Risarcisce i danni la società in accomandita semplice di consulenza fiscale che tiene male la contabilità esponendo i clienti alle sanzioni dell’Agenzia delle Entrate (Corte di Cassazione, Sezione III Civile, Sentenza 25 agosto 2023, n. 25290).

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

ANGELO SPIRITO                -Presidente

CRISTIANO VALLE               -Consigliere – Rel.

GIUSEPPE CRICENTI           -Consigliere

ANNA MOSCARINI              -Consigliere

PAOLO SPAZIANI                -Consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 29925/2021 R.G. proposto da:

(omissis) S.A.S. di (omissis) (omissis) & CO., in persona del legale rappresentante in carica, elettivamente domiciliato in (omissis), alla via (omissis) presso lo studio dell’avvocato (omissis) (omissis) che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

(omissis) (omissis) (omissis) elettivamente domiciliato in (omissis) alla via (omissis) presso lo studio dell’avvocato (omissis) (omissis) che lo rappresenta e difende;

controricorrente

avverso la SENTENZA della CORTE d’APPELLO di ROMA n. 3141/2021 depositata il 29/04/2021.

Udita la relazione svolta, nella camera di consiglio del 18/05/2023 dal Consigliere relatore dott. Cristiano Valle;

RILEVATO CHE

Il giudizio in primo grado venne proposto, dinanzi al Tribunale di Roma, da (omissis) per ottenere il risarcimento del danno conseguente all’inadempimento della prestazione professionale relativa alla tenuta della contabilità della sua attività, da parte della (omissis) di (omissis) (omissis) & C. S.a.s. e di (omissis) (omissis) ragioniere.

Il (omissis) in particolare, lamentava il danno relativo ai calcoli errati e alla inesatta compilazione dei modelli fiscali effettuati dai convenuti, che in tal modo lo avevano esposto al pagamento delle cartelle esattoriali notificategli dall’Agenzia delle Entrate Riscossione.

Si costituirono in giudizio entrambi i convenuti, resistendo alla domanda ed eccependo preliminarmente il difetto di legittimazione passiva del ragioniere (omissis) (omissis).

Il Tribunale di Roma condannò, in solido tra loro, i convenuti al pagamento del risarcimento del danno in favore del (omissis) nella misura di oltre undicimila euro, corrispondente a quanto chiesto in domanda.

La Corte d’appello di Roma, adita dai soccombenti in prime cure, Con sentenza n. 3141 del 29/04/2021, in riforma della sentenza impugnata, accolse l’appello del ragioniere (omissis) (omissis) e lo ritenne non legittimato passivamente, in quanto non aveva egli concluso alcun contratto professionale con il (omissis) e in parziale accoglimento dell’appello della (omissis) (omissis) s.a.s. ridusse di circa cinquemila euro l’importo del risarcimento del danno in favore del (omissis) liquidandolo, quindi, in misura minore rispetto alla sentenza di prime cure.

Avverso la sentenza della Corte territoriale propone ricorso per Cassazione la (omissis) S.a.s. affidandosi ad un solo motivo di impugnazione.

Resiste (omissis) (omissis) con controricorso.

Non risulta il deposito di memorie.

RITENUTO CHE

L’unico motivo del ricorso deduce censure di violazione e falsa applicazione dell’art. 1176, 2236 cod. civ. in relazione all’art. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. e contraddittorietà della motivazione in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., per gli asseriti innumerevoli errori di diritto in cui è incorsa la Corte d’appello che ha attribuito la responsabilità alla ricorrente per omissioni imputabili al controricorrente.

La società ricorrente censura, altresì, il malgoverno delle regole che disciplinano il riparto dell’onere della prova in materia di responsabilità professionale.

L’unico, promiscuo motivo di ricorso è inammissibile, poiché, sul punto della responsabilità professionale della (omissis) S.a.s. di (omissis) (omissis) & C., in quanto preposta, in forza del contratto concluso con (omissis) alla tenuta della contabilità dell’attività di questi, si è formato il giudicato, atteso che la Corte territoriale ha integralmente confermato sul punto la decisione del Tribunale, affermando che il ragioniere (omissis) (omissis) non era legittimato passivo, poiché il rapporto professionale intercorreva tra (omissis) (omissis) la (omissis) S.a.s. di (omissis) (omissis) & C., che aveva assunto l’incarico e che lo aveva malamente adempiuto, in quanto non aveva provveduto correttamente all’espletamento della prestazione relativa alla tenuta della contabilità, cosicché il (omissis) era stato costretto al pagamento dell’importo di diverse migliaia di euro all’Agenzia delle Entrate e di altri enti pubblici preposti all’esazione di entrate fiscali.

La censura mossa sul punto è, pertanto, inammissibile non potendo in alcun modo essere ridiscussa la posizione della detta società in accomandita semplice, quale incaricata della tenuta della contabilità e dei connessi obblighi.

Deve, inoltre, ribadirsi che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 10966 del 09/06/2004 Rv. 573479 – 01) la valutazione relativa all’esistenza e all’entità della colpa del professionista è rimessa al giudice di merito e sindacabile in cassazione solo sotto il profilo dell’esistenza di una motivazione completa ed adeguata (più di recente si veda: Cass. n. 11213 del 09/05/2017 Rv. 644395 – 01).

La censura è altresì inammissibile in quanto in ricorso non sono riportati i punti dell’atto di appello  concernenti la responsabilità della (omissis) S.a.s., in guisa tale che fosse prospettata l’eventuale omissione di pronuncia della Corte territoriale sul punto.

Le restanti censure prospettate dall’unico motivo del ricorso, articolate in sette lettere, dalla A) alla G) sono inammissibili, in quanto del tutto fattuali, ossia volte a ottenere un nuovo accertamento di fatto, precluso dinanzi a questa Corte di legittimità.

Esse sono, altresì, inammissibili per il divieto di cd. doppia conforme di cui all’art. 348 ter, comma 5, cod. proc. civ., in quanto in ordine alle dette cartelle esattoriali e tributi i giudici di merito di primo e di secondo grado hanno svolto un accertamento di fatto coincidente e il ricorso, nelle dette lettere da A) a G) non propone alcun fatto diverso (si noti che il divieto di impugnazione di legittimità per cd. doppia conforme è stato ribadito, in diversa, rispetto alla previgente, collocazione codicistica, dal nuovo testo dell’art. 360, comma 4, cod. proc. civ., come, appunto, modificato dall’art. 3, comma 27, del d.lgs. n. 149 del 10/10/2022, applicabile ai giudizi introdotti con ricorso notificato dal 01/01/2023).

Il ricorso, in conclusione, è del tutto aspecifico in punto di violazione delle norme di diritto e si compendia in una contestazione meramente fattuale delle cartelle che secondo la società obbligata avrebbe dovuto pagare direttamente il (omissis) senza contestare minimamente che il rapporto professionale tra il (omissis) la (omissis) s.a.s. era accertato.

Il ricorso è, pertanto, dichiarato inammissibile.

Le spese di lite di questa fase di legittimità seguono la soccombenza della società ricorrente e tenuto conto dell’attività processuale espletata, in relazione al valore della controversia, sono liquidate come da dispositivo, in favore del controricorrente.

La decisione di inammissibilità del ricorso comporta che deve darsi atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1, quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della legge n. 228 del 2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.

Il deposito della motivazione è fissato nel termine di cui al secondo comma dell’art. 380 bis 1 cod. proc. civ.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1, quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sezione III civile, in data 18/05/2023.

Il Presidente

Dott. Angelo Spirito

Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.