Il disegno protetto dal ’46 dell’iconico scooter italiano è ritenuto un diritto ormai scaduto dai concorrenti cinesi di cui è accolto in parte il ricorso (Corte di Cassazione, Sezione I Civile, Sentenza 28 novembre 2023, n. 33100).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

PRIMA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill,mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARLO DE CHIARA – Presidente –

Dott. GIULIA IOFRIDA – Consigliere Rel. –

Dott. LOREDANA NAZZICONE – Consigliere –

Dott. EDOARDI CAMPESE – Consigliere –

Dott. PAOLO CATALLOZZI – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 19136/2019 R.G. proposto da:

ZHEJIANG ZHONGNENG INDUSTRY GROUP CO LTD, TAIZHOU ZHONGNENG IMPORT AND EXPORT CO LTD, elettivamente domiciliati in ROMA VIA (omissis) (omissis), 4, presso lo studio dell’avvocato (omissis) (omissis) che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati (omissis) (omissis) (omissis), (omissis) (omissis) (omissis), (omissis) (omissis);

-ricorrenti-

contro

PIAGGIO C SPA, elettivamente domiciliata in ROMA VIA (omissis) 146, presso lo studio dell’avvocato (omissis) (omissis) che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (omissis) (omissis) (omissis), (omissis) (omissis), (omissis) (omissis);

-controricorrente-

avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO TORINO n. 677/2019 depositata il 16/04/2019.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/10/2023dal Consigliere dott.ssa GIULIA IOFRIDA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NARDECCHIA GIOVANNI BATTISTA, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

uditi per le ricorrenti gli avv.ti (omissis) (omissis) (omissis), (omissis) (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis), che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso;

uditi per la controricorrente gli avv.ti (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) (omissis), quest’ultima su delega, che hanno chiesto il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Torino, con sentenza n. 677/2019, pubblicata il 16/4/2019, – in controversia promossa, con citazione del 2014, dalle società cinesi Zhejiang Zhongneng Industry Group Co. Ltd e Taizhou Zhongneng Import and Export Co.Ltd, attive nella produzione e commercializzazione di motocicli, tra i quali vi sono i modelli «Cityzen», «Revival» e «Ves», realizzati e omologati tra il 2006 ed il 2012, i primi due protetti come design comunitari, nei confronti della Piaggio C. spa, titolare del marchio italiano tridimensionale n. 001556520, figura di scooter, depositato il 7/8/2013 e registrato il 29/8/2013 per le classi nn. 12 (scooter) e 28 (modellini di scooter), marchio rivendicante la priorità costituita dal marchio comunitario tridimensionale n. 011686482, depositato il 25/3/2013 e registrato il 16/1/2014, al fine di sentire accertare l’insussistenza di una contraffazione del marchio tridimensionale Piaggio, con i modelli dalle prime prodotti e commercializzati, nonché la nullità dell’altrui privativa industriale, per assenza di novità e carenza di capacità distintiva, per impedimenti assoluti alla registrazione e per registrazione in malafede, con domande riconvenzionali avanzate dalla convenuta Piaggio volte a sentire accertare che le attrici, attraverso i tre citati modelli di scooter, avevano comunque commesso violazione della legge sul diritto d’autore «in relazione alla forma (ideale ed astratta) di Vespa, comprensiva di tutte le forme di scooter a marchio denominativo Vespa, succedutesi dal ’45 ad oggi», e anche concorrenza sleale per confondibilità, appropriazione di pregi e scorrettezza nel praticare prezzi particolarmente ridotti, con condanna delle attrici al risarcimento dei danni – ha confermato la decisione del Tribunale di Torino del 2017.

Il Tribunale, ritenute ammissibili le domande riconvenzionali avanzate dalla convenuta, aveva, anche all’esito della CTU espletata:

a) respinto la domanda attrice di accertamento della nullità del marchio italiano tridimensionale della Piaggio del 2013, corrispondente nelle sue linee essenziali al modello Vespa LX del 2005 (con conseguente affermazione dell’uso anteriore notorio del marchio di fatto), anche con riguardo ai profili di nullità ai sensi dell’art. 9 c.p.i. («marchio di forma della Vespa», in rapporto alle caratteristiche distintive rappresentate dalle sagomature «ad rovesciata dell’incavo fra la sella e lo scudo frontale», «a X fra il sottosella ed il carter posteriore che copre parzialmente il motore» e «a freccia dello scudo anteriore», oltre che dalla «forma bombata ed allungata posteriormente del carter posteriore»), in quanto «sebbene il design Piaggio sia attraente, esso non è tuttavia l’unica caratteristica che determina la motivazione d’acquisto del consumatore che, pur essendo certamente influenzato dalla sua estetica, non è di sicuro portato a decidere l’acquisto esclusivamente in base a questa, ma bensì in base ad altre considerazioni tecniche e funzionali», o alla contestazione circa la registrazione in malafede;

b) accolto le domande riconvenzionali della convenuta, accertando la contraffazione con il terzo modello, «Ves», prodotto dalle attrici, del marchio registrato dalla Piaggio, e la violazione del diritto d’autore, avendo la forma della Vespa, nata come oggetto di design industriale, acquisito nel corso di decenni, attraverso il riconoscimento collettivo da parte del mercato e degli ambienti artistici, «un valore artistico che supera la sua originaria valenza meramente tecnica e funzionale»;

c) respinto tutte le altre domande, con statuizioni conseguenti di inibitoria, ordine di distruzione e/o ritiro dal mercato di tutti gli esemplari di scooter «Ves» prodotti e commercializzati in Italia dalle attrici, fissazione di una penale e ordine di pubblicazione della sentenza.

In particolare, i giudici di appello, nel respingere il gravame delle società cinesi, hanno, per quanto in questa sede interessa, affermato:

a) in via istruttoria, l’ammissibilità di alcune delle produzioni documentali effettuate dalle parti nel corso del giudizio di appello, relative a fatti successivi alle decadenze istruttorie di primo grado;

b) l’infondatezza della censura sull’inammissibilità delle domande riconvenzionali introdotte dalla Piaggio in primo grado, sussistendo tra le domande attoree, di nullità del marchio tridimensionale costituito dalla forma della Vespa e di accertamento negativo della sua contraffazione da parte degli scooter di Znen, e quelle riconvenzionali della convenuta, di accertamento della violazione del diritto d’autore e del marchio di fatto in relazione sempre alla forma della Vespa, il necessario «collegamento oggettivo» che giustifica il simultaneus processus;

c) respinto, alla luce sia della consulenza tecnica d’ufficio sia delle produzioni di Piaggio costituite da volumi celebrativi, dai dati delle vendite e da indagine di mercato, le doglianze riguardanti la statuizione sulla validità del marchio di forma Piaggio, registrato, in Italia, nel 2013 ma effettivamente corrispondente, nelle sue linee essenziali («la forma a freccia dello scudo frontale, la forma ad rovesciata; la forma a X; la sagoma posteriore della scocca “a goccia”»), valutate non atomisticamente ma in combinazione tra loro, in una «impressione d’insieme offerta dal modello …che evoca…la forma anatomica di una vespa», a preesistente marchio tridimensionale di fatto ed ai modelli anteriori dei Vespa presi in considerazione (pagg.18-19), in punto di novità e distintività (pagg. da 15 a 24);

d) respinto le doglianze delle appellanti in rapporto alla ritenuta inapplicabilità di impedimenti assoluti alla registrazione del marchio di forma di cui all’art. 9 c.p.i. (pagg. da 25 a 27, anche in punto di esclusione di ogni valenza impeditiva alla registrazione del marchio, per essere la forma della Vespa del ’46 già oggetto di brevetto per modello di utilità, depositato nel 1946, ampiamente scaduto, non potendo escludersi il cumulo tra la protezione come disegno o modello e quella come marchio di forma), e alla statuizione sulla contraffazione da parte delle attrici del marchio Piaggio (pag.28);

e) respinto le censure riguardanti la statuizione circa la sussistenza di un diritto d’autore sulla forma della Vespa del 1947 e successive modificazioni, nonché sulla sua pretesa violazione da parte dello scooter «Ves», in quanto, ai sensi dell’art. 2, punto 10, c.p.i., sono comprese nella tutela autorale, «le opere del disegno industriale che presentino di per sé carattere creativo e valore artistico» e, nella specie, il riconoscimento collettivo da parte del mondo culturale del valore artistico dell’opera (tra l’altro, esposta nelle collezioni permanenti della Triennale di Milano e del MOMA di New York, tra le tante e varie pubblicazioni, mostre, premi e riconoscimenti allegati) era stato provato, mentre la violazione del diritto d’autore con la produzione e commercializzazione in Italia degli scooter denominati « Ves » era stata correttamente accertata «con riferimento al modello di Vespa “storico” (oggetto di plurimi riconoscimenti …) e quindi ai modelli riconosciuti quale sua diretta emanazione (sicuramente la Vespa LX e il marchio registrato Piaggio ‘520 del 2013: con la precisazione, ai fini della completezza motivazionale, che il diritto d’autore protegge anche le elaborazioni dell’opera originaria, come si desume in particolare dall’art. 12 l.a. (nonché 182 e 4) l.a.», né, ai fini della protezione del diritto d’autore, è richiesta, dagli artt. 2576 c.c. e 6 l.a., «la consapevolezza di porre in essere un’opera d’arte» ma comunque non era stato dimostrato che l’ideatore «Corradino D’Ascanio fosse privo di tale consapevolezza»;

f) respinte le altre censure attinenti alla concorrenza sleale ed alle misure accessorie.

Avverso la suddetta pronuncia, notificata il 17/4/2019, Zhejiang Zhongneng Industry Group Co. Ltd, Taizhou Zhongneng Import and Export Co. Ltd propongono ricorso per cassazione, notificato il 13/6/2019, affidato a tre motivi, nei confronti di Piaggio C. spa (che resiste con controricorso, notificato il 23/7/2019).

La causa, con ordinanza interlocutoria n. 37294/2022, è stata rimessa alla pubblica udienza, in considerazione delle questioni di diritto di particolare rilevanza, poste dal secondo e terzo motivo di ricorso:

«a) in generale, se possa essere registrata come marchio d’impresa la forma tridimensionale di un prodotto, che si reputi integrare anche un’opera dell’ingegno, tutelata dal diritto d’autore; in particolare, se alla validità del marchio di forma tridimensionale «Vespa» osti la disposizione di legge secondo cui «Non possono costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa i segni costituiti esclusivamente: … dalla forma o altra caratteristica che dia un valore sostanziale al prodotto» (art. 9, lett. c, Codice della proprietà industriale; disposizione derivata dall’art. 3, par. 1, lettera e, primo trattino, della Direttiva 89/104/CEE, del 21 dicembre 1988);

b) se, qualora si ravvisi un’opera dell’ingegno nella forma di un prodotto industriale, la realizzazione e commercializzazione di un prodotto confondibile da parte di altro imprenditore integri violazione dei diritti dell’autore sull’opera dell’ingegno;

c) se la tutela come opera dell’ingegno della forma di un prodotto industriale si estenda alle successive elaborazioni e varianti di quel prodotto, a prescindere dal loro carattere innovativo rispetto al modello originale, e se integri violazione dei diritti sull’opera la realizzazione e commercializzazione di un prodotto confondibile con una o più varianti dell’opera dell’ingegno (artt. 12 e 18 legge sul Diritto d’autore)».

Il P.G. ha depositato memoria, concludendo per il rigetto del ricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Le ricorrenti lamentano:

a) con il primo motivo, la violazione, errata e falsa applicazione, ex art.360 n. 3 c.p.c., dell’art.36 c.p.c. in relazione alla ritenuta ammissibilità della domanda riconvenzionale fondata sulla violazione del diritto d’autore, introdotta dalla Piaggio in sede di costituzione in primo grado;

b) con il secondo motivo, la violazione, errata e falsa applicazione, ex art.360 n. 3 c.p.c., degli artt. 9 d.lgs. n. 30/2005, c.p.i., 2569, comma 2, 2571 e 2598 n. 1 c.c., nonché 22 c.p.i. in merito alla tutela del marchio di forma ed all’impedimento assoluto alla registrazione rappresentato dalla forma «che dà valore sostanziale al prodotto»;

c) con il terzo motivo, la violazione, errata e falsa applicazione, ex art. 360 n. 3 c.p.c. , degli artt. 6, 4, 12 e 18.2 della legge sul diritto d’autore, in merito ai requisiti di protezione delle elaborazioni delle opere originarie, ai criteri di giudizio sull’usurpazione del diritto d’autore e alla tutela dello «stile» della Vespa.

2. La prima censura è infondata.

Le ricorrenti si dolgono della affermazione della Corte di merito circa l’ammissibilità della domanda riconvenzionale, di accertamento (oltre che della violazione dei diritti sul marchio di fatto e sulla concorrenza sleale) della violazione del diritto d’autore in relazione alla forma della Vespa risalente agli anni ’45 e ’46 ed ai successivi modelli, compreso il modello oggetto del marchio Piaggio, costituente un’opera di design ed un marchio di fatto, avanzata dalla Piaggio, per assenza di collegamento obbiettivo con le domande attoree di nullità del marchio altrui registrato in Italia (oltre che di accertamento negativo della contraffazione), rilevando che la riconvenzionale concerneva non la forma registrata come marchio ma la forma «di un diverso modello creato (e registrato come modello di utilità) decenni prima della registrazione del marchio contestato».

Le ricorrenti deducono che tra le domande attore e quella riconvenzionale, limitatamente alla violazione del diritto d’autore, non vi è connessione ai sensi dell’art. 36 c.p.c., difetti l’identità del titolo.

La Corte d’appello ha ritenuto ammissibile la domanda riconvenzionale della Piaggio in quanto vi sono «indubitabili» elementi di connessione tra le contrapposte domande ovvero quel collegamento obiettivo che può autorizzare il simultaneus processus.

Le domande riconvenzionali della Piaggio, invero, hanno ad oggetto sempre la forma della Vespa e la sua riproduzione da parte degli scooter prodotti e commercializzati dalle società cinesi e la domanda principale delle attrici concerne la pretesa nullità del marchio tridimensionale costituito dalla forma della Vespa, di titolarità della Piaggio, e l’accertamento negativo della sua contraffazione da parte degli scooter delle società cinesi.

Orbene, questa Corte ha affermato (Cass. 15271/2006; Cass.533/2020) che «Qualora la domanda riconvenzionale non ecceda la competenza del giudice della causa principale, a fondamento di essa può dedursi anche un titolo non dipendente da quello fatto valere dall’attore a fondamento della sua domanda, purché sussista con questo un collegamento oggettivo che giustifichi l’esercizio, da parte del giudice, della discrezionalità che può consigliare il “simultaneus processus“.

Pur trattandosi di una valutazione discrezionale del giudice di merito, questi è tenuto a motivare il rifiuto di autorizzazione, opposto alla introduzione di una riconvenzionale non connessa, senza limitarsi a dichiararla inammissibile esclusivamente per la mancata dipendenza dal titolo dedotto in giudizio».

Nella specie, la Corte territoriale ha spiegato perché la domanda riconvenzionale (sulla violazione del diritto d’autore, che qui interessa) è ammissibile, sia pure per un titolo diverso da quello fondante le domande attoree, in quanto l’ammissibilità, alla luce della giurisprudenza di legittimità, sussiste quando non si determini in tal modo spostamento di competenza ove sia pur sempre ravvisabile un collegamento obiettivo tra il titolo fatto valere con la domanda principale e la domanda riconvenzionale, tale da rendere opportuna la celebrazione del “simultaneus processus“.

Tale valutazione, riservata al giudice di merito, è insindacabile ove sia stata adeguatamente argomentata (Cass. 24684/2013).

3. La seconda doglianza concerne, anzitutto, direttamente l’interpretazione dell’art. 9 lett. c) c.p.i. (vedasi art. 3.1. e). iii) della Direttiva 2008/95/Ce del Parlamento Europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2008, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, oggi sostituita da art. 4.1e). iii) della Direttiva (Ue) 2015/2436 Del Parlamento Europeo e Del Consiglio del 16 dicembre 2015; nonché art. 7.1. lett.e). iii) del Reg.UE n. 2017/1001 sul Marchio Unione europea, RMUE) secondo cui è impedimento assoluto della registrazione del marchio di forma (oltre a quelli rappresentati dalla forma imposta dalla natura stessa del prodotto e dalla forma necessaria per ottenere un risultato tecnico), e causa di nullità del marchio registrato, il fatto che il segno consista «esclusivamente» nella forma che «dà un valore sostanziale al prodotto».

Aggiungono le ricorrenti che non è priva di rilievo la circostanza che i modello di utilità della Vespa, registrato e scaduto cinquant’anni fa, comporta che deve ritenersi ormai libera, perché caduta in pubblico dominio, la riproduzione della versione della Vespa, una volta cessato il termine di protezione del modello di utilità, potendo essere registrato solo un marchio che riprenda alcune caratteristiche del modello, rendendolo diverso da come era.

Non è più in contestazione la nullità del marchio per difetto di novità e capacità distintiva del marchio Vespa Piaggio.

Nel mezzo di impugnazione, si deduce, peraltro, anche la violazione degli artt.2569, comma 2, 2571 e 2598 c.c. e 22 c.p.i. (principio dell’unitarietà dei segni distintivi), in quanto le condizioni di registrabilità dei marchi, fra cui l’assenza dell’impedimento di cui all’art. 9 c.p.i. valgono per delineare i requisiti oggettivi di tutela, oltre che del marchio registrato nel 2013, anche del segno come marchio di fatto o contro l’imitazione servile o confusoria.

Le ricorrenti, nella memoria del novembre 2022, hanno poi dato atto della decisione del 24/9/2019, intervenuta nelle more del presente giudizio, passata in giudicato, con la quale il Tribunale dell’Unione Europea ha confermato la decisione della terza Commissione di ricorso dell’EUIPO che ha respinto le domande della Piaggio (la quale aveva azionato il proprio marchio tridimensionale di fatto sulla stessa forma della Vespa, oggetto del presente giudizio, rivendicando le caratteristiche della «forma ad “X” tra la carenatura posteriore ed il sottosella, la forma a “” rovesciata tra il sottosella e lo scudo frontale, la forma “a freccia” dello scudo frontale») e confermato la validità del design dell’Unione Europea n. 1783 655-0002 di titolarità di Znen, corrispondente allo scooter «Revival» (mentre nel presente giudizio è stato ritenuto contraffattorio altro modello prodotto dalle ricorrenti, il «Ves»), e alla decisione della Quinta Commissione EUIPO del 25/10/2021, che ha dichiarato la nullità del marchio tridimensionale Piaggio n. 011686482, identico al marchio italiano oggetto del presente giudizio, per carenza di capacità distintiva sia intrinseca che acquisita.

La controricorrente ha replicato, in memoria, che tale ultima decisione non è definitiva, essendo stata impugnata, nel gennaio 2022, dinanzi al Tribunale dell’Unione europea, e comunque non è pertinente, in quanto attinente al marchio europeo (e non a quello italiano e alla sua tutela nel territorio nazionale) e fondata sulla violazione dell’art.7 par.1 lett.b) del Reg. UE 2017/1001, non dell’art.7 lett. e) (cui si richiama l’art.9 c.p.i.) e che quindi essa non attiene alle questioni in contestazione nel presente giudizio, vale a dire il divieto di registrare segni costituiti esclusivamente «dalla forma o altra caratteristica che dà un valore sostanziale al prodotto» e la tutela ai sensi della legge d’autore della Vespa di Piaggio.

3.1. La Corte d’appello, nella sentenza impugnata, nel respingere il profilo di nullità ex art.9 c.p.i., ha osservato che «la relativa valutazione richiede una delicata comparazione tra caratteristiche estetiche e tecnico – utilitaristiche»: la presenza nel modello di «indubbie qualità estetiche e artistiche» non ne determina automaticamente la natura di «forma che dà un valore sostanziale al prodotto», in quanto la forma della Vespa resta comunque connessa «alla precipua funzione utilitaristica del prodotto che la incorpora e che, per la sua natura di veicolo, viene verosimilmente scelto dal consumatore, in primo luogo, per le notorie qualità in termini di prestazioni, sicurezza ed affidabilità» ed «anche», ma non in misura prevalente e determinante, per «le qualità estetiche».

La Corte ha confermato il giudizio già espresso in primo grado dal Tribunale (conformemente alle valutazioni del CTU): il design Piaggio, pur attraente, non è « l’unica caratteristica » che determina la motivazione di acquisto del consumatore, il quale, pur influenzato dall’estetica, è portato a decidere l’acquisto, anche per la categoria cui appartiene il bene (un veicolo), non «esclusivamente» in base a questa ma anche, ed in misura maggiore, in base ad altre considerazioni, tecniche e funzionali.

Le ricorrenti, evidenziando la ratio della disposizione nell’esigenza antimonopolistica di evitare che vengano tutelati come marchio, senza limiti temporali (stante la possibilità di rinnovazione della protezione relativa), delle «forme» che, invece, dovrebbero essere registrate come disegni/modelli, con una tutela limitata nel tempo, sottolineano, da un lato, quanto affermato già in primo grado e cioè che «la forma della Vespa del ’46» è stata gì oggetto di tutela come modello di utilità, scaduto da oltre cinquant’anni », cosicché il riconoscimento, oggi, della tutela come marchio di forma «renderebbe perpetuo il diritto di esclusiva, contrariamente alla finalità perseguita dal legislatore»; dall’altro lato, deducono che anche la giurisprudenza europea non richiede, affinché sussista il presupposto del valore sostanziale della forma, inteso come gradevolezza del design, che tale elemento svolga, all’atto della scelta del consumatore, un ruolo «prevalente» o, tantomeno, che il prodotto sia acquistato «soltanto» per la sua qualità estetica, a prescindere dalla sua funzione tecnica, rappresentando, invece, esso solo un «fattore importante, anche se non l’unico, per comprare il prodotto».

Si contesta quindi l’affermazione della Corte d’appello nella sentenza impugnata, laddove si sarebbe, da una parte, esclusa la ricorrenza del suddetto impedimento assoluto e, dall’altra, riconosciuto che lo scooter in esame, «per la sua natura di veicolo, viene verosimilmente scelto dal consumatore –in primo luogo – per le sue notorie qualità in termini di prestazioni di sicurezza ed affidabilità, nonché –anche – per le qualità estetiche»: i giudici di merito, in corretta applicazione del diritto, avrebbero dovuto solo verificare se la forma della Vespa LX fosse o meno «un fattore importane della scelta, capace di influenzare anche il prezzo», non assumendo rilievo che essa rappresentasse la «motivazione unica, prevalente o determinante all’acquisto».

Le ricorrenti contestano, poi, che si sia comunque riconosciuto il cumulo di protezione, la tutela ai sensi del diritto d’autore e quella come marchio di forma, in quanto la prima protezione, essendo necessario, nel caso del design, oltre all’aspetto creativo, anche il requisito del «valore artistico», ai sensi dell’art. 2, n. 10, l. 633/1941, implicherebbe il riconoscimento anche del «valore sostanziale» della forma, uno degli impedimenti assoluti alla sua registrazione come marchio, essendo proprio «il valore artistico della forma», anche alla luce della giurisprudenza europea, tra gli elementi che possono essere presi in considerazione al fine di stabilire se una determinata forma conferisca al prodotto un «valore sostanziale» e che ostano alla registrazione di un marchio. In sostanza, ad avviso delle ricorrenti, in relazione ad un oggetto del design, che gode della tutela di diritto d’autore, la presenza di un «valore artistico» particolare, percepito dal pubblico di riferimento e sottolineato anche nelle comunicazioni pubblicitarie, comporta anche che la stessa forma abbia un «valore sostanziale», ai fini dell’art.9 lett.c) c.p.i., costituendo le sue caratteristiche estetiche uno dei fattori determinanti nell’acquisto, anche se non l’unico o il prevalente.

3.2. La questione del coordinamento dei diritti esclusivi di forma del prodotto offerti, da un lato, dalle tutele tipiche del sistema brevettuale (brevetto per invenzione e modello di utilità, disegno o modello, comunitario e nazionale, registrato o non) e, dall’altro, dal diritto dei marchi e dalla regolazione per clausole generali di cui all’articolo 2598 c.c., nonché dal diritto d’autore si presenta di particolare delicatezza dal momento che queste ultime privative — avendo durata potenzialmente perpetua (per il diritto d’autore, protraendosi la durata fino a settant’anni dalla morte dell’autore) e dunque consentendo di impedire la caduta in pubblico dominio dei segni che ne costituiscono oggetto —producono un forte impatto di tipo anticoncorrenziale.

In particolare, nel presente giudizio, entrano in gioco sia la tutela del marchio di forma che la tutela autorale, in relazione agli oggetti del design, destinati a una produzione seriale, quale è quella industriale, e frutto di un’attività di progettazione, in cui l’aspetto del prodotto deve tener conto di vincoli tecnici, di efficacia d’uso ed economici.

3.3. Quanto al primo profilo, il problema della protezione dei marchi di forma o tridimensionali, che si sostanziano nella forma stessa del prodotto o della confezione in cui il prodotto è contenuto, è rappresentato soprattutto dalla sua compatibilità con la disciplina delle innovazioni tecniche, che sono suscettibili di una tutela brevettuale limitata nel tempo, con successiva caduta nel pubblico dominio, mentre la tutela del marchio è potenzialmente di durata illimitata.

Di conseguenza, il legislatore comunitario e nazionale, proprio al fine di evitare un vero e proprio monopolio del titolare del marchio, ha introdotto, accanto ai requisiti della novità e capacità distintiva, delle ipotesi specifiche di esclusione dalla registrazione (impedimenti cd. assoluti), tra i quali sono ricomprese le forme funzionali o utili e quelle che danno «un valore sostanziale» al prodotto. L’impedimento alla registrazione del segno come marchio [artt. 3.1.e) della Direttiva sul marchi; art. 9 c.p.i.; art. 7 del Reg.MUE] scatta quando questo consista «esclusivamente» in una forma di un prodotto, o altra sua caratteristica, imposta dalla natura dello stesso o necessaria per conseguire un risultato tecnico o idonea a conferirgli «valore sostanziale» e l’avverbio indicato limita l’ambito di applicazione della norma, avendo l’effetto di consentire la registrazione di segni distintivi che, pur riproducendo le forme di cui alle ipotesi previste dall’art. 9 c.p.i., non si riducano solamente a tali forme.

La definizione di tale ultima ipotesi di esclusione dalla registrazione del marchio di forma, relativa alla forma che dà valore sostanziale al prodotto, non è sempre risultata agevole. Si deve trattare di un non banale pregio estetico o di altre caratteristiche essenziali tali da rendere la forma del prodotto un simbolo o, persino, un’icona sociale e particolarmente appetibile il prodotto cui è apposto; in sostanza, l’aspetto esteriore del prodotto deve essere dotato di un «appeal» idoneo ad influenzare o addirittura a determinare le scelte d’acquisto del pubblico, così da essere in grado di far conseguire un vantaggio concorrenziale al titolare dello stesso.

3.4. A livello di giurisprudenza unionale, possono ricordarsi: a) Trib. I Grado UE, 6/10/2011, causa T-508/2008, caso relativo alla registrazione come marchio della forma a canna d’organo di un altoparlante della Bang Olufsen, ove, nel confermare la decisione della Commissione di ricorso che aveva escluso la registrazione di tale marchio tridimensionale, ritenendo che la forma conferiva un valore sostanziale al prodotto, si è osservato che «per il prodotto in questione il design è un elemento che svolgerà un ruolo molto importante all’atto della scelta da parte del consumatore, anche se quest’ultimo prende altresì in considerazione altre caratteristiche del prodotto in questione» e che «tale design è un elemento essenziale della sua strategia di marchio e potenzia la forza attrattiva del prodotto in questione, vale a dire il suo valore»; b) Trib. I° Grado 25/11/2014, Causa T-450/2009,con la quale il Tribunale UE ha affermato che, ai fini dell’applicazione del motivo di esclusione dalla registrazione del marchio rappresentato dalla forma che «dà un valore sostanziale al prodotto», occorre che «il segno interessato sia costituito esclusivamente da una forma e che le caratteristiche estetiche dello stesso, ossia il suo aspetto esteriore, determinino ampiamente la scelta del consumatore e, pertanto, il valore commerciale del prodotto in esame»; c) Corte Gius. 18/9/2014, Causa C-205/13, in relazione al marchio rappresentato dalla sedia da bambino regolabile “Tripp Trapp”, prodotta dalla olandese Stokke, con la quale la Corte ha affermato che «L’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), terzo trattino, della prima direttiva 89/104 deve essere interpretato nel senso che l’impedimento alla registrazione previsto da tale disposizione può applicarsi a un segno costituito esclusivamente dalla forma di un prodotto avente varie caratteristiche che possono conferirgli differenti valori sostanziali.

La percezione della forma del prodotto da parte del pubblico di riferimento costituisce solo uno degli elementi di valutazione per determinare l’applicabilità dell’impedimento di cui trattasi» e che «L’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), della prima direttiva 89/104 deve essere interpretato nel senso che gli impedimenti alla registrazione di cui al primo e al terzo trattino di tale disposizione non possono applicarsi in maniera combinata», precisando che, avuto riguardo all’obiettivo di evitare che il diritto esclusivo e permanente conferito da un marchio possa servire a perpetuare, senza limiti nel tempo, altri diritti che il legislatore dell’Unione ha voluto assoggettare a termini di decadenza, l’impedimento alla registrazione per la «forma che dà un valore sostanziale al prodotto» non può essere limitato unicamente «alla forma di prodotti aventi esclusivamente un valore artistico o ornamentale, con il rischio di non ricomprendere i prodotti che abbiano, oltre a un elemento estetico importante, caratteristiche funzionali essenziali», e che, diversamente dall’ipotesi di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettera b), della direttiva sui marchi, la percezione del pubblico di riferimento non è un elemento decisivo nel contesto dell’applicazione dell’impedimento alla registrazione di cui al terzo trattino di quest’ultima disposizione (quello relativo al «valore sostanziale»), ma può, tutt’al più, «costituire un utile elemento di valutazione» unitamente ad «altri elementi di valutazione quali la natura della categoria dei prodotti in questione, il valore artistico della forma di cui trattasi, la sua specificità rispetto ad altre forme abitualmente in uso sul mercato in questione, la rilevante differenza di prezzo in rapporto a prodotti simili o l’elaborazione di una strategia promozionale che sottolinei le principali caratteristiche estetiche del prodotto in questione» (la sentenza richiama espressamente le conclusioni dell’Avvocato generale al punto 93, che erano le seguenti: «La percezione della forma in questione da parte di un consumatore non è un criterio decisivo di valutazione.

Essa costituisce una delle numerose constatazioni fattuali, in linea di principio oggettive, le quali possono dimostrare che le caratteristiche estetiche di una data forma esercitano sul carattere attrattivo del prodotto una così grande influenza che il fatto di riservarle a favore di un solo imprenditore perturberebbe le condizioni della concorrenza sul mercato in questione.

Altre circostanze del genere sono ad esempio: la natura della categoria dei prodotti in questione, il valore artistico di una data forma, la sua diversità da altre forme abitualmente in uso sul mercato in questione, la rilevante differenza di prezzo in rapporto a prodotti concorrenti aventi caratteristiche simili, l’elaborazione da parte del produttore di una strategia promozionale che sottolinei le principali caratteristiche estetiche di un dato prodotto»); d) Corte Gius. 23/4/2020, Causa C-237/19, relativo alla forma del prodotto “Gömböc”, un articolo decorativoavente la caratteristica di tornare sempre alla sua posizione di equilibrio stabile, in cui il «valore sostanziale» non era rappresentato da un pregio estetico ma dal fatto che la forma era divenuta « il simbolo tangibile di una scoperta matematica», con la quale la Corte ha affermato che «l’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), iii), della direttiva 2008/95 deve essere interpretato nel senso che la percezione o la conoscenza del pubblico di riferimento relativa al prodotto graficamente presentato da un segno che consiste esclusivamente nella forma del prodotto può essere presa in considerazione al fine di identificare una caratteristica essenziale di detta forma.

L’impedimento alla registrazione contenuto in tale disposizione può trovare applicazione se risulta da elementi oggettivi e affidabili che la scelta dei consumatori di acquistare il prodotto in questione è in larga misura determinata da questa caratteristica», chiarendo che «l’applicazione di questo impedimento alla registrazione si fonda pertanto su un’analisi oggettiva, intesa a dimostrare che la forma in questione esercita, in ragione delle sue caratteristiche, un’influenza così importante sull’attrattività del prodotto che il fatto di riservarne il beneficio a una sola impresa falsificherebbe le condizioni di concorrenza sul mercato interessato» e ribadendo che «il fatto che una siffatta caratteristica non riguardi, in quanto tale, i meriti estetici della forma, non esclude l’applicazione dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), iii), della direttiva 2008/95.

Occorre ricordare, al riguardo, che la nozione di «forma che dà un valore sostanziale al prodotto» non è limitata alla forma di prodotti aventi esclusivamente un valore artistico o ornamentale.

La questione se la forma dia un valore sostanziale al prodotto può essere esaminata sulla base di altri elementi pertinenti, inclusa, segnatamente, la specificità di tale forma rispetto ad altre forme abitualmente in uso sul mercato in questione (v., per analogia, sentenza del 18 settembre 2014, Hauck, C ‑ 205/13, EU:C:2014:2233, punti 32 e 35)», precisando, in ultimo, che non necessariamente l’impedimento si applica nel caso in cui la forma sia già protetta dal diritto dei disegni o modelli o quando il prodotto sia un articolo decorativo, in quanto un prodotto già protetto come disegno o modello ben può godere della tutela del marchio laddove sussistano i requisiti per la registrazione del segno distintivo. Secondo la richiamata giurisprudenza europea quindi:

a) si ha «valore sostanziale» quando la forma del prodotto è un elemento – anche se non il solo – che svolge un ruolo molto importante all’atto della scelta del consumatore;

b) tra gli elementi/indici, oggettivi, di valutazione che l’interprete deve (può) prendere in considerazione per determinare l’applicabilità dell’impedimento in questione alla registrazione del marchio di forma, vi sono, oltre alla percezione da parte del pubblico, anche la natura dei prodotti, il valore artistico della forma, la sua specificità rispetto ad altre forme abitualmente in uso sul mercato, la rilevante differenza di prezzo, l’elaborazione di una strategia promozionale che esalti le principali caratteristiche estetiche del prodotto;

c) la nozione di «forma che dà un valore sostanziale al prodotto» non è limitata alla forma di prodotti aventi esclusivamente un valore artistico o ornamentale, potendo concorrere più valori sostanziali, dovuti anche a caratteristiche funzionali essenziali o alla specificità della forma rispetto alle altre forme in uso sul mercato rilevante, che comunque non escludono l’applicazione dell’impedimento considerato.

3.5. Questa Corte, già con riguardo all’art. 18, lett. c), della legge Marchi, r.d. n. 929 del 1942, il quale escludeva che potessero essere oggetto di registrazione i segni costituiti dalla forma imposta dalla natura stessa del prodotto, dalla forma del prodotto necessaria per ottenere un risultato tecnico o dalla forma che «dà un valore sostanziale al prodotto», aveva chiarito che:

a) «in tema di marchio, l’art. 18, comma primo, lettera c), del R.D. 21 giugno 1942, n. 929 (nel testo risultante dalla sostituzione operata con l’art. 18 del D.Lgs. 4 dicembre 1992, n. 480), là dove preclude che possano costituire oggetto di registrazione come marchio i segni costituiti dalla forma imposta dalla natura stessa del prodotto, dalla forma del prodotto necessaria per ottenere un risultato tecnico, o dalla forma che dà un valore sostanziale al prodotto, intende riferirsi, rispettivamente:

a) alla forma standardizzata del prodotto, noto appunto in tale configurazione (in tal caso avendosi mancanza di capacità individualizzante del segno, ciò che si oppone, in via di principio, ad una monopolizzazione che penalizzerebbe la concorrenza);

(b) alla cosiddetta forma funzionale (imposta dalla utilità industriale perseguita, che non è monopolizzabile se non nei limiti del brevetto);

(c) a quella il cui pregio modifica l’identità di un prodotto in quanto tale (perché ne aumenta il valore merceologico, senza perciò mutarne la funzione ontologica)» e che « posto che il marchio, ancorché di forma, non deve identificarsi con la forma del prodotto, ma deve rispetto a questo presentarsi in qualche misura estrinseco, e quindi distinguibile, ne deriva, da un lato, che solo la forma che possiede un certo gradiente di ornamentalità può aspirare alla protezione del modello ornamentale, e, dall’altro, che la protezione di un disegno come marchio, quale che sia il suo valore estetico e la ulteriore protezione che tale valore può far pretendere, presuppone solo la capacità del medesimo di identificare, distinguendosi da esso, un prodotto» (Cass.14863/2001, con la quale si è confermata la decisione della Commissione dei ricorsi che aveva escluso la proteggibilità come marchio di forma del «disegno tipo cachemire» della casa di moda Etro, ritenendo che il prodotto si caratterizzava «per il suo valore estetico, (invece che per altre possibili caratteristiche), e che tale valore è conferito dal disegno riportato su tutte le sue parti», cosicché era configurabile «una forma “capace di dare un valore sostanziale al prodotto”», la cui proteggibilità come marchio era esclusa dalla lettera c) del citato art. 18 l.m.);

b) tale disciplina «prevede autonome ipotesi di non registrabilità dei marchi di forma, la cui sussistenza va accertata mediante un esame separato, alla stregua dell’interesse generale sotteso a ciascuna di esse, conformemente a quanto ritenuto dalla Corte di Giustizia CE (cfr. sent. 29 aprile 2004, in cause C-456/01 e C-457/01, Henkel)» (Cass. 22929/2009, in relazione alla lampada “Tolomeo” della Artemide).

Si è poi ritenuto che possa essere «registrato e tutelato come marchio di forma quel prodotto la cui pubblicizzazione e commercializzazione ne abbiano favorito la diffusione tra il pubblico al punto da comportare la generalizzata riconducibilità di quella determinata forma dell’oggetto ad una specifica impresa, consentendo l’acquisto, tramite il c.d. “secondary meaning“, di capacità distintiva del marchio che ne era originariamente privo» (Cass. 30455/2022), in relazione alla tutela come marchio di forma delle borse «Kelly» e «Birkin» di Hermés, sotto il profilo della prova della sua capacità distintiva, anche acquisita tramite l’uso).

In linea, si è quindi affermato che «I segni possono costituire oggetto di marchio, in quanto rispondano oggettivamente e preminentemente alla funzione distintiva del prodotto e della sua provenienza, senza esser vincolati dalla destinazione merceologica o dalla forma necessaria del prodotto stesso, sicché è suscettibile di brevetto la sola forma il cui pregio modifichi l’identità del prodotto in quanto idonea ad aumentarne il valore merceologico, senza mutarne la funzione ontologica, mentre non lo è la forma priva di carattere distintivo, tale essendo quella imposta dalla natura del prodotto come forma necessaria per l’ottenimento di un risultato tecnico ovvero quella che dà al prodotto un valore sostanziale» (Cass. 12881/2023, che ha confermato la sentenza del giudice di merito che aveva ritenuto dotata di caratteristiche individualizzanti la forma della scatola per confetti “tic tac”).

In tale pronuncia, in motivazione, riguardo alla dedotta nullità del marchio di forma per violazione dell’art. 9 lett. c) c.p.i., e quindi in punto di sussistenza o meno dell’impedimento assoluto alla registrazione del marchio rappresentato dalla natura di forma «sostanziale» del contenitore, si è osservato come, secondo la giurisprudenza unionale, «non si possa escludere che l’aspetto estetico di un marchio che assume una determinata forma possa essere tenuto in considerazione, se richiama l’effetto visivo oggettivo e inusuale del design specifico del marchio suddetto (Corte giustizia UE 12 dicembre 2019, Euipo/Wajos, C-783/18, p. 32); Tribunale UE, 14 luglio 2021, T- 488/20, p. 43 e 44)».

3.6. Nella specie, la Corte d’appello ha ritenuto che, pur essendo stata riconosciuta alla Piaggio ed alla forma della Vespa la tutela ai sensi della legge d’autore, quale opera del design , e pur presentando, in generale, il modello della Vespa in esame «indubbie qualità estetiche e artistiche», ciò non ne determina automaticamente la natura di forma che dà un «valore sostanziale» al prodotto, in quanto la forma in oggetto resta inevitabilmente connessa alla «precipua funzione utilitaristica del prodotto che la incorpora e che per la sua natura di veicolo viene verosimilmente scelto dal consumatore – in primo luogo – per le notorie qualità in termini di prestazioni, sicurezza ed affidabilità, nonché – anche – per le sue qualità estetiche» e comunque devono ritenersi cumulabili le due tutele, in assenza di un divieto espresso e una volta esclusa, come nella specie, la sussistenza degli impedimenti di cui all’art.9 c.p.i., in presenza dei differenti rispettivi presupposti. Si è quindi escluso che l’insieme delle caratteristiche estetiche della forma della Vespa sia «assolutamente preponderante» nell’ acquisto del prodotto (pag. 27 della sentenza).

Orbene, la giurisprudenza unionale afferma che si ha «valore sostanziale» quando la forma del prodotto è un elemento – anche se non il solo – che svolge un ruolo « molto importante » (vedasi sentenza Corte Gius del 2020) all’atto della scelta del consumatore, in quanto l’aspetto esteriore del prodotto deve essere dotato di un «appeal» idoneo ad influenzare o addirittura a determinare le scelte d’acquisto del pubblico.

Le qualità estetiche della forma o altre caratteristiche essenziali non necessariamente devono costituire il principale o quantomeno uno dei motivi principali che inducono il consumatore a decidere l’acquisto.

Nella specie, la Corte d’appello ha ritenuto che, nella motivazione dell’acquisto dello scooter , la forma non incida in maniera prevalente, concorrendo «in primo luogo …le notorie qualità in termini di prestazioni, sicurezza ed affidabilità».

In tal modo, il giudizio operato in concreto dalla Corte d’appello non può ritenersi scevro da errori di diritto, cosicché resti una valutazione di fatto insindacabile in questa sede in quanto logicamente ed adeguatamente motivata.

Le ricorrenti, anche in memoria e in udienza pubblica, hanno insistito nel dare rilievo alla sentenza della Corte di Giustizia del 2014, che interpretano nel senso che, ai fini dell’impedimento alla registrazione del marchio di forma rappresentato dal «valore sostanziale», sia sufficiente che, al momento dell’acquisto, il consumatore prenda comunque in considerazione «anche» l’aspetto estetico come «fattore importante», non importa se prevalente o preponderante (rispetto a motivazioni tecniche ed economiche) o costituente l’unica ragione, purché comunque esso sia idoneo ad influenzare detta scelta dei consumatori.

Deve affermarsi che, come osservano le ricorrenti, ai fini dell’impedimento assoluto alla registrazione del marchio di forma, quando lo stesso consista «esclusivamente» in una forma di un prodotto, o altra sua caratteristica, la nozione di forma (o altra caratteristica) che dà un «valore sostanziale» al prodotto è riferita alla forma che conferisca un valore di mercato al prodotto, un fattore attrattivo aggiuntivo, in grado comunque di influenzare «in larga misura» (Corte Gius. 23/4/2020, cit.), le scelte d’acquisto del consumatore, ma non necessariamente e soltanto in maniera prevalente, cosicché il fatto di riservare quella forma ad un solo imprenditore, facendogli conseguire un vantaggio concorrenziale, potrebbe perturbare le condizioni di concorrenza del mercato in questione, monopolizzando direttamente la stessa attività di produzione del bene.

L’essere la caratteristica in esame molto importante non vuol dire che essa debba essere «l’unica o la prevalente ragione», in una comparazione con altre, capace di orientare la scelta del consumatore di quel prodotto, in quanto il divieto si riferisce alle forme o caratteristiche che aumentano la forza attrattiva del prodotto, conferendogli un particolare valore di mercato, così contribuendo a influenzare e determinare le decisioni di acquisto da parte del pubblico, anche eventualmente insieme ad altre caratteristiche del prodotto. Il ragionamento della Corte d’appello risulta, pertanto, viziato da tale erronea impostazione di fondo, essendosi affermato (pag. 27 della sentenza impugnata) che, pur presentando il modello di Vespa in esame «indubbie qualità estetiche e artistiche», tuttavia, la forma della Vespa non dà «valore sostanziale al prodotto», in quanto, dovendosi comunque operare una «comparazione tra caratteristiche estetiche e tecnico utilitaristiche» e restando inevitabilmente la forma del veicolo «connessa alla precipua funzione utilitaristica del prodotto che la incorpora», si deve «verosimilmente» ritenere che lo scooter venga scelto dal consumatore «in primo luogo per le notorie qualità in termini di prestazioni, sicurezza, affidabilità, nonché – anche – per le qualità estetiche».

L’errore di tale ragionamento consiste appunto nell’operare una comparazione tra «caratteristiche estetiche e tecnico utilitaristiche», per poi riconoscere alle prime un «valore sostanziale» solo allorché risultino prevalenti.

3.7. Deve quindi essere esaminato il secondo profilo della censura, inerente al cumulo tra tutela secondo la legge sul diritto d’autore e tutela del marchio di forma.

L’art. 2 della l.n. 633/1941 è stato modificato dall’art.22 d.lgs. n. 95/2001, in attuazione della direttiva 98/71/CE relativa alla protezione giuridica dei disegni e dei modelli, con l’introduzione del n. 10, secondo cui sono comprese nella protezione autorale «Le opere del disegno industriale che presentino di per sé carattere creativo e valore artistico».

L’art. 44 c.p.i. prevede che il diritto d’autore su disegni e modelli abbia una durata di settant’anni dalla morte dell’autore. Il nostro legislatore (poiché la Direttiva sull’armonizzazione del diritto dei disegni e modelli, dopo avere sancito il cumulo con il diritto d’autore, ha riconosciuto agli Stati membri la facoltà di prevedere requisiti di accesso speciali alla tutela autorale e il “livello di originalità” necessario), dopo avere incluso l’opera del disegno industriale nell’elenco delle opere protette previste dall’art. 2 della l.a. (mentre in precedenza ne era esclusa in ragione della impossibilità di separare il loro valore artistico dalla connotazione industriale del prodotto per il quale erano concepite), ha precisato che le opere del disegno industriale possono essere protette dal diritto d’autore purché presentino «di per sé», accanto al carattere creativo (seppure minimo, Cass. 25173/2011; Cass.8433/2020), proprio di tutte le opere dell’ingegno, un «valore artistico».

Secondo l’interpretazione giurisprudenziale e dottrinale maggioritaria, tale ultimo requisito deve essere identificato con la cd. «storicizzazione» dell’opera, vale a dire nel fenomeno per cui un oggetto di design assume una rilevanza culturale e sociale che va oltre la sua gradevolezza estetica, divenendo una «icona» sociale o del costume, e che può essere verificato attraverso indicatori come l’esposizione in mostre o musei, pubblicazione su riviste specializzate, l’attribuzione di premi, l’interesse degli ambienti culturali per l’oggetto ed altri.

Questa Corte (Cass. 23292/2015) ha affermato che «Ai fini della tutelabilità, in base alla normativa sul diritto d’autore, di una creazione d’arte applicata all’industria, l’art. 2, n. 10, della l. n. 633 del 1941 esige che l’opera di “industrial design” abbia un “quid pluris” costituito dal valore artistico, la cui prova spetta alla parte che ne invoca la protezione, che può essere ricavato da una serie di parametri oggettivi, non necessariamente tutti presenti in concreto, quali il riconoscimento, da parte degli ambienti culturali ed istituzionali, circa la sussistenza di qualità estetiche ed artistiche, l’esposizione in mostre o musei, la pubblicazione su riviste specializzate, l’attribuzione di premi, l’acquisto di un valore di mercato così elevato da trascendere quello legato soltanto alla sua funzionalità ovvero la creazione da parte di un noto artista» (cfr. anche Cass. 22118/2015: «In tema di proprietà intellettuale, l’art. 2, n. 10, della l. n. 633 del 1941 (applicabile “ratione temporis”), a mente del quale sono comprese nella protezione delle opere del disegno industriale quelle «che presentino di per sé carattere creativo e valore artistico», va interpretato nel senso che i menzionati parametri debbono risultare riconoscibili, anche attraverso il ricorso a criteri indiziari (riconoscimento in ambiti critico-specialistici, presenza di tratti sicuramente innovativi, sia sul terreno progettuale che realizzativo, precoce ed attendibile musealizzazione), opportunamente pesati (ove presenti), sulla base di un giudizio “ex ante“, formulato – se del caso – attraverso il ricorso all’esperienza e al sapere specialistico di consulenti idonei a fornire al giudice validi elementi di valutazione».

Si è poi chiarito (Cass. 7411/2017), al riguardo, che «Il valore artistico richiesto per la proteggibilità dell’opera di “industrial design” non può essere escluso dalla serialità della produzione degli articoli concepiti progettualmente, che è connotazione propria di tutte le opere di tale natura, ma va ricavato da indicatori oggettivi, non necessariamente concorrenti, quali il riconoscimento, da parte degli ambienti culturali ed istituzionali, circa la sussistenza di qualità estetiche ed artistiche, l’esposizione in mostre o musei, la pubblicazione su riviste specializzate, l’attribuzione di premi, l’acquisto di un valore di mercato così elevato da trascendere quello legato soltanto alla sua funzionalità ovvero la creazione da parte di un noto artista».

3.8. Deve essere rilevato che la Corte di Giustizia, in data 12/9/2019, nella causa C-683/2017, caso Cofemel, investita di questione pregiudiziale da un giudice portoghese (in relazione alla disposizione del Codice del Diritto d’autore e dei diritti connessi, nazionale, secondo cui sono protette « opere d’arte applicata, disegni e modelli industriali e opere di design che costituiscano una creazione artistica, indipendentemente dalla tutela della proprietà industriale», essendo il rinvio disposto attinente all’interrogativo concernente la necessità di considerare se «tali opere godono della tutela assicurata dal diritto d’autore allo stesso titolo di qualsiasi opera letteraria e artistica, e pertanto a condizione che siano originali, nel senso che sono il risultato di una creazione intellettuale propria del loro autore, o se sia possibile subordinare la concessione di detta tutela all’esistenza di uno specifico livello di valore estetico o artistico»), ha affermato che «L’articolo 2, lettera a), della direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione, va interpretato nel senso che osta al conferimento, da parte di una normativa nazionale, di tutela ai sensi del diritto d’autore a modelli come i modelli di capi di abbigliamento oggetto del procedimento principale in base al rilievo secondo il quale, al di là del loro fine utilitario, essi producono un effetto visivo loro proprio e rilevante da un punto di vista estetico».

La Corte UE ha rilevato che la nozione di opera dell’ingegno costituisce una «nozione autonoma del diritto dell’Unione che deve essere interpretata e applicata in modo uniforme», e che presuppone il ricorrere di due elementi cumulativi, un «oggetto originale, nel senso che detto oggetto rappresenta una creazione intellettuale propria del suo autore» e «un oggetto identificabile con sufficiente precisione e oggettività» e che la tutela dei disegni e modelli, da una parte, e la tutela garantita dal diritto d’autore, dall’altra, perseguono obiettivi fondamentalmente diversi e sono assoggettate a regimi distinti, concludendo che se un design può essere considerato quale opera dell’ingegno nel senso sopra specificato, allora esso potrà godere della tutela autorale, non essendo necessario, ai sensi della legislazione europea, il requisito ulteriore costituito dall’effetto visivo da loro prodotto e rilevante da un punto di vista estetico.

Nella successiva pronuncia dell’11/6/2020, nella causa C-833/18, caso Brompton, la Corte di Giustizia, con riferimento alla tutelabilità come opera dell’ingegno della forma di un prodotto necessaria per ottenere un certo risultato tecnico (una bicicletta pieghevole) ed a questione pregiudiziale di interpretazione relativa agli artt. da 2 a 5 della direttiva 2001/29 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione, hanno, in linea di continuità con il precedente Cofemel (trattandosi in entrambi i casi, bicicletta o capi di abbigliamento, di forme dotate di un valore di mercato), ribadito che è meritevole di tutela secondo il diritto d’autore « un’opera originale risultante da una creazione intellettuale in quanto, mediante tale forma, il suo autore esprime la propria capacità creativa in maniera originale effettuando scelte libere e creative, di modo che detta forma riflette la sua personalità, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare tenendo conto di tutti gli elementi pertinenti della controversia principale».

Tale ultimo orientamento della Corte Europea è stato applicato dai giudici degli Stati membri nel senso della necessità, nella tutela del disegno industriale, di dare maggiore rilevanza all’aspetto «originale» del prodotto piuttosto che al suo valore artistico o di operare una valutazione meno severa del requisito dell’elemento artistico, dando maggiore rilevanza al carattere originale del design (Cass. 8433/2020).

Nel nostro caso, tuttavia, il valore artistico è stato riconosciuto come sussistente sulla base di indici oggettivi e tale accertamento non è più in discussione (sulla base anche di quanto si dirà in ordine al terzo motivo), in difetto di censura, e quindi la questione circa la possibilità di escludere (alla luce della recentissima giurisprudenza europea citata) il valore artistico dai requisiti di tutela dell’opera del design, che l’art. 2 n. 10 l.a. espressamente contempla, non è comunque rilevante né risulta specificamente posto dalle parti, pur costituendo uno dei temi in discussione oggi sulla tutela autorale del design.

3.9. Orbene, in relazione al secondo motivo di ricorso ed al profilo della sovrapponibilità dei concetti di «valore sostanziale», riferito a uno degli impedimenti assoluti alla registrazione del segno costituito esclusivamente dalla forma o altra caratteristica del prodotto, e di «valore artistico», requisito richiesto per la tutela autorale delle opere del design industriale, vero che non sono sovrapponibili il diritto sul marchio tridimensionale e il diritto d’autore, essendone diversi i presupposti.

Tuttavia, per l’opera del design, che, al fine di essere ritenuta meritevole di protezione secondo la legge sul diritto d’autore, deve essere dotata «di per sé» di valore creativo e artistico, il riconoscimento del valore artistico, come accaduto nella specie, implica in genere anche l’attribuzione di quel «valore sostanziale», che osta alla registrazione della forma come marchio, proprio perché la nozione di «valore sostanziale» si ricollega, secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza unionale, a elementi o indici oggettivi di valutazione «quali la natura della categoria dei prodotti in questione, il valore artistico della forma di cui trattasi, la sua specificità rispetto ad altre forme abitualmente in uso sul mercato in questione, la rilevante differenza di prezzo in rapporto a prodotti simili o l’elaborazione di una strategia promozionale che sottolinei le principali caratteristiche estetiche del prodotto in questione» (Corte Giust. 2014, Stokke, cit.).

In sostanza, tra gli indici, oggettivi e affidabili, del «valore sostanziale» della forma o di altra caratteristica del prodotto, dalla quale il segno è esclusivamente costituito, che sono idonee a orientare e determinare, «in larga misura», la scelta dei consumatori di acquistare il prodotto in questione, vi è proprio il «valore artistico».

Ne consegue che, il riconoscimento di un valore artistico alla forma di un prodotto quale opera di design, ai fini della tutela secondo la l.d.a., – per essere la Vespa addirittura divenuta, per effetto di numerosi riconoscimenti da parte dell’ambiente artistico, non meramente industriale (quali anche le innumerevoli presenze in «film, pubblicità, fotografie, che hanno come protagonista un mito», pag. 29 della sentenza impugnata), «un’icona simbolo del costume e del design artistico italiano» -, comporta, di regola, che la stessa forma dia al prodotto quel «valore sostanziale» che osta alla registrazione della forma come marchio.

Diverso discorso può farsi per il cumulo tra la tutela come modello e quella ai sensi del diritto d’autore, basati su differenti presupposti: la tutela dei disegni e modelli è intesa a proteggere oggetti che, pur essendo nuovi e «individualizzati», presentano un carattere di utilità e sono rivolti alla produzione di massa e detta tutela è applicata per una durata limitata ma sufficiente per consentire di capitalizzare gli investimenti necessari alla creazione e alla produzione di tali oggetti, senza peraltro ostacolare eccessivamente la concorrenza, mentre la protezione connessa al diritto d’autore, la cui durata è molto significativamente superiore, è riservata agli oggetti che meritano di essere qualificati come opere dell’ingegno.

Non può quindi escludersi che una forma, registrata come modello di utilità, una volta scaduta la suddetta privativa, possa acquisire anche per effetto del secondary meaning, capacita distintiva al fine della protezione come marchio di forma.

La seconda censura deve dunque essere accolta, anche in relazione al profilo del cumulo tra la tutela autorale e quella del marchio di forma.

La Corte d’appello non ha infatti spiegato perché la forma della Vespa, con le caratteristiche essenziali estetiche sopra individuate, pur dotata di «valore artistico» ai fini della riconosciuta tutela secondo la legge sul diritto d’autore, non sia idonea a conferire al prodotto quel «valore sostanziale», vale a dire quell’ appeal o carattere attrattivo importante, che, secondo la giurisprudenza unionale, deve invece essere valutato come fattore oggettivo ostativo alla protezione come marchio della forma del prodotto.

4. La terza censura, con la quale si denuncia la violazione, errata e falsa applicazione, ex art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 6, 4, 12 e 18.2 della legge sul diritto d’autore, è invece infondata.

4.1. Le ricorrenti, ricordando che il diritto d’autore non permette di monopolizzare le idee ma solo singole espressioni creative di lavoro intellettuale e, nel design, che qui interessa, l’idea è «la concezione progettale della forma o, se si vuole, lo «stile del prodotto», lamentano che i giudici della Corte d’appello (e del Tribunale) non abbiano spiegato se il modello della Vespa LX ovvero la forma oggetto di preteso diritto di design, concretamente registrata nel 2013 come marchio tridimensionale n. 0001556520 (che si è ritenuto copiato dal modello «Ves» delle ricorrenti) possedesse in concreto le caratteristiche richieste dall’art., n. 10, 2 l.a. (creatività e valore artistico) e se (essendo stato tutelato l’originale modello storico della Vespa del ’46, come negli anni elaborato dalla Piaggio) il marchio di forma in oggetto sia una elaborazione creativa della Vespa realizzata nel 1946, e quindi un’opera derivata protetta autonomamente da quella originaria ex art. 4 l.d.a., ovvero se essa sia una elaborazione «non creativa che lascia sussistere l’identità dell’opera originaria» e che «non merita alcuna tutela».

Invero, ai fini della verifica del plagio-contraffazione di opera dell’ingegno «che ha avuto elaborazioni non creative da parte dell’autore», il confronto avrebbe dovuto essere svolto tra l’opera originaria (nella specie il design della Vespa creato, nel ’46, da Corradino D’Ascanio) e la sua pretesa riproduzione (lo scooter «Ves» delle ricorrenti), non tra l’opera asseritamente derivata (nella specie, il marchio di forma del 2013) e l’opera che ne costituirebbe usurpazione (il modello «Ves» di scooter delle ricorrenti).

Con un secondo sub-motivo di ricorso, le ricorrenti lamentano poi che il giudizio sulla accertata violazione del diritto d’autore sia stato erroneamente compiuto dalla corte territoriale, essendosi, da un lato, ritenuto, immotivatamente, che il modello Vespa del 2013 fosse un’opera derivata, dandosi erroneamente rilievo alla «confondibilità» tra le opere plagiata e plagiaria, che invece rileva nel campo della contraffazione tra segni distintivi; si doveva, invece, avere riguardo alla riproduzione illecita di un’opera che implica valutazione complessiva delle caratteristiche essenziali dell’opera anteriore plagiata, non rilevando, ai fini del plagio autorale, una libera utilizzazione dell’ «idea di fondo dell’autore», non proteggibile.

Le ricorrenti, anche in memoria, rilevano che il diritto d’autore «non giunge al punto di paralizzare il processo – per così dire, naturale – di imitazione artistica, che è alla base della formazione di orientamenti culturali».

Nelle opere del design, l’idea, di cui l’opera è particolare espressione, coincide con lo «stile» della stessa, cioè con la generale concezione dei rapporti tra linee e volumi del prodotto industriale progettato dal designer, che deve rimanere libero e non è oggetto di tutela del diritto d’autore.

Infine, altro aspetto critico posto dal terzo motivo, è quello della non configurabilità della tutela autorale per le elaborazioni, creative e non, riservate all’autore in presenza di una semplice ripresa dello «stile» del design, in quanto il diritto d’autore non tutela le idee ma solo specifiche forme espressive e, nella specie, la sentenza della Corte d’appello ha ritenuto che la «Vespa capostipite» e la molteplicità di «Vespe derivate» fossero tutte proteggibili dal diritto d’autore, così conferendo tutela non all’opera ma al suo «stile».

La Corte d’appello, in sostanza, avrebbe riconosciuto la tutela autorale attribuendo alla Vespa valore di opera dell’ingegno come design ma sulla base di caratteristiche comuni ad una pluralità di Vespe prodotte con varianti nel corso degli anni, senza indicare nel disegno della Vespa originale del 1946 (tra l’altro depositato, originariamente, come modello di utilità e scaduto da anni) effettivamente «l’archetipo di quel design» e senza individuarne le caratteristiche proprie; i giudice di appello avrebbero così condotto il giudizio di contraffazione sulla base della mera somiglianza del modello di scooter prodotto dalle ricorrenti, senza soffermarsi sulla necessaria valutazione, analitica e sintetica, delle differenze della loro eventuale originali, della loro percezione da parte del pubblico.

4.2. Questa Corte, in tema di plagio dei dipinti del pittore Emilio Vedova, ha ribadito che il plagio, ai sensi dell’art. 171 della legge n. 633 del 1941 (che definisce il fatto di chi «senza averne diritto, a qualsiasi scopo e in qualsiasi forma, a) riproduce … un’opera altrui») «si realizza con l’attività di riproduzione -si parla perciò di «appropriazione» – totale o parziale degli elementi creativi di un’opera altrui, così da ricalcare in modo «parassitario» quanto da altri ideato e quindi espresso in una forma determinata e identificabile», precisando che:

a) l’opera plagiata, da un lato, deve presentare i caratteri della originalità creativa riconoscibile, sebbene, il concetto giuridico di creatività, cui fa riferimento l’art. 1 I. n. 633 del 1941, non coincida con quello di creazione, originalità e novità assoluta, essendo richiesto un atto creativo, seppur minimo (Cass. 28 novembre 2011, n. 25173; 12 marzo 2004, n. 5089);

b) non si tutela «l’idea in ś », ma la « forma della sua espressione», cioè la forma esterna di rappresentazione, intesa come forma attraverso la quale si estrinseca il contenuto del prodotto intellettuale, meritevole di tutela allorchè rivesta il carattere dell’originalità e della personalità, di modo che la stessa idea può essere alla base di diverse opere che sono o possono essere diverse per la creatività soggettiva che ciascuno degli autori spende e che, in quanto tale, rileva ai fini della protezione (Cass.28 novembre 2011, n. 25173, citata);

c) l’opera plagiara «deve essere priva di un cd. scarto semantico, idoneo a conferirle rispetto all’altra un proprio e diverso significato artistico, in quanto abbia dall’opera plagiata mutuato il cd. nucleo individualizzante o creativo (cfr. Cass. 19 febbraio 2015, n. 3340)», essendo, in sostanza, necessario che «l’autore del plagio si sia appropriato degli elementi creativi dell’opera altrui, ricalcando in modo pedissequo quanto da altri ideato ed espresso in forma determinata e identificabile» e, al contrario, va esclusa la sussistenza del plagio, allorché la nuova opera si fondi sì sulla stessa idea ispiratrice, ma si differenzi negli elementi essenziali che ne caratterizzano la forma espressiva, non essendo sufficienti originalità di mero dettaglio dell’opera plagiaria (Cass., n. 9854/2012; Cass. n. 25173/2011; Cass. n. 20925/2005), in quanto «non sussiste il plagio qualora due opere, pur avendo in comune il cd. spunto o motivo ispiratore, differiscano quanto agli ulteriori elementi caratterizzanti ed essenziali, permanendo viceversa il plagio anche quando esso sia «camuffato» (o «mascherato») mediante varianti solo apparenti»;

d) non rileva in sé la confondibilità tra due opere, alla stregua del giudizio d’impressione utilizzato in tema di segni distintivi dell’impresa, ma la riproduzione illecita di un’opera da parte dell’altra (Cass. n. 9854/2012; Cass., n. 20925/2005) e il giudizio deve seguire una valutazione complessiva e sintetica, non analitica, incentrata sull’esame comparativo degli elementi essenziali delle opere da confrontare, dovendosi cioè valutare il risultato globale o l’effetto unitario.

Occorre, quindi, per l’ipotesi di plagio, il riscontro dell’identità di essenza rappresentativa tra le opere, considerato che il plagio va escluso nel caso di mero spunto comune tratto dal patrimonio di pensiero e di idee proprio di tutti, di cui nessuno può rivendicare la paternità, e sia nel caso di disuguaglianza di risultato espressivo.

Con riguardo all’opera del design – in disparte gli effetti della sentenza Cofemel della Corte di Giustizia sopra richiamata – ai fini della tutelabilità, in base alla normativa sul diritto d’autore, di una creazione d’arte applicata all’industria, l’art. 2, n. 10, della l. n. 633 del 1941 esige che l’opera di «industrial design» abbia un «quid pluris», costituito dal valore artistico, la cui prova spetta alla parte che ne invoca la protezione, «che può essere ricavato da una serie di parametri oggettivi, non necessariamente tutti presenti in concreto, quali il riconoscimento, da parte degli ambienti culturali ed istituzionali, circa la sussistenza di qualità estetiche ed artistiche, l’esposizione in mostre o musei, la pubblicazione su riviste specializzate, l’attribuzione di premi, l’acquisto di un valore di mercato così elevato da trascendere quello legato soltanto alla sua funzionalità ovvero la creazione da parte di un noto artista» (Cass. 23292/2015, su plagio di arredo urbano).

Avuto riguardo alla distinzione tra plagio ed elaborazione creativa (attuata da parte di soggetto diverso dall’autore), si è poi chiarito (Cass. 8433/2020) che «in tema di diritto d’autore, l’elaborazione creativa si differenzia dalla contraffazione in quanto quest’ultima consiste nella sostanziale riproduzione dell’opera originale con differenze di mero dettaglio, che sono frutto non di un apporto creativo ma del mascheramento della contraffazione, mentre la prima si caratterizza per un’elaborazione dell’opera originale con un riconoscibile apporto creativo» (questa Corte ha confermato la decisione di appello che, pur in assenza di una riproduzione integrale dell’opera, aveva ritenuto sussistente il plagio autorale nell’allestimento di alcuni punti vendita di cosmetici, riscontrando sia nell’impressione visiva d’insieme sia nella composizione strutturale una sostanziale riproduzione degli elementi caratterizzanti l’arredamento di interni dell’impresa concorrente).

In relazione alla tutela dell’opera derivata, questa Corte (Cass.11464/2015) ha poi affermato che «L’opera derivata, cui l’art. 4 della legge 22 aprile 1941, n. 633, conferisce autonoma tutela, attribuendo al suo autore un diritto esclusivo morale e di utilizzazione economica, si caratterizza per un’elaborazione creativa dell’opera originale e si differenzia, pertanto, dalla contraffazione, che consiste nella riproduzione dell’opera originale con differenze di mero dettaglio, come tali scevre di apporto creativo, e dirette solo a nascondere la contraffazione.

Peraltro, lo sfruttamento dell’opera derivata senza la preventiva autorizzazione dell’autore di quella originaria dà diritto a quest’ultimo ad ottenere il risarcimento del danno, che legittimamente può essere determinato, in via equitativa, applicando il cd. principio di reversione degli utili, cioè quantificando il pregiudizio in una quota parte dei proventi realizzati dal titolare dell’opera derivata a seguito del suo sfruttamento».

Va anche richiamata Cass. 14695/2018, che si è occupata del c.d. plagio evolutivo (artt.4 e 18 l.a.): «In tema di diritto d’autore, la fattispecie di plagio di un’opera altrui non è data soltanto dal “plagio semplice o mero plagio” – che ricorre quando vi sia la pedissequa imitazione o riproduzione, di un’opera dell’ingegno altrui – o dalla “contraffazione” dell’opera tutelata – che presuppone la riproduzione dell’opera originale, con differenze di mero dettaglio frutto, non di un apporto creativo, bensì del mascheramento della contraffazione stessa – ma anche dal cosiddetto “plagio evolutivo”, il quale costituisce un’ipotesi più complessa di tale fenomeno, in quanto integra una distinzione solo formale delle opere comparate, sicché la nuova, per quanto non sia pedissequamente imitativa o riproduttiva dell’originaria, in conseguenza del tratto sostanzialmente rielaborativo dell’intervento su di essa eseguito, si traduce non già in un’opera originale ed individuale, per quanto ispirata da quella preesistente, ma nell’abusiva, e non autorizzata, rielaborazione di quest’ultima, compiuta in violazione degli artt. 4 e 18 della l. n. 633 del 1941» (nella specie, si è cassata la sentenza di merito, che aveva escluso la sussistenza del plagio con riferimento ad un pupazzo umanoide, ideato come personaggio televisivo in Italia, rispetto ad altro pupazzo umanoide, adottato come mascotte di una squadra di basket negli U.S.A, ritenendo che il primo riflettesse comunque un gradiente di originalità creativa tale da farne un’opera differente, perché, ha spiegato, la mera originalità creativa non è sufficiente ad escludere il plagio evolutivo, ove risulti l’effettuazione di un’abusiva, e non autorizzata, rielaborazione dell’opera originaria).

In motivazione, richiamato il principio di diritto secondo cui, non rilevando la possibilità di confusione tra due opere, solo «la pedissequa imitazione, o la sostanziale riproduzione – accompagnata da differenze di mero dettaglio volte a mascherarla – di un’opera che presenti i caratteri della creatività sopra descritti, si traduce, pertanto, nell’illecita lesione dei suindicati diritti morali e patrimoniali sulla stessa spettanti a colui che ne è autore», cosicché non si ha plagio quando la seconda creazione «si limiti a trarre dalla prima ispirazione e spunti ideativi, traducendosi in una riproduzione soggettivamente diversa e sostanzialmente nuova della stessa idea di opera, senza dare vita, invece, ad un non autorizzato ««rifacimento sostanziale dell’opera originaria», o ad una non consentita rielaborazione imitativa dell’opera stessa», si è evidenziato, con riguardo al profilo del plagio c.d. evolutivo, consistente nell’abusiva e non autorizzata rielaborazione dell’opera originaria, sia pure in una forma dotata di una propria novità e creatività, in violazione degli artt. 4 e 18 della legge n. 633 del 1941, anche una composizione costituente «elaborazione», sebbene di carattere creativo, di un’opera originaria, può configurare violazione del diritto morale e patrimoniale dell’autore dell’opera originaria, ove difetti il consenso dello stesso, quando, rispettivamente, non sia stato enunciato il nome dell’autore dell’opera originaria, o sia stato esercitato il diritto esclusivo sull’opera derivata con pregiudizio di quello corrispondente sull’opera originaria (Cass., n. 9139/1990; Cass. n. 20925/2005).

Quindi anche lo sfruttamento dell’opera derivata, laddove integri una rielaborazione creativa ma abusiva dell’opera originale senza la preventiva autorizzazione dell’autore di questa, dà luogo alla tutela del diritto d’autore.

Questa Corte ha, in ultimo, anche di recente (Cass. 10300/2020) ribadito che «La protezione del diritto d’autore postula il requisito dell’originalità e della creatività, consistente non già nell’idea che è alla base della sua realizzazione, ma nella forma della sua espressione, ovvero dalla sua soggettività, presupponendo che l’opera rifletta la personalità del suo autore, manifestando le sue scelte libere e creative; la consistenza in concreto di tale autonomo apporto forma oggetto di una valutazione destinata a risolversi in un giudizio di fatto, come tale sindacabile in sede di legittimità soltanto per eventuali vizi di motivazione».

4.3. Tanto premesso, la Corte d’appello ha ritenuto pacifico e incontestabile il dato, accertato in primo grado, secondo cui la forma della Vespa, caratterizzata da specifiche caratteristiche estetiche («la forma a freccia dello scudo frontale, la forma ad rovesciata; la forma a X; la sagoma posteriore della scocca “a goccia”»), nata come oggetto di design industriale, abbia, nel corso di decenni, acquisito una tale quantità di riconoscimenti nell’ambiente artistico, non meramente industriale, per le sue qualità creative ed artistiche, da diventare «un’icona simbolo del costume e del design artistico italiano», come documentato dalla Piaggio, richiamando la giurisprudenza di legittimità che ha evidenziato come costituisca prova del valore artistico dell’opera del design il riconoscimento collettivo da parte del mondo culturale.

Quindi la Corte d’appello, nel respingere il motivo di gravame delle società cinesi, incentrato sulla impossibilità di configurare «un unico diritto d’autore che protegga tutte le diverse forme di modelli di Vespa» e sul mancato vaglio da parte del Tribunale della sussistenza dei requisiti di proteggibilità richiesti ex art. 2 l.a. per ciascun modello azionato da Piaggio, ha osservato che:

a) l’oggetto della tutela è rappresentato dal modello di Vespa «storico» e dai modelli riconosciuti quale sua diretta emanazione («sicuramente la Vespa LX e il marchio registrato dalla Piaggio nel 2013»), sulla base dei plurimi riconoscimenti intervenuti nel mondo culturale;

b) la contraffazione («l’imitazione») e la violazione del diritto d’autore sul design dello scooter è stata correttamente riconosciuta dal giudice di primo grado «con riferimento agli elementi che caratterizzano «la forma della Vespa» nel suo insieme» e che posseggono una funzione «distintiva» nel loro complesso;

c) il diritto d’autore protegge anche le elaborazioni dell’opera originaria (artt. 12, comma 2, e 18, commi 2 e 4, l.a.).

La Corte d’appello, sostanzialmente, ha inteso dire che gli elementi essenziali dell’opera anteriore considerata nel suo complesso, quali già descritti («la forma a freccia dello scudo frontale, la forma ad rovesciata; la forma a X; la sagoma posteriore della scocca “a goccia”»), sono riconoscibili in quella successiva, l’opera plagiaria ovvero il modello «Ves» delle ricorrenti e che quindi vi è contraffazione ai sensi della legge d’autore, non rilevando gli elementi di dettaglio introdotti dalle concorrenti, al fine di mascherare e nascondere la contraffazione.

Si verte quindi in un’ipotesi di plagio-contraffazione e non anche in un caso di elaborazione creativa da parte delle ricorrenti, produttrici dell’opera plagiaria, meramente «ispirata» alla forma della Vespa del ‘46.

Né la Corte territoriale ha parlato di semplice «ripresa di elementi non espressivi, come lo stile», avendo ravvisato l’imitazione di elementi essenziali specifici, nel loro insieme.

I giudici di merito hanno, inoltre, riconosciuto che la tutela autorale copre sia l’opera originaria che le successive elaborazioni, operate dallo stesso autore (non da terzi), che sono comunque tutelate in quanto solo all’autore dell’opera originaria spetta il diritto esclusivo di elaborarla.

Orbene, in effetti, il diritto d’autore protegge ogni elaborazione, creativa o non, dell’opera originaria, in quanto ciò attiene al contenuto stesso del dritto d’autore sull’opera originaria (art.12, comma 2: l’autore «Ha altresì il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo, originale o derivato, nei limiti fissati da questa legge, ed in particolare con l’esercizio dei diritti esclusivi indicati negli articoli seguenti»; art.18, secondo e quarto comma: «Il diritto esclusivo di elaborare comprende tutte le forme di modificazione, di elaborazione e di trasformazione dell’opera previste nell’art. 4. 

4. … (l’autore) Ha infine il diritto esclusivo di introdurre nell’opera qualsiasi modificazione»; art. 4 «Senza pregiudizio dei diritti esistenti sull’opera originaria, sono altresì protette le elaborazioni di carattere creativo dell’opera stessa, quali …le modificazioni ed aggiunte che costituiscono un rifacimento sostanziale dell’opera originaria…le variazioni non costituenti opera originale»), e, nella specie, essendo il titolare di tali elaborazioni non un soggetto terzo rispetto all’autore ma sempre il titolare del diritto sull’opera originaria, la Piaggio, risultava irrilevante accertare se si trattasse di elaborazioni (della Vespa storica del ’46) creative o non creative, poiché comunque, in entrambi i casi, lo scooter «Ves» delle concorrenti imprese cinesi costituisce violazione (per contraffazione) del diritto d’autore.

5. Per tutto quanto sopra esposto, va accolto il secondo motivo di ricorso, respinti il primo e il terzo, e va cassata la sentenza impugnata, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione.

Il giudice del rinvio provvederà alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso, respinti il primo e il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 17 ottobre 2023.

Il Consigliere Est.

Dott.ssa Giulia Iofrida

Il Presidente

Dott. Carlo De Chiara

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.

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Come precisato dalla stessa Corte, tale sentenza, avvenuta nella pubblica udienza, occupa una notevole rilevanza in considerazioni delle questioni di diritto in materia di copyright (cfr. Fatti di causa) tanto da poter rendere noti le parti in causa.