R E P U B B L I C A I T A L I A N A
In Nome Del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Illustrissimi Signori Magistrati:
dott. Guido Raimondi – Primo Presidente f.f.
dott. Ettore Cirillo – Pres. di sezione
dott. Lorenzo Orilia – Consigliere
dott. Lucio Napolitano – Consigliere
dott. Alberto Giusti – Consigliere
dott.ssa Rossana Mancino – Consigliere
dott. Francesco Terrusi – Consigliere
dott. Antonio Pietro Maria Lamorgese – Consigliere
dott. Marco Rossetti – Consigliere Rel.
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
sul ricorso n. 6148/23 proposto da:
-) Procura generale presso la Corte di cassazione, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Giovanni Di Leo;
– ricorrente –
contro
-) (omissis) (omissis), elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC del proprio difensore, difeso dall’avvocato Ivano Iai in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;
– ricorrente incidentale –
nonché
-) Ministero della Giustizia; Consiglio Superiore della Magistratura;
– intimati –
avverso la sentenza della Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura 22 novembre 2022 n. 15;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11 luglio 2023 dal Consigliere relatore dott. Marco Rossetti;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale dott. Pasquale Fimiani che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito, per la parte ricorrente, l’Avvocato (omissis) che ha concluso per il rigetto dell’impugnazione della Procura e per l’accoglimento del proprio ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. L’esposizione dei fatti di causa sarà limitata alle sole circostanze ancora rilevanti in questa sede.
2. I fatti.
Tra il 2019 ed il 2021, con successive contestazioni poi riunite, il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione contestò ad (omissis) (omissis) all’epoca dei fatti Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Castrovillari), tra gli altri, due illeciti disciplinari:
-) avere divulgato a terzi informazioni riservate o coperte da segreto, relative ad indagini in corso (capo di incolpazione contraddistinto dalla lettera “A”);
-) avere richiesto ad uno dei suoi sostituti (omissis) (omissis) di svolgere accertamenti ed indagini non consentiti su due magistrati ((omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) con finalità “ritorsive”, ovvero con lo scopo di accertare fatti penalmente rilevanti a carico dei due colleghi, ritenuti dall’incolpato “responsabili” dei suoi pregressi problemi disciplinari (capo di incolpazione contraddistinto dalla lettera “C”).
2.1. Più in dettaglio, la contestazione sub (A) venne formulata ai sensi dell’art. 2, comma 1, lettere (g) [grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile] ed (u) [diffusione di atti secretati o riservati] del d.lgs. 23.2.2006 n. 109.
All’incolpato venne ascritto di avere riferito a persona estranea all’ordine giudiziario, tale (omissis) (omissis)
-) di dovere compiere un determinato atto di indagine (interrogatorio);
-) di dovere interrogare un “pentito”, per fatti di criminalità organizzata;
-) che una persona imputata di omicidio sarebbe stata trasferita da un certo carcere ad un altro;
-) le proprie personali valutazioni sul coinvolgimento del fratello dell’interrogando nell’accusa di omicidio;
-) di essere alla ricerca di un luogo “sicuro” per compiere l’interrogatorio, e di avere anche a tal fine richiesto consigli all’interlocutore.
2.2. La contestazione sub (C) venne formulata ai sensi dell’art. 2, comma 1, lettera (d) [avere tenuto comportamenti scorretti nei confronti di altri magistrati] e (g) [grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile] del d.lgs. 23.2.2006 n. 109.
All’incolpato venne ascritto di avere richiesto al Sostituto Procuratore (omissis) (omissis) quando ormai non era più Procuratore della Repubblica, di compiere accertamenti sull’esistenza di eventuali conversazioni telefoniche o “contatti” avuti da due colleghi (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) con esponenti della criminalità organizzata, al dichiarato fine di “far la guerra” ai due magistrati cui l’incolpato riconduceva l’incipit dei propri problemi disciplinari.
2.3. Con sentenza 17.1.2023 n. 15 la Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura così provvide:
a) assolse (omissis) (omissis) dall’incolpazione di avere divulgato notizie riservate, ritenendo il fatto di “scarsa rilevanza”;
b) ritenne responsabile l’incolpato del solo illecito disciplinare di scorrettezza nei confronti di (omissis) (omissis) art. 2, comma 1, lettera (d)].
3. La motivazione della decisione di assoluzione.
La decisione assolutoria (pp. 9-12 della sentenza impugnata) venne motivata dalla Sezione Disciplinare con argomenti così riassumibili:
a) l’incolpato non aveva violato l’art. 329 p.p., perché tale norma vieta la divulgazione di atti, mentre (omissis) (omissis) aveva divulgato non già “atti“, ma “notizie” relative agli stessi;
b) l’incolpato non aveva violato l’art. 10, comma 2 ter, l. 15.1.1991 n. 8, perché nulla aveva riferito al suo interlocutore sul servizio di protezione del collaboratore di giustizia che avrebbe dovuto interrogare;
c) tutto quel che c’era da stabilire, pertanto, era se l’incolpato avesse violato (non la legge, ma) il “generico dovere di riservatezza“;
d) l’incolpato aveva effettivamente violato tale dovere, ma in modo non grave: non aveva infatti leso né l’interesse protetto dalla norma “incriminatrice”, né la propria immagine di magistrato;
e) l’interesse protetto dalla norma [art. 2, comma 1, lettera (u)] non era stato violato, perché la divulgazione di notizie riservate concernenti un collaboratore di giustizia costituisce illecito solo se idonea a ledere l’interesse di quest’ultimo; nel caso di specie l’interesse del collaboratore non poteva dirsi violato, perché le notizie divulgate dall’incolpato erano generiche ed inidonee a consentirne l’individuazione;
f) l’interesse generale a preservare l’immagine del magistrato non era stato offeso in modo grave, perché:
f’) sul piano soggettivo, “non appare irrilevante” che l’interlocutore dell’incolpato (il suddetto (omissis) (omissis) “appariva legittimato a causa dell’immagine pubblica che era riuscito a costruire intorno a sé” (sic);
f”) sul piano oggettivo, l’incolpato non aveva fornito ulteriori informazioni al suo interlocutore, sebbene richiesto, e comunque aveva effettuato tutte le operazioni successivo al colloquio con (omissis) (omissis) “tramite il canale del servizio di protezione“.
4. La motivazione della decisione di condanna.
Con riferimento alla contestazione di “grave scorrettezza” nei confronti dei colleghi, la sentenza impugnata ha esaminato separatamente l’accusa di scorrettezza nei confronti dei magistrati (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) da quella di scorrettezza nei confronti di (omissis) (omissis).
La prima contestazione è stata esclusa, la seconda ammessa.
4.1. Con riferimento alla condotta dell’incolpato nei confronti di Nicola (omissis) (omissis) (omissis) a Sezione Disciplinare (pp. 12-14 della sentenza impugnata) ha ritenuto che:
a) non è stato provato in facto che (omissis) (omissis) avesse esercitato pressioni sul sostituto (omissis) (omissis) affinché indagasse su (omissis) e (omissis)
b) non è stato provato in facto che (omissis) (omissis) quando interloquì col sostituto (omissis) (omissis) fosse già cessato dalle sue funzioni di Procuratore della Repubblica di Castrovillari;
c) non è stato provato in facto che (omissis) (omissis) avesse chiesto al Sostituto (omissis) (omissis) di accertare se il magistrato (omissis) (omissis) “avesse avuto contatti anomali” con esponenti della criminalità organizzata;
d) non è stato provato in facto che (omissis) (omissis) nel parlare con (omissis) (omissis) avesse usato appellativi sconvenienti od oltraggiosi nei confronti di (omissis) (omissis)
e) gli accertamenti demandati dall’incolpato al Sostituto (omissis) (omissis) comunque rientravano nell’alveo di una indagine già in corso, e quindi furono legittimamente compiuti; quanto poi al fatto che (omissis) (omissis) del disporre quegli accertamenti, nutrisse la “speranza di rinvenire negli atti elementi a carico di magistrati del distretto”, questo era un mero motivo personale, insuscettibile di rendere quella condotta disciplinarmente rilevante.
4.2. Con riferimento alla condotta dell’incolpato nei confronti di (omissis) (omissis) vece, la Sezione Disciplinare (pp. 14-15 della sentenza impugnata) ha adottato una motivazione così riassumibile:
a) i personali desideri dell’inquirente sull’esito delle indagini, se queste sono legittimamente compiute, non bastano ad integrare un illecito disciplinare;
b) se tuttavia quelle indagini, legittime ma mosse da motivi personali, non siano compiute in prima persona, ma vengano svolte coinvolgendo un altro magistrato, ciò costituisce una “grave scorrettezza”, consistente sia nell’avere abusato dell’affidamento di un collega “giovane ed inesperto”, quale era il sostituto (omissis) (omissis) sia nell’avere esposto quest’ultimo al rischio di sanzioni disciplinari.
5. La sentenza è stata impugnata per cassazione sia dalla Procura Generale (con ricorso fondato su quattro motivi), sia dall’incolpato (con ricorso fondato su quattro motivi).
(omissis) (omissis) ha altresì depositato ampia memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Osservazioni preliminari.
Il giudizio di impugnazione delle pronunce della Sezione Disciplinare del Consiglio superiore della Magistratura dinanzi alle Sezioni Unite civili della Corte di cassazione è soggetto alle regole del codice di procedura penale per quanto attiene alle modalità di proposizione del ricorso (Sez. U, Sentenza n. 24631 del 04/11/2020); ed alle regole del codice di procedura civile per lo svolgimento del processo, se non diversamente previsto (Sez. U, Sentenza n. 34992 del 28/11/2022; Sez. U, Sentenza n. 41991 del 30/12/2021; Sez. U, Sentenza n. 22302 del 04/08/2021).
Da ciò consegue che, nel caso di specie:
-) deve ritenersi tamquam non esset la notifica del ricorso di (omissis) (omissis) il Consiglio Superiore della Magistratura, il quale non è una “parte” del giudizio, ma solo l’organo giurisdizionale che ha pronunciato la decisione impugnata;
-) legittimamente (omissis) (omissis) pur non avendo notificato un controricorso alla Procura generale, ha potuto replicare all’impugnazione di questa nella propria memoria ex art. 378 c.p.c., dal momento che al giudizio disciplinare non s’applica per quanto già detto l’art. 370 c.p.c. (Sez. U, Sentenza n. 14550 del 12/06/2017).
2. Il primo motivo di ricorso della Procura generale.
Col primo motivo la Procura generale sostiene che la sentenza impugnata avrebbe violato l’art. 329 c.p.p., là dove ha escluso che la condotta dell’incolpato integrasse gli estremi della “grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile“.
Afferma la Procura generale che sia l’intenzione di un imputato di collaborare con la Giustizia, sia il luogo dove dovrà essere interrogato, sia il suo trasferimento dall’uno ad altro carcere costituivano notizie riguardanti “atti di indagine”; che la divulgazione di notizie su tali atti è vietata dall’art. 329 c.p.p.; che tale divieto deve ritenersi violato sia quando vengano resi noti a terzi documenti, sia quando venga loro riferito oralmente il contenuto di essi.
Il motivo si conclude con l’affermazione che la sentenza sarebbe erronea per avere affermato che costituisce “attività irrilevante sotto il profilo disciplinare” confidare a terzi notizie riservate.
2.1. Il motivo è inammissibile per più di una ragione.
In primo luogo è inammissibile per la sua intrinseca contraddittorietà.
Il motivo esordisce (p. 4) sostenendo che si intende impugnare la sentenza nella parte in cui ha escluso l’illecito disciplinare consistente nella violazione di legge [art. 2 lettera (g)] (così si afferma infatti a p. 5, secondo capoverso, del ricorso della Procura generale).
Nondimeno, tutta la successiva illustrazione (p. 5-6) si diffonde a sostenere che l’incolpato ha violato (non il segreto istruttorio, ma) il dovere di riservatezza (p. 6, terzultimo capoverso).
Il motivo quindi, per come è illustrato, non consente di stabilire se la parte ricorrente abbia inteso dolersi della violazione, da parte della Sezione Disciplinare, dell’art. 2, lettera (g), o piuttosto dell’art. 2, lettera (u), del d. lgs. 109/06.
2.2. In secondo luogo il motivo è inammissibile perché travisa la ratio decidendi sottesa dalla sentenza impugnata e non si correla ad essa.
Quest’ultima, infatti, ha così ragionato:
a) il magistrato che diffonde atti coperti da segreto viola l’art. 329 c.p.p. e, di conseguenza, commette l’illecito di cui all’art. 2 lettera (u), prima parte (“divulgazione di atti del procedimento coperti dal segreto“);
b) invece il magistrato che diffonda non atti, ma notizie, non si può dire abbia violato l’art. 329 p.p., ma ha comunque commesso l’illecito di cui all’art. 2, lettera (u), seconda parte (“violazione del dovere di riservatezza sugli affari in corso di trattazione, o sugli affari definiti, quando è idonea a ledere indebitamente diritti altrui”).
2.3. Pertanto:
a) non è esatto quanto dedotto dalla Procura generale, ovvero che la sentenza avrebbe affermato che la divulgazione di notizie da parte d’un magistrato del Pubblico Ministero sia “attività irrilevante sotto il profilo disciplinare”; la sentenza impugnata ha invece affermato l’esatto contrario, e cioè che divulgare atti e notizie riservati sono attività disciplinarmente rilevanti: la prima ai sensi dell’art. 2, lettera (u), prima parte, d.lgs. 109/06; la seconda ai sensi dell’art. 2, lettera (u), seconda parte, d. lgs. 109/06;
b) risulta oscura la censura secondo cui la Sezione Disciplinare avrebbe “ristretto a dismisura l’obbligo di riservatezza” gravante sui magistrati, dal momento che la sentenza ha affermato l’esatto contrario, e cioè che rivelare notizie riservate è violazione di tale obbligo, sebbene la violazione sia stata ritenuta non grave nel caso di specie;
c) risulta insanabilmente contraddittoria l’illustrazione del motivo là dove:
c’) da un lato ammette che la Procura ha contestato ad (omissis) (omissis) “non la violazione del segreto, ma la violazione del dovere di riserbo” (così il ricorso, p. 6, quinto capoverso, secondo rigo);
c”) dall’altro lato impugna una sentenza che, per l’appunto, ha escluso la violazione del segreto, e ritenuto sussistente la violazione del dovere di riservatezza (sia pure qualificandola “non grave”).
2.4. In definitiva, il primo motivo è inammissibile perché formula censure astratte che prescindono dal contenuto oggettivo della sentenza impugnata.
Tali ragioni di inammissibilità rendono non decisive le pur corrette osservazioni svolte dall’Avvocato Generale nella sua requisitoria (circa la distinzione tra “atto di indagine” ed “attività d’indagine”), dal momento che esse a ben vedere si sostanziano in un profilo di censura nuovo, non desumibile dall’illustrazione del ricorso per cassazione.
3. Il secondo motivo di ricorso della Procura generale.
Col secondo motivo la Procura generale prospetta il vizio di “mancanza assoluta di motivazione” della sentenza impugnata, nella parte in cui ha escluso la violazione, da parte dell’incolpato, dell’art. 329 c.p.p.
L’illustrazione del motivo poggia su argomenti così riassumibili:
-) (omissis) (omissis) riferì a (omissis) (omissis) informazioni concernenti oggettivamente atti di indagine;
-) in tal modo l’incolpato ha violato “il dovere di riserbo o meglio il doveroso segreto” sulle notizie in suo possesso;
-) “da qui l’eccepito difetto assoluto di motivazione”.
3.1. Il motivo è inammissibile per più ragioni.
3.2. La prima ragione è che lo stabilire se l’art. 2, lettera (u), primo periodo, d.lgs. 109/06 si riferisca solo alla diffusione di documenti, ovvero comprenda anche la diffusione di notizie, è questione di diritto, e rispetto alle questioni di diritto non è concepibile il vizio di difetto di motivazione di cui all’art. 606, lettera (e), c.p.p. [Sez. U – , Sentenza n. 29541 del 16/07/2020 Ud. (dep. 23/10/2020) Rv. 280027 – 05].
3.3. La seconda ragione è la intrinseca contraddittorietà dell’illustrazione del motivo.
La Procura infatti dapprima afferma (p. 5, primo capoverso, del ricorso), che una cosa è il dovere di non divulgare atti oggettivamente coperti da segreto, altra cosa è il dovere soggettivo di riservatezza; e poi nell’illustrazione del motivo in esame accomuna i due obblighi, sostenendo che la sentenza impugnata avrebbe trascurato di motivare “la violazione del dovere di riserbo o meglio del doveroso segreto”. L’illustrazione del motivo, quindi, non consente di stabilire se la censura di difetto di motivazione sia rivolta contro l’una o l’altra valutazione.
3.4. Ad abundantiam rileva il Collegio che comunque il motivo è infondato.
La sentenza impugnata una motivazione ce l’ha (p. 9-10), ed è quella riassunta al § 3 della precedente esposizione dei “Fatti di causa”.
Giusta o sbagliata che fosse in punto di diritto, trattasi di motivazione ben chiara, la quale ha stabilito (come già detto) che:
-) il dovere di riserbo fu violato, ma in modo non grave;
-) il dovere di segretezza non fu violato, perché l’incolpato non diffuse alcun “atto” del processo inteso quale documento.
4. Il terzo motivo di ricorso della Procura generale.
Col terzo motivo la Procura generale censura la sentenza della Sezione Disciplinare nella parte in cui ha ritenuto “di scarsa rilevanza” l’illecito disciplinare consistito nella divulgazione di notizie riservate.
Deduce la Procura generale che tale decisione è illogica e comunque basata sul travisamento dei fatti accertati.
Nella illustrazione del motivo si sostiene che la motivazione della sentenza sarebbe illogica:
-) sul piano oggettivo, perché ha ritenuto che le informazioni divulgate dall’incolpato fossero “inidonee a consentire l’identificazione dei soggetti coinvolti, il tempo e il luogo delle operazioni” di indagine, nonostante fosse incontestato che (omissis) (omissis) avesse addirittura chiesto al suo interlocutore di indicargli un luogo dove procedere all’interrogatorio;
-) sul piano soggettivo, perché ha ritenuto che fosse “scusabile” l’avere riferito notizie riservate a persona rivelatasi un millantatore, senza minimamente spiegare né in che modo (omissis) (omissis) avesse costruito attorno a sé una immagine pubblica, né donde ciò risultasse, né per quali ragioni tale “immagine pubblica “giustificasse le confidenze dell’incolpato.
4.1. Il motivo è fondato.
La sentenza impugnata ha ritenuto che le confidenze compiute da (omissis) (omissis) non potessero nuocere allo svolgimento delle indagini o alla incolumità del collaboratore di giustizia, perché erano così generiche da non consentire l’identificazione del collaboratore, né il luogo, né il tempo in cui sarebbe stato interrogato.
Trattasi di affermazione oggettivamente contrastante col contenuto della conversazione intercettata e posta a fondamento della incolpazione, ed il cui contenuto non è mai stato in discussione tra le parti.
In quella conversazione, infatti, l’incolpato riferì:
-) che sarebbe rimasto a (omissis) “fino a giovedì“, affermazione idonea a identificare il tempo dell’atto di indagine;
-) che avrebbe compiuto l’interrogatorio nel Commissariato di P.S. “((oomimsississ)is) affermazione idonea a identificare il luogo dell’atto di indagine;
-) che doveva interrogare una persona detenuta a ((oommiissssiiss)) e che si era pentito il fratello di una persona che sicuramente era l’autore materiale di un omicidio; tali ultime circostanze vennero riferite ad una persona alla quale – secondo quanto riferito nel capo di incolpazione, e mai messo in discussione dalla sentenza impugnata – erano “con evidenza già note” le indagini relative all’omicidio.
4.2. Tutte e tre le circostanze suddette, accertate in facto o comunque date per presupposte dalla sentenza impugnata, rendono contraddittoria quest’ultima, là dove qualifica le confidenze fatte da (omissis) (omissis) a (omissis) (omissis) come “generiche” ed “inidonee a consentire l’identificazione dei soggetti coinvolti, del luogo e del tempo delle operazioni”.
Ed infatti la decisione impugnata sarebbe stata ineccepibile se avesse ritenuto in punto di fatto che non vi furono altri scambi di informazioni tra l’incolpato e il terzo.
Ma non era questo il nostro caso: il capo di incolpazione ascrisse infatti ad (omissis) (omissis) di avere riferito informazioni aggiuntive su indagini “con evidenza già note all’interlocutore (omissis) (omissis)
Orbene, il pericolo scaturente dalla divulgazione di notizie riservate dipende non solo dal contenuto oggettivo della notizia, ma anche dalla conoscenza che l’interlocutore già possieda del contesto in cui quella notizia si inserisce.
E’ dunque evidente che il riferire – ad es. – del “pentimento del fratello dell’omicida” a persona totalmente all’oscuro dell’indagine sarà divulgazione effettivamente poco idonea a vulnerare la segretezza dell’indagine.
Ben altro è riferire la medesima notizia a chi già sappia di quale indagine si tratti, a carico di chi, e per quali fatti.
La sentenza impugnata, in definitiva, da un lato non ha messo in discussione la circostanza oggetto di incolpazione secondo cui all’interlocutore di (omissis) (omissis) erano “con evidenza già note” le indagini svolte dal primo; e dall’altro ha ritenuto che le notizie da quest’ultimo riferite fossero “generiche”.
Tale contraddizione mina insanabilmente il giudizio di “scarsa gravità” sul piano oggettivo dell’addebito disciplinare.
4.3. Più grave è il vizio di illogicità della motivazione, con riferimento alla ritenuta “non gravità soggettiva” della divulgazione di notizie La Sezione Disciplinare ha ritenuto che tale divulgazione non fosse grave sotto il profilo soggettivo con questa motivazione: “non appare irrilevante l’apparente legittimazione dell’interlocutore del dott. (omissis) dovuta all’immagine pubblica che l’7nforzato era riuscito a costruire intorno a sé”.
Null’altro si dice in sentenza.
4.4. Quella appena trascritta è effettivamente una motivazione apparente.
Essa infatti, non spiega:
-) chi fosse l’interlocutore di (omissis) (omissis);
-) donde risultasse che avesse una “legittimazione apparente” a ricevere informazioni riservate;
-) per quali ragioni tale “apparente legittimazione” fosse tale da indurre in errore un Procuratore della Repubblica;
-) infine (ma è quel che più rileva, anche ad ammettere che (omissis) (omissis) avesse l’abilità di (omissis)) per quale ragione in iure, ed a quale titolo, persone non appartenenti all’ordine giudiziario od alla polizia giudiziaria possano ritenersi “legittimate” a ricevere informazioni su indagini in corso.
5. Il quarto motivo di ricorso della Procura generale.
Col quarto motivo la Procura generale prospetta il vizio di manifesta illogicità della motivazione, nonché il travisamento del fatto e della prova. Il motivo investe la sentenza nella parte in cui ha ritenuto che l’incolpato abbia tenuto una condotta gravemente scorretta nei confronti del collega (omissis) (omissis) (chiamato (omissis) (omissis) pag. 13 del ricorso), e non anche nei confronti dei colleghi (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis)
Nella illustrazione del motivo sono esposte plurime censure che possono così riassumersi:
a) la sentenza non ha tenuto conto che “dall’esame delle rubriche dei telefoni sequestrati ad alcuni componenti della famiglia (omissis) erano emersi i numeri telefonici della moglie del dott. (omissis) [e di un senatore], ma non erano stati registrati contatti” fra gli indagati (ed in particolare uno di essi, tale (omissis) (omissis) i magistrati (omissis) e (omissis)
b) la sentenza non ha tenuto conto che “era emerso un tentativo della [(omissis) (omissis) di avere i contatti telefonici del dott. (omissis) (omissis) ma non vi erano stati contatti” (sic);
c) la sentenza non ha tenuto conto che (omissis) (omissis) dopo la notifica di una ordinanza cautelare con la quale era stato trasferito al Tribunale di Potenza, “si era sostanzialmente assentato dall’ufficio”.
5.1. Dopo avere esposto la censura di “omesso esame” di queste tre circostanze di fatto, il motivo prosegue sostenendo che la sentenza è “illogica” nella parte in cui non ha considerato che le indagini richieste da (omissis) (omissis) al suo sostituto (omissis) (omissis) seppur “lecitamente effettuate“, erano mosse da un intento personale di revanche.
L’illustrazione del motivo si conclude con l’affermazione che la sentenza sarebbe illogica per avere ritenuto l’incolpato responsabile di una grave scorrettezza nei confronti dell’autore mediato dell’illecito disciplinare ((omissis) (omissis) mandandolo invece assolto per la scorrettezza compiuta in danno delle vittime reali.
5.2. Il motivo è inammissibile per più ragioni.
Nella parte in cui denuncia il travisamento dei fatti, il motivo è inammissibile per difetto di rilevanza.
Il ricorso infatti:
a) non spiega che rilievo possa avere, ai fini della sussistenza o meno di scorrettezze nei confronti dei colleghi dell’incolpato, la circostanza che “dall’esame delle rubriche dei telefoni sequestrati ad alcuni componenti della famiglia (omissis) erano emersi i numeri telefonici della moglie del (omissis)
b) non chiarisce che rilievo possa avere la mancata considerazione di “un tentativo della (omissis) (omissis) di avere i contatti telefonici del dott. (omissis) (omissis) ma non vi erano stati contatti”.
Il presente giudizio ha ad oggetto l’incolpazione di avere svolto indagini a carico di colleghi per ripicca personale, e la sentenza impugnata – dopo avere accertato che le sue indagini furono legittimamente svolte – ha escluso la rilevanza disciplinare delle mere speranze personali dell’incolpato circa l’esito delle indagini.
Rispetto a tale ratio decidendi, pertanto, non si spiega qual frutto la Procura possa trarre dalla censura di omessa valutazione dei fatti sopra descritti. La sentenza ha affermato un principio di diritto che possiamo così riassumere: “le speranze e i sentimenti personali circa l’esito di determinate indagini non sono disciplinarmente rilevanti, se le indagini furono legittimamente compiute”. E tale principio da un lato non è investito dal ricorso; dall’altro non muterebbe alla luce delle circostanze sopra riassunte.
5.3. Il motivo è poi inammissibile per estraneità alla ratio decidendi nella parte in cui ascrive alla sentenza impugnata di non avere considerato che (omissis) (omissis) all’epoca in cui chiese a (omissis) (omissis) di compiere i contestati accertamenti su (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) “si era sostanzialmente assentato dall’ufficio”.
La sentenza impugnata, al contrario, ha espressamente preso in esame il problema della potestas inquirendi in capo all’indagato, spiegando le ragioni per le quali quest’ultimo, allorché indirizzò le proprie richieste a (omissis) (omissis) doveva ritenersi “nel pieno esercizio delle proprie funzioni” (così la sentenza impugnata, p. 12, sestultimo rigo: da tale motivazione il ricorso della Procura prescinde del tutto).
5.4. Il motivo, infine, è inammissibile nella parte in cui denuncia l’ “illogicità” della Quest’ultima infatti si fonda su un percorso logico così riassumibile:
-) (omissis) (omissis) dispose gli accertamenti su (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) “legittimamente”;
-) dunque nessuna scorrettezza compì nei confronti di essi;
-) motivazioni e speranze che si agitassero in interiore homine dell’incolpato erano irrilevanti, ai fini della contestazione disciplinare.
Questa motivazione illogica non è; lo stabilire poi se fosse corretta in punto di fatto è questione che esula dal perimetro del giudizio di legittimità.
5.5. Anche con riferimento al motivo in esame le ragioni di inammissibilità appena esposte assorbono la richiesta formulata dall’Avvocato generale nella sua requisitoria, e cioè correggere la motivazione della sentenza impugnata ed affermare il principio di diritto secondo cui la scorrettezza d’un magistrato nei confronti dei colleghi “è illecito di azione, non di relazione: quindi basta che sia tenuta la condotta, a prescindere dal fatto che il destinatario lo percepisca o ne subisca pregiudizio”.
Anche in questo caso infatti il pur condivisibile principio invocato dall’Avvocato generale resta estraneo al thema decidendum per come circoscritto nel ricorso della Procura Generale, per quanto già ampiamente esposto.
6. Il primo motivo del ricorso di (omissis) (omissis).
Col primo motivo del suo ricorso (omissis) (omissis) lamenta ai sensi dell’art. 606, lettere (c) ed (e), c.p.p., sia il vizio di violazione di legge, sia la nullità della sentenza per mancanza di motivazione.
Nella illustrazione del motivo il ricorrente sostiene che:
a) i verbali delle intercettazioni telefoniche disposte dalle Procure di Roma e di Salerno, da cui erano stati tratti gli elementi di fatto posti a fondamenti dell’incolpazione di “grave scorrettezza” (capo di incolpazione “C”), per avere imposto al sostituto (omissis) (omissis) indagini non consentite, “non risultano conservate presso i rispettivi Uffici”;
b) aveva di conseguenza eccepito l’inutilizzabilità di esse;
c) la Sezione Disciplinare non aveva esaminato tale eccezione;
d) ugualmente la Sezione Disciplinare non aveva motivato il rigetto della sua istanza di acquisizione di talune registrazioni acquisite nel corso delle indagini penali, ed in particolare quelle di tale (omissis) (omissis)
6.1. Nella parte in cui lamenta la “nullità per mancanza di motivazione” il motivo è manifestamente infondato, in quanto nell’illustrazione del motivo è prospettato un vizio di omessa pronuncia.
6.2. Anche a voler qualificare ex officio la censura come prospettazione di una omissione di pronuncia (come consentito da U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013), la censura resterebbe comunque:
a) inammissibile nella parte in cui lamenta l’omessa pronuncia sull’eccezione di mancata acquisizione delle dichiarazioni di (omissis) (omissis) dal momento che il ricorrente non chiarisce chi sia costui, e per quale ragione le sue conversazioni gioverebbero alla posizione del ricorrente;
b) infondata nella parte restante, dal momento che:
b’) il ricorrente non ha mai contestato la conformità all’originale delle dichiarazioni a lui ascritte ed oggetto di intercettazione;
b”) la conservazione con certe modalità piuttosto che altre, e sinanche l’imposizione al difensore dell’onere di accedere alle registrazioni presso gli uffici di P.G., invece che presso gli uffici di Procura, non rendono inutilizzabili le intercettazioni [Sez. 6, Sentenza n. 44006 del 06/06/2017 Ud. (dep. 25/09/2017) Rv. 271558; Sez. 5, Sentenza n. 15041 del 24/10/2018 Ud. (dep. 05/04/2019) Rv. 275100 – 01].
7. Il secondo motivo del ricorso di (omissis) (omissis).
Con il secondo motivo (omissis) (omissis) sostiene che la sentenza sarebbe affetta da un vizio “insuperabile” di motivazione.
L’illustrazione del motivo contiene due censure.
7.1. Con una prima censura il ricorrente sostiene che la sentenza sarebbe viziata per non avere tenuto conto delle dichiarazioni di (omissis) (omissis) il quale riferì di non avere ricevuto “alcuna pressione” da (omissis) (omissis) affinché ricercasse informazioni su eventuali contatti di persone indagate con i magistrati (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis)
Sostiene il ricorrente che non solo la Sezione Disciplinare ha trascurato questa dichiarazione, ma per di più essa è incompatibile con l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui (omissis) (omissis) sarebbe stato “scorretto” nei confronti del Sostituto (omissis) (omissis)
7.2. Questa prima censura è infondata.
Innanzitutto la circostanza sopra richiamata non è stata affatto trascurata dalla sentenza (se ne dà conto, infatti, a p. 12).
In secondo luogo non vi è nessuna contraddizione tra l’affermare da un lato che (omissis) (omissis) non ricevette pressioni da (omissis) (omissis) e il ritenere dall’altro che quest’ultimo sia stato scorretto nei confronti del primo.
La sentenza infatti ha ravvisato la “scorrettezza” nell’avere richiesto, e non nell’avere imposto, atti di indagine per scopi personali.
7.3. La seconda censura è così articolata:
-) secondo la sentenza impugnata, (omissis) (omissis) era un magistrato giovane ed inesperto, che fu indotto da di indagine aventi un secondo fine; (omissis) (omissis) a compiere atti
-) tuttavia la sentenza non chiarisce donde abbia tratto la prova che (omissis) (omissis) fosse “giovane ed inesperto”.
7.4. Anche questa seconda censura è inammissibile.
Che (omissis) (omissis) fosse un magistrato di recente nomina è circostanza dichiarata da lui stesso nel corso della deposizione testimoniale, per di più su domanda rivoltagli proprio dal difensore dell’odierno ricorrente.
(omissis) (omissis) dichiarò di avere preso servizio come “prima nomina” alla Procura di Castrovillari il 2.11.2017, e quindi due anni prima dei fatti di causa.
Stupisce quindi che il difensore del ricorrente possa ritenere “indimostrata” una circostanza da lui stesso richiesta al testimone in sede di deposizione testimoniale.
In secondo luogo, lo stabilire se una persona sia esperta od inesperta, succube o autorevole, coraggiosa o avvinta da metus reverentialis, sono altrettante valutazioni di fatto, riservate al giudice di merito, e che nel caso di specie non sono contraddette né dal testo del provvedimento impugnato, né da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame.
Pertanto la censura volta a contestare su questo punto la valutazione della Sezione Disciplinare si risolve in una contestazione sulla pura valutazione del fatto, inammissibile in questa sede.
8. Il terzo motivo del ricorso di (omissis) (omissis).
Con un terzo motivo il ricorrente (omissis) (omissis) prospetta praticamente tuti i vizi di motivazione (mancanza, apparenza, illogicità, contraddittorietà, omessa valutazione di atti), ai sensi dell’art. 606, comma primo, lettera (e), c.p.p..
La lunga illustrazione del motivo (pp. 10-26 del ricorso) in definitiva sostiene la seguente tesi: la Sezione Disciplinare ha sbagliato nel ritenere che (omissis) (omissis) “indusse” (omissis) (omissis) di indagare su (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis)
Questa tesi è sostenuta con censure così riassumibili:
a) la sentenza è contraddittoria nella parte in cui da un lato afferma che (omissis) (omissis) nel ricercare eventuali contatti tra criminali e i suoi colleghi, “si avvalse” di (omissis) (omissis) dall’altro lato afferma che lo “indusse” a compiere atti di indagine (p. 10-11).
Secondo il ricorrente il concetto di “avvalimento” sarebbe incompatibile con quello di “induzione”, e da ciò deriverebbe la contraddittorietà della sentenza;
b) la sentenza ha trascurato di prendere in esame varie fonti di prova (la deposizione di (omissis) (omissis) quella di altri testimoni; le intercettazioni), dalle quali emergeva che tra (omissis) e (omissis) vi fu sempre leale collaborazione (p. 11, terzo cpv. e ss.; nonché pp. 16 e ss.);
c) (omissis) (omissis) se davvero avesse voluto acquisire informazioni su eventuali contatti tra i suoi colleghi e persone indagate avrebbe avuto altri e più comodi mezzi, piuttosto che subornare (omissis) (omissis) p. 12);
d) la sentenza ha trascurato di considerare se la condotta dell’incolpato abbia arrecato un pregiudizio al bene protetto dalla norma, e cioè il corretto svolgimento dell’attività giudiziaria (ibidem, ultimo);
e) la sentenza ha ritenuto che la condotta di (omissis) (omissis) fu disciplinarmente rilevante, perché espose volontariamente (omissis) (omissis) al rischio di essere sottoposto a procedimento disciplinare.
Questo rischio, però, non fu mai corso né poteva esserlo, se davvero – come assume la sentenza – gli intenti di (omissis) (omissis) erano personali, interiori ed inconfessati.
Se infatti (omissis) (omissis) era all’oscuro degli intenti del Procuratore, e se gli accertamenti compiuti su suggerimento di questi erano legittimi, nessun illecito disciplinare si sarebbe mai potuto ascrivere a (omissis) (omissis) e quindi a nessun rischio lo espose la condotta dell’incolpato (pp. 12-13);
f) la sentenza ha omesso di valutare la “situazione emotiva” in cui versava l’incolpato all’epoca dei fatti, sottoposto contemporaneamente (ed ingiustamente) a un procedimento penale e ad uno disciplinare (pp. 13-14);
g) la sentenza è contraddittoria perché da un lato esclude che (omissis) (omissis) sia stato scorretto nei confronti dei colleghi che avrebbe desiderato “incastrare”; nello stesso tempo però ritiene che (omissis) (omissis) sia stato scorretto nei confronti del collega di cui si avvalse come “autore mediato” per perseguire quel suo inconfessato scopo.
Tuttavia, osserva il ricorrente, se furono leciti e non scorretti gli accertamenti fatti eseguire su (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) e cioè le potenziali vittime della presunta scorrettezza, a fortiori non poteva ritenersi “scorretta” la condotta tenuta da (omissis) (omissis) nei confronti di (omissis) (omissis)
La scorrettezza della prima condotta era infatti il presupposto della scorrettezza della seconda, sicché mancando la prima, non poteva ammettersi la seconda (pp. 14-15).
8.1. La censura sub (a) è infondata.
La coerenza logica d’una sentenza non si giudica estrapolandone un lemma e criticandolo isolatamente.
Gli atti giudiziari vanno interpretati valutandone l’insieme; e valutata nel suo complesso la sentenza impugnata – al di là dell’uso del termine “indurre” – esprime una ratio decidendi ben chiara:
(omissis) (omissis) era mosso da un fine personale allorché suggerì maliziosamente a (omissis) (omissis) di compiere un approfondimento di indagine.
Del resto il verbo indurre ha non solo il significato di “costringere, obbligare”, ma anche (ed anzi prevalentemente) quello di “stimolare incitare, causare, provocare” (Battaglia, Grande dizionario della lingua italiana, vol. VII, p. 859-861, ad vocem).
Nessuna contraddizione vi è dunque tra l’affermare che (omissis) (omissis) si avvalse di (omissis) (omissis) per un fine personale, e che in tal modo lo indusse a compiere determinati accertamenti.
8.2. La censura sub (b) è inammissibile.
Essa infatti investe il modo in cui il giudice di merito ha valutato le prove. Ma anche in sede disciplinare vale il principio per cui non sono ammissibili in sede di legittimità “quelle censure che aggrediscono la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento” (Sez. U, Sentenza n. 22302 del 4.8.2021, § 5.2 dei “Motivi della decisione”).
8.3. La censura sub (c) in realtà non è che una illazione o congettura, come tale neanche qualificabile in termini di “motivo di impugnazione”.
8.4. La censura sub (d) è inammissibile.
Il ricorrente è nel vero quando assume, in punto di diritto, che il bene tutelato dall’art. 2, comma 1, lettera (d), del d.lgs. 109/06 è il buon andamento dell’ufficio giudiziario (Sez. U, Sentenza n. 31058 del 27/11/2019).
Lo stabilire, tuttavia, se una certa condotta abbia o non abbia inciso sull’attività di un ufficio giudiziario richiede un accertamento di fatto, e nel caso di specie non risulta dal ricorso che tale questione sia mai stata prospettata dall’odierno ricorrente nella fase di merito.
8.5. Le censura sub (e) e sub (g) vanno esaminate congiuntamente e sono fondate.
La sentenza impugnata ha affermato che (omissis) (omissis) fu scorretto nei confronti di (omissis) (omissis) per avergli suggerito il compimento di accertamenti che avrebbero potuto esporlo al rischio di procedimenti disciplinari (p. 15, primo capoverso, della sentenza impugnata).
Poco prima, tuttavia (p. 14, quarto capoverso), la medesima sentenza afferma che i suddetti accertamenti erano solo “approfondimenti istruttori” su atti già acquisiti, legittimamente compiuti, e non violativi delle regole di competenza di cui all’art. 11 c.p.p.
Ma il dire da un lato che un atto è legittimo e legittimamente eseguito; e dall’altro aggiungere che chi compie quell’atto è esposto al rischio di incolpazione disciplinare è affermazione oggettivamente contraddittoria. Non può esservi infatti responsabilità se non vi è colpa, e colpa non può esservi nel compiere un atto consentito.
8.6. La censura sub (f) è inammissibile in quanto sollecita una nuova e diversa valutazione dei fatti.
9. Il quarto motivo del ricorso di (omissis) (omissis).
Col quarto motivo di ricorso la sentenza è impugnata da (omissis) (omissis) per difetto o mancanza di motivazione, nella parte in cui ha ritenuto di scarsa rilevanza l’addebito di avere divulgato notizie riservate (capo d’incolpazione “A”).
Nell’illustrazione del motivo sono formulate due censure.
9.1. Una prima censura è così riassumibile:
-) ad (omissis) (omissis) è stato contestato di avere chiesto ausilio a (omissis) (omissis) persona estranea all’amministrazione della giustizia, al fine di scegliere il luogo dove interrogare un collaboratore di giustizia; tale luogo sarebbe poi stato individuato nel commissariato di P.S. “(omissis) di Roma grazie all’interessamento di tale “Marco”, persona segnalata da (omissis) (omissis)
-) tuttavia nell’originale dei file audio non compariva nessun riferimento a persone di nome “Marco”;
-) questa discrepanza tra contenuto della intercettazione e contenuto dell’incolpazione non fu affrontata dalla sentenza.
9.2. Questa prima censura è inammissibile per difetto di rilevanza.
La sentenza impugnata ha ritenuto che (omissis) (omissis) rivelò a (omissis) (omissis) notizie riservate. E tale accertamento di fatto non viene meno, né perde rilevanza, in conseguenza della discrasia tra file audio e trascrizione denunciata dal ricorrente.
9.3. Con una seconda censura il ricorrente lamenta che nella sentenza “non si è dato minimamente atto della circostanza che l’affidamento e la buona fede riposta [da (omissis) (omissis) in (omissis) (omissis) fossero determinate dalla circostanza dell’appartenenza, quantomeno apparente, di quest’ultimo ad apparati dello Stato”.
9.4. La censura, oltre a restare assorbita dall’accoglimento su questo punto del ricorso proposto dalla Procura Generale, è comunque
La sentenza impugnata, infatti, non solo ha preso in esame le millanterie di (omissis) (omissis) ma ne ha tratta addirittura una conclusione favorevole all’odierno ricorrente, ritenendo in buona sostanza che proprio quelle millanterie rendessero “non grave” l’illecito disciplinare commesso da (omissis) (omissis) sotto il profilo soggettivo.
10. La sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio affinché la Sezione Disciplinare sani le mende motivazionali sopra ravvisate, e di conseguenza:
-) torni ad esaminare l’incolpazione di cui al capo “A”, motivando in modo non contraddittorio sul requisito della gravità dell’addebito tanto sul piano oggettivo, quanto sul piano soggettivo;
-) torni ad esaminare l’incolpazione di cui al capo “C”, motivando in modo non contraddittorio sul punto della “esposizione di (omissis) al rischio di procedimenti disciplinari“.
11. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno compensate, in considerazione della reciproca
Per questi motivi
la Corte di cassazione:
(-) accoglie il terzo motivo del ricorso della Procura generale nei limiti di cui in motivazione;
(-) accoglie il terzo motivo del ricorso di (omissis) (omissis) nei limiti di cui in motivazione;
(-) rigetta i restanti motivi di ricorso;
(-) cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, in diversa composizione;
(-) compensa le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite civili della Corte di cassazione, addì 11 luglio 2023.
Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2023.