REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
PRIMA SEZIONE PENALE
Composta da:
Dott. VITO DI NICOLA – Presidente – Relatore –
Dott. MICAELA SERENA CURAMI – Consigliere –
Dott. ANGELO VALERIO LANNA – Consigliere –
Dott. CARLO RENOLDI – Consigliere –
Dott. VINCENZO GALATI – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(omissis) (omissis) ALIAS (omissis) nato a (omissis) il xx/xx/19xx;
avverso la sentenza del 15/09/2022 della CORTE APPELLO di L’AQUILA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Presidente, Dott. Vito di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. STEFANO TOCCI che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore avv. (omissis) (omissis) che ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 15 settembre 2022 la Corte di appello di L’Aquila ha confermato quella emessa il 12 ottobre 2020 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pescara che, all’esito di giudizio abbreviato, ha ritenuto (omissis) (omissis) colpevole, in concorso con altri imputati giudicati separatamente, dei delitti di partecipazione ad un’associazione per delinquere e ricettazione a lui ascritti e commessi, rispettivamente, fino al 6 novembre 2018 e al 23 maggio 2018.
1.1. La responsabilità dell’imputato in ordine ai predetti reati è stata concordemente affermata dai giudici di merito sulla scorta di sommarie informazioni testimoniali, intercettazioni telefoniche, tabulati telefonici e tracciati GPS delle vetture in uso agli imputati.
Con specifico riguardo ai motivi di impugnazione, la Corte di appello aquilana ha, inizialmente, descritto l’elemento distintivo tra il delitto di cui all’art. 416 cod. pen. e il concorso di persone rinvenendolo nel carattere stabile dell’accordo funzionale all’attuazione di un vasto e indeterminato programma criminoso che, nel caso di specie, è stato ritenuto sussistente essendo emersa una struttura organizzata finalizzata alla commissione di plurimi delitti contro il patrimonio, ossia furti di materiale ferroso e rame e la loro ricettazione.
La ripartizione dei compiti all’interno del gruppo è stata descritta individuando in (omissis) gli incaricati della individuazione delle aziende dalle quali sottrarre il materiale di interesse utilizzando autovetture prese a noleggio, anche tramite l’aiuto degli originari coimputati (omissis) (omissis)
Il ruolo di (omissis) invece, era quello di reimmettere nel mercato il materiale ferroso e il rame.
A carico dell’imputato sono emersi elementi univoci dalla verifica dei tracciati dei GPS delle vetture utilizzate per i furti.
Quasi sempre, al termine del compimento delle azioni delittuose, era risultata la presenza dei veicoli presso la ditta dell’imputato, previo contatto telefonico tra il medesimo e gli altri coimputati.
A tale proposito, sono state valorizzate anche alcune intercettazioni telefoniche (segnatamente le nn. 322 e 343 del 5 e 6 luglio 2018), oltre ai contatti intrattenuti con alcuni associati al momento dello scarico del materiale oggetto di furto.
In particolare, sono stati indicati contatti con (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis).
Le spiegazioni alternative fornite da (omissis) sono state ritenute tali da non smentire la ricostruzione della sentenza di primo grado, con particolare riferimento alle deduzioni aventi ad oggetto le fatture relative alla merce acquisita il 21 e il 23 maggio 2018.
La documentazione è stata considerata un «modo per far apparire come lecite le operazioni di ricezione dei beni che, invece, sapeva essere di illecita provenienza».
Circa la consapevolezza dell’imputato della provenienza delittuosa del materiale, i giudici di merito hanno richiamato una conversazione del (omissis) (omissis) intercorsa (omissis) avente ad oggetto l’attività di pronto occultamento posta in essere da (omissis) segnalato gli orari insoliti (e incompatibili con acquisti in buona fede) in cui (omissis) veniva contattato per consentire lo scarico della merce; conseguentemente è stato ritenuto impossibile qualificare il reato ai sensi dell’art. 712 cod. pen.
La causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. è stata esclusa a causa della natura permanente del reato associativo e, per quello di ricettazione, in ragione della pena massima edittale per esso prevista.
2. Avverso la sentenza, (omissis) (omissis) ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore di fiducia, avvocato (omissis) articolando due motivi di impugnazione.
2.1. Con il primo ha eccepito l’erronea applicazione dell’art. 416 cod. pen. in ragione del travisamento delle prove che avrebbe determinato l’erroneità della
In sostanza, la sentenza è stata censurata per il vizio di motivazione contraddittoria e manifestamente illogica in conseguenza dell’erronea interpretazione delle prove acquisite.
Nel ricostruire la penale responsabilità dell’imputato i giudici di merito avrebbero omesso di considerare le dichiarazioni rese dallo stesso sia nell’interrogatorio di garanzia che in quello delegato successivo alla notifica dell’avviso ex art. 415-bis cod. proc. pen., oltre che quanto illustrato nella memoria contestualmente depositata.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte di appello, non è emersa alcuna prova dell’esistenza dell’accordo stabile tipico del delitto associativo, essendo risultata, piuttosto, la commissione di alcuni furti in assenza di un preventivo accordo fra i vari coimputati.
Il materiale oggetto dei furti, peraltro, è stato ricevuto da (omissis) solo in due occasioni e la circostanza è incompatibile con un accordo di natura stabile e, comunque, contraddittoria rispetto alla descrizione di un’attività che avrebbe visto «quasi sempre» l’indagato destinatario della refurtiva, tanto più che i passaggi dei veicoli nei pressi del deposito dell’imputato non sono stati seguiti da accertamenti relativi alla quantità e qualità della merce eventualmente scaricata.
Avrebbero, inoltre, errato i giudici di appello nel ritenere dimostrata la consapevolezza dell’imputato di partecipare ad un’associazione per delinquere poiché le conversazioni intercettate e valorizzate a tale proposito, dimostravano esattamente il contrario, ossia l’estraneità di (omissis) al gruppo.
Si tratta, infatti, di intercettazioni avvenute a distanza di mesi dai presunti conferimenti all’imputato e, comunque, intercorse tra soggetti diversi dal ricorrente.
In particolare, si è lamentato il travisamento delle intercettazioni nn. 322, 343 e 344 del 5 e 6 luglio 2018.
La tesi secondo cui (omissis) era consapevole della provenienza illecita della merce contrasterebbe con la circostanza che per quei beni è avvenuta l’emissione di autofatture da parte dell’imputato; circostanza non compatibile con la ricostruzione della sentenza che sul punto avrebbe reso una motivazione apodittica, trascurando il complesso delle allegazioni difensive.
La mancanza di una pronta disponibilità di (omissis) rispetto alle esigenze della presunta associazione, avrebbe reso evidente l’assenza dell’elemento soggettivo del delitto associativo.
2.2. Con il secondo motivo ha eccepito i medesimi vizi di cui al motivo precedente con riferimento al ritenuto delitto di ricettazione.
Poiché l’associazione è stata contestata come riferita alla commissione di una serie indeterminata di furti, avrebbe dovuto affermarsi, qualora si fosse ritenuta provata la partecipazione all’associazione, il concorso di (omissis) nei reati presupporti, non anche in quello di ricettazione con essi incompatibile in virtù della clausola di esclusione espressa di cui all’art. 648 cod. pen.
La ricostruzione di cui alla sentenza di condanna sconterebbe una contraddittorietà di fondo: solo se fosse ritenuto estraneo all’associazione potrebbe ipotizzarsi la sua responsabilità per il delitto di ricettazione, mentre se lo si ritenesse partecipe dell’associazione e, quindi, concorrente del delitto presupposto, non sarebbe configurabile, a suo carico, quello di ricettazione.
3. La difesa dell’indagato ha formulato tempestiva istanza di discussione orale ai sensi dell’art. 23 comma 8 D.L. 137 del 2020.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Quanto al primo motivo, si osserva che la motivazione è esente dalle censure difensive che si sostanziano, quanto al profilo della responsabilità per il delitto associativo, nel lamentato travisamento di elementi dei quali non è stata indicata la decisività in termini sufficientemente precisi.
In tal senso militano plurime e concorrenti ragioni.
2.1. Va premesso che, secondo orientamento costante, «nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, è inammissibile ex art. 606, comma 3, cod. proc. pen., il motivo fondato sul travisamento della prova, per utilizzazione di un’informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, che sia stato dedotto per la prima volta con il ricorso per cassazione, poiché in tal modo esso viene sottratto alla cognizione del giudice di appello, con violazione dei limiti del “devolutum” ed improprio ampliamento del tema di cognizione in sede di legittimità» (Sez. 6, n. 21015 del 17/05/2021, Africano, Rv. 281665 ed altre conformi).
Nel caso di specie, non risulta che il vizio di travisamento della prova sia stato devoluto in appello avendo contestato l’impugnazione di merito, piuttosto, la correttezza della valutazione degli elementi indiziari in funzione della ricostruzione del delitto associativo.
E’ costante, nella giurisprudenza di questa Corte, il principio per cui «ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, ricorre la cd. “doppia conforme” quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale». (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 ed altre conformi).
Con riferimento, invece, al vizio di travisamento della prova, proprio la circostanza che ci si trova di fronte ad una c.d. «doppia conforme», impone di richiamare l’ulteriore principio di diritto per cui «il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, sia nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti» (Sez. 4, n. 35963 del 03/12/2020, Tassoni, Rv. 280155; Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, L., Rv. 272018; Sez. 4, n. 44765 del 22/10/2013, Buonfine, Rv. 256837).
In ogni caso, non è stato chiarito quale peso abbiano avuto nella decisione della Corte di appello gli elementi sui quali sarebbe avvenuto il travisamento.
Infatti, il dato asseritamente travisato deve essere connotato dall’ulteriore requisito della decisività.
A tale proposito, deve essere ribadito che «il ricorso per cassazione con cui si lamenta il vizio di motivazione per travisamento della prova, non può limitarsi, pena l’inammissibilità, ad addurre l’esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, quando non abbiano carattere di decisività, ma deve, invece:
a) identificare l’atto processuale cui fa riferimento;
b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza;
c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda;
d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilità all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, F., Rv. 281085; Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, Damiano, Rv. 249035).
Va altresì richiamato l’altro principio per cui, nel giudizio di legittimità, «ai fini della deducibilità del vizio di “travisamento della prova”, che si risolve nell’utilizzazione di un’informazione inesistente o nella omessa valutazione della prova esistente agli atti, è necessario che il ricorrente prospetti la decisività del travisamento o dell’omissione nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica. (Sez. 6, n. 36512 del 16/10/2020, Villari, Rv. 280117).
Il giudizio di legittimità deve, quindi, svolgersi, con riferimento al vizio di motivazione e di travisamento della prova, secondo le descritte coordinate alla luce delle quali il motivo, per come proposto, deve ritenersi inammissibile.
2.2. Nel caso di specie, operando una lettura congiunta delle sentenze di merito, emerge che il ruolo associativo di (omissis) stato ricostruito in termini non manifestamente illogici, né contraddittori, oltre che con motivazione sufficiente.
Il dedotto travisamento, infatti, è funzionale a mascherare una censura che attiene al vizio di motivazione che può essere eccepito, com’è noto solo con riguardo ai profili indicati.
Sono adeguatamente illustrati gli episodi nei quali le automobili utilizzate da coloro che hanno commesso i furti sono poi transitate (sostando) nei pressi del magazzino di (omissis).
A tale proposito va richiamato il contenuto della sentenza di primo grado che ha dettagliatamente ricostruito i furti di materiale ferroso e altro avvenuti nei mesi di aprile e maggio 2018 e descritti nelle originarie imputazioni di cui ai capi 2), 3), 4) e 6) e oggetto di descrizione riassuntiva alle pagg. 16 – 20 della motivazione.
(omissis) in relazione a tali episodi, emerge come figura sulla quale il gruppo che effettuava i furti con modalità collaudate e sistematiche poteva contare per ricettare il materiale.
Ciò è accaduto in relazione agli episodi puntualmente descritti che non si sono limitati ai due segnalati dal ricorrente.
Per ricostruire il ruolo associativo dell’imputato e il suo inserimento in un contesto sufficientemente stabile e organizzato mediante una suddivisione dei ruoli, sono stati valorizzati anche plurimi contatti telefonici con i sodali, proprio in occasione della commissione dei furti, e le garanzie offerte dal cognato dell’imputato che, in più circostanze, ha garantito la disponibilità dell’affine agli scopi del gruppo.
Si tratta di elementi che sono stati correttamente letti in termini unitari e coordinati siccome convergenti verso la ricostruzione della partecipazione dell’imputato all’associazione.
A fronte di tali elementi indiziari, il ricorrente ha proposto, sostanzialmente, una lettura alternativa di profili che sono stati trattati e valutati dai giudici di merito.
In primo luogo, si fa riferimento alla memoria difensiva depositata dall’imputato in sede di interrogatorio di garanzia che la Corte ha espressamente menzionato a pag. 3 della motivazione.
Sul punto, va segnalato che il ricorrente non ha eccepito il difetto di motivazione su aspetti fattuali essenziali illustrati in quella sede, avendo, piuttosto, lamentato il citato travisamento delle prove indicate.
Rispetto alle deduzioni difensive, tuttavia, la Corte di appello, si è posta in chiave costantemente dialettica prendendole in considerazione in termini analitici e soffermandosi, in particolare, sul profilo dell’autofatturazione rispetto alla quale ha evidenziato come si tratti (tenuto conto del complessivo contesto nel quale si sono svolti i fatti) di espediente volto a far apparire la liceità di operazioni che, in realtà, erano illecite.
Anche in ordine alla proposta lettura alternativa delle intercettazioni, va evidenziata l’assenza di evidenti fratture logiche o palesi contraddittorietà avendo i giudici di merito operato, sul punto, una valutazione coordinata delle emergenze indiziarie valorizzando, peraltro, le date e gli orari in cui sono stati registrati i contatti tra imputato e altri sodali e operando un’interpretazione delle espressioni del cognato dell’imputato assolutamente priva di vizi evidenti e, quindi, sottratta al sindacato di legittimità.
3. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Nella contestazione del reato associativo è stata ipotizzata a carico di (omissis) (ed la condotta di avervi preso parte con la condotta consistita nel «ricevere i beni e la merce provento dei delitti contro il patrimonio realizzati dagli altri associati, facendola scaricare presso locali sicuri nella loro disponibilità, ivi occultandola e custodendola anche per il successivo riutilizzo e/o la successiva rivendita a terzi».
Non esiste, quindi, alcuna contraddizione tra l’essere stato il ricorrente ritenuto responsabile del reato associativo (con il ruolo ora descritto) e delle ricettazioni.
Nella costruzione delle sentenze di merito, il ruolo di (omissis) era quello di acquistare la merce oggetto di furto, né risulta contestata (tanto meno, risulta ritenuta) la sua partecipazione ai furti.
Deve, pertanto, concludersi che il motivo di ricorso poggia su un elemento fattuale totalmente eterogeneo (la partecipazione al reato presupposto) rispetto a quello ritenuto dai giudici di merito.
4. Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.
Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuale e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» al versamento della somma, equitativamente fissata in euro tremila, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 14/07/2023
Depositato in Cancelleria, oggi, Roma lì 25 settembre 2023.