Decorrono dall’anno d’imposta 2014 gli effetti della riduzione dei parametri del volume dei ricavi e del reddito imponibile richiesti per l’applicazione della c.d. “Robin hood tax” (Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, Sentenza 5 giugno 2023, n. 15698).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CATALDI Michele – Presidente –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. LUME Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale stesa in calce al ricorso, dall’Avv.to (OMISSIS) (OMISSIS) che ha indicato recapito PEC, avendo dichiarato il ricorrente di eleggere domicilio presso lo studio del difensore (OMISSIS) (OMISSIS)”, alla via (OMISSIS)

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege, dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;

controricorrente –

avverso la sentenza n. 775, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale del Veneto il 18.3.2019, e pubblicata il 26.9.2019

ascoltata la relazione svolta dal Consigliere dott. Paolo Di Marzio;

la Corte osserva:

Fatti di causa

1. In data 21 marzo 2016 la società (OMISSIS) Spa, in quanto incorporante la (OMISSIS) (OMISSIS) srl  (ric., p. 4), presentava all’Agenzia delle Entrate, ai sensi dell’art. 38 del Dpr n. 602 del 1973, l’istanza di rimborso n. 27841/2016, avente ad oggetto i versamenti effettuati dalla società incorporata (ric., p. 4) in data 16.6.2014, a titolo di addizionale all’imposta sul reddito delle società (IRES), gravante sulle imprese operanti nel settore energetico e petrolifero in forza dell’art. 81, commi da 16 a 18, del Dl. n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008, tributo noto come Robin Hood Tax, per complessivi euro 157.871,00, oltre interessi come per legge, sul presupposto dell’asserito indebito oggettivo e soggettivo dell’imposta relativamente all’attività svolta, in ragione dell’avvenuta pronuncia della Corte Costituzionale n. 10 del 2015, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6 dell’11.2.2015, che ne aveva dichiarato l’illegittimità per contrarietà ai principi di ragionevolezza e di proporzionalità di cui agli articoli 3 e 53 Cost.

1.1. L’Agenzia delle Entrate notificava in data 8.2017 alla società (OMISSIS) Spa un formale provvedimento di diniego di rimborso, sul presupposto della carenza di retroattività degli effetti della pronuncia della Corte Costituzionale n. 10 del 2015, che aveva statuito l’incostituzionalità dell’art. 81 commi 16, 17 e 18, del Dl n. 112 del 2008, con decorrenza dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza nella Gazzetta Ufficiale, scelta giustificata da ragioni di equilibrio e contenimento del bilancio pubblico, oltre che in ossequio al ragionevole contemperamento dei principi di uguaglianza e solidarietà e degli altri diritti garantiti dalla Costituzione, onde evitare altresì disparità di trattamento tra i contribuenti.

2. La società proponeva impugnazione dell’atto di diniego espresso dell’istanza di rimborso, innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Vicenza, sostenendo la non debenza degli importi che erano stati versati a titolo di Robin Hood Tax per l’anno 2013, quale saldo addizionale Ires, dalla società (omissis) (omissis) incorporata dalla (omissis) nell’erronea convinzione che il provvedimento normativo da cui dipendeva l’imposizione, varato nel 2013, esplicasse la sua efficacia da detto anno di imposta, in considerazione del disposto di cui all’art. 5, comma 1, del Dl n. 69 del 2013, ed alla luce della intervenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale della normativa in parola.

La CTP rigettava il ricorso fondando su quanto affermato dalla stessa Corte costituzionale nella decisione n. 10 del 2015 circa la decorrenza degli effetti della pronuncia di incostituzionalità.

3. La società spiegava appello, avverso la decisione sfavorevole conseguita nel primo grado del giudizio, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Veneto, rinnovando le proprie contestazioni, a cui l’Ufficio resisteva chiedendone il rigetto integrale e la conferma della pregressa La CTR rigettava l’impugnativa.

4. Avverso la decisione adottata dal giudice dell’appello ha proposto ricorso per cassazione la società, affidandosi a quattro motivi di ricorso. Resiste mediante controricorso l’Agenzia delle Entrate. La contribuente ha pure depositato memoria.

Ragioni della decisione

1. Con il primo strumento di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, 4, cod. proc. civ., la ricorrente contesta la nullità della sentenza adottata dalla CTR, in conseguenza della violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., che sancisce il principio della necessaria corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, per non essersi il giudice dell’appello espresso sulla mancata decisione del giudice di primo grado circa la non applicabilità assoluta del tributo alla Società, in ragione del mancato raggiungimento dei  limiti di fatturato previsti dalla relativa normativa” (ric., p. 10) per l’applicazione dell’addizionale Ires alla contribuente in relazione all’anno 2013.

2. Mediante il secondo motivo di ricorso proposto, in forma subordinata, ai sensi dell’art. 360, comma primo, 3, cod. proc. civ., la contribuente censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 1, del Dl n. 69 del 2013, in cui è incorsa la sentenza di secondo grado, nella parte in cui non ha rilevato l’applicabilità dei nuovi limiti di bilancio dei contribuenti sottoposti al tributo, come normativamente ridotti, soltanto con decorrenza dall’anno di imposta 2014 e non dal 2013.

3. Con il terzo mezzo di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, 3, cod. proc. civ., la ricorrente critica la violazione e falsa applicazione dell’art. 81, commi 16, 17 e 18, del Dl. n. 112 del 2008, per avere la Commissione Tributaria Regionale errato nell’interpretazione della sentenza n. 10 del 2015 della Corte Costituzionale, nella parte in cui la dichiarata illegittimità costituzionale avrebbe necessariamente effetto anche in relazione a tutti i rapporti pendenti e non ancora esauriti, ivi incluso il rapporto oggetto di contestazione.

4. Mediante il quarto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 comma primo, 4, cod. proc. civ., la società lamenta la nullità della impugnata sentenza della CTR, in conseguenza della violazione dell’art. 132, comma secondo, n. 4, cod. proc. civ., dell’art. 118, primo comma, disp. att. cod. proc. civ., e dell’art. 36, comma 2, n. 4, del D.lgs n. 546 del 1992, stante la carenza assoluta di motivazione, e comunque per effetto della motivazione solo apparente della decisione proposta dal giudice dell’appello, non avendo affatto considerato come ” (omissis)avesse evidenziato che il caso di specie atteneva ad un rapporto ancora pendente e non  esaurito e che per tale ragione si giustificava l’applicazione retroattiva dell’ordinanza n. 10/2015 della Corte costituzionale” (ric., p. 17).

5. Mediante i primi due motivi di impugnazione, proposti lamentando la nullità della sentenza in conseguenza dell’omessa pronuncia su una domanda, e comunque la violazione di legge, la contribuente critica la decisione assunta dalla CTR per non aver esaminato la propria contestazione in base alla quale, in ogni caso e preliminarmente, la società non avrebbe dovuto essere assoggettata al prelievo fiscale dipendente dalla c.d. Robin Hood Tax, dovendo la modifica della normativa in questione trovare applicazione solo dall’anno 2014, e pertanto il rimborso richiesto dalla (OMISSIS) Spa risulta comunque dovuto in relazione all’anno 2013.

5.1. Occorre in proposito segnalare che l’art. 5, comma 1, del Dl 69 del 2013 ha inciso, riducendoli, sui volumi di ricavi ed il reddito imponibile che una società deve aver raggiunto perché si renda applicabile il tributo in esame. Il comma 16 dell’articolo 81 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, prevedeva l’applicabilità della imposizione alle società che registrassero un “volume di ricavi superiore a 10 milioni di euro e un reddito imponibile superiore a 1 milione di euro”. L’art. 5 del Dl. n. 69 del 2013 ha quindi disposto che i nuovi limiti applicabili dovessero essere: “volume di ricavi superiore a 3 milioni di euro e un reddito imponibile superiore a 300 mila euro”.

La ricorrente sostiene che i parametri indicati nella originaria formula della disposizione non siano stati raggiunti dalla società in relazione all’anno 2013 e, trovando applicazione i parametri ridotti soltanto dall’anno successivo all’entrata in vigore della riforma, il rimborso dell’Ires (indebitamente) versata in riferimento all’anno 2013 risulta comunque dovuto.

La società ha cura di segnalare come abbia proposto la propria contestazione sin dal ricorso introduttivo in primo grado del giudizio, e come abbia diligentemente coltivato la lagnanza, ed i suoi motivi di ricorso sul punto risultano pertanto ammissibili.

5.2. Nel ricorso per cassazione la società evidenzia, già in premessa, che “i giudici di secondo grado omettevano qualsivoglia considerazione in merito al mancato raggiungimento da parte della società delle soglie per l’applicazione del tributo” (ric., 3). Ribadisce quindi la ricorrente che il giudice dell’appello non ha esaminato, sebbene espressamente devolutagli, “la questione della non applicabilità assoluta del tributo alla Società, in ragione del mancato raggiungimento dei limiti di fatturato previsti dalla relativa normativa, è stata totalmente ed inspiegabilmente pretermessa” (ric., p. 10).

La tesi sostenuta dall’Amministrazione finanziaria è che la Robin Hood Tax, come riformata nei presupposti applicativi con decreto legge, sia entrata in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione (21.6.2013), e quindi debba trovare applicazione anche in relazione ai redditi conseguiti nell’anno 2013, che era in corso.

Diversamente la società, fondando principalmente sul disposto di cui all’art. 3 della legge n. 212 del 2000 e sui lavori preparatori del provvedimento normativo, nonché sulla norma di copertura finanziaria, ritiene che il nuovo tributo non potesse che trovare applicazione a far data dal successivo anno 2014.

5.3. Deve allora rilevarsi che la CTR, nonostante la chiarezza del quesito e la pregnanza degli argomenti spesi dalla contribuente, non si pronuncia sulla questione del se la riduzione dei parametri applicativi della Robin Hood Tax, introdotta nell’anno 2013, debba trovare applicazione anche in relazione a quell’anno di imposta, oppure soltanto a far data dal successivo anno 2014.

5.3.1. Occorre in    proposito    osservare   come   questa    Corte regolatrice abbia già avuto modo di statuire che “nel giudizio di legittimità, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 , nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c., una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può evitare la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito sempre che si tratti di questione di diritto che non richiede ulteriori accertamenti di fatto”, Cass. sez. V, 28.10.2015, n. 21968 (conf. Cass. sez. VI- III, 8.10.2014, n. 21257).

Nel caso di specie la valutazione richiesta dalla parte pone una questione di puro diritto, che non richiede ulteriori accertamenti di fatto, pertanto questa Corte di legittimità è chiamata a pronunciarsi sul punto.

5.4. Più specificamente, a conforto della propria tesi, la ricorrente richiama nel suo ricorso il testo dell’art. 5, comma 1, del Dl 69 del 2013 e, soprattutto, quanto espressamente indicato nella Relazione accompagnatoria al predetto Dl, dove si annota, nella parte relativa all’analisi degli effetti sul gettito fiscale della norma in esame a seguito della sua riformulazione, come risultasse atteso un introito di circa 75 milioni di euro, ma (solo) a decorrere dall’anno 2014 (ric., p. 12).

Inoltre, a sostegno della propria tesi circa l’obbligo di versamento del tributo soltanto dall’anno d’imposta 2014, la parte ricorrente richiama l’art. 61, comma 1, lett. a), del Dl n. 69 del 2013 in materia di copertura finanziaria, che prevede maggiori entrate dipendenti dall’ampliamento dei soggetti obbligati al pagamento della Robin Hood tax soltanto con decorrenza dall’anno 2015, pertanto in relazione ai redditi percepiti nell’anno 2014.

La ricorrente invoca pure il disposto di cui all’art. 3 della legge 212 del 2000 (c.d. Statuto del Contribuente) nella parte in cui è previsto che “Relativamente ai tributi  periodici le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo di imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono”.

Evidenzia in proposito la società che i parametri legali dettati dall’art. 81 del Dl n. 112 del 2008 da utilizzarsi per individuare i soggetti sottoposti al tributo, erano già stati modificati dall’art. 7, comma 1, lett. a), del Dl n. 138 del 13.8.2011, ma in quell’occasione il legislatore aveva espressamente previsto che “in deroga all’articolo 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212, le disposizioni di cui al comma 16 dell’articolo 81 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 si applicano a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2010”. In occasione dell’ulteriore riduzione dei parametri disposta con il Dl n. 69 del 2013, e che interessa il presente giudizio, però, il legislatore non ha previsto alcuna deroga al disposto di cui all’art. 3 della legge n. 212 del 2000.

5.4.1. Invero questa Corte regolatrice ha già espresso il condivisibile principio secondo cui “in tema di efficacia nel tempo di norme tributarie, in base all’art. 3 della legge 212 del 2000 (cosiddetto Statuto del contribuente), il quale ha codificato nella materia fiscale il principio generale di irretroattività delle leggi stabilito dall’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, va esclusa l’applicazione retroattiva delle medesime salvo che questa sia espressamente prevista”, Cass. sez. V, 20.2.2020, n. 4411.

5.5. Tanto premesso, il decreto legge 69 del 21 giugno 2013, convertito dalla legge n. 98 del 2013 recante “Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia”, come anticipato, all’art. 5, comma 1, ha ampliato l’ambito di applicazione dell’addizionale IRES, riducendo i parametri del volume dei ricavi e del reddito imponibile rispettivamente a 3 milioni di euro e 300.00 euro, comportando così un’estensione della platea dei soggetti destinatari dell’imposta, determinando una modifica del comma 16, dell’art. 81, del Dl n. 112 del 2008.

Il Dl n. 69 del 2013 è entrato in vigore in data 22 giugno 2013, stante lo strumento legislativo adottato (decreto legge).

Nella Relazione illustrativa del provvedimento normativo, con riferimento all’art. 5, si legge che “il comma 1 modifica la specifica tassazione del reddito delle società operanti nel settore dell’energia, attraverso la revisione dei parametri relativi ai ricavi ed al reddito minimi previsti dalla legislazione vigente.

In particolare, si amplia la platea di soggetti a cui si applica l’addizionale IRES riducendo i limiti per i ricavi e per il reddito imponibile. Ciò consentirà di generare un maggior gettito di 150 milioni di euro nel 2015 e 75 milioni di euro a decorrere dal 2016″ (mem., p. 5), e la ricorrente evidenzia che, evidentemente, essendo stato programmato il conseguimento del maggior gettito, per effetto dell’ampliamento dei soggetti onerati coinvolti, a far data dall’anno 2015, questo vuol dire che la sottoposizione dei nuovi debitori all’imposizione avrebbe avuto decorrenza dall’anno 2014.

Inoltre il dato risulta confermato dal fatto che ai commi tre e quattro della stessa disposizione si prevede l’applicazione anche in relazione all’anno 2013 di alcune previsioni, che peraltro non interessano il presente contenzioso, ma si ha cura di provvedervi esplicitamente, chiarendosi le ragioni nella Relazione illustrativa.

5.6. La tesi interpretativa proposta dalla contribuente risulta pertanto fondata, e può in proposito indicarsi il principio di diritto secondo cui: “Gli effetti della riduzione dei parametri del volume dei ricavi e del reddito imponibile richiesti per l’applicazione della c.d. “Robin hood tax”, introdotta dal d.l. n. 69 del 2013, che ha comportato l’ampliamento dei soggetti obbligati, decorrono dall’anno d’imposta 2014, in considerazione della previsione di cui all’art. 3 della l. n. 212 del 2000, nella parte in cui dispone che, in materia fiscale, il principio generale di irretroattività delle leggi, stabilito dall’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, importa che deve essere esclusa l’applicazione retroattiva delle medesime salvo che questa sia espressamente prevista, nonché della Relazione illustrativa al provvedimento normativo, che opera riferimento al gettito fiscale previsto, in  conseguenza dell’ampliamento dei soggetti obbligati, con decorrenza dall’anno 2015″

I primi due strumenti di impugnazione introdotti dalla ricorrente appaiono quindi fondati, e devono essere accolti, disponendosi la cassazione della decisione impugnata ed il rinvio al giudice dell’appello perché verifichi se la società, in relazione all’anno 2013, non aveva raggiunto i parametri di reddito ratione temporis vigenti per l’applicazione dell’imposta, dettati dall’art. 7, comma 1, lett. a), del Dl n. 138 del 2011, e pertanto ha diritto a conseguire il domandato rimborso.

6. Mediante il terzo ed il quarto strumento di impugnazione la società contesta, in relazione ai profili della nullità della sentenza perché corredata da una motivazione puramente apparente sul punto, e comunque della violazione di legge, per avere il giudice dell’appello ritenuto non retroattivi gli effetti della decisione 10 del 2015 della Corte costituzionale, sebbene la controversia relativa al presente giudizio risultasse pendente e non esaurita.

I motivi di ricorso presentano elementi di connessione, e possono essere trattati congiuntamente per ragioni di chiarezza e sintesi espositiva.

6.1. Il Collegio di secondo grado, invero, motiva la propria decisione rilevando che: “la Consulta pronunciando sul giudizio di legittimità costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del citato 81, commi 16, 17 e 18 a decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica (G.U. n. 6 del giorno 11/02/2015)”.

Inoltre la Corte territoriale argomenta che “la cessazione degli effetti delle norme dichiarate illegittime dal solo giorno della pubblicazione della presente decisione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, risulta, quindi, costituzionalmente necessaria allo scopo di contemperare tutti i principi e i diritti in gioco, in modo da impedire, “alterazioni alla disponibilità economica” a svantaggio di alcuni contribuenti e a vantaggio di altri garantendo il rispetto dei principi di uguaglianza e di solidarietà, che, per il loro carattere fondante, occupano una posizione privilegiata nel bilanciamento con altri valori costituzionali.

Ancora, essa consente, inoltre, al legislatore di provvedere tempestivamente al fine di rispettare il vincolo costituzionale dell’equilibrio di bilancio, anche in senso dinamico, e gli obblighi comunitari e internazionali connessi, ciò anche eventualmente rimediando ai rilevanti vizi della disciplina tributaria in esame” (sent. CTR, p. 2).

6.2. Nel caso di specie, la pronuncia della Corte costituzionale n. 10 del 2015 ha statuito espressamente che la dichiarazione di incostituzionalità della norma impugnata produce i suoi effetti ex nunc, a decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione di questa decisione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.

Inoltre, a riprova dell’infondatezza sul punto del ricorso in esame, è la stessa Corte costituzionale che ha esplicitamente stabilito, nella motivazione della citata pronuncia n. 10 del 2015, l’efficacia della sentenza, evidenziando che la limitazione temporale dipende dal fatto che “l’impatto macroeconomico delle restituzioni dei versamenti tributari connesse alla dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 81 commi 16, 17, 18 del dl n. 112/2008 determinerebbe  uno squilibrio di bilancio dello Stato di entità tale da implicare la necessità di una manovra finanziaria aggiuntiva”.

Pertanto alla luce di tali premesse la retroattività degli effetti della pronuncia è preclusa, in quanto sul rispetto delle esigenze di tutela del contribuente è destinata a prevalere l’esigenza di tenuta dei bilanci pubblici, considerato che la platea dei soggetti destinatari della citata normativa ha colpito una categoria imprenditoriale privilegiata (quella cioè operante nello specifico settore petrolifero ed energetico).

6.3. Proprio a proposito della decorrenza degli effetti della dichiarata illegittimità costituzionale in materia di Robin Hood Tax, questa Corte regolatrice ha assunto un orientamento ormai consolidato e condivisibile, che merita pertanto di essere confermato.

Con pronuncia Cass. sez. V, 26.8.2022, n. 25384, ad esempio, si è recentemente ribadito che “la Consulta, con la sentenza nr. 10/2015”, ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art. 81, commi 16, 17 e 18, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133, per violazione degli artt. 3 e 53 Cost.

I Giudici delle Leggi, con un articolato ordito argomentativo, giustificano il potere di modulare le proprie decisioni, anche sotto il profilo temporale, già esercitato in passato (sentenze n. 423 e n. 13 del 2004, n. 370 del 2003, n. 416 del 1992, n. 124 del 1991, n. 50 del 1989, n. 501 e n. 266 del 1988) con la «necessità di salvaguardare principi o diritti di rango costituzionale che altrimenti risulterebbero irreparabilmente sacrificati».

La Corte, quindi, pur considerando il principio generale della retroattività risultante dagli artt. 136 Cost. e 30 della legge n. 87 del 1953, ritiene ammissibili gli interventi che regolano gli effetti temporali della decisione, purché vagliati alla luce del principio di stretta proporzionalità. Essi vanno “rigorosamente subordinati alla sussistenza di due chiari presupposti: l’impellente necessità di tutelare uno o più principi costituzionali i quali, altrimenti, risulterebbero irrimediabilmente compromessi da una decisione di mero accoglimento e la circostanza che la compressione degli effetti retroattivi sia limitata a quanto strettamente necessario per assicurare il contemperamento dei valori in gioco”.

Nella specie ritiene la Corte [costituzionale] che “l’applicazione retroattiva della presente declaratoria di illegittimità costituzionale determinerebbe anzitutto una grave violazione dell’equilibro di bilancio ai sensi dell’art. 81 Cost. Come questa Corte ha affermato già con la sentenza n. 260 del 1990, tale principio esige una gradualità nell’attuazione dei valori costituzionali che imponga rilevanti oneri a carico del bilancio statale.

Ciò vale a fortiori dopo l’entrata in vigore della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale), che ha riaffermato il necessario rispetto dei principi di equilibrio del bilancio e di sostenibilità del debito pubblico (sentenza n. 88 del 2014). L’applicazione retroattiva della presente declaratoria di illegittimità costituzionale determinerebbe anzitutto una grave violazione dell’equilibro di bilancio ai sensi dell’art. 81 Cost.

Pertanto, le conseguenze complessive della rimozione con effetto retroattivo della normativa impugnata finirebbero per richiedere, in un periodo di perdurante crisi economica e finanziaria che pesa sulle fasce più deboli, una irragionevole redistribuzione della ricchezza a vantaggio di quegli operatori economici che possono avere invece beneficiato di una congiuntura favorevole. Si determinerebbe così un irrimediabile pregiudizio delle esigenze di solidarietà sociale con grave violazione degli artt. 2 e 3 Cost.

Inoltre, l’indebito vantaggio che alcuni operatori economici del settore potrebbero conseguire – in ragione dell’applicazione retroattiva della decisione della Corte in una situazione caratterizzata dalla impossibilità di distinguere ed esonerare dalla restituzione coloro che hanno traslato gli oneri – determinerebbe una ulteriore irragionevole disparità di trattamento, questa volta tra i diversi soggetti che operano nell’ambito dello stesso settore petrolifero, con conseguente pregiudizio anche degli artt. 3 e 53 Cost.”.

6.4. Dunque, pur non esistendo una espressa disposizione costituzionale che attribuisca alla Consulta la facoltà di differire nel tempo gli effetti delle proprie pronunce, come avviene invece in Austria, in Germania ed ora anche in Francia, limitandosi l’art. 136, primo comma, a statuire la cessazione della norma dichiarata incostituzionale dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione, il Giudice delle leggi si è avvalso della facoltà, non interdetta da alcuna norma, di limitare l’effetto retroattivo delle sentenze, allo scopo di evitare che la pronuncia di incostituzionalità della norma, ove operativa su tutti i rapporti non ancora esauriti, producesse ricadute negative così rilevanti per le casse dello Stato da comprometterne l’azione, improntata al principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost., diretta al riequilibrio delle posizioni della fasce sociali più svantaggiate.

Del riconoscimento del potere da parte dei Giudici delle leggi di limitare gli effetti retroattivi della pronuncia d’incostituzionalità ha preso atto anche questo giudice di legittimità, affermando che “è consolidato nella giurisprudenza del Giudice delle leggi (si rimanda fra le più recenti a Corte Cost. 11.2.2015 n. 10) l’orientamento secondo cui l’efficacia retroattiva delle pronunce di illegittimità costituzionale costituisce principio generale, limitato solo dalla necessità di non compromettere la certezza dei rapporti giuridici e di evitare che la retroattività della dichiarazione di incostituzionalità possa pregiudicare altri diritti di rilievo costituzionale”, e che è “riservata alla Corte Costituzionale la graduazione degli effetti temporali della dichiarazione di illegittimità, quando questa sia imposta dalla necessità di assicurare una tutela sistemica e non frazionata di tutti i diritti di rilievo costituzionali coinvolti dalla decisione”, Cass. sez. L, 8.7.2016, n. 14032.

6.4.1. In senso analogo, più recentemente, si è pronunciata questa Corte precisando che “le pronunce di accoglimento della Corte costituzionale la cui efficacia venga differita, in motivazione, al giorno successivo alla pubblicazione della sentenza non hanno efficacia ex tunc, neppure con riferimento ai procedimenti in corso, senza che ciò si ponga in contrasto con la natura incidentale del controllo di legittimità costituzionale, poiché il requisito della rilevanza, in coerenza con la funzione di “filtro” che assolve, opera esclusivamente nei confronti del giudice a quo ai fini della prospettabilità della questione, e non anche della Corte ad quem quanto agli effetti della decisione sulla medesima”, sez. VI-V, 18.12.2018, n. 32716 (evidenza aggiunta).

Pertanto, “non ha importanza se la fattispecie tributaria, al momento della decisione della Corte Costituzionale, è ancora “aperta” o meno, è in corso di accertamento oppure no. Poiché tale questione rileverebbe nella ipotesi ordinaria, di efficacia retroattiva della decisione della Corte.

Se non vi fosse quella clausola di limitazione temporale, allora, la decisione della Corte avrebbe effetti retroattivi che però si fermerebbero davanti al diritto acquisito o alla situazione chiusa, mentre avrebbero effetti su fattispecie ancora aperte” (Cass. sez. VI-V, 22.4.2021, n. 10735; conf. Cass. sez. VI-V, 30.9.2020, n. 20814).

6.5. Ne discende che l’addizionale d’imposta in esame è stata dichiarata illegittima, ma l’averla pagata dà diritto a rimborso solo a partire dalla data indicata dalla Consulta e non per i periodi antecedenti, in quanto l’illegittimità della legge è stata dichiarata solo per il periodo successivo al 12.2.2015.

Opinare diversamente e, quindi, consentire ai giudici di merito di disapplicare il disposto della sentenza del giudice delle leggi, che limita temporalmente i suoi effetti, si tradurrebbe in una non consentita operazione di negazione della portata vincolante e definitiva della pronuncia del giudice costituzionale contro la quale, ai sensi dell’art. 137, terzo comma, Cost., “non è ammessa alcuna impugnazione”.

Il terzo ed il quarto motivo di impugnazione proposti dalla società risultano quindi infondati e devono essere perciò respinti.

7. In conclusione devono essere accolti il primo ed il secondo motivo di ricorso proposti dalla contribuente, rigettati il terzo ed il quarto, e la decisione impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto.

La Corte,

P.Q.M.

accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso introdotti dalla (omissis) Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rigettati il terzo ed il quarto strumento d’impugnazione, cassa la decisione impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto perché, in diversa composizione, proceda a nuovo giudizio, nel rispetto dei principi esposti, e provveda anche a regolare le spese di lite del giudizio di legittimità tra le parti.

Così deciso in Roma, il 30.3.2023.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.