocata dall’infortunio sofferto dal figlio;
-) ha omesso di pronunciarsi sulla domanda di risarcimento del danno non patrimoniale (che la ricorrente definisce “esistenziale”) rappresentato dal forzoso mutamento delle abitudini di vita conseguito all’infortunio del figlio.
4.1 La prima delle suesposte censure è inammissibile.
La Corte d’appello, dopo aver liquidato il danno biologico di natura psichica patito da (OMISSIS) (OMISSIS) in conseguenza dell’infortunio del figlio, e dopo avere chiarito che nella liquidazione tenne conto anche della sofferenza morale, ha aggiunto che “non sono state allegate dall’attrice, né sono emerse all’esito dell’istruttoria, specifiche circostanze di fatto (…) che valgano a superare le conseguenze ordinarie già previste e compensate dalla liquidazione forfettizzata assicurata dalle previsioni tabellari“.
La ricorrente, incurante di tale motivazione, si profonde in discussioni totalmente astratte sulla risarcibilità della lesione dei diritti della persona costituzionalmente garantiti, senza tuttavia precisare mai:
-) quale sarebbe il concreto pregiudizio non tenuto in considerazione dalla Corte d’appello;
-) quando sarebbe stato dedotto in giudizio e come sarebbe stato provato.
Ad abundantiam, rileva il Collegio che la Corte d’appello non ha affatto trascurato di tenere conto, nella liquidazione del danno biologico sofferto da (OMISSIS) (OMISSIS) delle sofferenze c.d. “morali”.
La Corte d’appello infatti ha liquidato il danno biologico patito da (omissis) (omiss applicando le tabelle c.d. milanesi, ed ha dato conto (p. 15 della sentenza) del fatto che il valore monetario del punto d’invalidità previsto dalle suddette tabelle ingloba “in via di presunzione”, per ogni singola percentuale di invalidità permanente, un quid pluris per tenere conto della sofferenza morale soggettiva.
Quindi, nel liquidare il danno patito da (omissis) (omissis) ha precisato di aver tenuto conto “della sofferenza interiore” (pagina 20, terzo capoverso).
La Corte d’appello, dunque, del danno morale ha tenuto conto: se poi ne abbia tenuto conto in misura sotto- o sovrastimata, non è una questione sindacabile in sede di legittimità.
4.2. La seconda delle suesposte censure è parimenti inammissibile.
La ricorrente sostiene che la Corte d’appello avrebbe omesso di pronunciarsi su una domanda: quella di condanna dei responsabili al risarcimento del danno non patrimoniale da lei patito a causa dell’infortunio del figlio, e consistito nei forzosi mutamenti delle abitudini quotidiane imposti dalla necessità di accudire la persona infortunata.
Chi prospetta in sede di legittimità il vizio di omessa pronuncia propone un motivo di ricorso che, per usare le parole della legge, “si fonda” su un atto processuale: la domanda del cui mancato esame il ricorrente si duole.
Quando il ricorso si fonda su atti processuali, il ricorrente ha l’onere di “indicarli in modo specifico” nel ricorso, a pena di inammissibilità (art. 366, comma primo, n. 6, c.p.c.).
“Indicarli in modo specifico” vuol dire, secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte:
(a) trascriverne il contenuto, oppure riassumerlo in modo esaustivo;
(b) indicare in quale fase processuale siano stati prodotti;
(c) indicare a quale fascicolo siano allegati, e con quale indicizzazione (in tal senso, ex multis, 6 – 3, Sentenza n. 19048 del 28/09/2016; Sez. 5, Sentenza n. 14784 del 15/07/2015; Sez. U, Sentenza n. 16887 del 05/07/2013; Sez. L, Sentenza n. 2966 del 07/02/2011).
Di questi tre oneri, la ricorrente non solo non ne ha assolto alcuno, ma anzi dal contenuto del ricorso parrebbe doversi desumere che la domanda del cui omesso esame la ricorrente si duole non sia mai stata introdotta nel presente giudizio.
4.3. Il ricorso infatti riferisce (pp. 2-5) che (OMISSIS) (OMISSIS) nel primo grado di giudizio domandò il risarcimento:
-) del danno biologico di natura psichica;
-) del danno patrimoniale causato dalla forzosa assenza dal lavoro;
-) del danno patrimoniale per spese mediche;
-) del “danno morale” non altrimenti definito (così a p. 5 del ricorso; tuttavia a p. 3 la ricorrente dichiara di avere allegato nel primo grado di giudizio che l’infortunio del figlio le aveva causato una alterazione “della salute e dell’equilibrio psicologico”, la quale aveva lasciato postumi permanenti nella misura del 30%: è dunque evidente che in primo grado il pregiudizio che si assume non esaminato dalla Corte d’appello non sia stato nemmeno richiesto).
Nell’illustrazione del motivo, poi, la ricorrente si limita a svolgere deduzioni astratte sul fatto che nella liquidazione del danno occorre tener conto di tutte le conseguenze che ne sono derivate (pp. 34-35), senza tuttavia mai chiarire né quali concreti pregiudizi non patrimoniali, diversi dal danno biologico (e da quello morale causato dalla malattia psichica) avesse dedotto in giudizio; né quando ed in che termini avesse formulato (in primo grado) la relativa domanda.
Tale ambiguità del ricorso ne comporta l’inammissibilità per violazione dell’onere di chiarezza e completezza, imposto dall’art. 366, nn. 3 e 6, c.p.c..
5. Col quinto motivo la ricorrente prospetta la nullità della sentenza d’appello per violazione del divieto di “reformatio in pejus” (rectius, in sede civile, “ultrapetizione”).
Deduce che la sentenza di primo grado le aveva accordato a titolo di risarcimento del danno morale c.d. riflesso, la somma di euro 71.658; che la Corte d’appello ha accolto il motivo d’appello inteso a censurare l’omessa liquidazione del danno biologico; che ha liquidato per tale titolo la somma di euro 51.935, “cancellando” però il capo di condanna dei responsabili al risarcimento del danno morale, senza che la relativa statuizione fosse stata impugnata da alcuno.
5.1. Il motivo è fondato.
In primo grado il Tribunale ritenne di accordare a (omissis) (omissis) a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, la somma di euro 71.658 “da assoggettare a rivalutazione dal dì del sinistro”, a titolo di ristoro del “danno morale”, inteso quale “patema d’animo” (così la sentenza di primo grado, p. 4).
Il Tribunale, dunque, accordò all’odierna ricorrente il risarcimento del danno consistito nella sofferenza interiore, non quello del danno biologico consistito nella malattia psichica, sul quale tacque del tutto.
5.2. (OMISSIS) (OMISSIS) impugnò tale statuizione, deducendo – per quanto in questa sede ancora rileva – che il Tribunale non le aveva liquidato il pur richiesto risarcimento del danno alla salute psichica.
La Corte d’appello ritenne fondato su questo punto l’appello proposto da (OMISSIS) (OMISSIS). Di conseguenza ha liquidato all’odierna ricorrente il risarcimento del danno biologico, dichiarando – con statuizione, come s’è visto, non validamente censurata – che la relativa liquidazione era stata compiuta tenendo conto anche delle sofferenze morali causate dalla malattia psichica, ed ha determinato il credito risarcitorio complessivo per danno non patrimoniale in euro 51.935.
Stabilito ciò, la Corte d’appello ha concluso affermando che “in parziale riforma della sentenza di primo grado il danno liquidabile in favore di (…) (OMISSIS) (OMISSIS) è pari a complessivi euro 54.293 (€ 51.935 per danno non patrimoniale + € 2.358 per spese mediche documentate.)”.
Ha quindi detratto da tale importo gli acconti pagati dalle due società assicuratrici in pendenza del giudizio, ed ha condannato (omissis) a restituire l’eccedenza.
5.3. Così giudicando, la Corte d’appello è effettivamente incorsa nel vizio di ultrapetizione.
La Corte d’appello in sostanza, accertata l’esistenza del danno “A” (il danno biologico, chiesto dall’appellante e non considerato dal Tribunale) lo ha liquidato e sostituito alla liquidazione del differente danno “B” (il danno morale c.d. riflesso), accordato invece dal giudice di primo grado, nonostante la diversità dei due pregiudizi (biologico il primo, morale il secondo), e senza che vi fosse una impugnazione della liquidazione compiuta dal primo giudice.
In tal guisa la Corte territoriale ha finito per riformare un capo della sentenza di primo grado (quello contenente l’accoglimento della domanda di risarcimento del danno morale riflesso) in assenza di impugnazione: il che non le era consentito dall’art. 112 c.p.c..
Né rileva che (OMISSIS) (OMISSIS) in primo grado non avesse compiutamente formulato una domanda di risarcimento del danno morale riflesso. Infatti, avendo comunque il tribunale accordato il risarcimento di tale pregiudizio, in virtù del principio di conversione delle nullità in motivi di gravame sarebbe stato onere dei debitori impugnare la decisione di primo grado per ultrapetizione. In mancanza di tale impugnazione, non era consentito alla Corte d’appello porre in non cale (per di più senza motivazione) la condanna pronunciata dal primo giudice al risarcimento del danno morale riflesso.
5.4. La rilevata erroneità della sentenza impugnata non ne impone la cassazione con rinvio.
Infatti, una volta passata in giudicato – per effetto del rigetto dei motivi che precedono – la liquidazione del danno biologico patito da (OMISSIS) (OMISSIS) il giudice del rinvio non potrebbe far altro che ripristinare il capo della sentenza di primo grado contenente la condanna dei responsabili al risarcimento del danno morale riflesso, e ricalcolare il danno da mora.
A tali incombenti può provvedere questa Corte, non comportando essi ulteriori accertamenti di fatto.
5.5. In primo luogo, pertanto, vanno condannati (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS) a (OMISSIS) (OMISSIS) e la (OMISSIS) (OMISSIS) in solido, al pagamento in favore di (OMISSIS) (OMISSIS) dell’importo liquidato in conto capitale dal Tribunale di Castrovillari a titolo di risarcimento del danno morale riflesso (euro 71.658).
5.6. Quanto alle statuizioni concernenti la mora, la relativa decisione impone di provvedere preliminarmente sull’appello incidentale a suo tempo proposto dalla (OMISSIS) (OMISSIS) volto a contestare la doppia rivalutazione del credito risarcitorio, e che la Corte d’appello dichiarò assorbito in conseguenza dell’accoglimento dell’appello principale.
Infatti l’art. 384 c.p.c. stabilisce che la Corte, quando non siano necessari accertamenti di fatto, possa decidere nel merito “la causa”, e non solo “la questione” ad essa sottoposta.
Se quindi la decisione nel merito ex art. 384 c.p.c. riguardi una questione che in appello aveva formato oggetto di contrapposte impugnazioni, una delle quali non fu esaminata dal giudice d’appello perché ritenuta assorbita, tutte e due le impugnazioni (quella erroneamente decisa e quella ritenuta assorbita) possono essere decise nel merito in sede di legittimità ai sensi della norma indicata, se nessuna di esse richieda accertamenti di fatto.
5.7. Ciò posto, rileva la Corte che il Tribunale determinò la misura del danno non patrimoniale spettante a (OMISSIS) (OMISSIS) in una frazione del risarcimento accordato al figlio, (OMISSIS) (OMISSIS) e vi aggiunse “la rivalutazione dal dì del sinistro” (cfr. la sentenza di primo grado, p. 4).
Il risarcimento accordato a (OMISSIS) (OMISSIS) fu liquidato nel 2013 in base alle tabelle diffuse dal Tribunale di Milano nello stesso anno, e dunque fu liquidato in moneta attuale.
Pertanto il Tribunale, accordando a (OMISSIS) (OMISSIS) la “rivalutazione dal dì del sinistro” d’una somma già liquidata in moneta attuale, ha effettivamente violato l’art. 1223 c.c., così come interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la nota sentenza 17.2.1995 n. 1712.
5.8. Il credito risarcitorio di (OMISSIS) (OMISSIS) per il danno morale riflesso va dunque fissato in euro 71.658 in moneta del 2013.
Trattandosi di credito di valore, esso va rivalutato ad oggi in base all’indice del costo della vita per le famiglie di operai ed impiegati calcolato dall’Istat e relativo alla data di deposito della sentenza di primo grado (23 luglio 2013), pari a 1,182.
Il credito di (OMISSIS) (OMISSIS) per danno morale riflesso ammonta dunque ad euro 84.699,76 attuali.
Sommando a tale importo la somma liquidata dalla Corte d’appello a titolo di danno biologico, morale e spese mediche, rivalutata ad oggi in base al coefficiente FOI di luglio 2019 (euro 54.293*1,154) si perviene al risultato di euro 147.353,88 in moneta attuale.
5.9. Da tale importo andranno detratti gli acconti già percepiti da (OMISSIS) (OMISSIS) pari ad euro 127.574,06, che rivalutati alla data odierna in base all’indice FOI relativo alla data di pagamento (aprile 2014, indice 1,182) ascendono ad euro 150.792,54.
In conto capitale, pertanto, il credito di (omissis) (omissis) risulta interamente risarcito, con un’eccedenza di euro 3.438,66.
5.10. Deve ora stabilirsi l’importo spettante a (OMISSIS) (OMISSIS) a titolo di interessi compensativi o danno da mora che dir si voglia.
Tale importo va calcolato con i criteri costantemente affermati da questa Corte, e cioè:
a) sotto forma di interessi;
b) ad un tasso scelto equitativamente in considerazione delle peculiarità del caso;
c) applicando tale saggio di interessi su una base di calcolo rappresentata:
c’) dall’intero credito, espresso in moneta dell’epoca in cui sorse e rivalutato anno per anno, per il periodo intercorso dalla data dell’illecito al pagamento dell’acconto; in alternativa, il saggio di interessi può applicarsi sulla media aritmetica tra il credito espresso in moneta dell’epoca del fatto, ed il credito espresso in moneta rivalutata;
c”) dalla somma che residua dopo la detrazione dell’acconto, rivalutata annualmente, per il periodo che va da quel pagamento fino all’acconto successivo o alla liquidazione definitiva (ex plurimis, Sez. 3 – , Sentenza n. 9950 del 20/04/2017, Rv. 643854 – 02).
Nel caso di specie, poiché i due acconti percepiti da (OMISSIS) (OMISSIS) si sono succeduti a distanza di soli due giorni l’uno dall’altro, essi possono essere considerati ai fini del calcolo della mora come un unico pagamento.
5.11. Venendo dunque alla scelta del saggio di interesse, nel caso di specie in considerazione dell’ammontare del credito, può ritenersi che la parte danneggiata, se fosse tempestivamente entrata in possesso della somma a lei spettante a titolo di risarcimento, l’avrebbe verosimilmente impiegata (arg. ex 2727 c.c.) nelle più comuni forme di investimento accessibili al piccolo risparmiatore (BOT, CCT, obbligazioni), come già ritenuto dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 19499 del 16/07/2008), con decisione che, sebbene avente ad oggetto un credito di valuta, esprime princìpi (omissis) in tema di liquidazione del danno da mora, come tali applicabili anche alle obbligazioni di valore.
Il saggio di interessi può dunque stabilirsi nella misura del 2,93%, pari alla media aritmetica degli indici “Rendistato” calcolati dalla (OMISSIS) (OMISSIS) dal 2000 ad oggi, i quali esprimono il rendimento medio ponderato di un paniere di titoli di Stato, e sono perciò particolarmente idonei alla liquidazione equitativa del danno da mora nelle obbligazioni di valore.
5.12. Il suddetto saggio (2,93%) andrà applicato:
a) sulla media tra il credito espresso in moneta del 2000 (94.216,03) ed il credito espresso in moneta del 2014 (124.664,87), per il periodo compreso tra il 4.2000 (data del sinistro) e aprile del 2014 (data di pagamento dei due acconti); la base di calcolo per questo periodo è dunque [(124.664,87+94.216,03)/2], ovvero euro 109.440,45;
b) per il periodo successivo al pagamento degli acconti non vi è invece danno da mora, in quanto come già detto il pagamento di euro 127.574,06 (in moneta del 2014) ha estinto il credito di (OMISSIS) (OMISSIS) pari al momento di pagamento degli acconti (e dunque in moneta del 2014) ad euro 124.664,87.
Per maggior chiarezza, è bene ricordare infine che al pagamento di acconti nel caso di obbligazioni di valore non s’applica l’art. 1194 c.c. (ex multis, Sez. 3, Sentenza n. 8104 del 03/04/2013, Rv. 625662 – 01), e dunque nella liquidazione equitativa del danno da mora non è necessario imputare il pagamento in acconto dapprima agli interessi, e poi al capitale.
5.13. Un saggio di interessi del 2,93%, applicato su un capitale di 440,45 euro dal 16.4.2000 al 10.4.2014 dà per risultato euro 44.901,16.
Detratta l’eccedenza tra il credito rivalutato e gli acconti rivalutati (euro 3.438,66), il credito residuo di (OMISSIS) (OMISSIS) risulta dunque ammontare ad euro 41.462,5 attuali.
5.14. Per effetto della presente decisione nel merito, il suddetto importo si converte da obbligazione di valore in obbligazione di valuta, e produrrà interessi al saggio legale dalla data di pubblicazione della presente
6. Col sesto motivo (OMISSIS) (OMISSIS) impugna la sentenza d’appello nella parte in cui ha rigettato la sua domanda di risarcimento del danno patrimoniale.
Questo motivo, se pur formalmente unitario, contiene due censure.
6.1. Con una prima censura la ricorrente sostiene che la Corte d’appello ha errato nel ritenere non dimostrate l’esistenza di un danno patrimoniale da riduzione del reddito, e la sua derivazione causale dalla necessità di provvedere all’assistenza del figlio
Con una seconda censura la ricorrente sostiene che la Corte d’appello ha errato nel ritenere “inammissibile” il motivo d’appello col quale si invocava una più cospicua liquidazione del danno patrimoniale emergente, rappresentato dalle spese sostenute per curare il figlio.
6.2. La prima censura è inammissibile perché invoca una diversa valutazione delle prove.
La Corte d’appello ha ritenuto infatti che i redditi di (OMISSIS) (OMISSIS) avessero subito soltanto delle oscillazioni, e non una riduzione, e ciò impediva di ritenere sussistente un nesso di causa fra l’infortunio del figlio e le suddette oscillazioni.
Si tratta di una tipica valutazione di fatto non censurabile in sede di legittimità.
6.3. Anche la seconda censura è inammissibile.
La Corte d’appello infatti ha rigettato il gravame col quale si chiedeva una più cospicua liquidazione del danno emergente per spese sanitarie affermando: “l’appellante lungi dal censurare la statuizione di rigetto, contrapponendole argomentazioni in grado di incrinarne il fondamento logico-giuridico, si limita inammissibilmente a riprodurre la documentazione medica già prodotta in primo grado e già valutata dal giudice“.
La Corte d’appello, dunque, ha ritenuto – non rileva qui se a torto od a ragione – che il gravame proposto da (OMISSIS) (OMISSIS) fosse inammissibile ex art. 342 c.p.c., sul presupposto (implicito ma chiaro) che l’appellante non potrebbe limitarsi a sottoporre ex novo al giudice d’appello le medesime prove già esaminate dal primo giudice, chiedendo che siano diversamente apprezzate.
Questa ratio decidendi non viene tuttavia né investita, né colta, dal ricorso.
Quest’ultimo, infatti, censura la suddetta statuizione di inammissibilità con una argomentazione che, al netto di alcune ridondanti citazioni di giurisprudenza, si riduce a sostenere ciò: “è oltremodo evidente che la (OMISSIS) (OMISSIS) ha dovuto affrontare le spese concernenti l’assistenza del figlio” (p. 39, 2° capoverso, del ricorso).
Una censura, dunque, che non solo non sfiora la reale ratio decidendi sottesa dalla sentenza impugnata (la quale, come si è detto, era di natura processuale: inammissibilità del motivo per mera riproposizione della richiesta di valutazione della prova), ma per di più richiede a questa Corte una valutazione sostanziale e di merito, e cioè lo stabilire se la parte danneggiata abbia o non abbia sostenuto determinate spese per un determinato scopo, e si di tali spesse vi fosse o no la prova.
7. Nel rapporto processuale fra (OMISSIS) (OMISSIS) e la (OMISSIS) (OMISSIS) le spese del presente giudizio di legittimità possono essere compensate interamente, in considerazione del fatto che la (OMISSIS) (OMISSIS) avrebbe dovuto comunque sostenere gli oneri di difesa per contrastare il ricorso proposto da (OMISSIS) (OMISSIS) rivelatosi fondato.
7.1. Nel rapporto processuale fra (OMISSIS) (OMISSIS) e le altre parti le spese seguono la soccombenza, in considerazione dell’esito finale della lite.
La decisione della causa nel merito impone a questa Corte di provvedere anche sulle spese del giudizio di merito, limitatamente al rapporto processuale fra (OMISSIS) (OMISSIS) e le controparti.
Tali spese possono determinarsi nella medesima misura e con la medesima compensazione (un terzo) ritenute dalla Corte d’appello nella sentenza impugnata.
Per questi motivi
la Corte di cassazione:
(-) rigetta il primo, il secondo, il terzo, il quarto ed il sesto motivo di ricorso;
(-) accoglie il quinto motivo di ricorso;
(-) cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, condanna (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) s.p.a. e (OMISSIS) (OMISSIS) s.p.a., in solido, al pagamento in favore di (OMISSIS) (OMISSIS) della somma di euro 41.462,5, oltre interessi legali, ex art. 1224 c.c., dal giorno di pubblicazione della presente ordinanza;
(-) compensa integralmente le spese del presente giudizio di legittimità fra (OMISSIS) (OMISSIS) la (OMISSIS) (OMISSIS) s.p.a.;
(-) condanna (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) s.p.a. e (OMISSIS) (OMISSIS) s.p.a., in solido, alla rifusione in favore di (OMISSIS) (OMISSIS) delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di euro 5.880, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55;
(-) liquida le spese del primo e del secondo grado di giudizio nella misura e con la compensazione già ritenuta dalla Corte d’appello nella sentenza impugnata.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, addì 31 gennaio 2023.
Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2023.