LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati
Dott. GIACOMO TRAVAGLINO -Presidente
Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO -Consigliere
Dott. ENZO VINCENTI -Consigliere
Dott. EMILIO IANNELLO -Consigliere
Dott. PASQUALINA A. P. CONDELLO -Consigliere Rel.
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4493/2020 R.G. proposto da:
(omissis) (omissis) rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. (omissis) (omissis), elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. (omissis) in (omissis) alla via (omissis)
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA SALUTE, in persona de Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici è domiciliato, in Roma alla via dei Portoghesi, n. 12
– controricorrente –
e nei confronti di
(omissis) e (omissis), in persona del legale rappresentante, e (omissis) s.p.a. in persona del legale rappresentante
– intimati –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 3602/2019, pubblicata in data 27 giugno 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3 aprile 2023 dal Consigliere dott.ssa Pasqualina A. P. Condello.
Fatti di causa
1. (omissis) (omissis) convenne in giudizio il Ministero della Salute e la (omissis) (omissis) (omissis) s.p.a. al fine di sentirli condannare al risarcimento dei danni subiti a seguito di trasfusioni di sangue infetto.
Espose a sostegno della domanda che: a seguito di incidente stradale, dall’Ospedale (omissis) (omissis) era stato ricoverato presso reparto ortopedia, a causa delle fratture riportate e che, sottoposto ad esami ematologici, era risultato negativo all’epatite “C”; dal 10 al 18 dicembre 2001 era stato ricoverato presso la Clinica (omissis) di (omissis) dove aveva subito un intervento chirurgico di osteosintesi endomidollare della frattura del terzo medio diafisario femorale a sinistra e cerchiaggio di rotula; nella fase successiva all’intervento aveva subito una prima emotrasfusione in data 12 dicembre 2001, alla quale ne erano seguite altre in data 13 dicembre 2001 e 14 dicembre 2001, come documentato dalla cartella clinica; dal 25 febbraio al 4 marzo 2002 era stato nuovamente ricoverato presso la stessa Clinica per infezione ed intolleranza ai mezzi di sintesi al femore sinistro ed era stato sottoposto ad altro intervento chirurgico scheletrizzante dell’arto con rimozione dell’apparecchiatura di sintesi; dal 16 al 23 giugno 2003 era stato nuovamente ricoverato presso la Clinica (omissis) aveva subito una prima emotrasfusione in data 17 giugno 2003, a cui ne erano seguite altre in data 19, 20 e 22 giugno, ma le analisi cliniche erano risultate negative per l’HCV; dal 19 al 20 maggio 2005 era stato ricoverato presso la Casa di Cura (omissis) per la ricostruzione del tendine ed in quell’occasione gli era stata riscontrata la positività al virus dell’epatite “C” (HCV positiva), infezione ricollegabile temporalmente e causalmente alle trasfusioni subite nei vari interventi chirurgici praticati presso la Clinica (omissis)
Si costituirono il Ministero della Salute e la (omissis) (omissis) s.p.a. e quest’ultima chiese ed ottenne l’autorizzazione alla chiamata in causa della (omissis) s.p.a., al fine di essere garantita.
Costituitasi anche la società assicuratrice, la causa venne istruita con l’acquisizione di documentazione e con l’espletamento di c.t.u. e, all’esito, il Tribunale di Napoli rigettò la domanda dell’attore, affermando che nessuna responsabilità era ascrivibile al Ministero ed alla struttura sanitaria, in quanto il contagio era dovuto al caso fortuito.
2. La sentenza è stata impugnata dal (omissis) il quale ha rappresentato che, in primo grado, aveva dedotto la responsabilità contrattuale ex art. 1218 cod. civ. degli operatori medici quali ausiliari diretti della struttura sanitaria, presso la quale era stato sottoposto a numerosi interventi chirurgici con pluralità di trasfusioni, e che aveva provato che la patologia da HCV contratta era insorta successivamente alle trasfusioni ed agli interventi chirurgici; ha pure evidenziato che l’attività di preparazione del sangue fino all’impiego trasfusionale era da considerare attività pericolosa ai sensi dell’art. 2050 cod. civ., per la naturale idoneità del sangue a veicolare agenti patogeni, e che nel giudizio di primo grado la struttura sanitaria non aveva dimostrato che gli ambienti e gli strumenti chirurgici e diagnostici usati fossero stati adeguatamente sterilizzati.
La Corte d’appello di Napoli, confermando la sentenza impugnata, ha osservato che i consulenti tecnici d’ufficio avevano positivamente accertato che dalla cartella clinica era emerso che il sangue trasfuso, proveniente da struttura pubblica, ossia dal Centro Trasfusionale presso l’Ospedale di (omissis), sottoposto all’esame NAT ed ai principali test sierologici, era risultando negativo a tutti gli esami; tale accertamento escludeva, secondo la Corte di merito, la responsabilità del Ministero della Salute e della La (omissis) (omissis) s.p.a., dato che la mancata rilevazione del virus nelle sacche trasfuse era dipeso da fattori non eliminabili in alcun modo allo stato delle conoscenze dell’epoca.
Rilevando, inoltre, che in primo grado la condotta inadempiente era stata individuata per il personale della casa di cura nella trasfusione di sangue infetto e per il Ministero della Salute nell’omessa sorveglianza e vigilanza sulla sicurezza del sangue e degli emoderivati e che tale causa petendi non era stata modificata nei termini di cui all’art. 183 cod. proc civ., la Corte ha ritenuto che la deduzione con cui si assumeva la responsabilità risarcitoria delle parti convenute in giudizio per non avere adeguatamente sterilizzato gli strumenti chirurgici costituiva domanda nuova, inammissibile in appello ex art. 345 cod. proc. civ., poiché volta ad introdurre un nuovo tema di indagine.
3. (omissis) (omissis) ricorre per la cassazione della suddetta decisione, con due motivi.
Il Ministero della Salute resiste con controricorso.
La (omissis) (omissis) s.p.a. e (omissis) (omissis) s.p.a. non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
4. La trattazione è stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1. cod. proc civ.
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo si prospetta la ««violazione e non corretta applicazione degli 1218, 1228 e 1256 c.c. in ordine alla responsabilità contrattuale della (omissis) (omissis) s.p.a., nonché degli artt. 112 e 345 c.p.c., il tutto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.»».
Il ricorrente censura la decisione impugnata per avere la Corte territoriale ritenuto domanda nuova, perché non dedotta in primo grado, quella con la quale si assumeva la responsabilità risarcitoria degli originari convenuti per non avere adeguatamente sterilizzato gli strumenti chirurgici.
Sostiene che l’imputabilità dell’infezione alle trasfusioni non precludeva al giudice di prendere in considerazione le altre cause correlate, individuate dalla c.t.u. ««percipiente»», in esito alla quale era venuto a conoscenza della riferibilità della contrazione della patologia virale allo strumentario chirurgico contaminato, utilizzato per gli interventi chirurgici; evidenzia che, sul punto, il c.t.u. aveva affermato: ««non è escluso che la contrazione dell’infezione sia correlabile con la sieroconversione per HCV-Ab evidenziata nel 2005, per contaminazione dello strumentario chirurgico in detto intervento»».
Rimarca che non viene in rilievo una nuova causa petendi e che il giudice di merito non ha spiegato per quale ragione i fatti allegati nell’atto introduttivo non fossero idonei a dimostrare la responsabilità della struttura per insufficiente sterilizzazione degli strumenti chirurgici, considerato che aveva evidenziato nell’atto di citazione tutti gli interventi chirurgici e le trasfusioni subite.
2. Con il secondo motivo, rubricato: Violazione dell’art. 111 del principio del giusto processo e di effettività della tutela giurisdizionale, nonché degli artt. 6, 7 e 13 della CEDU di salvaguardia del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva dei diritti fondamentali della persona riconosciuti dalla Cedu e dalla Costituzione, il tutto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente lamenta che il giudice d’appello, ancorando la decisione al non corretto presupposto della mancata specifica allegazione in primo grado del danno da HCV correlato alla omessa sterilizzazione dello strumentario chirurgico, non ha tenuto conto del contenuto sostanziale della pretesa desumibile dalla situazione dedotta in causa, in violazione della cd. effettività della tutela giurisdizionale e del principio di economia dei giudizi.
3. Il primo motivo è infondato.
3.1. Il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto nuova, perché non tempestivamente dedotta in primo grado, la domanda di responsabilità risarcitoria delle originarie parti convenute in giudizio per insufficiente sterilizzazione degli strumenti chirurgici e sostiene che l’originaria imputabilità dell’infezione alle trasfusioni, individuata nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, non precludeva al giudice d’appello di valutare anche eventuali altre cause sottese alla contrazione della patologia virale, considerato che, in tema di responsabilità medica, il fulcro della domanda risarcitoria rimane l’enucleazione dei fatti in cui si estrinseca il pregiudizio e non le possibili cause evocate dalle parti.
Addebita, quindi, alla Corte territoriale di non avere tenuto conto della circostanza che, nel descrivere i fatti di causa, non era a conoscenza delle effettive cause della patologia contratta e che, dopo avere documentato con le cartelle cliniche gli interventi chirurgici, le emotrasfusioni e la patologia che ne era derivata, aveva suggerito al giudice una eventuale imputabilità dell’infezione alle trasfusioni, chiedendo al contempo l’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio percipiente, unico mezzo in grado di accertare la patologia, le cause ed il nesso di causalità con gli eventi prospettati nell’atto di citazione in primo grado.
3.2. Come esaustivamente chiarito, di recente, da questa Corte (Cass., 3, 30/01/2023, n. 2719), ««la domanda con la quale si invoca, in giudizio, il risarcimento del danno conseguenza di un illecito civile, e, dunque, anche la domanda di risarcimento danni per responsabilità sanitaria (sia che si riferisca a condotte illecite avvenute prima dell’entrata in vigore della legge n. 24 del 2017, sia in epoca successiva), ha ad oggetto un diritto c.d. eterodeterminato, per cui si richiede all’attore di allegare i fatti materiali sui quali quel diritto viene a fondarsi, così da consentire l’individuazione specifica delle “ragioni della domanda” (ossia della causa petendi), pena la nullità della stessa per violazione dell’art. 163, comma terzo, n. 4, c.p.c. (tra le altre, Cass. n. 17408/2012; Cass. n. 10577/2018)»».
La modificazione della causa petendi, ritualmente dedotta in giudizio, è consentita ai sensi dell’art. 183 cod. proc. civ., sempre che ciò non comporti una modificazione della domanda in misura tale che questa, così modificata, non risulti più connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio (Cass., sez. U, n. 12310/2015), con la conseguenza che, in ipotesi di domanda risarcitoria la cui causa petendi non sia stata modificata nel rispetto del regime delle preclusioni processuali, il giudice non può pronunciare su di essa ponendovi a fondamento fatti materiali non allegati, tempestivamente, dalla parte, perché ciò comporterebbe la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e, quindi, dei principi, fondamentali, del contraddittorio e della difesa in giudizio.
E ciò vale anche per i fatti che siano stati acquisiti al giudizio in base alle risultanze di una c.t.u., ove, per l’appunto, si tratti dei fatti principali che è onere delle parti allegare quale ««ragione della domanda»», configurandosi, altrimenti, una nullità assoluta, rilevabile d’ufficio o, in difetto, da farsi valere come motivo di impugnazione ai sensi dell’art. 161, primo comma, cod. proc. civ. (Cass., sez. U, n. 3086/2022).
Si è spiegato, proprio con riguardo agli oneri di allegazione della domanda risarcitoria per responsabilità medica e, segnatamente, di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria per la condotta ascrivibile ai sanitari ausiliari della stessa, che l’attore danneggiato è tenuto ad allegare, oltre all’esistenza del c.d. contratto di spedalità, l’insorgenza o l’aggravamento della patologia e l’inadempimento del debitore.
Con specifico riferimento a quest’ultimo profilo, questa Corte ha precisato (sin da Cass., sez. U, n. 577/2008) che ««l’allegazione del creditore non può attenere ad un inadempimento, qualunque esso sia, ma ad un inadempimento, per così dire, qualificato, e cioè astrattamente efficiente alla produzione del danno»»; occorre dunque, allegare i fatti materiali che individuino, in modo specifico (pena, come detto, la nullità della citazione), quale sia stata la condotta del sanitario che abbia assunto il ruolo di causa efficiente, sia pure astrattamente, dell’evento lesivo della salute del paziente (Cass., n. 2719/2023, cit.).
3.3. Posto ciò, l’odierno ricorrente, dopo avere descritto nell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado, di cui viene riportato uno stralcio nel ricorso per cassazione, le cure mediche e gli interventi chirurgici a cui era stato costretto a sottoporsi a seguito di incidente stradale, come emerge dalla sentenza qui impugnata ha individuato ««la condotta inadempiente»» per il personale della casa di cura nella trasfusione di sangue infetto e per il Ministero della Salute (e anche per la casa di cura) nell’omessa sorveglianza e vigilanza sulla sicurezza del sangue e degli emoderivati.
La Corte territoriale ha accertato che ««tale causa petendi non è stata modificata nei termini di cui all’art. 183 cod. proc. civ., perché il (omissis) si è limitato a depositare una mera memoria istruttoria, senza emendare l’originaria domanda»».
Tanto è sufficiente a far ritenere che nell’atto di citazione è stata individuata una specifica causa petendi della dedotta responsabilità del Ministero e della struttura sanitaria, esclusivamente fondata sulla dedotta ««trasfusione di sangue infetto»» e ««sull’omessa sorveglianza e vigilanza sulla sicurezza del sangue e degli emoderivati»», in tal modo circoscrivendo l’ambito di responsabilità denunciato, nel quale non è possibile ritenere fosse ricompreso il diverso addebito della insufficiente ed inadeguata sterilizzazione degli strumenti chirurgici.
Del tutto correttamente, pertanto, i giudici d’appello hanno concluso che tale diverso profilo di responsabilità contestato integrasse domanda ««nuova»», come tale inammissibile, che introduceva un nuovo tema di indagine che non aveva costituito oggetto del contraddittorio in primo grado.
A diversa conclusione non può pervenirsi per il fatto che il ricorrente, privo di conoscenze scientifiche, sia venuto a conoscenza di una possibile riferibilità della patologia contratta alla inadeguata sterilizzazione degli strumenti chirurgici solo in esito all’espletamento di una consulenza tecnica di tipo percipiente, dato che il (omissis) ha specificato il fatto costituivo della responsabilità sanitaria dedotta in giudizio e il giudice del merito doveva limitarsi ad esaminare la fondatezza della domanda risarcitoria sulla base di tale causa petendi, e non avrebbe potuto ritenere la responsabilità sulla base di fatti integranti una diversa condotta inadempiente, non tempestivamente allegata e dedotta.
4. Le considerazioni che precedono non possono che comportare anche il rigetto del secondo motivo, non potendo la rilevata inammissibilità della domanda per intervenuto mutamento della causa petendi ritenersi irrispettosa dei parametri costituzionali e di quelli dettati dalla Corte di
Infatti, le preclusioni processuali previste dall’art. 183 cod. proc. civ., determinando cause di inammissibilità della domanda espressamente previste dalla legge e prevedibili ex ante, non limitano il fondamentale diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario in misura tale da inciderne la sostanza e sono, pertanto, del tutto coerenti con i principi dettati dalla Cedu, poiché non sono frutto di una interpretazione eccessivamente formalistica delle forme processuali (Corte EDU, sez. I, 15.9.2016, Trevisanato c. Italia, in causa n. 32610/07, §§ 42-44 e giurisprudenza ivi richiamata).
La inammissibilità che deriva dall’inosservanza del temine previsto dall’art. 183, sesto comma, cod. proc. civ. non costituisce, a stretto rigore, una sanzione sproporzionata rispetto alle finalità di salvaguardare elementari esigenze di sicurezza giuridica e, al tempo stesso, di buona amministrazione della giustizia, mostrandosi, anzi, la previsione di un termine e la decadenza che ne comporta la sua inosservanza, laddove prefigurano una disciplina del processo organizzato secondo regole certe e prestabilite, strettamente correlate proprio alla loro salvaguardia.
La necessità di una specifica allegazione dei fatti posti a fondamento della domanda entro i termini perentori di cui all’art. 183 cod. proc. civ. è volta, d’altro canto, a tutelare il principio di ragionevole durata del processo, costituzionalmente riconosciuto, nonché a salvaguardare le potenzialità difensive della controparte, che non può trovarsi esposta alla proposizione di una nuova domanda quando ormai è preclusa la formulazione di nuove eccezioni e istanze istruttorie.
5. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile il 3 aprile 2023.
Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2023.