REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
Composta da
Dott. LUCA RAMACCI – Presidente –
Dott. ANDREA GENTILI – Consigliere –
Dott. ALBERTO GALANTI – Consigliere –
Dott. GIUSEPPE NOVIELLO – Relatore –
Dott. MARIA BEATRICE MAGRO – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto dal
(omissis) (omissis) nato ad (omissis) il xx/xx/19xx;
nel procedimento a carico del medesimo;
avverso la sentenza del 30/04/2024 della corte di appello di Salerno;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Giuseppe Noviello;
letta la requisitoria del Sost. Procuratore Generale dr. Pietro Molino che ha chiesto l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato perché i reati sono estinti per intervenuto decorso del termine di prescrizione.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza di cui in epigrafe, la corte di appello di Salerno confermava la sentenza del tribunale di Vallo della Lucania del 5.12.2023 con la quale (omissis) (omissis) era stato condannato in ordine a reati edilizi e paesaggistici di cui ai capi a) (art. 44 lett. c) DPR 380/01) e g) (art. 181 del Dlgs. 42/04).
2. Avverso la predetta sentenza (omissis) (omissis) mediante il proprio difensore ha proposto, con due motivi, ricorso per cassazione.
3. Con il primo motivo ha dedotto vizi di violazione di legge e di motivazione in relazione data di realizzazione dell’intervento contestato, non essendo stata considerata – senza motivarsi sul punto – la dichiarazione al riguardo resa dal teste della difesa e tantomeno da un teste dell’accusa.
4. Con il secondo motivo rappresenta vizi di violazione di legge in ordine alla natura delle opere realizzate. Trattandosi di opere di edilizia libera e in particolare di una pergotenda.
La valutazione dei giudici sarebbe fondata su una non raggiunta prova delle caratteristiche dell’opera e sulla errata circostanza per cui i pilastri in legno da appoggia per la tenda sarebbero fissati con malta cementizia. Piuttosto, la struttura non creerebbe un volume chiuso essendo la copertura retraibile. Si aggiunge che l’opera rientrerebbe nell’ambito dei Dehors.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è manifestamente infondato. In quanto innanzitutto, si deducono dichiarazioni di due testi, riportate per sunto o stralcio, e non allegate.
Nonostante il noto principio secondo il quale in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione del principio di autosufficienza e per genericità, i motivi che deducano il vizio di manifesta illogicità o contraddittorietà della motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contengano la loro integrale trascrizione o allegazione (sez. 2, n. 20677 de/ 11/04/2017) Rv. 270071 – 01).
Va aggiunto che in sentenza si evidenzia come l’unica data certa emersa sia quella dell’accertamento del luglio 2020, a fronte di indicazioni generiche di altre date, ancorchè fornite da teste della accusa, e di dichiarazioni di un teste della difesa reputate motivatamente dal giudice come afferenti un’opera di indimostrata coincidenza con quella qui contestata.
Così che appare corretta l’evidenziazione della mancata prova da parte della difesa, quale suo onere, di fornire indicazione certa della diversa data di commissione del reato, come da essa prospettata.
Si ricorda, al riguardo, che in caso di procedimento per violazione dell’art. 20 legge 28 febbraio 1985 n. 47 (rectius 44 DPR 380/01), sempre restando a carico dell’accusa l’onere della prova della data di inizio della decorrenza del termine prescrittivo, non basta una mera e diversa affermazione da parte dell’imputato a fare ritenere che il reato si sia realmente estinto per prescrizione e neppure a determinare l’incertezza sulla data di inizio della decorrenza del relativo termine, con la conseguente applicazione del principio “in dubio pro reo“, atteso che, in base al principio generale per cui ciascuno deve dare dimostrazione di quanto afferma, grava sull’imputato che voglia giovarsi della causa estintiva, in contrasto o in aggiunta a quanto già risulta in proposito dagli atti di causa, l’onere di allegare gli elementi in suo possesso, dei quali è il solo a potere concretamente disporre, per determinare la data di inizio del decorso del termine di prescrizione, data che in tali ipotesi coincide con quella di esecuzione dell’opera incriminata (Sez. 3, n. 10562 del 17/04/2000 Rv. 217575 – 01 Fretto S.; di recente, Sez. 3, n. 27061 del 05/03/2014 Rv. 259181 – 01 Laiso.).
Per completezza va osservato che il teste di accusa citato in ricorso, seppur con mero stralcio della relativa testimonianza, riporta una forbice in cui eventualmente comprendere la commissione del reato tra il marzo 2016 e il 14 giugno 2019: per cui anche a volere, al più, retrodatare i fatti, sulla base di queste sole dichiarazioni (ferma restando la rilevazione preliminare di inammissibilità per mancata allegazione integrale), al 14.6.2019, la prescrizione sarebbe maturata, considerata altresì la sospensione della stessa per rinvio richiesto dalla difesa dal 4.10.2022 al 28.2.2023, pari a 4 mesi e 27 giorni, alla data del 10.11.2024. Epoca successiva alla pubblicazione della sentenza impugnata, del 30.4.2024.
2. Anche il secondo è inammissibile.
Proponendosi una diversa valutazione degli elementi disponibili ai fini della loro analisi anche giuridica, nonostante il principio per cui l’epilogo decisorio non può essere invalidato da prospettazioni alternative che si risolvano in una “mirata rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perché illustrati come maggiormente plausibili o perché assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa, nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507).
Quanto al vizio di manifesta illogicità esso, come quello di mancanza e contraddittorietà della medesima, deve essere di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità vertere su difetti di macroscopica evidenza, mentre rimangono ininfluenti le minime incongruenze e si devono considerare disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi giuridici (cfr., Sez. un., n. 24 del 24 novembre 1999, Rv. n. 214794; Sez. un., n. 12 del 31 maggio 2000, Rv. n. 216260; Sez. un., n. 47289 del 24 settembre 2003, Rv. n. 226074).
Né con il ricorso si deducono travisamenti di prova, anche in assenza di ogni allegazione e di prospettazione di dati che siano oggettivi ed inequivoci, posto il principio per cui, da una parte, il ricorso per cassazione con cui si contesti il travisamento di specifici atti del processo deve, a pena di inammissibilità, non solo indicare le ragioni per cui il dato travisato inficia e compromette la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione ma anche individuare in modo inequivoco e rappresentare in modo specifico gli atti processuali su cui fa leva il motivo (cfr. Sez. 6, n. 9923 del 05/12/2011 (dep.14/03/2012 ) Rv. 252349 S), dall’altra, sempre ai fini della configurabilità del vizio di travisamento della prova, è necessario che la relativa deduzione abbia un oggetto definito e inopinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della prova e quello tratto dal giudice, con conseguente esclusione della rilevanza di presunti errori da questi commessi nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima (in tema di prova dichiarativa Sez. 5, Sentenza n. 8188 del 04/12/2017 Ud. (dep. 20/02/2018) Rv. 272406 – 01).
3. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2025.