Sconnesso il ciglio del marciapiede: niente risarcimento per il passante che non lo evita e finisce a terra (Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, Sentenza 2 dicembre 2021, n. 38025).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SESTA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 34161 del ruolo generale dell’anno 2019, proposto da

(OMISSIS) Giuseppe (C.F.: SP(OMISSIS)5Q) rappresentato e difeso dall’avvocato Rocco (OMISSIS) (C.F.: CN(OMISSIS)5D);

– ricorrente –

nei confronti di

COMUNE DI RUVO DI PUGLIA (P.I.: 00(OMISSIS)73), in persona del Sindaco, legale rappresentante pro tempore;

– intimato –

per la cassazione della sentenza del Tribunale di Trani n. 1293/2019, pubblicata in data 27 maggio 2019;

udita la relazione sulla causa svolta nella camera di consiglio in data 28 settembre 2021 dal consigliere Dott. Augusto Tatangelo.

Fatti di causa

Giuseppe (OMISSIS) ha agito in giudizio nei confronti del Comune di Ruvo di Puglia per ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito di un infortunio riportato per essere inciampato e caduto sul marciapiede sconnesso di una strada comunale.

La domanda è stata rigettata dal Giudice di Pace di Trani.

Il Tribunale di Trani ha confermato la decisione di primo grado.

Ricorre lo (OMISSIS), sulla base di due motivi.

Non ha svolto attività difensiva in questa sede l’ente intimato.

È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, 376 e 380 bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato inammissibile/manifestamente infondato.

È stata quindi fissata con decreto l’adunanza della Corte, e il decreto è stato notificato alle parti con l’indicazione della proposta.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia «Violazione della disciplina di cui all’art. 2051 c.c. e dell’art. 2043 c.c., con riferimento all’art. 360 n. 3 cpc».

2. Il motivo è in parte manifestamente infondato ed in parte inammissibile.

La decisione impugnata, in diritto, risulta conforme ai principi in tema di responsabilità da cose in custodia costantemente affermati da questa Corte (e che lo stesso ricorrente mostra anzi, almeno in parte, di condividere), secondo i quali:

a) il criterio di imputazione della responsabilità fondato sul rapporto di custodia di cui all’art. 2051 c.c. opera in termini rigorosamente oggettivi;

b) il danneggiato ha il solo onere di provare il nesso di causa tra la cosa in custodia (a prescindere dalla sua pericolosità o dalle sue caratteristiche intrinseche) ed il danno, mentre al custode spetta l’onere della prova liberatoria del caso fortuito, inteso come fattore che, in base ai principi della regolarità o adeguatezza causale, esclude il nesso eziologico tra cosa e danno, ed è comprensivo del fatto del terzo e della condotta incauta della vittima;

c) in particolare, il caso fortuito è connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, da intendersi da un punto di vista oggettivo e della regolarità causale (o della causalità adeguata), senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode;

d) le modifiche improvvise della struttura della cosa (tra cui ad es. buche, macchie d’olio ecc.) divengono, col trascorrere del tempo dall’accadimento che le ha causate, nuove intrinseche condizioni della cosa, di cui il custode deve rispondere;

e) la deduzione di omissioni, violazione di obblighi di legge, di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode rileva ai fini della sola fattispecie dell’art. 2043 c.c., salvo che la deduzione non sia diretta soltanto a dimostrare lo stato della cosa e la sua capacità di recare danno, e a sostenere allegazione e prova del rapporto causale tra quella e l’evento dannoso (si vedano, in proposito: Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 25856 del 2017; Sez. 3, Ordinanza n. 2478 del 01/02/2018; Sez. 3, Ordinanza n. 2480 del 01/02/2018, Sez. 3, Ordinanza n. 2482 del 01/02/2018; Sez. 3, Sentenza n. 8229 del 07/04/2010, Rv. 612442 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 12027 del 16/05/2017, Rv. 644285 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 25856 del 2017).

Tali principi di diritto – diversamente da quanto sostenuto nel ricorso – risultano correttamente applicati nella fattispecie.

I giudici di merito, infatti, con doppia decisione conforme, sulla base degli elementi istruttori acquisiti (e, in particolare, della documentazione fotografica del luogo del sinistro), hanno accertato, in fatto, che l’incidente era avvenuto esclusivamente a causa della condotta incauta della vittima, la quale, pur essendo evidente che il ciglio del marciapiede della strada comunale che stava percorrendo era caratterizzato da sconnessioni, rimarchevoli imperfezioni e disomogeneità, anziché transitare sulla restante parte dello stesso, lo aveva ugual- mente impegnato, senza però al contempo osservare la particolare prudenza in tal caso necessaria, secondo la comune diligenza, al fine di evitare di inciampare nelle relative anomalie.

Si tratta di un apprezzamento di fatto sostenuto da adeguata motivazione, non apparente né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non censurabile nella presente sede.

D’altro canto, le censure avanzate avverso la decisione di merito, in parte riguardano questioni che, sulla base dei principi di diritto più sopra esposti, non possono ritenersi rilevanti ai fini della decisione (ciò è a dirsi, in particolare, con riguardo alla allegazione della violazione di obblighi di legge e/o comunque dei criteri di comune prudenza e diligenza da parte del custode nella manutenzione della strada, circostanze rilevanti ai fini della sola fattispecie di cui all’art. 2043 c.c., che nella specie non viene neanche in discussione), mentre, per altra parte, finiscono in realtà per risolversi in contestazioni relative all’indicato accertamento di fatto, nonché in una richiesta di nuova e diversa valutazione delle prove, il che non è consentito nella presente sede.

3. Con il secondo motivo si denunzia «Omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio con riferimento all’art. 360 punto 5 cpc, in merito alla consulenza tecnica di ufficio».

Il motivo riguarda l’accertamento del danno biologico riportato dall’attore, quindi il quantum dell’eventuale risarcimento, e resta assorbito in conseguenza del mancato accoglimento del primo, relativo all’an debeatur.

4. Il ricorso è rigettato.

Nulla è a dirsi con riguardo alle spese del giudizio non avendo la parte intimata svolto attività difensiva nella presente sede.

5. Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, co. 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, co. 17, della legge 24 dicembre 2012 n. 228.

per questi motivi

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– nulla per le spese.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012 n. 228, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile, Sottosezione 3, in data 28 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria, oggi 2 dicembre 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.