Dietro front: sconto di pena retroattivo in caso di rinuncia all’impugnazione dell’abbreviato (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 31 gennaio 2024, n. 4237).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SECONDA SEZIONE PENALE

Composta da:

Dott. SERGIO BELTRANI – Presidente –

Dott. ANNA MARIA DE SANTIS – Consigliere –

Dott. MARIA DANIELA BORSELLINO – Consigliere –

Dott. SANDRA RECCHIONE – Consigliere –

Dott. DONATO D’AURIA – Relatore –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(omissis) (omissis) (CUI 0(omissis)R) nato a (omissis) il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 23/01/2023 della CORTE di APPELLO di VENEZIA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. DONATO D’AURIA;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. VINCENZO SENATORE, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso;

ricorso trattato con contraddittorio scritto ai sensi dell’art. 23, comma 8, D. L. n. 137/2020 e del successivo art. 8 D. L. n. 198/2022.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Venezia con sentenza del 23/1/2023 confermava la sentenza pronunciata dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Vicenza in data 8/6/2022, che aveva condannato tra gli altri (omissis) (omissis) per i reati ascrittigli.

2. L’imputato, a mezzo del difensore, ha interposto ricorso per cassazione, deducendo con il primo motivo la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., con riferimento alla inidoneità dei dati telefonici a provare la partecipazione alla commissione del reato.

Lamenta la difesa che la Corte territoriale ha fondato il concorso del (omissis) nella rapina sulla base dei dati relativi al traffico telefonico;

che i tabulati, dando conto unicamente dei contatti tra utenze telefoniche, nulla dicono in ordine al contenuto delle conversazioni intercorse;

che la telefonata intercettata il 9/10/2020 tra l’odierno ricorrente ed il coimputato (omissis) (omissis), oltre a collocarsi a distanza di quindici giorni dalla rapina, è generica e non consente di desumere l’accordo criminoso che si assume intercorso tra i due;

che gli ulteriori contatti telefonici, intercorsi con altri due coimputati, (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis), non hanno alcuna valenza probatoria, in quanto non si conosce il contenuto delle conversazioni.

2.1 Con il secondo motivo eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., con riferimento alla prova del dolo specifico richiesto per la rapina.

Rileva in proposito che è rimasto privo di dimostrazione l’assunto per cui il (omissis) avesse consapevolezza che la sua autovettura sarebbe stata utilizzata per commettere la rapina per cui si procede, anche in considerazione delle dichiarazioni rese da (omissis) (omissis), che ha escluso che ogni responsabilità del ricorrente.

2.2 Con il terzo motivo lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., con riferimento all’art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen.

Osserva che la novella introdotta con il d.lgs. n. 150/2022, che prevede la riduzione di un sesto della pena nell’ipotesi di rinuncia all’appello, è entrata in vigore dopo la proposizione dell’appello, ma prima della discussione, per cui il ricorrente avrebbe dovuto esser messo nelle condizioni di rinunciare all’appello e beneficiare della riduzione di pena, per cui avanza istanza di rimessione in termini.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

1.1 I primi due motivi non sono consentiti dalla legge, in quanto aspecifici.

Va, innanzitutto, evidenziato che la sentenza impugnata in relazione alla affermazione della responsabilità dell’imputato costituisce una c.d. doppia conforme della decisione di primo grado, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, essendo stato rispettato sia il parametro del richiamo da parte della sentenza d’appello a quella del Giudice dell’udienza preliminare, sia l’ulteriore parametro costituito dal fatto che entrambe le decisioni adottano i medesimi criteri nella valutazione delle prove (Sezione 2, n. 6560 del 8/10/2020, Capozio, Rv. 280654 – 01).

Ciò posto, rileva il Collegio che la Corte territoriale ha con motivazione congrua, diffusa ed esaustiva, oltre che scevra da vizi logici, dato conto dei motivi per cui ha ritenuto di dover confermare il giudizio di penale responsabilità espresso dal Giudice dell’udienza preliminare.

In particolare, la sentenza impugnata evidenzia come:

i) i numerosi contatti tra il (omissis) ed il coimputato (omissis) il giorno della falsa denuncia di furto dell’autovettura sporta dal primo, alcuni dei quali proprio a cavallo dell’orario di presentazione della denuncia,

ii) il momento di presentazione della denuncia, immediatamente successivo al transito della Fiat 500 nel vicentino, segnatamente nel comune di Romano d’Ezzelino, registrato dalle telecamere ivi installate (frutto di «una decisione sapientemente coordinata, quando il veicolo era già giunto nel vicentino», per evitare che il mezzo, una volta segnalato come rubato, potesse essere intercettato da una pattuglia delle forze dell’ordine),

iii) la «studiata genericità della denuncia», avendo specificato di aver perso cognizione di dove fosse l’autovettura dal 20/8/2020, quando l’aveva parcheggiata, al 22/9/2020, giorno della denuncia,

iiii) il contrasto in ordine ai motivi del prestito dell’autovettura che emerge dalle dichiarazioni rese dal (omissis) e da quelle rese dallo (omissis),

iiiii) il contenuto della conversazione intercettata alcuni giorni dopo la rapina tra il (omissis) ed il (omissis), nella quale è chiaro il riferimento all’autovettura ed alla somma di cinquecento euro che il primo aspetta gli sia corrisposta,

iiiiii) i plurimi contatti telefonici tra il ricorrente ed altri due coimputati, lo (omissis) e lo (omissis), che non trovano altra plausibile spiegazione, tenuto conto che il (omissis) non avrebbe avuto ragione di interloquire con detti soggetti, costituiscano elementi che convergono tutti nel senso della piena partecipazione dell’odierno ricorrente alla rapina perpetrata in Cassola il 24/9/2020 alla ditta orafa (omissis) s.n.c.

Ebbene, la difesa non si confronta con le ampie ragioni esplicitate nella sentenza impugnata alle pagine da 13 a 16, come sopra sintetizzate, limitandosi a riproporre pedissequamente le stesse questioni avanzate con i motivi di appello.

Osserva in proposito il Collegio che contenuto essenziale del ricorso in cassazione è il confronto puntuale con le argomentazioni del provvedimento oggetto di impugnazione (per tutte, Sezioni Unite, n. 8825 del 27/10/2016, Galtelli, Rv. 268822 – 01), per cui se lo stesso si limita, come nel caso oggetto di scrutinio, a riprodurre i motivi di appello, per ciò solo si destina alla inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso, posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento impugnato, lungi dall’essere destinatario di specifica critica argomentata, è di fatto del tutto ignorato (Sezione 6, n. 23014 del 29/4/2021, B., Rv. 281521 – 01; Sezione 2, n. 42046 del 17/07/2019, Botartour Sami, Rv. 277710 – 01; Sezione 3, n. 50750 del 15/6/2016, Dantese, Rv. 268385 – 01; Sezione 2, n. 45958 del 21/10/2022, Bocchino, non massimata).

1.2 II terzo motivo è manifestamente infondato.

1.2.1 Il principio di retroattività della lex mitior, con riferimento alle norme penali sostanziali, ha trovato la sua prima affermazione nella sentenza del 3/5/2005 nel caso Berlusconi e altri, emessa dalla Grande Sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che ha evidenziato come sia entrato ormai a far parte delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e come debba essere considerato, conseguentemente, quale parte integrante dei principi generali del diritto comunitario, che il giudice nazionale deve osservare quando applica il diritto nazionale adottato per attuare l’ordinamento comunitario.

Il principio di applicazione retroattiva della legge più mite è stato poi ribadito dalla Corte EDU nella sentenza del 17/9/2009 nel caso Scoppola contro Italia, che lo ha desunto dall’art. 7 della CEDU e lo ha fatto assurgere a diritto fondamentale della persona.

In tale arresto, la Corte di Strasburgo, dopo avere svolto una ricognizione degli approdi giurisprudenziali formatisi sull’art. 7 CEDU, con riferimento al principio nullum crimen, nulla poena sine lege e alle nozioni di pena e di prevedibilità della legge penale, ha precisato che – se pure detta norma «non fa espressamente menzione dell’obbligo, per gli Stati contraenti, di far beneficiare l’imputato di un cambiamento legislativo intervenuto dopo la perpetrazione del reato» – gli sviluppi giurisprudenziali ed il consenso che ne è conseguito a livello europeo ed internazionale impongono di interpretarla nel senso che, «vietando di infliggere una “pena più severa di quella che era applicabile nel momento in cui è stato commesso il reato”, il paragrafo 1 in fine dell’articolo 7 non esclude che l’imputato possa beneficiare di una pena meno grave, prevista dalla legislazione posteriore al reato».

In altri termini, i giudici di Strasburgo hanno messo in risalto come detta norma non si limiti a vietare l’applicazione retroattiva delle norme penali sostanziali, ma – sancendo più in generale il principio di legalità dei delitti e delle pene – imponga altresì di applicare la legge penale più favorevole, anche se introdotta posteriormente alla perpetrazione del reato, con la conseguenza che, nell’ipotesi di successione di leggi penali nel tempo, costituisce violazione del principio di legalità convenzionale l’applicazione della pena più sfavorevole al reo; hanno, altresì, specificato che il principio di retroattività in mibus è un corollario di quello di legalità, consacrato dall’art. 7 della CEDU e si applica alle sole «disposizioni che definiscono i reati e le pene che li reprimono», per cui ha un campo di operatività più ristretto di quello riservato dal nostro ordinamento all’art. 2, comma quarto, cod. pen., che riguarda ogni disposizione penale successiva alla commissione del fatto e più favorevole al reo, in quanto incidente sul complessivo trattamento riservatogli.

Alla luce delle premesse poste, dunque, a giudizio del Collegio, la disciplina prevista dall’art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen., è astrattamente applicabile anche ai procedimenti penali per i quali era stata già proposta impugnazione al momento dell’entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, come appunto nel caso che si sta scrutinando, atteso che, incidendo sul trattamento sanzionatorio, in quanto determina una ridefinizione della pena stessa, ha natura sostanziale.

In proposito, giova evidenziare che tutte le norme che non solo qualificano il comportamento come reato, ma che ne stabiliscono la punizione in concreto e, quindi, l’an, il quantum ed il quomodo delle conseguenze punitive devono soggiacere alla regola della irretroattività della legge sopravvenuta sfavorevole e della retroattività della legge sopravvenuta favorevole. In tali casi, deve, allora, trovare applicazione il principio di retroattività della lex mitior, di cui all’art. 2, comma quarto, cod. pen., tenuto conto che la sentenza non è passata in giudicato.

Le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 2977 del 6/3/1992, Peccillo, in motivazione), in relazione alla norma di cui all’art. 442 cod. proc. pen., hanno avuto cura di precisare come, nonostante il suo inserimento nel codice di rito, sia una disposizione di diritto penale materiale, atteso che non ha ad oggetto la procedura di esecuzione della pena, ma la sua determinazione e come, di conseguenza, i profili processuali siano intimamente ed inscindibilmente connessi a quelli sostanziali. Trattasi, dunque, di «legge penale» nel senso dell’articolo 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Tale impostazione è stata ribadita da Sezioni Unite, n. 18821 del 24/10/2013, Ercolano, che in motivazione hanno confermato che l’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., pur essendo norma di carattere processuale, ha effetti sostanziali, «disciplinando la severità della pena da infliggere in caso di condanna secondo il rito abbreviato», per cui «deve soggiacere al principio di legalità convenzionale di cui all’art. 7, § 1, CEDU, così come interpretato dalla Corte di Strasburgo, vale a dire irretroattività della previsione più severa (principio già contenuto nell’art. 25, comma secondo, Cost.), ma anche, e implicitamente, retroattività o ultrattività della previsione meno severa».

Allora, la riduzione di pena nella misura di un sesto, conseguente ai sensi del comma 2-bis dell’art. 442 cod. proc. pen. alla mancata impugnazione della sentenza di condanna emessa all’esito del giudizio abbreviato, incidendo sul trattamento sanzionatorio concreto, ha ricadute necessariamente sostanziali, la cui natura non muta nonostante siano collegate non all’illecito penale in sé, ma ad un comportamento successivo, consistente nel mancato esercizio di una facoltà processuale.

Pertanto, l’art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen., pur essendo disposizione processuale, comporta un trattamento sostanziale sanzionatorio più favorevole e si applica – a mente dell’art. 2, comma quarto, cod. pen. – anche ai procedimenti penali per i quali era stata già proposta impugnazione al momento dell’entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150.

Del resto, analogo principio è stato affermato dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento all’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., a seguito della novella apportata dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, nella parte in cui prevede che, in caso di condanna per una contravvenzione, la pena che il giudice determina tenendo conto di tutte le circostanze è diminuita della metà, anziché di un terzo come previsto dalla previgente disciplina.

In particolare, è stato sostenuto che la disposizione di favore si applica anche alle fattispecie anteriori, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile, ai sensi dell’art. 2, quarto comma, cod. pen., in quanto, pur essendo norma di carattere processuale, ha effetti sostanziali, comportando un trattamento sanzionatorio più favorevole seppure collegato alla scelta del rito (Sezione 4, n. 5034 del 15/1/2019, Lazzara, Rv. 275218 – 01; Sezione 4, n. 832 del 15/12/2017, Del Prete, Rv. 271752 – 01).

Può, dunque, in conclusione affermarsi che è ormai acquisito nel nostro sistema giuridico il principio secondo cui il trattamento sanzionatorio, anche laddove collegato alla scelta del rito, finisce sempre con avere ricadute sostanziali, con la conseguenza che è soggetto alla complessiva disciplina di cui all’art. 2 cod. pen.

1.2.2 Tutto ciò posto, si osserva che nel caso di specie il ricorso continua a coltivare in via principale motivi relativi al merito, che contestano l’affermazione di responsabilità del ricorrente, con la conseguenza che l’appello all’evidenza non risulta rinunciato.

Tale circostanza impedisce l’applicazione dell’art. 442, comma 2 -bis, cod. proc. pen., che presuppone una siffatta rinuncia.

2. All’inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il giorno 17 novembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2024.

SENTENZA – copia non ufficiale -.