REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati
LUIGI ALESSANDRO SCARANO Presidente
CHIARA GRAZIOSI Consigliere – Rel.
PASQUALINA ANNA PIERA CONDELLO Consigliere
ANTONELLA PELLECCHIA Consigliere
GIUSEPPE CRICENTI Consigliere
ORDINANZA
sul ricorso n. 3849/2020 R.G. proposto da:
(omissis) S.p.A., rappresentata e difesa dall’avvocato (omissis) (omissis);
-ricorrente-
contro
(omissis) (omissis) rappresentato e difeso dall’avvocato (omissis) (omissis);
-controricorrente-
avverso la sentenza n. 1487/2019 del TRIBUNALE di TRANI, depositata il 17/6/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/10/2023 dal Consigliere, Dott.ssa CHIARA GRAZIOSI;
Rilevato che:
Il Giudice di pace di Barletta, accogliendo domande proposte da (omissis) (omissis) nei confronti di (omissis) s.p.a., dichiarava inefficace la clausola contrattuale di addebito all’attore delle spese di spedizione di fattura dell’utenza telefonica con condanna di controparte a restituirgli l’importo di euro 2,65 oltre a interessi e a risarcirgli danni patiti nella misura di euro 100.
(omissis) proponeva appello, cui controparte resisteva.
Il Tribunale di Trani lo accoglieva limitatamente alla domanda risarcitoria, che quindi rigettava, confermando la sentenza di primo grado per il resto.
(omissis) s.p.a., ex (omissis) ha proposto ricorso, articolato in due motivi. Il (omissis) si é difeso con controricorso.
Entrambi hanno depositato memoria.
Considerato che:
1.1. Con il primo motivo si denuncia, in riferimento all’articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 7, 9 e 34 c.p.c.
L’attuale ricorrente aveva eccepito l’incompetenza per valore del Giudice di pace in quanto la domanda di restituzione di quel che aveva incassato “presupponeva necessariamente l’accertamento relativo alla validità/efficacia di una clausola contrattuale”, altra domanda di valore indeterminabile e quindi rientrante nella competenza del Tribunale ai sensi dell’articolo 9 c.p.c.
Si invoca Cass. 4638/2002, per cui ricorre appunto lo spostamento nel caso in cui la questione di validità del rapporto contrattuale genera questione pregiudiziale da risolversi con efficacia di giudicato ex articolo 34 c.p.c.: e qui l’attore – argomenta ancora la ricorrente – aveva posto l’accertamento dell’efficacia del contratto a fondamento della domanda restitutoria e della domanda risarcitoria.
Il Tribunale aveva rigettato il relativo motivo d’appello reputando che la domanda “di accertamento della nullità della clausola contrattuale di addebito delle spese di spedizione della fattura non e domanda autonoma” rispetto a quella di indebito arricchimento e di restituzione, invocando Cass. 2106/1994.
Obietta la ricorrente che proprio tale arresto, in realtà, insegna che il principio del cumulo di cui all’articolo 10 c.p.c. non si applica per le domande prive di autonomia, essendo presupposto di altra domanda: e qui il principio del cumulo, che genera lo spostamento al giudice superiore, ad avviso della ricorrente deve evidentemente applicarsi, giacche “le domande di ripetizione di indebito ex art. 2033 c.c. presuppongono proprio l’accertamento con efficacia di giudicato dell’invalidità del contratto”, anche le domande risarcitorie basandosi su tale accertamento.
Viene riportato un passo motivazionale di Cass. 16635/2019 nel senso che l’articolo 10, secondo comma, c.p.c. – configurante il principio del cumulo – opera sempre, salvo che l’attore dichiari di voler contenere il valore della seconda domanda “in misura pari alla differenza” tra il limite della competenza del giudice adito e il valore espressamente determinato dall’altra domanda.
La giurisprudenza di legittimità insegna inoltre che, se la domanda di risarcimento dei danni viene proposta al Giudice di pace chiedendo una somma risarcitoria inferiore o pari al limite della giurisdizione equitativa di tale giudice o una somma maggiore o minore che risulti dovuta all’esito del giudizio, la seconda domanda alternativa non é, ai fini dell’articolo 112 c.p.c., meramente di stile: manca l’indicazione della somma richiesta, per cui in forza della seconda proposizione dell’articolo 14 c.p.c. deve presumersi che il valore coincida con la competenza del giudice adito, e altresì che, ai sensi del terzo comma dell’articolo 14, in difetto di contestazione da parte del convenuto del valore così presunto, detto valore rimane entro i limiti di competenza del giudice adito, cioè non supera il massimo della competenza di valore del Giudice di pace sulla tipologia di domande tra cui quella proposta (Cass. 1313/2006). Il che significa che non si riscontra una formula di stile e che pertanto il Giudice di pace é incompetente per il valore.
1.2. Il motivo, come emerge dalla pur dettagliata sintesi offerta, appare in qualche misura contorto; peraltro non può non notarsi che viene lamentata anche la violazione dell’articolo 9 c.p.c., da cui deriverebbe la competenza al Tribunale – il quale infatti é competente “per ogni causa di valore indeterminabile” -.
É effettivamente indeterminabile ai fini della competenza il valore dell’ “accertamento relativo alla validità/efficacia di una clausola contrattuale” (così il ricorso, a pagina 11); e qui vi é riferimento alla clausola attinente alle spese per la spedizione delle fatture. In primo grado l’attore aveva chiesto di accertare l’inefficacia di tale clausola “preliminarmente (incidenter tantum)” (ricorso, pagina 10).
L’articolo 34 c.p.c. stabilisce che, “se per legge” si deve decidere con efficacia di giudicato una questione che “per valore” e nella competenza del giudice superiore, si deve rimettere a quest’ultimo l’intera causa.
L’accertamento non può essere poi incidentale se e finalizzato alla ripetizione di un versamento relativo proprio all’adempimento della clausola di cui si vuole “incidenter tantum” accertare l’inefficacia – rectius, la nullità -; dunque il Tribunale ha effettivamente invertito l’insegnamento di Cass. 2106/1994 e, soprattutto, é giunto a disapplicare poi l’articolo 34 c.p.c., in quanto la causa doveva essere decisa in primo grado dal Tribunale, anziché dal Giudice di pace.
1.3. Tuttavia, nel testo ratione temporis vigente degli articoli 353 e 354 p.c. é previsto che solo per giurisdizione il giudice di appello rimette la causa al primo giudice – articolo 353 -, negli altri casi, e dunque in quelli rientranti nell’articolo 354 (tranne le eccezioni ivi indicate e qui non pertinenti), decidendo proprio il giudice d’appello.
Il motivo dunque é inammissibile perché privo di interesse, in quanto anche se il Tribunale non avesse non correttamente applicato i criteri della competenza avrebbe comunque dovuto decidere, senza alcuna remissione al Giudice di pace: e nel caso in esame il Tribunale ha effettivamente deciso, come emerge sine dubio dal complessivo prosieguo della sentenza stessa.
2.1.1. Con il secondo motivo si denuncia, in riferimento all’articolo 360, primo comma, 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 1341 c.c., 115 e 116 c.p.c., nonché, in riferimento all’articolo 360, primo comma, n. 5 c.p.c., omesso esame di fatto discusso e decisivo in ordine alla validità e alla efficacia dell’articolo 14 delle condizioni generali di contratto, con error in iudicando.
Con il quarto motivo d’appello l’attuale ricorrente aveva lamentato che il primo giudice aveva ritenuto inefficace tale articolo 14, statuente il rimborso delle spese di spedizione delle fatture, assumendo l’estraneità della spedizione di fattura dall’articolo 21 l. 633/1972 e quindi la validità della clausola.
Il Tribunale, ad avviso della ricorrente, ha confutato questo motivo mediante una motivazione inadeguata (si trascrivono ampi passi motivazionali da pagina 17 a pagina 20 del ricorso) e non condivisibile proprio per la giurisprudenza invocata dallo stesso Tribunale: Cass. 3532/2009 insegna che, per evitare la vessatorietà, é sufficiente che le condizioni generali del contratto prevedano mezzi alternativi di consegna della fattura senza l’esborso di costi.
2.1.2. In ordine a questa parte della censura deve fin d’ora osservarsi che la sentenza del Tribunale deduce proprio da 3532/2009 che nei servizi telefonici “le spese di spedizione della fattura non debbono necessariamente gravare sull’impresa che eroga il servizio, non potendo un siffatto obbligo desumersi dall’art. 21, comma ottavo, del d.P.R. 26 agosto 1973, n. 633, introdotto dal d.P.R. 23 dicembre 1973, n. 687, in quanto la spedizione non può ritenersi segmento dell’operazione di emissione della fattura, ne ricondursi ai conseguenti adempimenti e formalità.
Tali spese trovano invece disciplina nell’ambito del diritto civile e della volontà negoziale delle parti”, per cui può essere concordato che esse gravino sull’utente; peraltro sempre Cass. 3532/2009, cassando – con rinvio – la sentenza di merito, ha pure attribuito al giudice di rinvio il compito di verificare se la clausola delle condizioni generali, addossando all’utente tali spese, “non faceva salva, tuttavia, la facoltà di scegliere modalità alternative di ricezione della fattura”.
É dunque evidente che la sentenza d’appello qui impugnata non si é collocata in posizione divergente rispetto all’insegnamento della giurisprudenza di legittimità – Cass. 3532/2009, appunto – invocata, rendendo il motivo in questa parte privo di ogni consistenza.
2.2.1. La ricorrente, comunque, a proposito della previsione di mezzi alternativi di consegna della fattura senza costi cui si e riferita 3532/2009, obietta poi che “tali mezzi alternativi non possono coincidere con quelli desiderati” dal singolo utente, e che quando fu pronunciato il suddetto arresto “le condizioni generali di contratto non prevedevano la salvezza” della facoltà di ricevere con mezzi alternativi a quello postale; in seguito, avendo poco prima riportato (ricorso, pagine 20- 21) un ulteriore passo di tale arresto rilevante il non avere (omissis) nelle condizioni generali salvata la “facoltà di scegliere modalità alternative di ricezione ed in particolare quella del ritiro presso gli uffici della stessa (omissis) cui si é ora venuta ad aggiungere la trasmissione telematica”, la ricorrente afferma che i mezzi alternativi erano stati così individuati dalla pronuncia del 2009 “nello specifico e tra gli altri alternativamente nella possibilità del ritiro presso gli uffici della stessa (omissis) cui si è ora avvenuta ad aggiungere la trasmissione telematica”: e queste due possibilità alternative sono per la citata pronuncia del 2009 pari nella idoneità ad escludere la vessatorietà della clausola.
2.2.2. Anche questa parte della censura é immediatamente valutabile.
Ed é sufficiente rilevare che vi si attribuisce erroneamente alla giurisprudenza di legittimità di avere identificato quali siano i mezzi alternativi, e ciò in evidente contraddittorietà, in quanto, subito dopo, si riconosce che la pronuncia del 2009 ha correttamente attribuito invece al giudice del rinvio “il potere-dovere di valutare caso per caso la vessatorietà della clausola contrattuale relativa alle spese di spedizione” (ricorso, pagine 21- 22).
L’argomento della ricorrente é dunque privo di consistenza oltre ad essere intrinsecamente e palesemente contraddittorio, così da attingere l’inammissibilità.
2.3.1. Si sostiene poi che la motivazione della sentenza del Tribunale “e carente e mostra l’evidente vizio di esame di fatto” rilevante e discusso, per non aver considerato i commi sesto e ottavo dell’articolo 14 cit.; e il comma ottavo prevede che le fatture possono essere inviate anche all’indirizzo elettronico. Il giudice d’appello, secondo la ricorrente, ha dunque violato i principi dettati dalla giurisprudenza di legittimità, perché se avesse esaminato le condizioni generali del contratto non avrebbe dichiarato inefficace la clausola per vessatorietà.
Il motivo si conclude censurando che sia stata qualificata vessatoria la clausola 14.2 delle condizioni generali di abbonamento standard e sostenendo che, ai sensi dell’articolo 1469 ter c.c., poi trasfuso nell’articolo 34 d.lgs. 206/ 2005, non sono vessatorie le clausole che “riproducono disposizioni di legge”: e dovendosi intendere “in senso ampio” la norma giuridica, la clausola 14.8 presenta un contenuto “riproduttivo di disposizioni di carattere normativo, sebbene non di fonte primaria”, come per esempio gli articoli 53 d.p.r. 523/1984 e 30 d.m. 8 maggio 1997 n. 197. Pertanto “trattasi di clausola contrattuale meramente riproduttiva del diritto obiettivo” e quindi non vessatoria.
Si invoca infine (pagine 24- 25 del ricorso) il passo in cui il Tribunale reputa che nel caso in esame non vi sia nullità della clausola, bens1 che “parte attrice ha fatto valere . annullabilità” per non aver potuto scegliere l’utente altre modalità di ricezione della fattura: passo, questo, che sarebbe “decontestualizzato” e “privo di conclusione”, e comunque giuridicamente erroneo perché controparte non ha proposto la domanda di annullamento e perché il principio di diritto richiamato dal Tribunale qui non e applicabile.
Il ragionamento del Tribunale, sostiene ancora la ricorrente, é infatti “smentito dallo stesso legislatore”, che ha voluto dare tutela riguardo al contenuto specifico delle condizioni generali solo in settori particolari e predeterminati, come servizi bancari e finanziari, cui si riferisce “il precedente richiamato in sentenza”, e anche i contratti di concessione di credito al consumo; nulla previsto del genere e invece per i contratti relativi ai servizi telefonici, “mentre la motivazione del Tribunale equivale ad affermare tale obbligo a carico della (omissis) S.p.A.”.
2.3.2. Anche questa parte del motivo conferma che complessivamente la seconda e una censura palesemente inammissibile, in quanto consiste in un disordinato – e in certi punti anche ripetitivo – accumulo di doglianze diverse: il vizio motivazionale complessivo, l’omesso esame di elementi in riferimento all’articolo 360, primo comma, n.5 c.p.c., questioni varie – e palesemente erronee – di diritto, come il preteso mancato rispetto di Cass. 3532/2009. E infatti la rubrica già mostra (seppur parzialmente) la congerie che il motivo racchiude e che impedisce di identificare e articolare con sufficiente specificità il suo contenuto.
In più, ut supra già evidenziato, il Tribunale non ha affatto “disobbedito” alla giurisprudenza di legittimità, bens1 ha assunto in sostanza il ruolo interpretativo della fattispecie contrattuale concreta che Cass. 3532/2009 aveva affidato al giudice del rinvio, finalizzato all’accertamento della sussistenza o meno di un mezzo alternativo della posta: ha invero “integrato” (come in effetti riconosce) la sentenza del primo grado rilevando (si veda nella sentenza d’appello la parte finale della pagina 4 e la prima parte della pagina 5) che nella convenzione per la concessione dei servizi di (omissis) si stabilisce, e precisamente all’articolo 53, la modalità della riscossione addebitando le spese postali “salvo la facoltà degli abbonati di provvedere senza addebito di spese al ritiro delle bollette presso gli uffici della società” (sentenza, pagina 5).
Il giudice d’appello concorda poi con il primo giudice in ordine all’assenza di modalità alternative, e in particolare proprio di quella del ritiro presso gli uffici (omissis) (infatti, a pagina 22 del ricorso, dal secondo motivo emerge che tale possibilità al cliente mancava; ed é su questo che la prima parte del motivo variamente argomenta, senza peraltro contestandolo specificamente – si veda ancora a pagina 22 s. del ricorso -) e poi riqualifica la inefficacia/nullità attribuita dal primo giudice alla clausola in termini di annullabilità, sulla scorta di S.U. 19 dicembre 2007 n. 26724 (su ciò il motivo si limita ad affermare che non sarebbe stata proposta la domanda di annullamento, tacendo sulla ratio decidendi che il giudice d’appello ha tratto da S.U. 26724/2007) per giungere infine, a pagina 5 della sentenza, a rilevare d’ufficio la vessatorietà della clausola (e anche su questo la ricorrente non presenta alcuno specifico rilievo, limitandosi, come già si e visto, ad imputare al giudice d’appello di avere violato i principi di Cass. 3532/2009 perché non avrebbe esaminato le condizioni generali del contratto).
Un siffatto coacervo di argomentazioni eterogenee, prima ancora che ostendere la sua complessiva infondatezza, dimostra in conclusione una evidente inammissibilità, in quanto non rispetta le ripartizioni delle censure delineate dall’articolo 360 c.p.c. e soprattutto i confini della legittimità, miscelando il diritto con il fatto (in particolare con il contenuto delle condizioni generali del contratto), in sostanza come se l’ambito giurisdizionale equivalesse in questa sede a quello di un giudice d’appello.
3. In conclusione, essendo il primo motivo inammissibile per difetto di interesse ed essendo il secondo inammissibile per quanto appena evidenziato, il ricorso deve complessivamente essere dichiarato inammissibile.
La ricorrente, pertanto, deve essere condannata a rifondere a controparte le spese processuali, liquidate come da dispositivo.
Nel caso in esame, considerata altres1 la piena inammissibilità che connota il ricorso e le ragioni della decisione, si appalesano evidenti i requisiti, tanto quello oggettivo quanto quello soggettivo (quest’ultimo da ricondursi quantomeno alla colpa grave), per la condanna ex articolo 96, terzo comma, c.p.c., che si stima equa nella misura di euro 1.000,00.
Seguendo l’insegnamento di S.U. 20 febbraio 2020 n. 4315 si da atto, ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 1.000,00, di cui euro 800,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori di legge, nonché al pagamento della somma di euro 1.000,00 ai sensi dell’articolo 96, terzo comma, c.p.c., in favore del controricorrente.
Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2002 da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 19 ottobre 2023
Il Presidente
Luigi Alessandro Scarano
Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2023.