REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SECONDA SEZIONE PENALE
Composta da:
Dott. ANDREA PELLEGRINO – Presidente –
Dott. LUCIANO IMPERIALI – Consigliere –
Dott. ANNA MARIA DE SANTIS – Consigliere –
Dott. GIUSEPPE NICASTRO – Consigliere –
Dott. MARZIA MINUTILLO TURTUR – Relatore –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
(OMISSIS) (OMISSIS) nato il xx/xx/19xx;
(OMISSIS) (OMISSIS) nato a (OMISSIS) il xx/xx/19xx;
(OMISSIS) (OMISSIS) nata a (OMISSIS) il xx/xx/19xx;
(OMISSIS) (OMISSIS) nata a (OMISSIS) il xx/xx/19xx;
avverso la sentenza del 11/12/2023 della CORTE APPELLO di TORINO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa MARZIA MINUTILLO TURTUR;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. PASQUALE SERRAO D’AQUINO, che ha concluso chiedendo che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili;
udite il difensore dei ricorrenti, Avv. (OMISSIS) (OMISSIS), che ha chiesto l’accoglimento dei motivi di ricorso con ogni conseguente statuizione.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Torino, con sentenza del 22/02/2024, riqualificato l’episodio commesso il 26/06/2020 come estorsione aggravata consumata e ritenuto tale reato più grave, ha confermato la sentenza del Tribunale di Vercelli del 07/07/2022 con la quale (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS) sono stati condannati per i reati agli stessi rispettivamente ascritti (estorsione tentata e consumata continuata in concorso).
2. Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, per mezzo del comune difensore, (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS), deducendo motivi di ricorso che qui si riportano nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art.173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge e vizio della motivazione perché contraddittoria e manifestamente illogica, oltre che caratterizzata dal travisamento per omissione di prove decisive in relazione agli artt. 629, 393, 610 e 612 cod. pen.; la difesa ha ampiamente argomentato quanto alle posizioni dei singoli ricorrenti ed ha osservato come si dovesse ritenere del tutto erronea la riqualificazione del fatto ascritto a (OMISSIS) (OMISSIS) come estorsione consumata e non meramente tentata, attese le caratteristiche dell’azione posta in essere dallo stesso quale mero paciere tra (OMISSIS) (OMISSIS) – persona offesa che aveva promesso in vendita un proprio bene immobile a persone di etnia sinti non gradite ad altri vicini, residenti presso tale immobile, di etnia rom, che pretendevano di essere coinvolti con una sorta di diritto di prelazione nella vendita e si opponevano all’acquisto presentandosi diverse volte dalla (OMISSIS) – e (OMISSIS) (OMISSIS).
La Corte di appello avrebbe compiuto un’inaccettabile inversione del processo logico deduttivo, attribuendo rilevanza ad elementi del tutto neutri e privi di valore giuridico come la documentazione (ricognizione di debito) che la (OMISSIS) sarebbe stata asseritamente costretta a sottoscrivere, omettendo di considerare che il contatto tra i ricorrenti e la (OMISSIS) era in realtà stato stimolato dal geometra della (OMISSIS), tale (OMISSIS), che certamente non si poteva in alcun modo ritenere persona offesa delle condotte estorsive contestate.
La difesa ha quindi richiamato, in relazione a tutte le condotte contestate e quanto ai singoli ricorrenti, l’inattendibilità delle dichiarazioni rese dalle persone offese e le discordanze in particolare tra le dichiarazioni dibattimentali e quelle rese in fase di indagine dalla (OMISSIS), con oggettiva incertezza quanto alle condotte riferibili alla (OMISSIS) e alla (OMISSIS); la valutazione sul punto è da considerarsi del tutto erronea, attesa la totale estraneità dei ricorrenti alla vicenda che aveva interessato la compravendita tra la (OMISSIS) e i (OMISSIS) con corresponsione di caparra nella misura di euro quattromila; l’unico responsabile doveva ritenersi eventualmente l’(OMISSIS), mentre la famiglia (OMISSIS) era intervenuta solo per cercare di mediare e risolvere la situazione su stimolo del (OMISSIS).
La Corte di appello ha reinterpretato in modo fantasioso ed astratto le dichiarazioni della (OMISSIS) e del (OMISSIS), atteso che la ricognizione di debito per la stessa somma ricevuta a titolo di caparra dalla (OMISSIS) (da parte dei coniugi (OMISSIS)) in favore di (OMISSIS) (OMISSIS) era atto compiuto consapevolmente e senza alcuna coercizione nei confronti della (OMISSIS) e del (OMISSIS); manca la possibilità di creare qualsiasi danno alla persona offesa, attesa la natura dell’atto in questione, del tutto invalido giuridicamente, circostanza – questa – chiaramente nota al (OMISSIS) attesa la sua qualità di tecnico; dovevano quindi ritenersi del tutto assenti gli elementi costitutivi della estorsione contestata, ritenuta – tra l’altro – nella forma consumata dalla Corte di appello, sia quanto all’elemento soggettivo che quanto all’elemento oggettivo con particolare riferimento all’ingiusto profitto, atteso l’intervento di (OMISSIS) (OMISSIS) quale mero paciere e intermediario per ragioni di solidarietà umana, in assenza di qualsiasi danno di natura patrimoniale; nessuna responsabilità poteva poi essere attribuita a (OMISSIS) (OMISSIS) per l’episodio del 29/09/2020, atteso che lo stesso, in tale occasione, si limitava ad interloquire telefonicamente a seguito della chiamata effettuata dalla (OMISSIS); inoltre, nel caso concreto, la Corte di appello aveva erroneamente ritenuto persona offesa anche il (OMISSIS), e non solo la (OMISSIS), omettendo di considerare il dato risolutivo per cui (OMISSIS) (OMISSIS) riteneva di poter agire in giudizio perché legittimato da titolo sottoscritto dalla (OMISSIS) nella precedente occasione.
Nell’ambito dello stesso motivo la difesa ha poi lamentato l’inosservanza della legge penale per non avere la Corte di appello riqualificato i fatti ai sensi dell’art. 393 ovvero dell’art. 610 cod. pen.
2.2. Violazione di legge ed erronea applicazione della legge penale anche quanto alla posizione di (OMISSIS) (OMISSIS) in relazione agli artt. 110, 629 cod. pen., attesa la presenza dello stesso presso lo studio del (OMISSIS) esclusivamente in data 29/09/2020 alle ore 14.30; la condotta descritta (invettive e minacce nei confronti del (OMISSIS) che si vedeva costretto a richiedere l’intervento dei Carabinieri) poteva al massimo integrare una minaccia o una violenza privata e comunque era necessario distinguere la posizione in relazione alle due persone asseritamente offese, atteso che era stato lo stesso (OMISSIS) a sollecitare l’intervento del ricorrente; le frasi pronunciate in quella occasione e riportate dal (OMISSIS) (“io ti conosco, io so chi sei, io conosco la tua famiglia, tu non lo sai… io i soldi li recupero in qualsiasi modo, chiama pure i Carabinieri, noi siamo amici dei Carabinieri”) non potevano in alcun modo rappresentare gli elementi costitutivi del delitto oggetto di contestazione sia quanto all’elemento soggettivo, che quanto all’elemento oggettivo, mancando qualsiasi metus e qualsiasi danno ingiusto; tanto meno il delitto poteva ritenersi integrato nei confronti della (OMISSIS), attesa la mancanza di qualsiasi contatto tra il ricorrente e la persona offesa, semplicemente ritenuta destinataria della pretesa estorsiva per il tramite del (OMISSIS); anche in questo caso, la difesa lamentava la mancata riqualificazione della condotta ai sensi dell’art. 612 cod. pen.
2.3. Violazione di legge ed erronea applicazione della legge penale quanto alla posizione di (OMISSIS) (OMISSIS) e di (OMISSIS) (OMISSIS) in relazione agli artt. 629, 110 cod. pen:; certamente la (OMISSIS) non poteva essere ritenuta responsabile in relazione al fatto avvenuto in data 29/09/2020 alle ore 14.30, essendosi la stessa limitata ad arginare le intemperanze verbali del marito, non potendosi per ciò solo ritenere un concorso morale nel tentativo di estorsione attribuito al marito; quanto al successivo episodio, avvenuto alle ore 18 dello stesso giorno, la difesa rilevava la genericità delle dichiarazioni della persona offesa (OMISSIS), erroneamente ritenute attendibili dalla Corte di appello, considerato che attribuiva indistintamente la condotta violenta e prevaricatrice sia alla (OMISSIS) che alla (OMISSIS), mancando di fatto una prova di colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio; anche quanto a tale posizione la parte ricorrente ha lamentato l’inosservanza della legge penale per l’omessa riqualificazione della condotta ai sensi dell’art. 612 cod. pen.; con particolare riferimento alla (OMISSIS) è stata poi sottolineata l’impossibilità che la condotta asseritamente posta in essere dalla stessa abbia ingenerato un metus nella (OMISSIS), che in dibattimento non era stata neanche in grado di riconoscerla con certezza, né poteva certamente essere ritenuta sufficiente l’attribuzione delle minacce in modo indistinto alla stessa ed alla (OMISSIS); né poteva apparire sufficiente la mera presenza fisica della stessa al fine di integrare una ipotesi di concorso nel reato, non apparendo in alcun modo risolutiva la circostanza di aver messo in contatto (OMISSIS) e (OMISSIS) con il proprio marito (OMISSIS) (OMISSIS).
3. Il Procuratore generale ha concluso chiedendo che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili perché proposti con motivi generici, non consentiti, oltre che manifestamente infondati.
1.1. I ricorsi, proposti con tre comuni motivi, con i quali è stata congiuntamente dedotta violazione di legge e vizio della motivazione in ogni sua forma in relazione alle condotte imputate, possono essere trattati congiuntamente, afferendo le doglianze alla medesima questione, affrontata secondo diverse allegazioni, relativa alla corretta qualificazione giuridica della condotta contestata ai ricorrenti e al conseguente vizio di motivazione, evocato in forma alternativa in modo generico ed aspecifico e, come tale, non consentito.
In tal senso, si deve evidenziare come la Corte di appello, con motivazione logica e persuasiva, che non si presta ad alcuna censura in questa sede, nel considerare la portata delle condotte contestate, ha correttamente applicato il principio di diritto, che qui si intende ribadire, secondo il quale nell’ipotesi di rilascio sotto minaccia di una scrittura privata, nella quale la persona offesa dichiara di essere debitrice di una determinata somma, in realtà non dovuta, e si impegna a restituirla alle scadenze indicate, è configurabile il delitto di estorsione consumata – e non tentata – in quanto il conseguimento di un atto autonomamente produttivo di effetti giuridici costituisce esso stesso l’evento del reato (Sez. 2, n. 9756 del 18/11/2014, dep. 2015, M., Rv. 262565-01; Sez. 1, n. 44853 del 17/05/2017, Mundo, Rv. 271447-01, con riferimento al rilascio di assegno privo di provvista o relativo a conto corrente estinto).
Le argomentazioni proposte dalla difesa, tra l’altro del tutto reiterative dei motivi di appello e già per ciò solo inammissibili (Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, Furlan, Rv. 276062-01, in motivazione;Sez. 3, n. 57116 del 29/09/2017, B., Rv. 271869-01; Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, Galdi, Rv. 270316-01; Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, Bolognese, Rv. 269745-01; Sez. 2, n. 8890 del 31/01/2017, Li Vigni, Rv. 269368-01; Sez. 3, n. 16610 del 24/01/2017, Costa, Rv. 269632-01) si caratterizzano, dunque, come una rilettura del merito non consentita in questa sede (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D’Ippedico, Rv. 271623-01; Sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015, O., Rv. 262965- 01; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv.262575-01; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362-01; Sez. 2, n. 10255 del 29/11/2019, Fasciani, Rv. 278745-01) a fronte di una motivazione della Corte di appello, ampia ed argomentata, con la quale i ricorrenti omettono sostanzialmente di confrontarsi.
1.2. I motivi si caratterizzano, dunque, per una evidente aspecificità.
Si deve a tal fine ricordare che la mancanza di specificità del motivo deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel vizio di mancanza di specificità, conducente, a norma dell’art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., all’inammissibilità (Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv. 281521-01; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutatour, Rv. 277710-01; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568-01; Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849-01; Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, Scicchitano, Rv. 236945-01).
Nel riproporre pedissequamente i motivi di appello, come emerge dall’articolazione di una serie di considerazioni in tutto corrispondenti ai motivi di appello, al fine di introdurre un’evidente lettura alternativa del merito, non ammissibile in questa sede, i ricorrenti non si confrontano compiutamente con la motivazione della sentenza del giudice di secondo grado.
Deve essere, quindi, ribadito il principio di diritto affermato da questa Corte secondo il quale è inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l’appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l’insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (cfr., ex multis, Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo, Rv. 260608-01).
La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, chiarito che il ricorso di cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’appello, e motivatamente respinti in secondo grado, non si confronta criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato, ma si limita, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970-01).
1.3. Inoltre, nel caso di specie, la Corte di appello ha ritenuto la responsabilità dei ricorrenti con motivazione del tutto conforme e piena condivisione delle argomentazioni spese dal giudice di primo grado, giungendo alla riqualificazione della estorsione come consumata, piuttosto che tentata, sulla base della coerente e corrispondente valutazione degli elementi di prova acquisiti.
Vi è stata, dunque, una concordanza nell’analisi e nella valutazione dei risultati probatori posti a fondamento della stessa, ad esito della quale, in applicazione del principio di diritto sopra richiamato, il fatto è stato riqualificato come estorsione consumata piuttosto che tentata.
Ciò posto, è opportuno ricordare che la sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo, specie quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate e ampiamente chiarite nella pronuncia di primo grado (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218-01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595-01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, Valerio, Rv. 252615-01; Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, Musumeci, Rv. 191229-01).
Invero, il giudice di appello non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente ogni risultanza processuale, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale, egli spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente i fatti decisivi.
Ne consegue che, in tal caso, debbono considerarsi implicitamente disattese le argomentazioni che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, Cammi, Rv. 277593-01; Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, Amaniera, Rv. 260841-01).
Fermo quanto precede, neanche la mancata enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie, con riguardo all’accertamento dei fatti e delle circostanze che si riferiscono all’imputazione, determina la nullità della sentenza d’appello per mancanza di motivazione, se tali prove non risultano decisive e se il vaglio sulla loro attendibilità possa comunque essere ricavato per relationem dalla lettura della motivazione (Sez. 3, n. 8065 del 21/09/2018, dep. 2019, C., Rv. 275853-01): ciò è all’evidenza riscontrabile nella sentenza impugnata, che ha esaminato ed espressamente confutato le deduzioni difensive negli aspetti fondamentali sollevati con motivazione congrua, articolata logicamente e priva di aporie (Sez. 2, n. 35817 del 10/07/2019, Sirica, Rv. 276741-01; Sez. 5, n. 6746 del 13/12/2018, dep. 2019, Currò, Rv. 275500-01; Sez. 2, n. 1405 del 10/12/2013, dep. 2014, Cento, Rv. 259643-01; Sez. 5, n. 607 del 14/11/2013, dep. 2014, Maravalli, Rv. 256879-01).
I motivi di ricorso hanno inoltre, come già detto, denunciato la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, con una generica deduzione, contrastante con il principio secondo il quale i vizi della motivazione si pongono «in rapporto di alternatività, ovvero di reciproca esclusione, posto che – all’evidenza – la motivazione, se manca, non può essere, al tempo stesso, né contraddittoria, né manifestamente illogica e, per converso, la motivazione viziata non è motivazione mancante» (così, Sez. 2, n. 38676 del 24/05/2019, Onofri, Rv. 277518-01; v. anche, Sez. 1, n. 39122 del22/09/2015, Rugiano, Rv. 264535-01; Sez. 2, n. 19712 del 06/02/2015, Alota, Rv. 263541- 01; Sez. 2, n. 31811 del08/05/2012, Sardo, Rv. 254329-01; Sez. U, n. 24591 del 16/07/2020, Filardo, in motivazione).
In altri termini, occorre considerare che i motivi di ricorso, pur essendosi formalmente espressi richiamando censure riconducibili alle categorie del vizio di motivazione, ed anche al travisamento della prova, non hanno, effettivamente, denunciato una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica, bensì una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente errata del materiale probatorio.
Con numerose argomentazioni sono state, quindi, proposte doglianze inerenti alla ricostruzione dei fatti, tese a sollecitare una rivalutazione del compendio probatorio in un senso considerato più plausibile; tuttavia, la valutazione dei dati processuali e la scelta, tra i vari risultati di prova, di quelli ritenuti più idonei a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D’Ippedico, Rv. 271623-01; Sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015, O., Rv. 262965-01; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv.262575-01; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362-01; Sez. 2, n. 10255 del 29/11/2019, Fasciani, Rv. 278745-01).
Deve, dunque, essere ribadito il principio secondo il qualeè preclusa alla Corte di cassazione la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 3, n.18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217-01;Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482-01; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099-01).
1.4. La Corte di appello ha ampiamente ricostruito gli elementi a supporto della affermazione di responsabilità dei ricorrenti, con motivazione logica e persuasiva, richiamando analiticamente i rapporti tra gli stessi e le persone offese, le gravi pressioni e intimidazioni esercitate senza alcun titolo nei confronti delle stesse, la costrizione esercitata, che portava alla ricognizione di un debito inesistente ed alla rinuncia del diritto a trattenere la caparra versata per una compravendita non conclusa, riscontrando tali elementi sulla base di una approfondita considerazione delle diverse fonti di prova e dall’esame della documentazione acquisita, con puntuale e specifica valutazione dell’insieme delle condotte poste in essere in un complessivo regime di sopraffazione e violenza per il raggiungimento di un ingiusto profitto con altrui danno.
In tal senso, la Corte di appello ha evidenziato che:
– la difesa non aveva effettivamente allegato elementi dai quali desumere l’inattendibilità delle persone offese, semplicemente sostenendo la attendibilità delle dichiarazioni rese da (OMISSIS) (OMISSIS), nonostante l’evidente diversa portata probatoria delle stesse (pag. 7 e seg.);
– le persone offese – e, in particolar modo, la (OMISSIS) – avevano reso dichiarazioni attendibili e pienamente riscontrate dalle dichiarazioni del (OMISSIS) (pag. 8 e seg.);
– il ruolo del (OMISSIS) non poteva assolutamente essere inteso nel senso riportato dalla difesa e le dichiarazioni rese dallo stesso manifestavano al contrario l’evidente timore provato dallo stesso (pag. 9 e seg.);
– la pretesa avanzata dai ricorrenti con un’azione coordinata e concordata, posta in essere mediante più momenti di pressione violenta ed intimidatoria indirizzata verso la (OMISSIS) e il (OMISSIS), era del tutto priva di qualsiasi base normativa e giustificazione in diritto, atteso che la (OMISSIS) aveva tutto il diritto di trattenere la caparra confirmatoria;
– la asserita mediazione non era stata in alcun modo richiesta dalla (OMISSIS) o dal (OMISSIS), ma imposta a danno della persona offesa con modi violenti per questioni relative a rapporti di insofferenza etnica tra i gruppi di etnia rom e sinti che erano stati coinvolti nella vendita o si mostravano interessati alla stessa;
– tale circostanza non poteva essere nota, né era stata in alcun modo ritenuta un fatto di interesse della (OMISSIS) e del (OMISSIS), ponendosi in un contesto di relazioni complesse tra soggetti del tutto ignoti agli stessi, che li contattavano solo in seguito a rapporti intercorsi tra i (OMISSIS) e (OMISSIS) nell’interesse dell’(OMISSIS);
– conseguentemente, la ricognizione di debito e le condotte complessivamente poste in essere dai ricorrenti si dovevano ritenere del tutto corrispondenti alle imputazioni elevate in assenza di qualsiasi diritto legittimamente azionabile, essendosi all’evidenza la (OMISSIS) riconosciuta debitrice senza alcuna causa di una somma che avrebbe avuto il diritto di trattenere quale caparra confirmatoria;
– le condotte avevano tutte manifestato una chiara e consapevole efficacia causale a tal fine, caratterizzandosi tra l’altro per pervicacia e particolare violenza (pag. 13 e seg. anche quanto alla caratterizzazione nel senso di una piena ingiustizia del profitto).
La Corte di appello ha in conclusione adeguatamente vagliato le istanze della difesa, ricostruendo in modo analitico gli elementi di prova a carico dei ricorrenti, i ruoli dagli stessi svolti, nell’ambito di tale coordinata e complessa azione, disattendendo in modo argomentato anche tutte le richieste volte a riqualificare in modo diverso le condotte ascritte. Con tale ampia motivazione, del tutto priva di aporie, i ricorrenti non si confrontano effettivamente.
2. I ricorsi devono in conclusione essere dichiarati inammissibili, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed al pagamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrentti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così é deciso, il 30/01/2025.
Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2025.