REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUINTA SEZIONE PENALE
Composta da:
Dott. GRAZIA ROSA ANNA MICCOLI – Presidente –
Dott. ENRICO VITTORIO STANISLAO SCARLINI – Relatore –
Dott. ALFREDO GUARDIANO – Consigliere –
Dott. MICHELE ROMANO – Consigliere –
Dott. PIERANGELO CIRILLO – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(omissis) (omissis) nata a (omissis) il xx/xx/19xx, madre del detenuto (omissis) (omissis) nato a (omissis) il xx/xx/19xx;
avverso l’ordinanza del 05/12/2023 della CORTE APPELLO di ROMA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ENRICO VITTORIO STANISLAO SCARLINI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa FRANCESCA CERONI che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
udito il difensore
L’Avv. (omissis) (omissis) per il ricorrente, si riporta ai motivi di ricorso chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 5 dicembre 2023, la Corte di appello di Roma dichiarava l’inammissibilità dell’istanza di revisione, avanzata da (omissis) (omissis) madre del condannato, del processo in esito al quale (omissis) con sentenza della Corte d’assise di Napoli del 29 settembre 2016, confermata dalla Corte di assise di appello della stessa città il 17 gennaio 2018, divenuta definitiva a seguito del rigetto del ricorso da parte di questa Corte di cassazione il 4 aprile 2019 – era stato ritenuto colpevole dei delitti di duplice omicidio e di detenzione e porto abusivo d’arma da sparo, entrambi aggravati dal metodo mafioso, consumati in (omissis) il 31 maggio 2014, con la condanna a 29 anni di reclusione.
La Corte riteneva manifestamente infondata l’istanza di revisione – fondata sulla invocata illegittimità (alla stregua dei principi di diritto fissati dalla Corte EDU) dell’acquisizione dei reperti biologici che erano stati comparati con delle tracce rinvenute sul luogo del delitto – per le seguenti ragioni.
La Corte ripercorreva i brani della motivazione della sentenza della Corte EDU Petrovic vs Serbia del 14 agosto 2020 – costituente il fondamento giurisprudenziale dell’istanza di revisione – ritenendola però inconferente nel caso concreto posto che il presupposto della stessa era stato il diretto prelievo dall’imputato (il cui consenso era stato viziato dal contesto in cui era stato raccolto) del materiale biologico da utilizzare per la comparazione (con le tracce raccolte) mentre, nell’odierno caso concreto, non vi era stato prelievo alcuno, vista che vi era stata la possibilità di procedere al sequestro di sostanza ematica presso un nosocomio ove era stata prelevata all’imputato al fine di compiere le necessarie analisi mediche.
L’assunta violazione della privacy del (omissis) non si era pertanto attuata poiché la medesima avrebbe potuto discendere dal solo prelievo forzoso dei reperti da comparare.
2. Propone ricorso l’istante (omissis) (omissis) sempre nell’interesse del figlio (omissis) a mezzo del proprio difensore Avv. (omissis) (omissis), articolando le proprie censure in due motivi.
In premessa si evidenziava come, nel processo di cui si era chiesta la revisione, fosse stata considerata prova decisiva ii rinvenimento sul luogo del delitto di un flacone del farmaco “ventolin” sul quale era stato rinvenuto un DNA, risultato, a seguito dell’effettuata comparazione, risalire al (omissis)
Nel medesimo processo, però, non si era valutato il fatto che il prelievo del patrimonio genetico del (omissis) era stato operato in difetto del suo consenso, con il sequestro del liquido ematico contenuto in alcune provette, sequestro disposto dal pm il 3 giugno 2014.
Un prelievo che, secondo la sentenza della Corte EDU Petrovic vs. Serbia, costituiva una violazione della privacy che, erroneamente, la Corte aveva ritenuto inconferente nel caso concreto, solo perché ii pm aveva disposto il sequestro delle provette relative ad un’analisi in corso presso un nosocomio, non provvedendo così ad alcun prelievo forzoso.
2.1. Con il primo complesso motivo deduce la violazione di legge, ed in particolare degli artt. 8 Convenzione EDU, 191 e 253 cod. proc. pen., in ordine all’omessa considerazione, da parte della Corte d’appello, della eccezione di inutilizzabilità proposta.
Si era infatti dedotta la violazione della privacy del condannato, in allora imputato, consumata acquisendo senza il suo consenso il suo profilo genetico.
Una violazione che prescinde dalla modalità attraverso le quali si era giunti a disporre del materiale biologico necessario.
Non poteva, infatti, concludersi che, solo per avere lasciato nelle provette di un ospedale, il prevenuto avesse perso la sua naturale signoria sul sangue in esse contenuto. Si era anche sviata la ragione di tale disponibilità, limitata agli accertamenti medici richiesti dall’interessato.
Sul punto – il rispetto dell’integrità e della vita privata della persona ed il divieto di intromissioni nella stessa ad opera dell’autorità pubblica – l’art. 8 della Convenzione EDU era inequivoco. Plurime erano le decisioni della Corte EDU in tema di acquisizione di DNA non consentita (Petrovic. c. Serbia 14/8/20, Marper c. UK 4/12/08, Caruana c. Malta 15/5/18, W. C. Olanda 20/1/09).
La Corte EDU, in particolare nella sentenza Petrovic, aveva precisato che:
– in tema di protezione della riservatezza deIla vita privata (cosl anche Paradiso c. Italia 24/1/17 e Caruana c. Malta già citata) la legge nazionale che prevede ii prelievo di reperti biologici deve essere chiara, prevedibile e adeguatamente accessibile;
– nel caso sottoposto al suo esame, invece la polizia giudiziaria serba non aveva citato alcuna norma che consentisse di acquisire il materiale biologico. L’art. 131 cod. proc. pen. dell’ordinamento serbo dell’epoca non aveva l’adeguato grado di specificità per poter essere applicato anche a tali acquisizioni (diversamente da quanto previste nelle modifiche del 2011);
– il prevenuto non aveva mai prestato alcun valido consenso a tale acquisizione o alla successiva comparazione.
Stanti tali principi di diritto, la ricorrente riteneva si fosse verificata un’analogo vizio nel processo di cui si é chiesta la revisione.
Nelle norme italiane dell’epoca non era rinvenibile quella specifica disciplina, richiesta dalla Corte EDU in tema di acquisizione del profilo genetico dell’imputato. Erroneamente la Corte di merito aveva ritenuto di trarla dalle norme afferenti il più generale sequestro probatorio.
Del resto, il diritto interno disciplina, all’art. 224 bis del codice di rito, solo gli atti d’indagine diretti a limitare la libertà personale al fine di acquisire i campioni genetici ma non appresta alcuna tutela all’ulteriore diritto fondamentale, la riservatezza del proprio profilo genetico.
2.2. Con il secondo motivo lamenta la violazione di legge ed il difetto di motivazione in ordine al mancato riconoscimento del requisito della novità della prova così come enunciata nell’istanza.
La questione proposta, infatti, non era stata neppure implicitamente valutata nel corso del processo, ne nei gradi merito, ne in quello di legittimità.
Costituiva un travisamento del dato processuale l’affermazione che tale eccezione fosse stata, invece, già avanzata. Si era, infatti, in allora contestata la prova genetica solo sotto il profilo del possibile inquinamento dei reperti, della creazione di una prova artefatta e della presenza del medicinale per ragioni diverse da quelle inerenti ii consumato delitto.
3. II Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, nella persona del sostituto Francesca Ceroni, ha inviato requisitoria scritta con la quale chiede l’inammissibilità del ricorso considerando che non si era affrontato l’argomento, speso dalla Corte circa la insussistenza del requisito di novità in relazione alla eccepita invalidità del sequestro del materiale biologico utilizzato per le comparazioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
II ricorso non merita accoglimento per la pluralità di ragioni che si illustreranno.
1. Per un corretto inquadramento delle successive argomentazioni va, innanzitutto, chiarito il reale contenuto dell’istanza di revisione avanzata nell’interesse del condannato.
Sulla base dell’assunto che l’attribuzione al prevenuto delle tracce biologiche tratte dalla confezione del medicinale “ventolin” lasciata sul luogo del duplice omicidio, si é individuata come “prova nuova”, tale da legittimare la revisione della condanna, un profilo di inutilizzabilità della medesima, dipendente, però non dalla incongrua raccolta delle tracce sulla confezione di medicinale (o da altri vizi della prova genetica), ma solo dalla impropria raccolta del materiale biologico di comparazione.
Così però ricollegando la “prova nuova decisiva” non ad una fonte o elemento sopravvenuto – o a un profilo di inaffidabilità tecnica della prova in allora esperita – ma ad un passaggio, delle più complessa prova genetica, la raccolta del materiale biologico di comparazione, che se anche fosse stato in allora o fosse ora ritenuto illegittimo, altro non avrebbe comportato che il rinnovo, sempre perfettamente possibile anche sul piano tecnico, del medesimo, anche coattivamente, nei modi, in allora ed ora, previsti e garantiti dai già vigenti artt. 224 bis e 359 bis cod. proc. pen.
Così da smentire l’indispensabile requisito della “prova” assunta come “nuova”, la sua “decisività” (non tanto in rapporto al residua compendia probatorio, non oggetto del giudizio di ammissibilità dell’istanza di revisione, quanto quella stessa decisività “interna” alla medesima “prova nuova” che la dovrebbe fondare), posto che nulla si allega – e nemmeno si ipotizza – ad eventuale contestazione dei risultati della, in allora, avvenuta comparazione (del dna rinvenuto sul medicinale e del dna del prevenuto), la sola evenienza che avrebbe potuto, questa si, giustificare la revisione (Sez. 5, n. 2982 del 26/11/2009, dep. 2010, Veneruso, Rv. 245840) e che non può essere dedotta solo da un’eventuale illegittimità di un passaggio del più complesso accertamento.
2. Vi sono però ulteriori ragioni che depongono per la manifesta infondatezza del ricorso.
Si é visto, infatti, come l’istanza di revisione si risolva nella eccezione di inutilizzabilità di una prova, deducendola da un orientamento giurisprudenziale, successiva alla raccolta e verifica della prova stessa.
Si deve allora ricordare come questa Corte abbia già avuto modo di precisare come non sia consentito far valere come ipotesi di revisione la inutilizzabilità di una prova raccolta in giudizio (rispettando le norme, e l’interpretazione giurisprudenziale delle medesime, in allora vigenti) a seguito di un mutamento giurisprudenziale.
Un dictum dettato in particolare per l’utilizzabilità delle conversazioni intercettate (anch’esse prove lesive della privacy degli interessati), ma che ha, per le affermazioni fatte, valenza più generale.
In particolare, si é affermato come non possa essere fatta valere come ipotesi di revisione la inutilizzabilità sopravvenuta delle intercettazioni poste a fondamento della decisione derivante dal mutamento giurisprudenziale di cui alle Sez. U. “Cavallo” del 2019, successivo all’irrevocabilità della sentenza, trattandosi del risultato di un’evoluzione esegetica, conducente ad una rivalutazione delle prove già assunte, inidoneo a travolgere il giudicato (Sez. 6, Sentenza n. 19429 del 03/05/2022, Schiavone, Rv. 283265).
Peraltro, anche quando l’inutilizzabilità di una prova non derivi da un’affermazione giurisprudenziale, si é negato che la stessa acquisti rilevanza come motivo di revisione.
Sempre in tema di intercettazioni, infatti, non si e ravvisato ii contrasto di giudicati (una delle possibili ragioni di revisione della condanna) quando:
– il contrasto di giudicati di cui all’art. 630, comma 1, lett. a), proc. pen., che legittima la revisione, attiene ai fatti storici presi in considerazione per la ricostruzione del fatto-reato e non alla valutazione dei fatti ne all’interpretazione delle norme processuali in relazione all’utilizzabilità di una determinata fonte di prova (Sez. 4, n. 43871 del 15/05/2018, Mancini, Rv. 274267);
– in tema di revisione per contrasto di giudicati, l’art. 630, comma primo, a), cod. proc. pen., non prevede la possibilità di rivalutare lo stesso fatto posto a fondamento della sentenza di condanna, attraverso la difforme interpretazione di una norma processuale relativa alla utilizzabilità di una determinata fonte di prova, operata in una sentenza di assoluzione pronunciata a carico dei coimputati in altro procedimento (Sez. 6, n. 25110 del 09/01/2009, Cifariello, Rv. 244519).
3. Né, a giudizio di questo collegio, colgono nel segno le proposte interpretazioni della sentenza della Corte EDU (Petrovic vs Serbia, ma anche Caruana vs Malta e Paradiso vs Italia) perché, come già rilevato dalla Corte d’appello, muovono tutte da un presupposto diverso, il prelievo dal soggetto, di volta in volta, interessato, di reperti biologici, prelievo che, per la sua connaturata invasività, deve certamente prevedere strumenti di tutela.
Tutela che, in particolare, la sentenza Petrovic riteneva violata, nel caso concreto sottoposto al suo giudizio, perché l’assenso dell’imputato era stato ottenuto in un contesto che non ne aveva garantito la spontaneità (una perquisizione domiciliare) e perché il diritto interno del Paese interessato non prevedeva un’adeguata e specifica garanzia, giungendo così a parificare il prelievo di materiale biologico dalla persona ad una qualsiasi altra attività di raccolta della prova.
Nel caso oggetto della presente istanza di revisione, invece, non solo non si era pervenuti al prelievo diretto dall’interessato ma, comunque, anche se tale evenienza si fosse verificata, la legislazione italiana, anche dell’epoca, ne avrebbe garantito il diritto alla riservatezza, dovendosi, e potendosi, procedere solo a norma degli artt. 224 bis cod. proc. pen. e 359 bis cod. proc. pen. che dettano disposizioni specifiche proprio sul “prelievo coattivo di campioni biologici su persone viventi” (l’art. 359 bis) sia sui “provvedimenti del giudice per le perizie che chiedono il compimento di atti idonei ad incidere sulla libertà personale”, costituendo così, come richiede la Petrovic, un quadro normativo chiaro, dettagliato e del tutto prevedibile.
4. E tuttavia, lo si ripete, si tratta di affermazioni giurisprudenziali e norme che trattano casi diversi da quelli oggetto dell’istanza di revisione, in cui si é inteso dedurre la violazione della privacy anche in relazione all’acquisizione di un dato sanitario (il sangue ed il dna da questo estraibile) in assenza di qualsivoglia “prelievo” sulla persona da cui doveva, per esigenze di indagine, ricavato.
Un’ipotesi che le pronunce della Corte EDU non contemplano affatto e che la giurisprudenza nazionale ha cos], in più occasioni, risolto:
– il prelievo di saliva, avvenuto all’insaputa dell’imputato, su mozziconi di sigaretta ed un “cotton fioc” da costui utilizzati, può essere effettuato ai sensi dell’art. 348 proc. pen., in quanto l’attività non determina alcuna incidenza sulla sfera della libertà personale dell’interessato, riguardando materiale biologico fisicamente separato dalla persona (Sez. 2, n. 51086 del 07/10/2016, Franchin, Rv. 269233);
– in tema di raccolta di materiale biologico, non é necessario ricorrere alla procedura prevista dall’art. 224 bis proc. pen. se il campione biologico sia stato acquisito in altro modo, con le necessarie garanzie sulla provenienza dello stesso e senza alcun intervento coattivo sulla persona (Sez. 1, n. 48907 del 20/11/2013, Costantino, Rv. 258269);
– é utilizzabile l’accertamento sull’identità dell’indagato compiuto mediante ricorso ai dati relativi al DNA contenuti negli archivi informatici della polizia giudiziaria, non sussistendo alcun divieto di legge riguardo la capacita organizzativa, da parte della p.g., dei dati conoscitivi singolarmente acquisti nelle diverse indagini (Sez. 2, n. 15577 del 21/01/2021, Russo, Rv. 281412).
5. In conclusione se ne deduce che:
– la prova oggetto dell’istanza di revisione non poteva considerarsi anche di per se sola decisiva;
– concretandosi nella pretesa di inutilizzabilità di un elemento di prova, non poteva costituire valido argomento per una revisione;
– tanto più perché l’inutilizzabilità stessa si assumeva derivasse da un mutamento giurisprudenziale;
– mutamento che, invero, atteneva a diversa fattispecie;
– comunque, nell’ordinamento processuale italiano erano previste idonee garanzie per tutelare la privacy del soggetto nei confronti del quale si sarebbe eventualmente dovuto effettuare il prelievo di una campione biologico;
– tutele che non si rendevano, invece, necessarie nel caso in cui il reperimento del materiale biologico di comparazione fosse stato effettuato in modi diversi dal diretto prelievo dalla persona interessata.
6. Da ultimo e solo per completezza, giova osservare che la tutela della privacy dell’indagato o dell’imputato o di altra persona coinvolta in un procedimento penale rispetto ai suoi dati sanitari, non può essere opposta all’autorità giudiziaria al fine di impedirne l’accesso, in assenza del consenso dell’interessato (come pare sostenere il ricorrente), posto che il limite che l’autorità incontra può essere solo quello, usuale, della pertinenza del dato al processo.
Diversamente opinando non si potrebbero acquisire i certificati medici, le cartelle sanitarie (e magari anche i dati relativi alle caratteristiche fisiche) utili per il giudizio se non acquisendo il previo consenso di colui al quale gli stessi si riferiscono (o se esiti autoptici qualora gli eredi li negassero).
Giungendo così a situazioni di stallo probatorio e di evidente paradosso processuale.
La tutela della privacy degli interessati, riguardo a propri dati sanitari, é garantita solo “a valle” della loro pertinenza al processo, per evitarne la non necessaria divulgazione al pubblico indistinto. Tutela che, nel diritto interno, trova puntuale attuazione nella disciplina dettata dall’art. 52 del d.lgs. n. 196/2003, in tema di oscuramento dei dati sensibili.
7. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Per quanto sopra si é rilevato e considerato si dispone l’oscuramento dei dati identificativi.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 d.lgs. n. 196/2003.
Così deciso, in Roma il 14 maggio 2024
Il Consigliere estensore Il Presidente
Enrico Vittorio Stanislao Scarlini Grazia Rosa Anna Miccoli
Depositato in Cancelleria Roma, lì 12 giugno 2024
Il Funzionario Giudiziario
Dott.ssa Maria Cristina D’Angelo