Non è diffamazione riferire ai superiori che il collega è un “donnaiolo”, considerato che, oltretutto è vero, visto che aveva importunato anche la compagna e l’ex moglie dell’imputato (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 27 giugno 2023, n. 27913).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

QUINTA SEZIONE PENALE

Composta da:

CARLO ZAZA                                   – Presidente –

GRAZIA ROSA ANNA MICCOLI

EDUARDO DE GREGORIO

DANIELA BIFULCO                         – Relatore –

GIOVANNI FRANCOLINI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS) nato a (OMISSIS) il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 14/03/2022 del TRIBUNALE di CASSINO

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa DANIELA BIFULCO;

lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, Dott. GIOVANNI DI LEO, che ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità del ricorso

Ritenuto in fatto

1. È oggetto ricorso la decisione con il Tribunale di Cassino, in funzione di giudice d’appello, ha confermato la pronuncia con cui il Giudice di pace ha ritenuto (omissis) (omissis) responsabile del delitto di diffamazione, ai sensi dell’art. 595, primo e secondo comma, cod. pen., condannandolo alla pena di euro 500 di multa, oltre al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile, il carabiniere (omissis) per avere offeso al reputazione di quest’ultimo, riferendo a due superiori dello stesso che il predetto (omissis) infastidiva la sua compagna, (omissis) (omissis) (contattandola ripetutamente per telefono), nonché l’ex consorte; la frase incriminata è la seguente: “rompeva le palle a tutte le donne….cosa che faceva anche quando lavorava alla stazione di (omissis)

2. Avverso la sentenza, ha presentato ricorso l’imputato, per il tramite del suo difensore di fiducia, Avv. (omissis) articolando le proprie censure in tre motivi.

2.1. Con il primo motivo, si lamenta violazione di legge in relazione alla mancata assunzione di una prova decisiva, vale a dire l’escussione della teste (omissis) (omissis) nonché illogicità della motivazione in riferimento all’ordinanza di revoca della disposta rinnovazione istruttoria richiesta dalla difesa ex art. 603 del codice di rito.

Osserva la difesa che, a seguito di vari rinvii di udienza e dell’assegnazione del processo a un diverso Giudice, veniva illegittimamente revocata la rinnovazione dell’istruttoria, pur disposta dal primo Giudice in seguito a richiesta dell’odierno ricorrente.

Con motivazione illogica e carente, il Tribunale ha affermato che la prova richiesta dalla difesa non risultava in nessun modo decisiva, stante la completezza del compendio conoscitivo raccolto in primo grado e anche considerando che la teste avrebbe potuto riferire unicamente sui contatti intercorsi con la persona offesa, ma non anche sulla veridicità della frase oggetto di contestazione. Siffatta motivazione, ritiene la difesa, sarebbe inconferente rispetto alla exceptio veritatis prospettata dalla difesa.

2.2. Col secondo motivo, si eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento all’ordinanza di rigetto dell’istanza di rinvio per legittimo impedimento del difensore all’udienza. Sebbene la difesa avesse tempestivamente documentato motivi del proprio impedimento a presenziare all’udienza del 28 marzo 2018, nonché l’impossibilità di avvalersi di un sostituto ai sensi dell’art. 102 del codice di rito, il Giudice rigettava immotivatamente l’istanza, osservando soltanto che, in diverse e precedenti occasioni, era stato indicato un sostituto processuale.

Peraltro, l’imputato, informato dal suo legale dell’istanza di rinvio presentata, non si è presentato all’udienza, ciò che avrebbe determinato ulteriore lesione del diritto di difesa.

2.3. Col terzo motivo, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione per avere i Giudici del merito illogicamente fondato il giudizio di penale responsabilità dell’imputato unicamente sul tenore di una frase indubbiamente volgare, ma non anche idonea a ledere onore e dignità della p.o.; inoltre, non si sarebbe considerato il contenuto veritiero della frase stessa.

Ed infatti, come confermato dalla testimonianza di un maresciallo dei carabinieri, altre due donne, diverse dalla compagna e dalla ex moglie dell’imputato, avrebbero riferito di situazioni similari verificatesi con l’appuntato (omissis) ciò che avrebbe dovuto convincere i Giudici di merito dell’insussistenza dell’elemento psicologico del reato contestato. Le lamentele espresse dall’imputato ai superiori gerarchici della p.o. hanno, non a caso, trovato riscontro nel dato del trasferimento d’ufficio della p.o. in altra sede, a seguito di procedimento disciplinare.

3. Il Sostituto Procuratore generale, Dott. Giovanni Di Leo, ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità del La difesa di parte civile ha depositato conclusioni e nota spese.

Considerato in diritto

1. Il terzo motivo è fondato e assorbe le prime due doglianze.

Coglie nel segno, la difesa, nell’evidenziare l’inidoneità delle parole poste a base dell’ipotesi accusatoria (anche quando lavorava alla stazione di (omissis)), cosa che faceva a ledere la reputazione della persona offesa, trattandosi di un’espressione di cui non può affermarsi l’offensività neppure a volerla valutare in un contesto evocativo dell’intenzione eventualmente offensiva del soggetto attivo (Sez. 5, n. 50659 del 18/10/2016, Chichiarelli, Rv. 268604 – 01); circostanza, quest’ultima, che va esclusa in base alle stesse risultanze istruttorie evocate dai Giudici di merito.

In esse, per un verso, si indica la veridicità della circostanza narrata dall’imputato, per l’altro, si ricorda anche il trasferimento d’ufficio della persona offesa, in seguito a un procedimento disciplinare incardinato nei suoi confronti.

Il Collegio non trova condivisibile il giudizio espresso dal Tribunale in tema di assenza dei requisiti di continenza e proporzionalità dell’espressione utilizzata, in quanto sganciato dal contesto dialettico del caso di specie, su cui il Giudice stesso riporta l’attenzione, e da una più equilibrata ponderazione della portata dei toni utilizzati dall’imputato, sicuramente poco commendevoli, come ammesso dal ricorrente stesso, ma non anche contrassegnati dall’idoneità a ledere la reputazione, alla luce dell’assenza di sproporzione espressiva e dei concreti destinatari delle affermazioni (comandante e dipendente della stazione dei carabinieri di Scauri).

D’altra parte, secondo quanto chiarito da questa Corte (Sez. 5, n. 32027 del 23/03/2018, Maffioletti, Rv. 273573 – 01), in tema di diffamazione, nella valutazione del requisito della continenza, necessario ai fini del legittimo esercizio del diritto di critica, si deve tenere conto del complessivo contesto dialettico in cui si realizza la condotta e verificare se i toni utilizzati dall’agente, pur se aspri, forti e sferzanti, non siano meramente gratuiti, ma siano, invece, pertinenti al tema in discussione e proporzionati al fatto narrato ed al concetto da esprimere.

In nessun brano del contesto narrativo riportato, né nel fatto ascritto, è dato registrare quella “escalation narrativa”, ravvisata invece dal Tribunale, che avrebbe poi portato il ricorrente a trasmodare consapevolmente nell’arbitraria mortificazione del soggetto, così esponendolo al disprezzo dei colleghi” (p. 6 della parte motiva dell’impugnata sentenza).

2. In vista delle precedenti considerazioni, ritiene il Collegio che il fatto ascritto non sussista e che, pertanto, la sentenza vada annullata senza

P. Q. M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

Così deciso in Roma, il 9 marzo 2023.

Depositato in cancelleria il 27 giugno 2023.

SENTENZA