REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUARTA SEZIONE PENALE
Composta da:
Dott. FRANCESCO MARIA CIAMPI – Presidente –
Dott. ALESSANDRO RANALDI – Consigliere –
Dott. FRANCESCO LUIGI BRANDA – Relatore –
Dott. FABIO ANTEZZA – Consigliere –
Dott. BRUNO GIORDANO – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
(omissis) (omissis) nata a (omissis) il xx/xx/19xx;
avverso la sentenza del 21/12/2023 della CORTE APPELLO di L’AQUILA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. FRANCESCO LUIGI BRANDA;
lette le conclusioni scritte depositate dall’Avv. (omissis) (omissis), difensore della parte civile (omissis) (omissis), in data 12 giugno 2024, con cui ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso o, in subordine, il rigetto dello stesso;
lette le conclusioni scritte del Procuratore Generale, con cui ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
lette le conclusioni scritte dell’Avv. (omissis) (omissis), difensore dell’imputata, che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di L’Aquila, con la sentenza indicata in epigrafe, ha riformato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Chieti in data 20 maggio 2021 con la quale (omissis) (omissis) era stata assolta dal reato di lesioni colpose in danno di (omissis) (omissis), ritenendo, diversamente dal primo giudice, che la stessa imputata avesse colposamente investito con la propria auto la persona offesa, cagionandole la frattura del polso destro, in violazione delle norme sulla circolazione stradale; ha inoltre accolto la domanda risarcitoria proposta dalla parte civile, liquidando alla stessa una provvisionale pari ad euro 5000.
La contestazione mossa all’imputata è quella di aver investito con la propria autovettura la (omissis), cagionandole le suddette lesioni, per colpa consistita nel non aver adeguato la velocità del proprio veicolo alle condizioni del luogo dov’era avvenuto il sinistro, caratterizzato dalla presenza di un incrocio situato nel centro storico di Chieti, e nel non aver conservato il controllo del mezzo, non riuscendo ad arrestarne la marcia entro i limiti del campo di visibilità.
Il Tribunale assolveva l’imputata con la formula “perché il fatto non costituisce reato”, avendo ritenuto inattendibile la testimonianza della persona offesa, sia perché dalla stessa non era dato ricostruire le modalità del fatto e, in particolare, la condotta di guida del conducente del mezzo, sia per la sua contraddittorietà rispetto ad altre prove assunte.
In particolare, la persona offesa aveva riferito che la donna alla guida del mezzo da cui era stata investita non si era fermata a prestarle soccorso, in contrasto con le dichiarazioni di altri testimoni ((omissis) e (omissis)), i quali – al contrario – avevano dichiarato che la donna alla guida del mezzo si era fermata per prestare soccorso ed aveva fornito agli astanti i propri dati.
Il primo giudice riteneva insufficienti, ai fini dell’accertamento della responsabilità, le sommarie informazioni testimoniali rese da (omissis) (omissis), acquisite ai sensi dell’articolo 512 cod. proc. pen., a seguito del decesso della dichiarante, la quale aveva riferito che la persona alla guida di un SUV, pur procedendo ad andatura limitata, non aveva interrotto la marcia, nonostante il pedone stesse continuando l’attraversamento; il giudice rilevava che la dichiarazione appariva generica, non avendo descritto la dinamica del sinistro e la condotta del pedone.
Ed inoltre, nessun altro testimone aveva visto l’incidente o sentito alcun rumore che potesse lasciar presumere che esso fosse avvenuto ed in qual modo.
La Corte d’appello, in relazione ai profili di colpa ed al nesso causale, ha evidenziato che le dichiarazioni della persona offesa, sebbene non del tutto lineari, davano chiaramente atto che la stessa, mentre attraversava la strada, si era girata perché una macchina le veniva dietro e quindi, era stata scaraventata contro un muro (“appiccicata in faccia al muro”).
Inoltre, dalle sommarie informazioni rese da (omissis) (omissis), era emerso che l’autovettura scura tipo SUV, nell’immettersi in via Arniese, aveva investito una signora anziana, la quale nell’impatto era caduta a terra; la suddetta autovettura “non andava a forte velocità, ma non interrompeva per niente la sua marcia, nonostante la donna stesse ancora attraversando la strada”.
Il rimprovero ascrivibile all’imputata, secondo la Corte distrettuale, è stato ravvisato nel non aver regolato la velocità della propria autovettura in modo che, riguardo alle caratteristiche ed alle condizioni della strada,- nella specie un incrocio sito nel pieno centro storico di Chieti, a prevalente traffico pedonale -, fosse evitato ogni pericolo per la sicurezza delle persone, non essendo stata in grado l’imputata di prevedere i tempi di attraversamento della strada da parte dell’anziano pedone e di evitarlo.
2. (omissis) (omissis), a mezzo del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione censurando la sentenza per violazione di legge e, in particolare, dell’articolo 603, comma 3 bis, cod. proc. pen. .
La Corte d’appello ha riformato la pronuncia assolutoria del Tribunale di Chieti, senza procedere alla rinnovazione istruttoria, pur avendo diversamente valutato gli apporti dichiarativi raccolti in primo grado, e ritenendo superabile il vaglio di inattendibilità della persona offesa.
Ad avviso della ricorrente, inoltre, la motivazione risulta del tutto carente e inidonea a giustificare il differente apprezzamento degli elementi di prova, in violazione dell’obbligo di motivazione rafforzata, nel caso di overturning sfavorevole all’imputato.
3. Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. L’analisi delle doglianze formulate prenderà le mosse dalla disamina del primo motivo del ricorso, che è fondato.
1.1 La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con sentenza n. 8999 del 5 luglio 2011, Dan. C Moldavia, si è, infatti, espressa nel senso che il giudice che, per ultimo, ha la responsabilità di decidere la colpevolezza o l’innocenza di un imputato deve ascoltare personalmente i testimoni dalla cui deposizione deriva la prova principale dei fatti, poiché la valutazione della loro attendibilità è un compito complesso, che non può ridursi alla mera lettura dei verbali delle loro dichiarazioni (conf. CEDU, n. 36605 del 5-3-2013; CEDU, n. 17520 del 9-4-2013).
Il principio è stato ribadito dalle Sezioni unite, che, con sentenza del 28-4-2016, Dasgupta, hanno stabilito che il giudice di appello, qualora ritenga di riformare nel senso dell’affermazione di responsabilità dell’imputato, la sentenza di proscioglimento di primo grado, sulla base di una diversa valutazione della prova dichiarativa, ritenuta decisiva dal primo giudice, deve, in ragione di una interpretazione convenzionalmente orientata, ex art. 6, par. 3, lett. d), della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, dell’art.603 cod. proc. pen., disporre la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, mediante l’esame dei soggetti che hanno reso le dichiarazioni.
Ne deriva che la sentenza del giudice di appello che, in riforma di quella di proscioglimento di primo grado, affermi la responsabilità dell’imputato sulla base di una diversa valutazione della prova dichiarativa, ritenuta decisiva, senza avere proceduto alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, è affetta da vizio di motivazione, in quanto la condanna contrasta, in tal caso, con la regola di giudizio del — al di là di ogni ragionevole dubbio”, di cui all’art. 533, comma 1, cod. proc. pen.
Nel medesimo ordine di idee, Sez. U., 19-1-2017, Patalano, ha fornito risposta affermativa al quesito se, nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento emessa all’esito del giudizio abbreviato, per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, ritenuta decisiva, il giudice di appello che riformi la sentenza impugnata debba disporre l’esame delle persone che hanno reso tali dichiarazioni.
Questa prospettiva interpretativa è stata ribadita da Corte EDU, (Orefice c. Italia, n. 63446 del 2016), la quale, pronunciandosi in relazione alla condanna in appello di un imputato assolto in primo grado, sulla base di prove testimoniali non riassunte in appello, ha ritenuto che ciò fosse in contrasto con l’articolo 6, § 1, (diritto a un giusto processo) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
La Corte ha rilevato, in particolare, che il ribaltamento dell’esito assolutorio del giudizio di primo grado, senza la nuova audizione dei testimoni di fronte alla Corte d’appello, compromette l’equità del processo a carico dell’imputato.
La Corte di Strasburgo ha ribadito che coloro che hanno la responsabilità di decidere la colpevolezza o l’innocenza di un imputato devono, in linea di principio, sentire i testimoni di persona, onde poterne valutare appieno la credibilità (in senso conforme, Botten c. Norvegia, 19 febbraio 1996, n. 16206/90; Serrano Contreras c. Spagna, 20 marzo 2012, n. 49183/08; Lazu c. Moldavia, 5 luglio 2016, n. 46182/08).
Attualmente il principio risulta codificato nel novellato art. 603 cod. proc. pen., che presenta un nuovo comma 3-bis, il quale impone la rinnovazione del dibattimento in appello nei casi di proscioglimento in primo grado, disponendo che nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice disponga la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale.
Naturalmente il giudice di appello ha l’obbligo di rinnovare l’istruttoria solo nel caso in cui intenda riformare in peius la sentenza impugnata, basandosi su una valutazione diversa da quella effettuata dal primo giudice della prova dichiarativa che abbia carattere di decisività.
Ne deriva che la norma di cui all’art. 603, comma 3 bis, cod. proc. pen. non implica alcun automatismo nella riassunzione delle prove dichiarative, poiché il giudice di appello è tenuto dapprima a verificare se i motivi di gravame articolati dal pubblico ministero siano ammissibili, in quanto formulati in ossequio ai criteri indicati dall’art. 581 cod. proc. pen., e se le prove indicate siano decisive; quindi a decidere – non necessariamente in limine litis, ma anche all’esito della discussione – e comunque nel contraddittorio delle parti – in ordine alla loro rinnovazione. Ciò in vista della riforma in senso peggiorativo del proscioglimento dell’imputato.
L’obbligo di rinnovazione delle prove dichiarative, di cui si invochi una diversa valutazione in funzione della reformatio in peius della sentenza di proscioglimento, non presuppone però una formale richiesta del pubblico ministero di riassunzione delle prove stesse, sempre che nell’atto di appello siano state indicate puntualmente le ragioni, in diritto e in fatto, per le quali queste siano da valutare diversamente e da ritenere decisive, di modo che il giudice di appello, ove convenga sulla loro decisività, ne deve disporre la riassunzione, in forza dei poteri officiosi di cui all’art. 603, comma 3, cod. proc. pen ( Cass., Sez. 5, 16-4-2019, Manuzzi; Sez. U., n. 27620 del 28-4-2016, Dasgupta, Rv 267487; Sez. U., n. 14800 del 21-12-2017, P. G. in proc. Troise, Rv. 272431).
Gli stessi principi trovano applicazione anche nel caso di riforma della sentenza di proscioglimento di primo grado, a seguito di appello proposto dalla parte civile.
Infatti, le Sezioni Unite “Cremonini” hanno affermato che il giudice di appello che riformi, ai soli fini civili, la sentenza assolutoria di primo grado sulla base di un diverso apprezzamento dell’attendibilità di una prova dichiarativa ritenuta decisiva, è tenuto, anche d’ufficio, a rinnovare l’istruzione dibattimentale anche successivamente all’introduzione del comma 3-bis dell’art. 603 cod. proc. pen., ad opera dalla legge 23 giugno 2017, n. 103.; ed inoltre, hanno statuito che, in caso di annullamento agli effetti civili della sentenza che, in accoglimento dell’appello della parte civile avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, abbia condannato l’imputato al risarcimento dei danni senza procedere alla rinnovazione della prova dichiarativa ritenuta decisiva, il rinvio per il nuovo giudizio va disposto dinanzi al giudice di appello civile competente per valore (Sez. U – , Sentenza n. 22065 del 28/01/2021 Ud. -dep. 04/06/2021- Rv. 281228).
1.2. Nel caso in esame, la Corte di appello, senza lo svolgimento di alcuna ulteriore attività istruttoria, ha ritenuto (omissis) (omissis) responsabile del sinistro, sulla base di una diversa valutazione delle acquisizioni istruttorie. In particolare, ha valorizzato le dichiarazioni della persona offesa, ritenute attendibili perché riscontrate dalle sommarie informazioni testimoniali di (omissis) (omissis), acquisite ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen., a seguito del decesso della dichiarante.
Al contrario, la sentenza di assoluzione di primo grado era fondata sulla inattendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, sia perché dalle stesse non era dato ricostruire le modalità del fatto e, in particolare, la condotta di guida del conducente del mezzo, sia per la loro contraddittorietà rispetto ad altre prove assunte.
Inoltre, non era stato ritenuto sufficiente il riscontro delle SIT di (omissis) (omissis), perché generiche, non avendo la persona informata sui fatti descritto la dinamica del sinistro e la condotta del pedone.
Nessun dubbio sussiste in ordine al fatto che la prova dichiarativa costituita dalla testimonianza della persona offesa, sia decisiva, sia nella prospettiva assolutoria del primo giudice che in quella opposta del giudice dell’appello; neppure può negarsi che sia stata proprio la distonica valutazione di tali testimonianze a costituire il nucleo centrale del ribaltamento della decisione da parte del giudice dell’appello.
E’ evidente pertanto che la Corte di Appello, ha affermato il giudizio di responsabilità dell’imputata sulla base di un diverso apprezzamento di tale prova evidentemente decisiva, senza procedere alla previa rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per esaminare la persona offesa, in contrasto con quanto affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza Dasgupta (n. 27620 del 28/04/2016, Rv. 267409) e ribadito dalla successiva giurisprudenza della Corte anche dopo l’introduzione del comma 3-bis nell’art. 603 cod. proc. pen. ad opera dell’art. 1, comma 58, legge 23 giugno 2017, n. 103.
2. Alla luce delle linee ermeneutiche sopra enunciate, in accoglimento del primo motivo di ricorso, la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio per nuovo giudizio, in quanto il giudice di appello ha omesso di rinnovare, anche d’ufficio, l’istruttoria dibattimentale ed ha adottato la decisione di riforma sulla base di un diverso apprezzamento dell’attendibilità di prove ritenute decisive.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte d’Appello di Perugia, cui demanda anche la regolamentazione fra le parti di questo giudizio di legittimità.
Così deciso il 26 giugno 2024.
Depositato in Cancelleria il 22 agosto 2024.