L’invio a più caselle Pec di un messaggio diffamatorio non fa scattare l’aggravante della diffusione su internet (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 18 luglio 2023, n. 31179).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

QUINTA SEZIONE PENALE

Composta da

GERARDO SABEONE           – Presidente –

EDUARDO DE GREGORIO  – Consigliere –

ROSSELLA CATENA             – Consigliere Relatore –

ANGELO CAPUTO               – Consigliere –

DANIELA BIFULCO              – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(omissis) (omissis) nato a (omissis) il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza della Corte di Appello di Messina emessa in data 03/10/2022;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere dott.ssa Rossella Catena;

udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. Giovanni Di Leo, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il difensore di fiducia dell’imputato, avv.to (omissis) (omissis) che si è riportato al ricorso ed ai motivi aggiunti, insistendo nel ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Messina, in riforma della sentenza del Tribunale di Messina in composizione monocratica, emessa in data 16/09/2021, che aveva condannato (omissis) (omissis) a pena di giustizia, oltre che al risarcimento dei danni nei confronti della persona offesa, in relazione al reato di cui all’art. 595, comma terzo, cod. pen., in luogo imprecisato, il 17/03/2016, rideterminava la pena nei confronti dell’imputato.

2. In data 18/10/2022 (omissis) (omissis) ricorre, a mezzo del difensore di fiducia avv.to (omissis) deducendo quattro motivi, di seguito enunciato nei  limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.:

2.1. inosservanza di norme processuali sancite a pena di nullità, inammissibilità, inutilizzabilità, decadenza, in riferimento agli artt. 157, 161, 162, 163, 164, 171, 175, comma 2, 178 lett. c), 179, 180, 461, 462 cod. proc. pen., vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, lett. c) ed e) cod. proc. pen., in quanto l’imputato aveva depositato, in data 22/03/2018, presso la competente Procura della Repubblica, dichiarazione di domicilio presso la sua abitazione, con contestuale revoca della precedente elezione di domicilio presso il difensore di fiducia, contestualmente all’opposizione al decreto penale di condanna emesso in data 29/01/2018 e successivamente revocato e riemesso in data 14/06/2019; nonostante la corretta notificazione del primo decreto penale di condanna, il secondo decreto penale di condanna, ed il successivo decreto di citazione a giudizio, emesso in data 10/07/2019, sono stati notificati al difensore di fiducia, sia in proprio che quale domiciliatario, integrando, in tal modo, una nullità assoluta, anche in quanto l’omessa notifica del decreto penale di condanna al ricorrente personalmente ha impedito il decorso del termine di giorni 15 previsto per l’opposizione della parte personalmente, con conseguente nullità, anche alla luce della sentenza n. 317/2009 della Corte costituzionale; risulta, peraltro, evidente l’erroneità della decisione della Corte di merito, posto che la difesa aveva eccepito la nullità anche della notifica del decreto penale di condanna, e non del solo decreto di citazione a giudizio, con conseguente mancato decorso del termine per l’opposizione personale al decreto penale di condanna da parte del ricorrente, con conseguente nullità del procedimento e della sentenza di secondo grado; erronea, risulta, inoltre, l’affermazione secondo cui l’imputato era personalmente presente all’udienza del 17/09/2020, posto che il (omissis) stato dichiarato assente e tale è rimasto nel corso di tutto il processo di primo grado, come risulta anche dalla motivazione del primo giudice;

2.2. violazione di legge, in riferimento agli artt. 192, 533 cod. proc. pen., 595 cod. pen., vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e) cod. proc. pen., alla luce dell’attività investigativa, svolta sulla base di copie informali dei messaggi riproducenti le mail e non su copia digitale delle stesse, il che dimostra che le mail del 12/0272016 del 17/0372016 non sono mai state prodotte dal querelante, ma da terzi che le avevano inviate al querelante e da questi alterate, al fine di non rendere possibile individuare il soggetto che le aveva inviate alla persona offesa; ciò, peraltro, rende evidente l’assenza di prova circa il reale mittente delle mail e del dispositivo elettronico utilizzato per il loro inoltro originario, non essendo stato acquisito neanche l’indirizzo IP che avrebbe consentito la certa identificazione dell’apparecchio da cui erano state inviate le dette mail, né i file log che, unitamente alle copie digitali delle mail, neanche queste acquisite, avrebbero consentito di identificare con certezza il mittente delle mail; né, peraltro, risulta provatala ricezione della mail contestata, potendo, quindi, presumersi che essa fosse finita nella posta indesiderata o spam; peraltro, la persona offesa era già a conoscenza, nel febbraio 2016, di mail spedite da un indirizzo sconosciuto, il che rende evidente l’incongruenza rispetto alla data della mail indicata nel capo di imputazione, 17/03/2016, il tutto a dimostrazione della mancata considerazione dei motivi di gravame;

2.3. violazione di legge, in riferimento agli artt. 192, 533 cod. proc. pen., 595, comma terzo, cod. , vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e) cod. proc. pen., alla luce dell’insussistenza della contestata aggravante, posto che nel caso di posta elettronica non certificata è necessario l’invio ad un numero indeterminato di soggetti, il che, nella specie, non è avvenuto, essendo state la mail inviata ad un numero circoscritto di soggetti, appartenenti ad una determinata categoria, gli operatori del Centro commerciale (omissis), tanto alla luce della differenza tra posta elettronica certificata e non, operata dalla giurisprudenza di legittimità;

2.4. violazione di legge, in riferimento agli artt. 192, 533 cod. proc. pen., 51 cod. pen., vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, b) ed e) cod. proc. pen., alla luce del contenuto della mail incriminata, espressione del diritto di critica;

2.5. violazione di legge, in riferimento agli 192, 533 cod. proc. pen., 131-bis cod. pen., vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e) cod. proc. pen., in riferimento alla obiettiva tenuità della condotta.

3. Con motivi nuovi spediti a mezzo pec il 24/04/2023, il difensore ha eccepito l’incompetenza funzionale del Tribunale in composizione monocratica, posto che, dovendosi escludere l’aggravante di cui all’art. 595, comma terzo, pen., il reato rientrava nella competenza del Giudice di pace, per cui l’incompetenza del Tribunale avrebbe potuto essere riconosciuta in qualunque stato e grado del giudizio, come ritenuto dalle Sezioni Unite della Cassazione, a differenza di quanto erroneamente ritenuto dal primo giudice all’udienza del 02/03/2021.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso di (omissis) (omissis) è parzialmente fondato, per le ragioni di seguito indicate.

Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato, alla luce della consultazione degli atti trasmessi a questa Corte, cui il Collegio ha accesso, trattandosi di questione processuale.

In data 22/03/2018 (omissis) aveva depositato presso la Procura della Repubblica territorialmente competente dichiarazione di domicilio presso la propria abitazione, con revoca della precedente elezione di domicilio presso il difensore di fiducia; quindi, dopo il decreto penale di condanna emesso il 30/01/2018 e notificato il 08/03/2018, successivamente revocato perché emesso per la diversa fattispecie di cui all’art. 483 cod. pen., vi era stata una seconda richiesta di emissione di decreto penale di condanna, in data 14/11/2017, rigettata per erroneo calcolo della pena; infine, il secondo decreto penale di condanna veniva emesso il 14/06/2019 e notificato senza considerare la nuova dichiarazione di domicilio, per cui il ricorrente risultava, erroneamente, ancora elettivamente domiciliato presso il difensore di fiducia, dove il decreto penale di condanna veniva notificato in pari data, il 14/06/2019, e dove, in seguito, veniva notificato anche il decreto di citazione a giudizio, in data 10/07/2019.

L’opposizione al decreto penale di condanna risulta intervenuta in data 28/06/2019, e di ciò viene dato atto anche nel decreto che dispone il giudizio, tuttavia di tale opposizione non vi è traccia negli atti trasmessi a questa Corte, sicché non appare possibile verificare se l’eccezione afferente la notifica fosse stata proposta in sede di opposizione al decreto penale di condanna.

In tal senso va ricordato che l’omessa notificazione del decreto penale di condanna all’imputato integra una nullità di ordine generale, che è sanata nel caso in cui il difensore non l’eccepisca nell’atto di opposizione (Sez. 3, n. 6330 del 23/01/2023, Califano Danilo, Rv. 284085).

Peraltro, come detto, l’atto di opposizione non risulta trasmesso a questa Corte, né la difesa lo ha allegato al ricorso, venendo meno all’onere di autosufficienza del ricorso (Sez. 5, n. 5897 del 03/12/2020, dep. 15/02/2021, Cossu Giovanni Maria, Rv. 280419, secondo cui anche a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 165-bis disp. att. cod. proc. pen., introdotto dall’art. 7, comma 1, d.lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, trova applicazione il richiamato principio, che si traduce nell’onere di puntuale indicazione, da parte del ricorrente, degli atti che si assumono travisati e dei quali si ritiene necessaria l’allegazione, materialmente devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato).

Risulta, inoltre, dagli atti, che l’avv.to (omissis) era stato presente alle udienze del 21/11/2019 e del 04/02/2020, e che anche il rinvio dell’udienza del 12/03/2020, ai sensi dell’art. 420-bis d.l. 11/2020, era stato notificato al predetto difensore; inoltre, come risulta dal verbale di udienza del 17/09/2020 atto pubblico fidefacente – in tale data erano presenti sia l’avv.to (omissis) che l’imputato, peraltro presente solo alla detta udienza; all’udienza del 02/03/2021, infine, la difesa aveva eccepito l’incompetenza funzionale del giudice monocratico, ma in nessuna delle udienza celebrate risulta eccepita la irregolare notifica del decreto penale di condanna né quella del decreto di citazione a giudizio.

La sentenza impugnata ha dato atto che il secondo decreto penale di condanna ed il decreto di citazione a giudizio erano stati notificato al difensore domiciliatario e non al domicilio dichiarato; tuttavia, si tratta di nullità di ordine generale a regime intermedio, per cui, avendo il difensore, una volta ricevute le notifiche, proposto l’opposizione e partecipato al giudizio di primo grado senza mai nulla eccepire, la deduzione formulata con l’atto di appello risulta tardiva (Sez. U, n. 58120 del 22/06/2017, Tuppi, Rv. 271771).

Fondata appare, invece, la doglianza concernente la sussistenza della contestata aggravante di cui all’art. 595, comma terzo, cod. pen.

Non vi è alcun dubbio come, nel caso in esame, la mail fosse stata indirizzata ad un numero circoscritto di soggetti, ossia gli operatori del Centro commerciale di (omissis) per cui non può individuarsi né la diffamazione aggravata dal mezzo della stampa né dal mezzo di pubblicità; che la mail, infatti, fosse stata veicolata tramite internet non toglie nulla al fatto che essa fosse destinata ad un numero determinato e circoscritto di soggetti, non potendosi confondere il mezzo utilizzato per trasmettere la comunicazione con la diffusività della stessa, né con l’uso dello strumento informatico.

Non vi è dubbio, infatti, che internet sia uno strumento idoneo a veicolare messaggi ad un numero indeterminato di persone, come avviene nel caso della pubblicazione su un sito internet accessibile ad un numero indeterminato di utenti, oppure nel caso di trasmissione di una notizia o di un messaggio su una bacheca facebook o su altri social network, trattandosi, in tali casi, di modalità di trasmissione di notizie accessibili ad una platea indeterminata di fruitori.

Al contrario, l’invio di un messaggio a singole caselle di posta elettronica riservate, in quanto intestate a singoli utenti, non implica affatto alcuna automatica diffusione ad un numero indeterminato di soggetti, non più di quanto una lettera sia suscettibile di essere letta da soggetti diversi dal destinatario.

Il Collegio non ignora i precedenti arresti sul tema, rispetto ai quali, tuttavia, occorre svolgere degli approfondimenti.

Secondo Sez. 5, n. 44980 del 16/10/2012, P.M. in proc. Nastro, Rv. 254044 “L’invio di e-mail a contenuto diffamatorio, realizzato tramite l’utilizzo di internet, integra un’ipotesi di diffamazione aggravata e l’eventualità che fra i fruitori del messaggio vi sia anche la persona a cui si rivolgono le espressioni offensive, non consente di mutare il titolo del reato nella diversa ipotesi di ingiuria.”; tuttavia, in motivazione, è specificato che “…. mentre, nel caso, di diffamazione commesso, ad esempio, a mezzo posta, telegramma o, appunto, e-mail, è necessario che l’agente compili e spedisca una serie di messaggi a più destinatari, nel caso in cui egli crei a utilizzi uno spazio web, la comunicazione deve intendersi effettuata potenzialmente erqa omnes (sia pure nel ristretto ma non troppo ambito di tutti coloro che abbiano gli strumenti, la capacità tecnica e, nel caso di siti a pagamento, la legittimazione, a connettersi)”.

Appare, quindi, evidente come, in tal caso, lo stesso precedente distingua un uso di internet funzionale ad inviare messaggi privati con un uso di tipo differente, quale la creazione di un sito web potenzialmente e strutturalmente destinato ad un numero illimitato di utenti.

Peraltro, già Sez. 5, n. 55386 del 22/10/2018, Assirelli Mauro, Rv. 274608, in motivazione ha chiarito che “In proposito è necessario sottolineare come /’e-mail sia una comunicazione diretta a destinatario predefinito ed esclusivo (anche quando plurimi siano i soggetti cui viene indirizzata), al quale viene recapitata informaticamente presso il server di adozione, collegandosi al quale attraverso un proprio dispositivo e utilizzando delle chiavi di accesso personali, questi può prenderne cognizione. Diversamente, dunque, a quanto condivisibilmente affermato da questa Corte (Sez. 5, n. 16262 del 04/04/2008, Tardivo, Rv. 239832; Sez. 5, n. 23624 del 27/04/2012, P.C. in proc. Ayro/di, Rv. 252964) con riguardo a scritti, immagini o file vocali caricati su siti web o diffusi sui socia/ media, nell’ipotesi dell’invio di messaggi di posta elettronica, il requisito della comunicazione con più persone non può presumersi sulla base dell’inserimento del contenuto offensivo nella rete (e cioè, nel caso di specie, della loro spedizione), ma è necessaria quantomeno la prova dell’effettivo recapito degli stessi, sia esso la conseguenza di un’operazione automatica impostata dal destinatario ovvero di un accesso dedicato al server. In altri termini è sufficiente la prova che il messaggio sia stato “scaricato” (e cioè trasferito sul dispositivo de/l’utente dell’indirizzo), mentre l’effettiva lettura può presumersi, salvo prova contraria.”

Ancora diversa appare la possibilità che la modalità di trasmissione del documento sia ab initio potenzialmente destinata ad un numero indistinto di destinatari, come, ad esempio, nel caso di invio di una casella di posta elettronica istituzionale, accessibile ad una pluralità di destinatari, ipotesi che potrebbe verificarsi anche nel caso di trasmissione con modalità più tradizionali, diverse da internet (in tal senso, per un caso in tema di vaglia postale, Sez. 5, n. 522 del 26/05/2016, dep. 05/01/2017, S., Rv. 269016; nonché Sez. 5, n. 30727 del 08/03/2019, De Feo Nino, Rv. 275625, in un caso di missiva diretta ad un’Autorità giudiziaria in busta chiusa non recante la dicitura “riservata – personale”, poiché tale missiva era destinata a essere conosciuta anche dagli addetti all’apertura ed allo smistamento della corrispondenza).

In tal senso, quindi, non può concordarsi integralmente con Sez. 5, n. 34831 del 23/10/2020, Di Vita Filippo, Rv. 280034, secondo cui “La trasmissione a mezzo posta elettronica certificata (PEC) di messaggi contenenti espressioni lesive de/l’altrui reputazione integra il reato di diffamazione aggravata anche nella ipotesi di diretta ed esclusiva destinazione ad un solo indirizzo ‘mail: in quanto la certificazione garantisce la prova dell’invio e della consegna della comunicazione ma non ne esclude di per la potenziale accessibilità a terzi diversi dal destinatario a fini di consultazione, estrazione di copia e di stampa, per la cui prevedibilità in concreto è richiesto, tuttavia, un rafforzato onere di giustificazione.”

Tale ultima pronuncia, infatti, appare condivisibile nella parte in cui collega la diffusività potenziale del messaggio al fatto che la missiva in esame fosse stata inviata all’indirizzo pec del dirigente del settore urbanistica comunale, ossia ad un sito istituzionale potenzialmente accessibile ad un numero indeterminato di soggetti; al contrario, occorre dissentire dalla stessa pronuncia nella parte in cui afferma che “in caso di invio multiplo, realizzato con lo strumento del “forward” a pluralità di destinatari, il reato di diffamazione si configura, invero, in forma aggravata ai sensi dell’art. 595, comma terzo, cod. pen., in considerazione del ‘particolare e formidabile mezzo di pubblicità della posta elettronica’ (Sez. 5, n. 29221 del 06/04/2011, De Felice, Rv. 250459)”.

In realtà, come visto, non solo la sentenza De Felice, citata, aveva già correttamente distinto, nell’ambito del veicolo di comunicazione a mezzo internet, il sito web dalla posta privata, ma, soprattutto, la sentenza Di Vito sembra fondarsi su una non condivisibile ricostruzione del sistema informatico e sulle modalità di ricezione privata dei messaggi, che sono tutelati attraverso specifiche tecniche che impediscono un accesso indiscriminato alla posta elettronica privata.

La possibilità che la riservatezza della posta elettronica possa essere violata non significa affatto la trasformazione del mezzo in un veicolo di pubblicità in tutti i casi in cui esso venga usato, posto che proprio le potenzialità del mezzo stesso consentono di individuarne una qualificazione come sistema di pubblicità (siti web e social network, facebook, ecc.) ed un uso esclusivamente privato, non potendo una eventuale patologia incidere su tale distinzione.

Nel caso in esame appare evidente come la missiva diffamatoria fosse destinata ad un numero limitato di destinatari, né vi è prova che le mail di tali destinatari fossero fisiologicamente fruibili da una platea indistinta di soggetti, con la conseguenza che deve escludersi la sussistenza della circostanza aggravante di cui al comma terzo dell’art. 595 cod. pen.

Ne consegue che la fattispecie debba essere inquadrata nella diffamazione semplice, reato di competenza del Giudice di pace, per cui la sentenza impugnata e la sentenza di primo grado vanno entrambe annullate senza rinvio, disponendosi la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Messina per l’ulteriore corso.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e quella di primo grado, disponendosi la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Messina per l’ulteriore corso.

Così deciso in Roma, il 23/05/2023.

Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2023.

SENTENZA