REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SESTA SEZIONE PENALE
Composta da:
Massimo Ricciarelli -Presidente
Giuseppina Anna Rosaria Pacilli -Consigliere
Paola Di Nicola Travaglini -Consigliere
Pietro Silvestri -Relatore
Ombretta Di Giovine -Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(omissis) (omissis) nato a (omissis) il xx/xx/19xx;
avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Venezia il 28/04/2022;
visti gli atti, il provvedimento impugnato, i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere, Dott. Pietro Silvestri;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, Dott. Raffaele Gargiulo, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
lette le conclusioni dell’avv. (omissis) (omissis) che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza di primo grado che aveva assolto (omissis) (omissis) al reato di cui all’art. 392 cod. pen., ha dichiarato inammissibile l’appello del Pubblico Ministero per l’intervenuta rinuncia e, in accoglimento dell’appello delle parti civili (omissis) (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) ha condannato l’imputato al risarcimento dei danni nei loro riguardi.
All’imputato, in qualità di proprietario di un determinato immobile sottostante alla proprietà dei coniugi (omissis) (omissis) (omissis) è contestato di essersi fatto ragione da sé perché – nell’ambito di una controversia che lo vedeva opposto alla suddetta coppia, quanto al diritto di proprietà e di accesso ad un vano intercapedine posto tra il pavimento della proprietà (omissis) (omissis), il soffitto della sua proprietà – pur potendo ricorrere al Giudice per far valere le proprie ragioni, avrebbe installato dietro la preesistente botola – che chiudeva l’apertura conservandola però accessibile dalla proprietà superiore – un’ulteriore porta in legno non rimovibile, così impedendo ogni accesso alla proprietà vicina al locale tecnico di servizio, necessario per la manutenzione degli impianti relativi a varie forniture (così l’imputazione).
2. Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato articolando tre motivi.
2.1. Con il primo si deduce vizio di motivazione in relazione al dovere di procedere alla rinnovazione delle fonti dichiarative.
Le parti civili nel giudizio di primo grado avevano riferito di avere avuto libero accesso all’interno dell’intercapedine in questione: detta possibilità era stata invece esclusa dai testi (omissis) (omissis).
Dunque, la Corte, per ribaltare il giudizio assolutorio, avrebbe dovuto procedere alla riassunzione delle dichiarazioni.
2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione dell’obbligo di motivazione.
La conferma della sentenza di assoluzione era stata chiesta sulla base di tre argomentazioni:
a) la mancanza di una controversia, anche di mero fatto, tra le parti;
b) la insussistenza della mutazione della destinazione d’uso dell’intercapedine in questione;
c) la insussistenza del previo possesso da parte delle parti civili.
Il Tribunale aveva assolto anche in relazione alla insussistenza del dolo.
Nella sentenza di assoluzione, si argomenta, erano state indicate le ragioni per cui non poteva essere considerata sussistente una controversia riguardante l’uso di quell’intercapedine ma la Corte, sul punto, si sarebbe limitata ad affermare in modo assertivo che invece fosse “pacifico” che le parti civili potevano accedere all’intercapedine in questione e che lo stato dei luoghi non poteva essere modificato dall’imputato se non con un’azione legale.
Una motivazione, secondo (omissis) non rafforzata.
Non diversamente, quanto alla motivazione sul mutamento della destinazione d’uso, a fronte delle considerazioni espresse dal Tribunale, la Corte sarebbe stata silente.
Anche in ordine alla insussistenza del previo possesso della cosa delle parti civili, la Corte, pur sollecitata dalla difesa dell’imputato, si sarebbe limitata ad affermare che sarebbe stato.. “pacifica” la possibilità di accedere da parte delle parti civili.
Né, ancora, sarebbe stato spiegato alcunché per confutare le argomentazioni del Tribunale in ordine alla insussistenza del dolo.
2.3. Con il terzo motivo si deduce ulteriore vizio di motivazione; il tema attiene alla impossibilità di accedere all’intercapedine dalle parti civili e alla insussistenza di un loro diritto a farlo.
3. E’ pervenuta, unitamente alle conclusioni, una breve memoria delle parti civili.
4. E’ pervenuta una breve memoria da parte del ricorrente, sostanzialmente reiterativa delle argomentazioni già contenute nei motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
2. In punto di fatto non è sostanzialmente in contestazione che:
a) tra il soffitto dell’appartamento occupato dall’imputato e il piano di calpestio di quello del piano superiore, occupato dagli inquilini – le odierne parti civili-, vi fosse una intercapedine all’interno della quale erano poste le tubature dei bagni, del gas e dell’acqua relative all’abitazione delle parti civili;
b) all’interno della intercapedine in questione si poteva accedere attraverso una apertura, raggiungibile dagli inquilini del piano superiore, calandosi su una tettoia che sporgeva dal piano di calpestio della loro terrazza;
c) l’imputato avrebbe “chiuso” quel passaggio apponendo una porta che impediva l’accesso a persone da lui diverse;
d) per effetto della porta in questione, le parti civili per accedere dovevano rivolgersi all’imputato.
Il Tribunale aveva assolto l’imputato ritenendo: a) insussistente una controversia tra le parti, anche solo in punto di fatto, sulla esistenza di un diritto di accesso a quel vano delle parti civili; b) non provata la violenza sul bene, essendo consistita la condotta dell’imputato nella mera chiusura dell’accesso al vano senza mutare la destinazione d’uso del bene, continuando quel bene ad assolvere alla stessa funzione, cioè quella di contenere le tubature e senza precludere l’accesso delle parti civili per eventuali riparazioni.
Rispetto a tale quadro di rifermento, la Corte di appello, senza procedere a nessuna rinnovazione della prova, ha invece ritenuto sussistente il reato contestato affermando che:
a) (omissis) avrebbe comunque condizionato il diritto di servitù dei vicini, onerando questi a chiedere di volta in volta l’autorizzazione per accedere a quel vano;
b) era “pacifico” che le parti civili utilizzassero quel vano e che l’imputato, per far cessare quella situazione, avrebbe dovuto rivolgersi ad un giudice;
c) con la chiusura di quel vano si sarebbe integrata “una condizione di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, con violenza sulle cose”.
3. Si tratta di una motivazione viziata.
Pur volendo prescindere dai temi relativi alla necessità di una motivazione rafforzata e da quelli inerenti alla rinnovazione della prova dichiarativa, la Corte di cassazione ha in più occasioni chiarito che se è vero che, ai fini della configurabilità del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, sussiste il requisito della violenza sulla cosa nella condotta dell’agente che, pur non arrecando danni materiali, si manifesti come esercizio di un preteso diritto sulla cosa modificandone arbitrariamente la destinazione, è altrettanto vero che detto principio deve essere posto in connessione con l’esigenza di una valutazione in concreto della offensività della condotta, e cioè con la verifica della incidenza che il mutamento della destinazione della cosa abbia avuto sull’interesse della persona offesa a salvaguardare il mantenimento inalterato dello stato dei luoghi (Sez. 6, n. 35876 del 20/06/2019, Costantino, Rv. 276479).
Se, cioè, ai fini della configurabilità del reato di ragion fattasi la “violenza” sulle cose può ritenersi realizzata da un mutamento della loro destinazione che si traduca nell’impedirne l’uso, detto impedimento deve assumere connotati di permanenza o almeno di continuità o sufficiente stabilità temporale e – per ciò stesso – di congiunta concretezza, intesa come ostacolo attuale e ineludibile alla necessità di utilizzazione del bene (“cose”) (Sez. 6, n. 4373 del 28/10/2008, dep. 2009, Sola, Rv. 242777).
Sul punto la motivazione è obiettivamente silente.
La Corte di appello, nel ritenere sussistente il reato contestato, ha omesso ogni valutazione sulla incidenza concreta della condotta dell’imputato sullo stato dei luoghi e sulla effettiva concreta offensività della condotta, non essendo stato chiarito affatto né se, nella specie, il bene, per effetto della condotta del ricorrente, abbia mutato la sua destinazione d’uso -circostanza esclusa dal Tribunale- e neppure se il prospettato mutamento di destinazione abbia di fatto comportato una stabile, continua, funzione impeditiva dell’uso del bene nei riguardi delle parti civili.
4. Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio al giudice civile per nuovo giudizio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello.
Così deciso in Roma, l’8 giugno 2023.
Depositato in Cancelleria oggi, 13 settembre 2023.