Ripartita al 50% la responsabilità tra il Comune e il motociclista deceduto a seguito di una caduta se il municipio non ha manutenuto la strada in condizioni di sicurezza ma il centauro viaggiava ad alta velocità (Corte di Cassazione, Sezione III Civile, Sentenza 18 settembre 2023, n. 26774).

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

ENZO VINCENTI                  -Presidente

EMILIO IANNELLO             -Consigliere

ANTONELLA PELLECCHIA -Consigliere-Rel.

GIUSEPPE CRICENTI          -Consigliere

PAOLO PORRECA               -Consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1599/2020 R.G. proposto da:

(omissis) (omissis) in proprio e nella qualità di genitore esercente la responsabilità sui minori (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) elettivamente domiciliati in (omissis);

-ricorrenti-

contro

Comune di (omissis) in persona del Sindaco, pro tempore, (omissis) (omissis), domiciliato in (omissis);

-controricorrente-

avverso la sentenza n. 777/2019 della CORTE D’APPELLO di (omissis) depositata il 22/10/2019;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’11/05/2023 dal Consigliere, dott.ssa ANTONELLA PELLECCHIA.

Rilevato che:

1. La presente controversia trae origine da un incidente stradale in cui decedeva (omissis) (omissis) mentre era alla guida del motociclo (omissis) nel Comune di (omissis).

In particolare, alle ore (omissis) circa, stava percorrendo (omissis), quando giunto nei pressi dell’ingresso del (omissis) nell’impegnare una curva con andamento destrorso, in cui era presente un tombino non a livello e un avvallamento della sede stradale, aveva perso il controllo della moto, scivolando rovinosamente a terra e andando a urtare contro lo spigolo anteriore destro di un veicolo fermo in sosta.

Sul luogo del sinistro era intervenuta la Polizia locale che aveva raccolto le dichiarazioni dei (omissis) (centauro affiancato e superato dalla vittima poco prima del sinistro) e (omissis) conducente di un veicolo che viaggiava in senso opposto a quello del (omissis) al momento dell’incidente) ed aveva redatto apposito verbale, in cui aveva descritto lo stato dei luoghi e la dinamica del sinistro in base alla posizione dei mezzi.

Nel (omissis), (omissis) (omissis) moglie di (omissis) (omissis) in proprio e quale genitore esercente la responsabilità sui figli minori (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) genitori e fratelli dello stesso, (omissis) e (omissis) (omissis) convenivano in giudizio il Comune di (omissis) chiedendone, previa declaratoria di responsabilità ex artt. 2043 e/o 2051 c.c., la condanna al risarcimento dei danni non patrimoniali subìti a seguito della morte del loro congiunto, oltre a quello biologico patito dalla moglie per la perdita del marito.

Il Tribunale di (omissis) all’esito dell’istruttoria, nel corso della quale aveva disposto una CTU medico legale sulla persona della (omissis) escusso il Signor (omissis), con sentenza n. 1881/2018, riconosceva l’esclusiva responsabilità del Comune ex art. 2051 c.c. nella causazione del sinistro e, per l’effetto, lo condannava al pagamento della complessiva somma di € 1.622.850,00, oltre interessi legali, così ripartita: € 279.200,00, a titolo di danno biologico della moglie; € 540.950,00, per i due figli minori; € 540.950,00, per i genitori conviventi con la vittima del sinistro; € 261.750,00, ai due fratelli con lui non conviventi. Infine, condannava il convenuto alla refusione delle spese legali in favore degli attori, liquidate in € 36.145,00, oltre accessori di legge.

2. Il Comune di (omissis) proponeva appello, chiedendo la riforma integrale della decisione di primo grado, contestando:

a) la carenza di legittimazione attiva degli istanti, non essendo verosimile che fossero tutti eredi legittimi del defunto;

b) l’insussistenza di una responsabilità dell’ente, in quanto la sporgenza del tombino e il dislivello del manto erano evidenti utilizzando la normale diligenza e quindi evitabili con una corretta condotta alla guida;

c) la quantificazione dei danni, essendo stati liquidati dal primo giudice come iure proprio, mentre i congiunti avevano agito come eredi, e dovendo di essi essere provata l’esistenza.

Infine, impugnava pure la condanna al pagamento delle spese di lite. In subordine, per il caso di conferma della sentenza, tenuto conto della condotta alla guida della vittima, chiedeva la riduzione del risarcimento ai sensi dell’art. 1227 c.c.

2.1. La Corte d’appello di (omissis) con sentenza n. 777/2019, depositata il 22 ottobre 2019, in riforma della decisione di primo grado, riteneva configurabile la responsabilità del Comune e attribuiva alla vittima un concorso di colpa del 50%, per non aver tenuto una velocità consona allo stato dei luoghi.

In particolare, il Giudice del gravame, dopo aver respinto l’eccezione di difetto di legittimazione attiva in ragione del rapporto parentale esistente tra gli istanti e la vittima, ciascuno titolare di un danno da perdita di congiunto, nel merito, riteneva applicabile la disciplina dell’art. 2051 c.c. Il Comune non aveva manutenuto la strada in condizioni di sicurezza, malgrado all’ente fosse possibile compiere controlli ed anche approntare segnalazioni di pericolo, nel caso non posizionate.

Con riferimento allo stato dei luoghi, la Corte evidenziava che v’era una descrizione dettagliata nel verbale della Polizia Municipale, il quale aveva efficacia probatoria privilegiata. Ad avviso del Collegio, anche se nel verbale le condizioni della strada erano qualificate come discrete, in realtà, dalla documentazione fotografica risultava la presenza di due insidie, costituite: l’una, da un tombino che era sottostante, rispetto al manto stradale, in media per circa 5 centimetri; l’altra, da un leggero avvallamento adiacente a tale tombino. Sul punto, la Corte segnalava come queste due insidie, rispetto alla direzione di marcia del centauro (da nord verso sud di (omissis) ed opposta alla direzione seguita dall’automobilista e teste (omissis) non gli si erano presentate in curva e tantomeno oltre la curva, “bensì apprezzabilmente prima di essa ed al termine di un ampio tratto pressoché rettilineo, come viene raffigurato in foto”. Sotto il profilo della visibilità, al momento del sinistro, circa le (omissis) rilevava la Corte che vi era ancora la luce diurna e comunque l’illuminazione era stata ritenuta sufficiente dalla Polizia Municipale.

Quanto alla dinamica e, in particolare, alla andatura del centauro, la stessa Corte poneva l’attenzione sulla sgommatura di mt. 7.45 del motociclo, ma soprattutto sulla striatura metallica sull’asfalto, iniziata dove finiva la sgommatura, a segnalare come il motociclo, per ben 40 mt. oltre i primi 7,45 mt, aveva continuato la sua corsa malgrado strisciasse sull’asfalto e il suo conducente fosse stato sbalzato dalla sella.

Questo, secondo la Corte, era segno, e conseguenza, di una velocità per nulla moderata del motociclo condotto dal (omissis) con smentita neppure proveniente dalla (mera) ipotesi (fatta dai verbalizzanti) che il centauro avesse involontariamente azionato la manopola dell’acceleratore proprio nella fase già di sbandamento mezzo, perché mai una manovra così istantanea avrebbe permesso al veicolo di acquisire una velocità che prima non aveva e tale da determinare uno scarrocciamento con strisciamento sull’asfalto per ben 40 mt. Da ciò si desumeva una velocità non adeguata rispetto alle condizioni della sede stradale, anche percepibile nella sua c.d. anomalia in ragione delle buone condizioni di visibilità.

Su tali basi, riteneva sussistere un concorso in percentuale paritaria tra il Comune e la vittima, atteso che proprio l’evento mortale (invece che magari lesioni personali anche gravi) derivava, anche, dalla violenza dell’urto del centauro contro l’ostacolo.

Sotto il profilo del quantum debeatur, la Corte, utilizzando le tabelle del Tribunale di Milano, confermava la liquidazione compiuta in primo grado per la moglie, i figli e i genitori conviventi con la vittima del sinistro, avuto riguardo all’età di costui, a quella dei congiunti e allo stretto rapporto parentale leso. Mentre, relativamente ai fratelli, posto che “non convivevano e nulla si sa del concreto rapporto interpersonale tenuto dalla vittima con i germani”, statuiva di non aver motivo per discostarsi dai valori medi, riducendo quindi il danno ad € 90.000,00 ciascuno. Confermava, poi, il danno biologico della vedova. Per effetto del concorso di colpa, l’importo di tutti i danni era dimidiato.

3. Avverso tale sentenza (omissis) (omissis) in proprio e nella qualità di genitore esercente la responsabilità sui due figli minori, (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) nonché (omissis) e (omissis) (omissis) propongono ricorso per cassazione, sulla base di cinque motivi.

Resiste con controricorso il Comune di (omissis).

Considerato che:

4.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta “Violazione degli 115 e 116 c.p.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.)”.

La Corte territoriale avrebbe erroneamente ricostruito i fatti di causa e conseguentemente ha affermato la sussistenza di un concorso del fatto colposo della vittima del sinistro, con ciò travisando alcune risultanze probatorie e non fondando la sua decisione sulle prove offerte dai ricorrenti. In particolare, dalla documentazione fotografica allegata al verbale di Polizia Municipale si evinceva che le anomalie della strada, costituite dal dislivello del tombino e dall’avvallamento del manto, erano in piena curva.

4.2. Con il secondo motivo, si censura “Violazione degli 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione ad altro capo della sentenza relativo alla asserita velocità non adeguata e/o eccessiva del motociclo”.

Oggetto di censura è la ricostruzione della dinamica del sinistro compiuta dalla Corte (omissis) con riguardo alla condotta tenuta dal centauro, per aver valutato in modo erroneo il verbale della Polizia Municipale e omesso di esaminare le fotografie attestanti i danni ai veicoli coinvolti. Prove che invece dimostrerebbero che il (omissis) procedeva  ad andatura moderata e comunque appropriata alla situazione dei luoghi.

4.3. Con il terzo motivo, si lamenta “Violazione e falsa applicazione di legge in relazione all’art. 2700 c. (art. 360 n. 3, c.p.c.)”.

La Corte di appello, pur riconoscendo al rapporto di Polizia Municipale efficacia probatoria privilegiata, non avrebbe “tenuto conto di tutta una serie di circostanze decisive contenute nel rapporto che, ove adeguatamente valutate, avrebbero dovuto indurre alla conferma della sentenza di primo grado”.

4.4. Con il quarto motivo, si censura la sentenza per “Violazione e falsa applicazione degli 2051 e 1226 c.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.)”.

La Corte avrebbe fatto malgoverno della disciplina in tema di responsabilità da cose in custodia prevista dall’art. 2051 c.c., in quanto, pur avendo riconosciuto il Comune di (omissis) custode della strada, non ha ritenuto che la presenza del tombino a dislivello e l’avvallamento del manto abbiano avuto efficienza causale esclusiva nella causazione del sinistro mortale, reputando sussistente un concorso di colpa del centauro.

I ricorrenti chiedono una riduzione della percentuale di concorsualità ritenendo illegittima la quantificazione paritaria operata dalla Corte.

4.5. Con il quinto motivo, si lamenta la “Violazione dell’art. 2043 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per l’illegittima riduzione dell’entità del danno non patrimoniale c.d. parentale in favore dei fratelli della vittima”.

La Corte avrebbe ridotto il risarcimento del danno in favore dei due fratelli della vittima “ritenendo non assistita da adeguata allegazione e/o deduzione la domanda avanzata dagli odierni ricorrenti”, incomprensibilmente non avrebbe fatto applicazione dei medesimi criteri valutativi adottati per la liquidazione dei danni in favore degli altri congiunti, vale a dire, età della vittima, quella degli stretti familiari e legame parentale in sé.

5. I primi due motivi di ricorso congiuntamente esaminati sono inammissibili.

Con essi, in particolare:

a) si deduce (e si mostrano le foto) che il tombino non era su rettilineo, ma in corrispondenza della curva e a tal riguardo si richiama anche il verbale della polizia municipale;

b) si deduce che da detto verbale si dava atto della pericolosità del tratto stradale;

c) si deduce che la velocità era moderata in base all’unica testimonianza e in base ai lievi danni riportati dalla moto.

Invero, occorre anzitutto rilevare che: sub a) la Corte territoriale non ha affermato che il tombino era su rettilineo, ma alla fine di questo e prima della curva destrorsa e il verbale della polizia municipale non dice diversamente; sub b) oltre ad essere questa valutazione non assistita da fede privilegiata, la Corte territoriale non ha disconosciuto tale pericolosità, tant’è che ha ritenuto responsabile il Comune; sub c) trattasi di valutazione rimessa al giudice di merito, il quale ha espresso il proprio convincimento anche su ulteriori dati di fatto.

In definitiva, le doglianze dei ricorrenti censurano, nel loro complesso, il ‘peso’ attribuito dalla Corte  (omissis) alle anomalie della strada e alla condotta del centauro, in termini di loro efficienza causale nella verificazione del sinistro.

Esse, dunque, aggrediscono la valutazione delle prove compiuta dalla Corte distrettuale e tentano di sollecitare una nuova disamina della quaestio facti, già congruamente scrutinata dal giudice del gravame.

Va, del resto, rammentato che la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (tra le tante, Cass. n. 11892/2016).

E’, altresì, inammissibile la censura che fa leva sulla violazione dell’art. 116 c.p.c., essendo orientamento stabile di questa Corte quello secondo cui il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, comma primo, n. 5, c.p.c., né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132, n. 4, c.p.c. – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale (nella specie, come detto, insussistente) che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (tra le altre, cfr.: Cass. n. 11892/2016; Cass. n. 23153/2018).

Con l’ulteriore precisazione che, in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (cfr. Cass. n. 11892/2016, citata; Cass. n. 18092/2020).

5.1. Anche il terzo motivo è inammissibile.

Le attestazioni contenute nel verbale di accertamento delle infrazioni al codice della strada fanno piena prova, fino a querela di falso, con riguardo all’avvenuto accadimento dei fatti e delle dichiarazioni ricevute alla presenza del pubblico ufficiale, non estendendosi la fede privilegiata all’intrinseca veridicità del contenuto delle informazioni in tal modo apprese (Cass. n. 31107/2022).

Nel caso di specie i ricorrenti non specificano dove la Corte d’Appello avrebbe violato la norma sulla fede privilegiata. Né la censura coglie l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata, giacché il giudice del merito distingue la parte del verbale della Polizia Municipale coperta da fede privilegiata (fatti accertati direttamente dai verbalizzanti: ovvero sulla fase statica del sinistro) e dove invece si tratta di valutazioni che non hanno fede privilegiata.

5.2. In particolare, sul quarto motivo di ricorso si osserva quanto segue.

Questa Corte ha affermato (Cass. n. 2482/2018) e di recente ribadito (Cass., S.U., n. 20943/2022; Cass. n. 11152/2023) i seguenti principi di diritto:

– la responsabilità ex 2051 c.c. ha natura oggettiva e, perciò, prescinde dalla colpa del custode; ne consegue che la capacità di vigilare sulla cosa, di mantenerne il controllo e di neutralizzarne le potenzialità dannose non integra un elemento costitutivo della fattispecie, rilevando unicamente alla stregua di canone interpretativo della fattispecie, funzionale a disvelare la “ratio legis” che presiede all’allocazione del danno;

– quando il comportamento del danneggiato sia apprezzabile come ragionevolmente incauto, lo stabilire se il danno sia stato cagionato dalla cosa, gestita così come custodita, o dal comportamento della stessa vittima o se vi sia stato concorso causale tra i due fattori, costituisce valutazione di merito da compiere sul piano del nesso eziologico, sottendendo un bilanciamento con i doveri di precauzione e cautela;

– a tal fine, ove la condotta del danneggiato assurga, per l’intensità del rapporto con la produzione dell’evento, al rango di causa autonomamente sopravvenuta dell’evento del quale la cosa abbia infine costituito, in questo senso, una mera occasione, viene meno il nesso eziologico con la “res”, anche se la condotta del danneggiato possa ritenersi astrattamente prevedibile, ma debba essere esclusa come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale da verificare dunque secondo uno “standard” oggettivo;

– pertanto, la condotta del danneggiato che entri in interazione con la cosa si atteggia diversamente a seconda del grado d’incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione – anche ufficiosa – dell’art. 1227, primo comma, civ., e dev’essere valutata tenendo anche conto del dovere generale di ragionevole cautela riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost.;

– quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione, da parte dello stesso danneggiato, delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo del danno, fino a rendere possibile, nei termini appena specificati, che detto comportamento superi il nesso eziologico astrattamente individuabile tra fatto ed evento dannoso.

Premessi questi principi di massima, nel caso di specie la Corte territoriale, coerentemente ai principi sopra enunciati ha ritenuto configurabile la responsabilità del Comune ed ha attribuito alla vittima un concorso di colpa del 50%, per non aver tenuto una velocità consona allo stato dei luoghi. In conclusione, i ricorrenti ripropongono le stesse critiche già espresse nei motivi precedenti (in ordine alla pericolosità della strada e alla velocità moderata del conducente), richiedendo una rivisitazione dei fatti probatori, là dove la valutazione ex art. 1227 c.c. è, come detto, squisitamente di merito e, pertanto, le censure sono volte a sostituire, inammissibilmente, l’apprezzamento effettuato dalla Corte territoriale.

6. Il quinto motivo di censura è infondato.

La Corte di appello ha deciso la questione di diritto sulla risarcibilità del danno non patrimoniale in favore dei fratelli e la relativa liquidazione in maniera conforme alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui:

i) “il pregiudizio risarcibile conseguente alla perdita del rapporto parentale che spetta iure proprio ai prossimi congiunti riguarda la lesione della relazione che legava i parenti al defunto” (cfr., ex plurimis, Cass. civ., Sez. III, Ord., 25/06/2021, 18284);

ii) tale pregiudizio “può essere allegato e dimostrato ricorrendo a presunzioni semplici, a massime di  comune esperienza, al fatto notorio, dato che l’esistenza stessa del rapporto di parentela fa presumere la sofferenza del familiare (Cass. 30/08/2022, n. 25541; Cass. 21/03/2022, n. 9010; Cass. 24/04/2019, n. 11212, ex  multis)” (v. Cass. civ., Sez. III, Ord., 14/02/2023, n. 4571).

La Corte territoriale, in armonia con tali principi, nel riconoscere l’esistenza dei danni in favore dei fratelli della vittima, ha dato conto delle circostanze poste a sostegno dell’entità della liquidazione degli stessi, facendo riferimento ai valori medi delle tabelle milanesi e ciò in quanto, a differenza degli altri congiunti (vedova, figli e genitori del de cuius), “non convivevano e nulla si sa del concreto rapporto interpersonale tenuto dalla vittima con i germani”; si tratta, dunque, di una valutazione di merito, come tale non sindacabile in questa sede.

7. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore del Comune controricorrente che liquida in complessivi euro 7.000, oltre euro 200 per esborsi, accessori di legge e spese generali.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte suprema di Cassazione in data 11 maggio 2023.

Il Presidente

Dott. ENZO VINCENTI

Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.