Se non vi è un reciproco scambio di vantaggi, l’imprenditore non può dirsi colluso con il clan mafioso (Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, Sentenza 31 gennaio 2024, n. 4258).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SESTA SEZIONE PENALE

composta da:

Orlando Villoni -Presidente-

Emilia Anna Giordano -Consigliere-

Ersilia Calvanese -Consigliere-

Ercole Aprile -Consigliere-

Paolo Di Geronimo -Relatore-

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da

(omissis) (omissis), nato a Milano il x/x/19xx;

avverso l’ordinanza del 19/7/2023 emessa dal Tribunale di Catanzaro;

visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso;

udita la relazione del consigliere Dott. Paolo Di Geronimo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Raffaele Piccirillo, che ha concluso per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza;

udito l’avvocato (omissis) (omissis), in sostituzione dell’avvocato (omissis) (omissis), che ha chiesto l’accoglimento del ricorso, riportandosi anche alla memoria difensiva.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale del riesame di Catanzaro, riformando parzialmente l’ordinanza cautelare, confermava la misura cautelare dell’obbligo di dimora disposta a carico di (omissis) con riguardo al solo reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, contestato al capo 42), annullando la misura in relazione al capo 43).

Nell’ordinanza impugnata, il Tribunale riteneva che fossero stati acquisiti plurimi elementi – tutti dedotti dalle intercettazioni telefoniche – idonei a suffragare la tesi secondo cui (omissis) dovesse considerarsi un imprenditore colluso, avendo partecipato alla gestione del ristorante “Il (omissis)”, di fatto riconducibile al clan capeggiato da (omissis) (omissis) e materialmente gestito dalla figlia (omissis) (omissis), oltre che dai coniugi (omissis)-(omissis).

2. Nell’interesse del ricorrente sono stati formulati due motivi di impugnazione.

2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per il reato di concorso esterno in associazione di stampo mafioso.

Si sottolinea, in particolare, come il Tribunale da un lato aveva valorizzato intercettazioni dalle quali nulla emergeva a carico dell’indagato e, dall’altro, non aveva analizzato le intercettazioni indicate nella memoria difensiva e favorevoli al ricorrente.

Complessivamente, dal quadro probatorio non emergevano elementi diversi ed ulteriori rispetto al dato noto dello svolgimento di attività lavorativa del ricorrente all’interno del ristorante “Il (omissis)”, circostanza inidonea a dimostrare che tale condotta fosse strumentale rispetto alla consorteria criminale, tanto più in considerazione del fatto che (omissis) non aveva frequentazione con i sodali.

Il ricorrente, in buona sostanza, aveva intrattenuto rapporti con i soli titolari – formali e di fatto – del ristorante, tra i quali non figurava alcun appartenente alla associazione, sicché l’unico indiretto collegamento era da individuarsi in (omissis) (omissis), figlia di (omissis).

È pur vero che quest’ultimo aveva dimostrato, nelle conversazioni riportate dal Tribunale, un diretto interessamento alla gestione del ristorante, ma ciò non poteva costituire elemento sufficiente a far ritenere che i soggetti che avevano prestato attività lavorativa all’interno del ristorante fossero per ciò solo da considerarsi concorrenti esterni nell’associazione capeggiata da (omissis) (omissis).

2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari, sostanzialmente motivata mediante formule di stile e senza valutare, in concreto, quale sarebbe stato il rischio di reiterazione di condotte criminose.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.

2. Occorre premettere che la motivazione resa dal Tribunale del riesame è essenzialmente incentrata nel ricostruire il ruolo che aveva (omissis) (omissis) nella gestione del ristorante “Il (omissis)”, facendo emergere come questo fosse solo formalmente intestato a (omissis) (omissis), ma in concreto era gestito da (omissis) (omissis), con l’ausilio dei coniugi (omissis)-(omissis) e, in un secondo momento, di (omissis).

A fronte di tale ricostruzione, nulla è dato sapere in merito alla concreta attività svolta dal (omissis), non risultando dall’ordinanza il momento in cui il ricorrente avrebbe iniziato a partecipare alla gestione del ristorante e, soprattutto, non si espone chiaramente il ruolo dal predetto svolto. Le stesse intercettazioni richiamate nell’ordinanza fanno essenzialmente riferimento ad altri soggetti e solo in isolati e sporadici passaggi emerge la figura di “(omissis)”, da individuarsi nell’indagato.

Il Tribunale del riesame sottolinea l’ingerenza di (omissis) (omissis), nonché l’interessamento di altro sodale – (omissis) (omissis) – rispetto alla gestione del ristorante, ma le conversazioni in questione non vedono mai direttamente partecipe il ricorrente, al quale gli interlocutori sembrano riferirsi in termini essenzialmente critici in merito all’andamento degli affari.

L’ordinanza – fornendo una argomentazione che si pone ai limiti della motivazione apparente – trae categoriche conclusioni, nel senso di ritenere che il ricorrente sarebbe un “imprenditore colluso”, incaricato della gestione del ristorante in nome e per conto del sodalizio, al quale l’intera attività imprenditoriale doveva essere riferita.

Si tratta di una conclusione che, per le ragioni esposte nel ricorso, merita un adeguato approfondimento, posto che per potersi addivenire, sia pur in sede cautelare, alla qualificazione della condotta in termini di c:oncorso esterno in associazione di stampo mafioso, occorre l’acquisizione di elementi, specifici e concreti, sulla base dei quali affermare che l’attività “agevolativa” è stata svolta non già in favore di singoli soggetti, eventualmente appartenenti all’associazione, bensì del sodalizio in quanto tale.

Per consolidata giurisprudenza, in terna di associazione di tipo mafioso, assume il ruolo di “concorrente esterno” il soggetto che, non inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell’associazione e privo dell’affectio societatis, fornisce un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, sempre che questo esplichi un’effettiva rilevanza causale e, quindi, si configuri come condizione necessaria per la conservazione o il rafforzamento delle capacità operative dell’associazione (o, per quelle operanti su larga scala come “Cosa nostra”, di un suo particolare settore e ramo di attività o articolazione territoriale) e sia diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso della medesima (Sez.6, n. 33885 del 18/6/2014, Marcello, Rv. 260178).

Al contempo, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, si afferma che ai fini della configurabilità del concorso esterno, occorre che il dolo diretto investa sia il fatto tipico oggetto della previsione incriminatrice, sia il contributo causale recato dalla condotta dell’agente alla conservazione o al rafforzamento dell’associazione, agendo l’interessato nella consapevolezza e volontà di recare un contributo alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso del sodalizio (Sez.5, n. 18256 del 10/1/2019, Rv.276768).

Nel caso di specie, il Tribunale del riesame non ha fornito elementi a supporto della sussistenza della gravità indiziaria, limitandosi ad affermare – peraltro richiamando intercettazioni telefoniche non evidentemente concludenti in tal senso – che (omissis) gestiva il ristorante Il (omissis) “per conto” dell’associazione.

A fronte di tale tranciante affermazione, non è stata fornita adeguata motivazione per far ritenere che l’attività di ristorazione fosse riconducibile agli interessi dell’intera associazione e che non si trattasse della mera attività economica, eventualmente avviata con fondi proventi da reato, riconducibile a (omissis) (omissis) ed alla figlia (omissis).

Ancor più sfumata è la motivazione in ordine all’effettiva consapevolezza da parte di (omissis) di fornire un contributo partecipativo all’attività della consorteria criminosa, posto che – ove pure si ritenga provato che (omissis) conosceva l’effettiva titolarità del ristorante in capo a (omissis) (omissis) – ciò non comporta, per una sorta di automatismo, che qualunque collaborazione nella gestione del compendio aziendale si traduca in un’agevolazione all’attività dell’associazione.

A tal fine, è opportuno richiamare il consolidato orientamento secondo cui integra il reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso la condotta dell’imprenditore “colluso” che, senza essere inserito nella struttura organizzativa del sodalizio criminale, instauri con questo un rapporto di reciproci vantaggi, consistenti nell’imporsi sul territorio in posizione dominante e nel far ottenere all’organizzazione risorse, servizi o utilità (Sez.6, n. 25261 del 19/4/2018, La Valle, Rv. 273390).

Il principio che se ne evince è che l’ordinario svolgimento di attività imprenditoriale o lavorativa può dar luogo a concorso esterno nel solo caso in cui ne consegua l’instaurazione con l’associazione – e non già con un suo appartenente, anche se in posizione di vertice – di un rapporto collaborativo di sostanziale parità, nell’ambito del quale il concorrente tragga vantaggi personali e, al contempo, fornisca un contributo causale al perseguin-lento delle finalità dell’associazione e non dei singoli appartenenti.

3. Pur se l’accoglimento del primo motivo è di per sé sufficiente all’annullamento dell’ordinanza impugnata, è opportuno sottolineare come anche il secondo motivo, volto a censurare la sussistenza delle esigenze cautelari, è fondato.

La motivazione, sul punto, è obiettivamente carente nella misura in cui da un lato si dà atto che (omissis) è un soggetto sostanzialmente incensurato (risultando un lontano precedente per reato di minima gravità risalente al 2007), ma al contempo si afferma la sussistenza del pericolo di reiterazione del reato, desumendolo dalla peculiarità del reato ipotizzato e dalla accertata stabile contiguità con ambienti mafiosi.

Invero, per le ragioni in precedenza esposte, è proprio il rapporto diretto con il sodalizio che non ha trovato riscontro, data la mancanza di elementi – specifici e concreti – idonei a dimostrare che il ricorrente non si relazionasse solo con i soggetti interessati alla gestione del ristorante, ma anche con esponenti della associazione diversi da (omissis) (omissis).

In sostanza, il Tribunale asserisce l’esistenza della contiguità del ricorrente con ambienti mafiosi ma, in concreto, non individua i contatti concretamente intrattenuti.

4. Alla luce di tali considerazioni, l’ordinanza deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro che, nel riesaminare i motivi di impugnazione, dovrà adeguarsi ai principi espositi in motivazione.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro competente ai sensi dell’art. D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, co. 7, c.p.p.

Così deciso il 30 novembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2024.

SENTENZA – copia non ufficiale -.