Il bancario non avvisa l’investitore delle perdite ma, al contrario, gli fa credere di essere in attivo: è truffa (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 1 agosto 2023, n. 33796).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VESSICHELLI Maria – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Eduardo – Consigliere –

Dott. BRANCACCIO Matilde – Rel. Consigliere –

Dott. ROMANO Michele – Consigliere –

Dott. CANANZI Francesco – Consigliere –

hanno pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(omissis) (omissis) nato a (omissis) il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 14/06/2022 della CORTE APPELLO di BRESCIA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa MATILDE BRANCACCIO;

udito il Sostituto Procuratore Generale, Dott.ssa SABRINA PASSAFIUME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

uditi i difensori:

L’avvocato (omissis) (omissis), per le parti civili, che deposita conclusioni scritte e nota spese alle quali si richiama.

L’avvocato (omissis) (omissis), che si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l’accoglimento dello stesso; aggiunge la richiesta di eventuale declaratoria di non doversi procedere per difetto della condizione di procedibilità o, in subordine, per prescrizione qualora fosse maturata.

L’avvocato (omissis) (omissis), che si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. E’ impugnata la sentenza della Corte d’Appello di Brescia del 14.6.2022, che, in parziale riforma della decisione di primo grado, emessa all’esito di rito abbreviato condizionato, ha dichiarato non doversi procedere per prescrizione nei confronti dell’imputato (omissis) (omissis), in ordine:

– al reato di furto aggravato e continuato, commesso, nella sua qualità di direttore dell’agenzia di (omissis) (omissis) dell’Istituto Private banking Intesa San Paolo, ai danni di alcuni correntisti della filiale, limitatamente alla disposizione di bonifico bancario eseguita il 3.10.2007 (capo 1);

– ad un’ipotesi di truffa aggravata commessa predisponendo rendicontazioni fittizie che, esibite ai clienti dell’istituto, vittime dei furti di cui al capo 1, rappresentavano una situazione dei loro investimenti difforme da quella reale, con conseguente riconoscimento di premi di produttività per il periodo 2008/2012 non dovuti e pari a 42.700 euro (capo 4).

Si è, di conseguenza, rideterminata la pena nei suoi confronti, avuto riguardo alle residue imputazioni ascrittegli al capo 1, in anni tre, mesi due di reclusione e 600 euro di multa; la Corte territoriale ha anche ridotto l’importo liquidato a titolo di risarcimento del danno in favore delle parti civili Intesa San Paolo s.p.a. e Intesa San Paolo Private Bankíng s.p.a. alla somma di euro 40.000 ciascuna ed ha rigettato, invece, l’appello del pubblico ministero e delle parti civili (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis).

L’imputato, all’esito del giudizio d’appello, quindi, è stato condannato soltanto per le condotte ascrittegli al capo 1 dell’imputazione, tranne quella prescritta già indicata e quelle relative alle operazioni su conti correnti intestati o cointestati a (omissis) (omissis), in relazione alle quali è stato assolto perché il fatto non sussiste sin dal primo grado; il Tribunale di Bergamo aveva dichiarato, altresì, anche non doversi procedere nei suoi confronti in ordine al delitto di cui al capo 3 (un’ipotesi di sottrazione di corrispondenza in danno di clienti dell’istituto) per difetto di querela; nonché aveva pronunciato assoluzione anche in relazione al delitto di cui al capo 2 (falso in scrittura privata) – perché il fatto non è previsto dalla legge come reato – ed al capo 5 (un’ipotesi di truffa aggravata posta in essere redigendo lettere di costituzione in pegno di una polizza azionaria del valore di 5.000.000 di euro, in favore di una società di cui (omissis) era amministratore di fatto, a garanzia di una linea di apertura di credito presso la filiale Intesa San Paolo di (omissis)).

2. Avverso la citata sentenza d’appello ha proposto ricorso l’imputato, tramite il difensore di fiducia, deducendo sei distinti motivi.

2.1. Il primo motivo di censura eccepisce violazione di legge, avuto riguardo all’ammissione della costituzione dì parte civile di (omissis) e (omissis) (omissis), nonché di (omissis) (omissis), impugnando la parte di motivazione della sentenza di secondo grado con cui è stato rigettato il motivo d’appello dedicato a contestare l’ordinanza del Tribunale di Bergamo del 22.12.2015, ammissiva della costituzione di parte civile.

Il ricorrente definisce, invece, tardiva la seconda costituzione di parte civile, datata 27.11.2015, poiché la fase degli atti preliminari si sarebbe esaurita, in relazione ai capi 1,2,3 e 5 dell’imputazione, già alla prima udienza del 27.5.2015 (in cui (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) comunque si erano già costituite parte civile con un primo atto notificato fuori udienza), della quale l’udienza del 22.12.2015, in cui è stata ammessa la nuova costituzione depositata da (omissis) e (omissis) (omissis), nonché da (omissis) (omissis), costituiva un rinvio in attesa di completare la citazione per il capo 4, dichiarata nulla in prima battuta e bisognevole di integrazione con successiva riunione del processo nell’udienza infine fissata per dicembre 2015.

Il rinvio dell’udienza del 27.5.2015, infatti, era stato disposto solo per la trattazione delle questioni preliminari in vista della riunione del procedimento stralciato relativo al capo 4, ma non per la verifica della regolare costituzione delle parti civili, già esaurita, poiché può avvenire, a norma dell’art. 79 cod. proc. pen, solo fino a che non siano compiuti gli adempimenti previsti dall’art. 484 cod. proc. pen. sulla regolare costituzione delle parti e non fino al termine ultimo per l’apertura del dibattimento fissato dall’art. 491 cod. proc. pen., come sostenuto dal giudice di primo grado.

Se l’unica costituzione di parte civile validamente ammessa è quella in vista dell’udienza del 27.5.2015, vale a dire il primo atto notificato fuori udienza, la difesa ribadisce la sua inammissibilità perché effettuata da soggetto privo di procura speciale ex artt. 76 e 122 cod. proc. pen., l’avv. (omissis) (omissis), e perché depositata in cancelleria da soggetto delegato non compiutamente identificato (indicato solo come “(omissis) (omissis)”); il ricorrente contesta la soluzione del giudice di primo grado sull’eccezione in tal senso proposta, che ha dichiarato il deposito in cancelleria atto di natura materiale a chiunque delegabile, anche ai sensi dell’art 78 cod. proc. pen..

Peraltro, si denuncia il medesimo vizio di mancanza di procura speciale regolare ai sensi degli artt. 76 e 122 cod. proc. pen. anche in relazione al secondo atto di costituzione di parte civile, di cui, in via prioritaria, si eccepisce la tardività, come già segnalato.

Un ulteriore profilo di inammissibilità viene, poi, segnalato dal ricorso: gli atti di costituzione di parte civile avrebbero illegittimamente frazionato la domanda giudiziale, concentrandola sui soli danni morali, lasciando così intendere che si sarebbe agito separatamente per il danno patrimoniale.

Il ricorrente censura sia il merito della soluzione di rigetto delle questioni sollevate in sede di eccezione all’ammissibilità della costituzione di parte civile, sia l’incompletezza delle argomentazioni dell’ordinanza del giudice di primo grado, che non avrebbe risposto ad alcune delle obiezioni difensive (vale a dire tutte quelle non trattate espressamente).

Il ricorso eccepisce anche la tardività e l’inammissibilità, quindi, della costituzione di parte civile degli istituti bancari Intesa San Paolo s.p.a. e Intesa San Paolo Private Banking s.p.a., avvenuta alla prima udienza del 27.5.2015, ma che, in relazione al capo 4 stralciato, avrebbe dovuto essere proposta tempestivamente per l’udienza fissata ai fini della rinotifica del decreto di citazione completo e della riunione con il processo principale, vale a dire l’udienza del 21.10.2015.

La costituzione, invece, che avveniva solo in data 21.12.2015, con notifica all’imputato dell’atto che riportava, oltre alle procure speciali rilasciate il 10.12.2015, il timbro di deposito in cancelleria del 16.12.2015 era tardiva.

La difesa, peraltro, ripropone anche rispetto a tale atto di costituzione di parte civile le stesse eccezioni già esaminate in relazione a quello delle parti private (omissis) e (omissis), quanto all’irregolare deposito da parte di collaboratore di studio delegato dal procuratore speciale, laddove l’atto non sarebbe delegabile affatto e comunque la delega non era prevista dalla procura speciale e mancava delle generalità del procuratore speciale.

Inoltre, si contesta anche la nomina del difensore, che non sarebbe stata conferita con atto di procura alle liti autenticato in calce alla costituzione di parte civile, ai sensi dell’art. 100, comma 2, cod. proc. pen., e si denuncia, altresì, che l’atto di costituzione di parte civile non sarebbe stato depositato in copia conforme ma semplice e che il procuratore speciale di Intesa San Paolo Private Banking s.p.a. non aveva il potere di nominare procuratori speciali ex artt. 76 e 122 cod. proc. pen. per l’esercizio dei poteri sostanziali conferitigli.

Infine, si denuncia l’inammissibilità della costituzione di parte civile da parte di Intesa San Paolo Private Banking s.p.a. che ha frazionato le azioni, instaurando prima un giudizio civile nei confronti dell’imputato, funzionale ad ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e, successivamente, si è costituita parte civile nel per ottenere il risarcimento dei danni di carattere non patrimoniale, quanto meno del danno all’immagine.

Il motivo di ricorso si chiude con la contestazione sintetica e riepilogativa delle risposte della Corte d’Appello alle obiezioni difensive già esposte e chiedendo l’annullamento con o senza rinvio della sentenza impugnata.

2.2. Il secondo motivo di ricorso eccepisce, in relazione al capo 1, violazione di legge quanto alla mancata assoluzione del ricorrente perché il fatto non sussiste oppure alla mancata declaratoria di non doversi procedere per essere il reato estinto per prescrizione, chiedendo la riqualificazione giuridica dei fatti nel reato di appropriazione indebita.

La tesi difensiva è che il ricorrente abbia realizzato legittimamente, su autorizzazione delle persone offese (omissis) e (omissis) (omissis), le operazioni bancarie ritenute predatorie con abuso della sua qualità, così come riconosciuto in suo favore per le operazioni bancarie relative al marito e padre delle due donne, (omissis) (omissis), il quale avrebbe avuto l’incarico dai familiari di gestire gli investimenti comuni ed in tale veste, di incaricato, appariva all’imputato.

Opererebbe, quindi, in favore del ricorrente, la scriminante del consenso ex art. 50 cod. pen., anche nella forma putativa eventualmente (art. 59 cod. pen.), visto l’affidamento ingenerato nel ricorrente dall’operato di (omissis) (omissis); mentre non è idoneo a sostenere l’esclusione del consenso l’argomento utilizzato dalla Corte d’Appello, secondo cui dal dolersi delle persone offese degli ammanchi subiti, si evincerebbe la loro mancata delega al familiare ad agire per proprio conto a fini di investimento e, quindi, la loro contrarietà.

Si eccepisce, in particolare, anche il vizio di motivazione della sentenza là dove non indica i criteri di valutazione della prova, né enuncia le ragioni per le quali non sono stati tenuti in considerazione alcuni elementi favorevoli al ricorrente, esponendo passaggi del provvedimento impugnato e rilevandone le asserite irragionevolezze motivazionali, avuto riguardo soprattutto alla coerenza nell’esame delle dichiarazioni testimoniali di (omissis) (omissis) rispetto a sua moglie (omissis) (omissis) ed a sua figlia (omissis).

Si invoca, anche nell’alveo del vizio di contraddittorietà motivazionale, il mancato superamento del canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio e si chiede la riqualificazione giuridica dei fatti a lui ascritti (come residuano all’esito della condanna in appello, evidentemente) nel reato di appropriazione indebita piuttosto che in quello di furto ritenuto sussistente; vi sarebbe, a monte delle condotte, un potere di gestione dei fondi patrimoniali conferito al ricorrente molto ampio per le operazioni di investimento della famiglia (omissis), diverso da quello ritenuto fondante il delitto di furto in simili ipotesi secondo la giurisprudenza di legittimità.

Peraltro, si evincerebbe la mancanza di dolo del reato di furto dai fatto che l’imputato non ha mai spostato le somme sottratte su un conto corrente proprio, ma ne ha disposto con bonifici bancari completi di causali e con assegni circolari.

2.3. Il terzo motivo di censura eccepisce, in relazione ai capi 2 e 3, violazione di legge quanto alla mancata assoluzione del ricorrente con formula più favorevole “perché il fatto non sussiste” o “non costituisce reato”.

La Corte d’Appello ha ritenuto che le statuizioni di proscioglimento in primo grado, rispettivamente per difetto di querela (capo 2) e perché il fatto non è previsto dalla legge come reato (capo 3), non fossero appellabili, ai sensi dell’art. 443 cod. proc. pen., né potesse valere la disposizione di cui all’art. 580 cod. proc. pen.

Il ricorrente denuncia l’erroneità di tale impostazione, richiamando Sez. 3, n. 23480 del 2014 ed il principio di unitarietà delle statuizioni decisorie, quando con l’appello siano impugnati legittimamente anche altri capi della sentenza relativi a diversi reati, evocando la medesima ratio della sentenza della Corte costituzionale n. 274 del 2009 in tema di appellabilità delle pronunce di assoluzione per difetto di imputabilità derivante da vizio totale di mente. Inoltre, si ripropongono gli argomenti di appello avverso la decisione di proscioglimento per i capi 2 e 3, neppure esaminati dalla Corte territoriale, che li ha ritenuti erroneamente inammissibili, evidenziando la possibilità che la Cassazione decida direttamente su di essi, assolvendo il ricorrente con formula più favorevole.

2.4. Il quarto motivo di ricorso denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata assoluzione del ricorrente, quantomeno parziale, dai fatti a lui ascritti al capo 4, riguardo al quale è stata emessa sentenza di prescrizione, sottolineando l’assenza di alcuni elementi tipici del reato di truffa, vale a dire: la mancanza dell’atto di disposizione patrimoniale da parte della vittima ingannata; la mancanza di prova del danno-profitto ingiusto, che non può identificarsi con l’andamento negativo dell’investimento, poiché la falsa rendicontazione ha celato le perdite ma non le ha create, si dice.

L’accertamento del danno avrebbe dovuto, in particolare, prevedere il raggiungimento della prova che i clienti, laddove fossero stati correttamente informati circa la propria situazione, avrebbero disinvestito, diversamente da quanto accaduto, e che il mantenimento dell’investimento si fosse rivelato effettivamente fonte di ulteriore perdita rispetto all’andamento negativo del titolo.

Si passano in rassegna, quindi, le motivazioni della Corte d’Appello, contestandole nei vari passaggi, anche sul tema dell’ingiustizia del profitto del reato.

2.5. Il quinto motivo di ricorso denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio.

Si eccepisce:

– l’insussistenza dell’aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 2, cod. pen. poiché le condotte non avrebbero quell’insidiosità necessaria anche per la giurisprudenza di legittimità, tenuto conto del lungo lasso di tempo in cui sono state effettuate le operazioni contabili contestate e del fatto che esse sono state accompagnate dalle indicazioni causali e comparivano sugli estratti conto dei clienti, regolarmente inviati a costoro.

In particolare, si eccepisce la coincidenza tra l’aggravante e la condotta di reato necessaria a compiere la sottrazione del danaro, vale a dire la falsificazione della contabile, che costituisce parte necessaria dell’azione sottrattiva;

– l’eccessività della dosimetria della pena, ai sensi dell’art. 133 cod. pen.;

– l’ingiustificato diniego del bilanciamento delle attenuanti generiche in prevalenza sulle aggravanti, che ha sottovalutato il comportamento collaborativo dell’imputato e la sua revisione critica riguardo all’accaduto; il ricorrente ha anche formulato una proposta transattiva con Intesa San Paolo, mettendo a disposizione il proprio patrimonio.

Si chiede, altresì, la sospensione condizionale della pena, qualora dovessero essere accolte le censure relative al trattamento sanzionatorio in senso compatibile con la concessione del beneficio.

2.6. Il sesto motivo di censura denuncia violazione di legge, contraddittorietà della motivazione e mancata revoca delle statuizioni civili quanto al danno patrimoniale, nei riguardi di (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis): non avrebbe dovuto essere liquidato tale danno, non richiesto dalle parti civili, che si limitavano all’istanza relativa al danno morale.

Si denuncia, altresì, mancata revoca o riduzione delle statuizioni civili a favore dei due istituti bancari – parti civili, operando l’art. 1227 cod. civ. (richiamato dall’art. 2056 cod. civ.), che esclude il risarcimento per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza.

Nel caso di specie, le banche avevano già in passato attivato controlli nei confronti del ricorrente per sue condotte irregolari, senza alcun intervento diligente per porvi fine, sicché o si deve escludere del tutto il danno, non avendo il creditore utilizzato l’ordinaria diligenza, oppure il danno va sensibilmente ridotto in ragione dell’atteggiamento gravemente colpevole degli istituti bancari rispetto alla situazione.

Inoltre, si sottolinea che avrebbe dovuto operare il principio di compensatio lucri cum damno, tenuto conto che il ricorrente, con le sue condotte, ha comunque evitato alle banche disinvestimenti in periodi sfavorevoli, facendo sì che gli istituti mantenessero un consistente “portafoglio clienti” (circa 1 milione e 200 mila euro).

Si eccepisce l’illogicità della motivazione utilizzata dalla Corte d’Appello per disattendere la richiesta difensiva addotta nei termini predetti in sede di impugnazione di secondo grado, richiamando l’incertezza della prognosi sul comportamento dei correntisti.

Infine, si eccepisce violazione di legge in relazione alla mancata acquisizione di prova decisiva costituita dalla verifica della duplicazione delle voci di danno risarcite in favore dei due istituti bancari, in conseguenza della causa civile in corso presso la sezione lavoro del Tribunale di Bergamo: avrebbe dovuto verificarsi la definitività dell’eventuale statuizione al riguardo e, di conseguenza, il suo contenuto.

3. Su richiesta del difensore dell’imputato, è stata ammessa la trattazione orale del ricorso.

3.1. In vista dell’udienza, le parti civili costituite hanno depositato memorie conclusive.

(omissis) (omissis) ha rappresentato l’inammissibilità del ricorso dell’imputato, segnalando che l’unica delega (allegata), che aveva conferito al padre per operare sui suoi investimenti, si riferiva ad un conto corrente in relazione al quale non sono risultati ammanchi.

Gli istituti di credito costituiti parte civile hanno depositato corposa memoria difensiva con cui, ripercorrendo le linee essenziali dei fatti del processo, chiedono il rigetto del ricorso, avuto riguardo alle statuizioni civili disposte in loro favore (allegano anche la memoria in vista dell’appello). Depositano in udienza nota spese.

3.2. Il Sostituto Procuratore Generale, Dott.ssa Sabrina Passafiume, ha depositato conclusioni scritte nel senso del rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è complessivamente inammissibile.

I fatti possono essere così sintetizzati:

l’imputato, nella sua qualità di direttore dell’agenzia di Fiorano al Serio dell’Istituto Private banking Intesa San Paolo, all’esito delle assoluzioni pronunciate nel corso del processo, è accusato di aver commesso alcune condotte di furto di somme depositate sui conti correnti di alcuni dei suoi clienti più facoltosi – tra i quali i componenti della famiglia (omissis) – mediante falsificazione di contabili bancarie ed al fine di occultare perdite sugli investimenti effettuati per loro conto;

a detti clienti veniva sottratta anche la corrispondenza relativa ai risultati di gestione ed offerta fittizia rendicontazione sulla carta intestata della banca, da lui stesso falsamente formata, per convincerli di essere detentori di consistenze superiori a quelle attestate dai rendimenti ufficiali, con una differenza nelle valorizzazione del portafogli pari a circa 24 milioni di euro, 12 milioni dei quali sottratti a (omissis) (omissis) ed alla figlia ed alla moglie di questi, costituite parti civili.

I trasferimenti di danaro illeciti dai conti correnti sono stati al centro della confessione dell’imputato, mentre le sottoscrizioni dei correntisti sulle disposizioni bancarie disconosciute si sono rivelate apocrife.

Le accuse afferenti alle somme sottratte a (omissis) (omissis), poi, sono state ritenute non provate, per la mancanza di attendibilità della persona offesa, coinvolto in modo opaco in affari con l’imputato e autore di un’autorizzazione ad operare sui propri conti correnti conferita a quest’ultimo, le cui finalità non sono state del tutto ricostruite ma inscrivono in un contesto di finanziamenti in favore di due società riferibili allo stesso (omissis) e in decozione.

Si è ritenuto, poi, scarsamente credibile che, a sua insaputa, il ricorrente abbia sottratto ad un correntista importante come (omissis) (omissis), somme di denaro per circa 10 milioni di euro, considerando il suo accesso privilegiato a qualsiasi informazione o servizio della banca, anche con rapporti personali di frequentazione.

2. Preliminarmente è opportuno chiarire, anche in risposta alla sollecitazione svolta in udienza dalla difesa del ricorrente, che non è necessario compiere alcun accertamento da parte del Collegio relativamente alla presenza in atti delle querele relative alle condotte di reato di cui al capo 1, per le quali residua la condanna nei suoi confronti. Infatti, è pur vero che, in seguito all’adozione del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, il delitto di furto, ancorché aggravato (tranne che per le eccezioni previste dell’aggravante ex art. 625, comma primo, n. 7 – fatta salva l’esposizione a pubblica fede – e 7-bis), è procedibile a querela di parte.

Tuttavia, nel caso di specie, le costituzioni di parte civile – e le memorie depositate dai difensori di alcune delle parti civili, in vista dell’udienza dinanzi alla Cassazione, oltre alla presenza stessa del difensori in udienza – compendiano la volontà di querela, come in più occasioni ha ricordato questa Corte regolatrice, anche qualora sia previsto un termine per proporre quest’ultima da una novella legislativa che abbia rimodulato la precedente procedibilità d’ufficio di un reato; ciò perché l’atto di costituzione nel processo penale esprime la volontà della persona offesa di punizione dell’autore del reato (si veda, in diversa fattispecie, Sez. 6, n. 29546 del 7/10/2020, A., Rv. 279690; nonché Sez. 2, n. 5193 del 5/12/2019, Feola, Rv. 277801).

Già le Sezioni Unite, nella sentenza Sez. U, n. 40150 del 21/6/2018, Salatino, Rv. 273551, hanno evidenziato, richiamando Sez. 5, n. 43478 del 19/10/2001, Cosenza, Rv. 220259, che la sussistenza della volontà di punizione da parte della persona offesa, non richiedendo formule particolari, può essere riconosciuta dal giudice anche in atti che non contengono la sua esplicita manifestazione; sicché tale volontà può essere riconosciuta anche nell’atto con il quale la persona offesa si costituisce parte civile, nonché nella persistenza di tale costituzione nei successivi gradi di giudizio (cfr., Sez. 2, n. 19077 del 03/05/2011, Maglia, Rv. 250318; Sez. 5, n. 15691 del 06/12/2013, dep. 2014, Anzalone, Rv. 260557; Sez. 5, n. 21359 del 16/10/2015, dep. 2016, Giammatteo, Rv. 267138; Sez. 5, n. 29205 del 16/02/2016, Rahul Jetrenda, Rv. 267619).

Deve ribadirsi, quindi, che, anche successivamente all’entrata in vigore del diverso regime di procedibilità a querela, previsto per alcune fattispecie di reato dal d.lgs. n. 150 del 2022, la costituzione di parte civile esprime la sussistenza della volontà di punizione da parte della persona offesa, che non richiede formule particolari, ma può essere riconosciuta dal giudice anche in atti che non contengono la sua esplicita manifestazione.

Senza contare che l’inammissibilità del ricorso preclude la possibilità di dichiarare la sopravvenuta improcedibilità a querela, per effetto dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2022, poiché tale improcedibilità non opera quale ipotesi di “abolitio criminis” e non incide sul cd. giudicato sostanziale.

3. Il primo motivo di ricorso è aspecifico, poiché reitera le medesime questioni già ampiamente dibattute dalla sentenza d’appello, senza confrontarsi realmente con gli argomenti del provvedimento impugnato, nonché, soprattutto, manifestamente infondato.

Quanto alla tardività della costituzione di parte civile per Simona Gamba e Maria Pezzoli, anche se si aderisce alla tesi del ricorrente espressione dell’opzione giurisprudenziale dominante, secondo cui la costituzione di parte civile deve avvenire, a pena di decadenza, non già in un momento antecedente alla dichiarazione di apertura del dibattimento, in cui il giudice ha esaurito l’accertamento della regolare costituzione delle parti e deciso le questioni sollevate ai sensi dell’art. 491, comma 1, cod. proc. pen., bensì entro il termine stabilito dall’art. 484 c.p.p. e, dunque, fino a che non siano stati compiuti gli adempimenti relativi alla regolare costituzione delle parti (tra le più recenti, cfr. Sez. 5, n. 31974 del 13/3/2019, Rv. 277248, in motivazione; Sez. 6, n. 16394 del 20/02/2018, Z., Rv.272984; Sez. 6, n. 10958 del 24/02/2015, PC in proc. 1, Rv. 262988; Sez. 5, n. 38982 del 16/07/2013, Zoccali, Rv. 257763), nel caso di specie, le costituzioni di parte civile sono state tempestive.

Per come risulta dai relativi verbali, infatti, e per quel che consta dalla ampia motivazione della sentenza d’appello, gli adempimenti inerenti alla regolare costituzione delle parti non si sono esauriti all’udienza del 27.5.2015, ma il processo, che ha subito uno stralcio, relativamente al capo 4 dell’imputazione (funzionale a consentire la rinnovazione del decreto di citazione a giudizio, affetto da nullità), ed un rinvio per consentirne la riunione nuovamente con la tranche principale, è stato rifissato per la prima udienza successiva a tale iniziale separazione, definita “virtuale” dalla stessa difesa, ad una “nuova” prima udienza del 21.10.2015 – in cui alcuna attività è stata svolta in ragione del mancato rispetto dei termini di notifica nei confronti dell’imputato, con rinvio alla successiva udienza del 22.12.2015.

Solo in tale data il processo, finalmente regolarmente riunito, ha avuto inizio e solo quella udienza può essere considerata come “prima” utile al fine di regolarizzare la costituzione delle parti (non importa se in qualche modo anticipata alla precedente udienza di maggio, ma superata dagli sviluppi processuali successivi).

In vista dell’udienza del 22.12.2015, quindi, le parti civili (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) hanno ritualmente depositato in cancelleria, in data 27.11.2015, la loro costituzione in giudizio, limitatamente ai capi di imputazione che le vedevano come persone offese (capi 1,2,3,5): il processo va inteso, infatti, come luogo giuridico di sviluppo delle richieste delle parti – pubblica e privata – che, nel caso di specie, ha visto compiersi il suo definitivo assetto nella citata udienza di dicembre.

Proprio perché la costituzione di parte civile di (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) è tempestiva, sono superate le eccezioni difensive di ordine formale riferite alla prima costituzione di parte civile. Eccezioni che, tuttavia, sono state riproposte anche in relazione al secondo atto di costituzione di parte civile, ancorché manifestamente infondate.

Difatti, nella fattispecie in esame, non sussiste un vizio di mancanza di procura speciale regolare ai sensi degli artt. 76 e 122 cod. proc. pen.: la costituzione è stata depositata direttamente nella cancelleria del Tribunale, senza che, per tale adempimento, sia necessario che il delegato sia munito di procura speciale al deposito.

Inoltre, nell’atto di costituzione è contenuta la chiara indicazione del rilascio di procura speciale al fine di costituirsi ai sensi degli artt. 83 cod. proc. civ. e 100 cod. proc. pen., come ha evidenziato la sentenza d’appello, senza che rilevi il mancato, formale riferimento alla disposizione dell’art. 122 cod. proc. pen., posto che, nei casi in cui nel giudizio penale sia prescritto che la parte stia in giudizio col ministero di difensore munito di procura speciale, il mandato, in virtù del generale principio di conservazione degli atti, deve considerarsi valido anche quando la volontà del mandante non sia trasfusa in rigorose formule sacramentali, ovvero sia espressa in forma incompleta, potendo il tenore dei termini usati nella redazione della procura speciale e la sua collocazione escludere ogni incertezza in ordine all’effettiva portata della volontà della parte (così, ex multis, Sez. 4, n. 3445 del 11/9/2019, dep. 2020, Piazza, Rv. 278026, in una fattispecie relativa a dichiarazione di costituzione di parte civile sottoscritta dal solo difensore di fiducia e recante, in calce, la sola procura “ad litem“, con cui erano stati conferiti i poteri di rappresentanza tecnica ai sensi dell’art. 100 cod. proc. pen., in cui la Corte ha ritenuto che la volontà della parte di farsi rappresentare potesse evincersi dall’esplicito riferimento, contenuto nella procura, all’intento di costituirsi).

3.1. Le medesime obiezioni, nel loro nucleo essenziale, vengono proposte anche rispetto alla costituzione delle parti civili Intesa San Paolo s.p.a. e Intesa San Paolo Private Banking s.p.a.. sicché esse devono essere tutte dichiarate, per le ragioni già esposte, inammissibili, quanto alla mancanza di procura speciale del soggetto delegato al deposito dell’atto di costituzione prima dell’udienza del 22.12.2015, alla tardività della costituzione depositata il 16.12.2015 (con l’unica differenza che, per tali parti civili, si mette in dubbio la tempestività della costituzione soltanto in relazione al capo 4 dell’imputazione).

Manifestamente infondate e reiterative di ragioni già superate dalla Corte d’Appello sono le questioni riferite alla nomina del difensore, che non sarebbe stata conferita con atto di procura alle liti autenticato in calce alla costituzione di parte civile, ai sensi dell’art. 100, comma 2, cod. proc. pen., ma con atto separato, poiché si è correttamente applicato il principio di diritto secondo cui la procura alle liti conferita dalla parte civile al difensore, con scrittura privata l’autografia della cui sottoscrizione è certificata dal difensore medesimo, è valida ed idonea alla rituale instaurazione del rapporto processuale anche se sia apposta in un atto diverso da quelli indicati nel comma secondo dell’art. 100 cod. proc. pen., sempre che sia riferita in modo certo al processo in relazione al quale la si allega e siano assicurate la sua certezza e tempestività (Sez. U, n. 8650 del 18/6/1993, Depaoli, Rv. 194488; Sez. 6, n. 30713 del 28/6/2016, DN, Rv. 267437).

Irrilevante e generica anche l’eccezione relativa al deposito in copia semplice dell’atto di costituzione di parte civile, tenuto conto del disposto dell’art. 78, comma 2, cod. proc. pen., che nulla osserva al riguardo; mentre, quanto alla mancanza di potere del procuratore speciale di Intesa San Paolo Private Banking s.p.a. di nominare procuratori speciali ex art. 76 e 122 cod. proc. pen., per l’esercizio dei poteri sostanziali conferitigli, il ricorrente non si confronta con la puntuale motivazione della sentenza d’appello, che ha riportato (cfr. pagg. 60 e 61) l’ampio tenore della procura speciale rilasciata, il 5.11.2014, al suddetto procuratore speciale, dall’Istituto bancario, evidenziandone il contenuto di conferimento di poteri “sostanziali”.

Ancora generiche le obiezioni di mancata risposta a non meglio precisate, ulteriori eccezioni sulla costituzione di parte civile, nonché quelle sul “frazionamento” della domanda risarcitoria da parte degli istituti di credito.

A proposito di quest’ultima censura, infatti, deve richiamarsi il principio civilistico secondo cui le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benché relative ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere formulate in autonomi giudizi se risulti, in capo al creditore, un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata (Sez. U civ. n. 4090 del 26/2/2017, Rv. 643111): nel caso di specie, la Corte territoriale ha ben descritto la giustificazione di tale interesse, facendo riferimento al danno patrimoniale “da immagine”, tutelabile in via principale proprio nel processo penale, ove direttamente si sarebbe accertata l’esistenza e la consistenza dei reati dalla cui consumazione sono discesi i danni risarcibili ex art. 2059 cod. civ., e validando la scelta di agire distintamente, per il risarcimento dei danni patrimoniali, in sede civile.

4. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile perché formulato secondo schemi di censura sottratti al sindacato di legittimità, che si risolvono in una rilettura, non consentita di aspetti probatori valutati dal giudice di merito secondo parametri motivazionali non afflitti da vizi di contraddittorietà, manifesta illogicità o carenza (cfr., tra le più recenti, Sez. 6, n. 5465 del 4/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482).

Le ragioni di ricorso sono, poi, anche manifestamente infondate.

La Corte d’Appello, nella scia della sentenza di primo grado, ha ritenuto del tutto priva di sostegno probatorio la tesi difensiva del ricorrente avuto riguardo al capo 1 della contestazione, tesi che disegna uno scenario in cui il suo agire era stato autorizzato da (omissis) (omissis) ad operare sui conti delle persone offese (omissis) e (omissis) (omissis), sicché, pur volendo ammettere che il primo non avesse avuto realmente delega in tal senso dalle vittime, in ogni caso nei confronti del ricorrente rileverebbe la scriminante del consenso putativo dell’avente diritto.

Le prove relative ai rapporti interni alla famiglia (omissis), infatti, hanno accertato la totale inconsapevolezza delle due donne rispetto all’operato di (omissis) ed hanno consentito di appurare che non è stata ritrovata alcuna delega in favore di (omissis) (omissis) ad operare sui conti personali intestati esclusivamente alla moglie ed alla figlia (conti che sono oggetto dell’imputazione in relazione alla quale il ricorrente è stato condannato).

Né è sostenibile e nemmeno plausibile la tesi del consenso putativo, immaginato dal ricorso come convinzione fondata da parte dell’imputato di operare sui conti delle vittime grazie alla capacità gestoria dell’amico (omissis) (omissis): è stato, infatti, logicamente ritenuto del tutto inverosimile che un funzionario esperto come (omissis) potesse ritenersi legittimato a prelevare somme per importi di centinaia di migliaia di euro dai conti di due correntiste in assenza di specifica interlocuzione con loro e della sottoscrizione di deleghe o degli atti necessari.

E ciò anche se si ritenesse vero – ma piuttosto dalle prove testimoniali emerge il contrario – che il ricorrente fosse convinto che (omissis) (omissis) fosse il deus ex machina delle scelte patrimoniali/finanziarie del nucleo familiare; e nonostante la sentenza d’appello abbia, in via dubitativa, ritenuto possibile che (omissis) – il quale ha sempre negato tale circostanza – avesse un accordo con il ricorrente funzionale a gestire in modo informale e senza autorizzazioni scritte i conti delle proprie società o suoi personali, sì da confermare l’assoluzione di (omissis) per i furti relativi alle somme sottratte proprio al predetto (omissis).

Il dolo del reato di furto è stato anch’esso ricavato proprio dalla reiterazione delle condotte e dalla loro entità, oltre che dalle circostanze decisive di contesto citate, senza che incidano sulla prova dell’elemento soggettivo le osservazioni circa il fatto che le somme non siano state spostate su conti personali dell’imputato ma le abbia destinate al finanziamento delle società o all’estinzione di debiti verso terzi, che si è accertato, peraltro, comunque collegati ai suoi interessi personali o politici (il ricorrente era, nel periodo, sindaco del comune di (omissis)).

Quanto alla richiesta di riqualificazione giuridica delle condotte contestate nella fattispecie di appropriazione indebita, il Collegio rammenta che, per giurisprudenza costante, risponde del reato di furto aggravato, e non di appropriazione indebita, il funzionario di banca che disponga del denaro depositato sul conto corrente, in assenza di delega del correntista alla gestione delle somme o senza il rispetto dei vincoli derivanti da tali deleghe (Sez. 2, n. 2098 del 13/11/2022, dep. 2023, Maniscalco, Rv. 283897; Sez. 5, n. 10758 del 21/12/2015, dep. 2016, Tanzi, Rv. 266334; Sez. 6, n. 32543 del 10/5/2007, Varriano, Rv. 237175).

Senza contare, poi, la genericità del motivo di ricorso, che verte tutto sulla contestazione della porzione di condotta di reato riferita alle vittime appartenenti alla famiglia (omissis), dimenticando la maggior ampiezza dell’imputazione che si rivolge alla sottrazione di somme di denaro ingenti dai conti correnti anche di altre persone, diverse.

5. Il terzo motivo di censura, compresa la questione di costituzionalità, peraltro solo genericamente evocata, sono manifestamente infondati. In tema di giudizio abbreviato, costituisce un’indicazione ermeneutica condivisa ritenere che sia ammissibile il ricorso per cassazione proposto dall’imputato avverso la sentenza assolutoria pronunciata con la formula “perché il fatto non costituisce reato”, al fine di ottenere una formula di proscioglimento più ampia in quanto la limitazione prevista dall’art. 443 cod. proc. pen. si applica al solo appello (cfr. Sez. 6, n. 16843 del 1/3/2018, Acquavella, Rv. 273179; Sez. 5, n. 4349 del 28/10/2008, dep. 2009, Carloni, Rv. 242954, in motivazione).

Inoltre, deve ritenersi manifestamente infondata, in riferimento agli articoli 2, 3, 24 e 111 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 443 cod. proc. pen. – come modificato dall’art. 10 L. n. 46 del 2006, successivamente dichiarato costituzionalmente illegittimo (sent. n. 320 del 2007), nella parte in cui escludeva l’appello del pubblico ministero avverso le sentenze di proscioglimento – nella parte in cui esclude l’appellabilità, da parte dell’imputato, della sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio abbreviato, in quanto il secondo grado di merito non gode di garanzia costituzionale e detta limitazione appare, peraltro, bilanciata dalla rapidità e completezza nella definizione del processo oltre che ragionevole in relazione ai benefici premiali derivanti all’imputato dalla scelta di tale rito (Sez. 5, n. 4349 del 28/10/2008, dep. 2009, Canoni, Rv. 242954).

6. Il quarto motivo di ricorso è egualmente inammissibile, perché reitera ragioni di denuncia alle quali la sentenza impugnata ha già fornito ampia risposta, e perché rivalutativo e in fatto, oltre che manifestamente infondato.

La censura riguarda la mancata assoluzione del ricorrente, quantomeno parziale, dai fatti a lui ascritti al capo 4, e configurati come truffa aggravata, in relazione al quale è stata emessa sentenza di prescrizione.

La tesi del ricorrente, che sostiene l’assenza di alcuni elementi tipici del reato, è priva di fondamento.

La contestazione riguarda le condotte attraverso le quali (omissis) nascondeva ai correntisti indicati nel capo di imputazione le perdite maturate sugli investimenti, consegnando loro prospetti excel da lui redatti, che falsamente ne indicano la redditività, provvedendo poi, quando il cliente aveva bisogno di realizzare la liquidità così fittiziamente rappresentata, ad indebiti trasferimenti di somme dai conti di ignari correntisti vittime del capo uno, al fine di costituire la necessaria provvista.

Sussistono gli elementi tipici del delitto di truffa contestato. Ed infatti, ferma la configurabilità degli artifici e raggiri realizzati attraverso rappresentazioni false di situazioni finanziarie floride dei correntisti-vittime, il problema giuridico posto dal ricorrente è quello relativo alla possibilità di ritenere sussistente il danno patrimoniale e la stessa disposizione patrimoniale, conseguente alla condotta artificiosa, poiché nel caso di specie tali dati si risolvono in una omessa attuazione di atti dispositivi, idonei a bloccare gli investimenti in perdita.

6.1. Ebbene, come ha sottolineato la Corte d’Appello, quanto all’obiezione difensiva riferita alla mancanza di un vero e proprio atto di disposizione patrimoniale della vittima, è sufficiente osservare che la truffa si compone, sul piano oggettivo, se si è in presenza di artifici o raggiri che procurino a sé o ad altri un ingiusto profitto, con altrui danno, e non richiede che il profitto o danno discenda da condotte “attive” del raggirato o della persona offesa, se non coincidenti.

Già in passato, infatti, si è chiarito che, nel delitto di truffa, il danno della vittima può realizzarsi non soltanto per effetto di una condotta commissiva, bensì anche per effetto di un suo comportamento omissivo, nel senso che la vittima, indotta in errore, ometta di compiere quelle attività intese a fare acquisire al proprio patrimonio una concreta utilità economica, alla quale ha diritto e che rimane invece acquisita al patrimonio altrui (Sez. 2, n. 2808 del 2/10/2008, dep. 2009, Bedino, Rv. 242649, in una fattispecie nella quale l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura, indotta in errore sull’identità dell’effettivo “primo acquirente” del latte prodotto, causato da fittizia interposizione di società cooperative tra produttore del latte e acquirente finale, aveva omesso di richiedere il pagamento dei prelievi supplementari sull’eccedenza delle relative quote; vedi anche, Sez. 2, n. 38049 del 16/7/2019, Paoletti, Rv. 277219 e, in passato, in diversa fattispecie, Sez. 2, n. 5465 del 23/2/1972, Pozzi, Rv. 121775).

6.2. La peculiarità del caso oggi in esame attiene al fatto che il comportamento omissivo della vittima, determinato dalla condotta ingannevole dell’imputato, ha fatto sì che essa cumulasse un danno nel suo patrimonio, costituito dalla continuata gestione finanziaria in perdita dei propri investimenti, sicuramente attribuibile alla circostanza che, all’ignaro investitore, veniva rappresentata una situazione di incremento degli investimenti stessi ampiamente in attivo attraverso l’artificiosa documentazione creata appositamente dal ricorrente.

E se è vero che, a monte, la falsa rendicontazione ha celato le perdite finanziarie derivate dalla perdita dei titoli di investimento ma non le ha create – come evidenzia la difesa – e che il danno ingiusto non può identificarsi con l’andamento negativo dell’investimento in sé, è pur sempre necessario, da un lato, tener conto della perdita della base patrimoniale investita dai correntisti, di cui il ricorso non si occupa affatto ed in questo sconta una persistente genericità; dall’altro, della perdita di chance come voce del danno subito.

Infatti, ancorché non sia dato prevedere che, se le vittime raggirate avessero saputo dell’andamento reale dei titoli, avrebbero certamente disinvestito, tuttavia è certo che le persone offese abbiano perso la chance di orientarsi in tal senso, scelta che – secondo quanto risulta dalle sentenze di merito – si sarebbe rivelata di certo economicamente più vantaggiosa.

Il dubbio relativo alle determinazioni ed alle scelte personali dei correntisti, in altre parole, non può riverberarsi sulla valutazione della certezza della diseconomica gestione in perdita dei titoli, fortemente decrementati nel valore dei cespiti investiti, con differenze in perdita pari a centinaia di migliaia di euro e, per taluno, pari a milioni di euro (cfr. pag. 93 della sentenza impugnata).

E deve ritenersi che la perdita della possibilità di essere informato e di orientarsi, reagendo con una strategia di disinvestimento, in merito ad un così significativo abbattimento del valore del proprio stato patrimoniale investito in titoli, configuri senza dubbio quella concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un vantaggio, ancorché in termini di non ulteriore perdita di danaro, e non rappresenti invece una mera aspettativa di fatto non tutelabile (cfr., sul tema, Sez. 2, n. 18762 del 15/1/2013, Meloni, Rv. 255194); tale perdita di chance si rivela, quindi, in un caso come quello in esame, proprio in quella dimensione di entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione, che la giurisprudenza civile ritiene indispensabile al fine di integrare una voce autonoma di danno risarcibile (cfr., tra le molte, Sez. L, n. 16877 del 20/6/2008, Rv. 603883; Sez. L, ord. n. 1884 del 21710/2022, Rv. 663644; vedi anche Sez. L, n. 37002 del 16/12/2022, Rv. 666307).

Sempre che, ovviamente, sussista la prova di una concreta ed effettiva occasione perduta, vale a dire di una seria ed apprezzabile possibilità di conseguire il risultato atteso (cfr., tra le più recenti in tema, Sez. 6 -3 civ., ord. n. 2261 del 22/1/2022, Rv. 663862), circostanza questa che, nel caso di cui si verte, appare ampiamente ed evidentemente ed accertata.

Deve, pertanto, concludersi che, è configurabile il delitto di truffa nel caso in cui il danno della vittima si realizzi per effetto di un suo comportamento omissivo, determinato dalla condotta ingannevole dell’imputato, e si concretizzi nella continuata gestione finanziaria in perdita dei propri investimenti relativi a somme depositate in conto corrente, attribuibile alla circostanza che, all’ignaro investitore, venga rappresentata, dal dipendente dell’istituto di credito, una situazione di incremento degli investimenti stessi ampiamente in attivo, attraverso artificiosa documentazione contabile appositamente creata.

6.3. Quanto all’ulteriore elemento di fattispecie costituito dal profitto ingiusto, poiché esso ricomprende qualsiasi utilità, incremento o vantaggio patrimoniale, anche a carattere non strettamente economico, coerentemente la Corte territoriale ha valutato la sua sussistenza, desumendola dal conseguimento, da parte del ricorrente, dei premi di produzione collegati alla gestione del parterre di investimento dei diversi correntisti coinvolti e dallo stesso mantenimento del cospicuo portafoglio-clienti, funzionale al suo credito professionale presso l’istituto bancario datore di lavoro ed alle sue prospettive di carriera interne.

7. Il motivo dedicato alle doglianze circa il trattamento sanzionatorio, ritenuto troppo gravoso ed inadeguato alla fattispecie concreta, ed alla sussistenza dell’aggravante prevista per il capo 1 (art. 625, comma primo, n. 2, cod. pen.) è inammissibile.

A prescindere dal fatto che le censure relative all’aggravante appena citata sono inedite nella loro indicazione proposta dinanzi al giudice di legittimità, si tratta di osservazioni del tutto prive di fondamento, posto che, nel reato di furto, l’aggravante dell’uso del mezzo fraudolento delinea una condotta, posta in essere nel corso dell’azione delittuosa dotata di marcata efficienza offensiva e caratterizzata da insidiosità, astuzia, scaltrezza, idonea, quindi, a sorprendere la contraria volontà del detentore e a vanificare le misure che questi ha apprestato a difesa dei beni di cui ha la disponibilità (per tutte, cfr. Sez. U, n. 40354 del 18/7/2013, Sciuscio, Rv. 255974): nel caso di specie, ricorrono senz’altro i caratteri di insidiosità e astuzia della condotta da parte del suo autore, che non ha esitato a sottrarre somme ingenti di danaro dai conti correnti dei clienti, anche grazie ad accorgimenti contabili scaltri.

Le circostanze attenuanti generiche sono state giustificatamente bilanciate come equivalenti e non prevalenti rispetto alle aggravanti, poiché si è tenuto conto della particolare, pervicace spregiudicatezza dell’imputato, non elisa dai positivi comportamenti processuali e post-factum; il trattamento sanzionatorio, pertanto, è stato adeguatamente motivato in relazione alla sensibile gravità del reato.

8. Inammissibile è, infine, anche l’ultimo motivo di ricorso, dedicato a contestare le statuizioni civili disposte dai giudici di merito in favore delle parti civili.

Quanto alle statuizioni civili relative al danno patrimoniale patito da (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis), la Corte d’Appello smentisce lo stesso presupposto della censura difensiva: le persone offese, infatti, hanno proposto azione risarcitoria in sede penale anche per tale tipologia di danno.

Le eccezioni, invece, riferite alla quantificazione del danno all’immagine per gli istituti di credito non trovano spazio nel contesto richiamato dal ricorrente.

L’immagine delle banche è stata enormemente compromessa dal disvelamento delle condotte molto gravi di gestione al di fuori di ogni regola dei conti correnti dei clienti, sicché l’effimero, presunto risultato positivo cui il ricorso si aggrappa – vale a dire il mancato depauperamento eventuale del portafoglio dei clienti investitori, conseguente alle sue condotte decettive descritte al capo 4 – certo non riveste alcun ruolo di compensazione del gravissimo danno subito all’emblema di affidabilità, onestà e trasparenza dell’agire che doveva essere proprio degli istituti bancari coinvolti.

Del tutto generico, poi, è il riferimento all’entità del vantaggio che, in tesi, le banche avrebbero conseguito per effetto della condotta di reato del ricorrente.

Né si può addossare a queste ultime la responsabilità di non aver per tempo provveduto a disfarsi di un dipendente che si poteva sospettare in passato fosse stato non all’altezza dei suoi compiti, in termini di correttezza.

Generico, infine, è il richiamo alla possibile duplicazione delle voci di danno risarcite in favore dei due istituti bancari, in conseguenza della causa civile in corso presso la sezione lavoro del Tribunale di Bergamo, della quale non si forniscono dettagli specifici, evocando in modo del tutto apodittico l’omessa acquisizione di un “prova decisiva”.

9. Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente che lo ha proposto al pagamento delle spese processuali nonché, ravvisandosi profili di colpa relativi alla causa di inammissibilità (cfr. sul punto Corte Cost. n.186 del 2000), al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in euro 3.000.

9.1. Deve essere disposta, altresì, la condanna dell’imputato alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili che ne hanno fatto richiesta, nel presente giudizio, che possono essere liquidate nella misura di euro 6000, oltre accessori di legge in favore di Intesa San Paolo s.p.a. e Intesa San Paolo Private Banking s.p.a.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Intesa San Paolo s.p.a. e Intesa San Paolo Private Banking s.p.a. che liquida in complessivi 6000 euro, oltre accessori di legge.

Così deciso il 11 maggio 2023.

Depositato in Cancelleria il 1° agosto 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.