La cecità migliora e non lo riferisce: condannata per il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche (Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, Sentenza 27 maggio 2022, n. 20932).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETRUZZELLIS Anna – Presidente –

Dott. AMOROSO Riccardo – Consigliere –

Dott. COSTANZO Angelo – Rel. Consigliere –

Dott. ROSATI Martino – Consigliere –

Dott. SILVESTRI Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) Dorotea, nata a Popoli (PE) il 14/11/1950;

avverso la sentenza del 14/05/2021 della Corte d’Appello di L’Aquila;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Angelo Costanzo;

letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale, Dott. Nicola Lettieri che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza n. 1417/2021 del 14 maggio 2021 la Corte di Appello di L’Aquila ha confermato la condanna inflitta l’11 aprile 2019 a Dorotea (OMISSIS) ex art. 316-ter cod. pen., perché, dopo essere stata dichiarata “cieca assoluta” ai fini pensionistici, con esonero da ulteriori visite di revisione sulla permanenza dello stato invalidante, conseguì – omettendo di comunicare il miglioramento della sua condizione visiva – il trattamento pensionistico e l’indennità speciale (per complessivi euro 164.894 dal 18 marzo 2004 al dicembre 2016) previsti per la categoria di invalidi a cui non più apparteneva.

2. Nel ricorso presentato dal difensore di Dorotea (OMISSIS) si chiede l’annullamento senza rinvio della sentenza deducendo i seguenti due motivi di ricorso riportati nei limiti strettamente necessari per la motivazione (art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.).

2.1 Con il primo motivo si deduce vizio della motivazione circa la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 316-ter cod. pen., che è stato ravvisato sebbene non risulti che l’imputata si sia sottoposta a trattamenti medici per migliorare le condizioni derivanti dalla sua malattia, riconosciuta come degenerativa, mentre le sue condizioni risultano dai diversi esami medici sostenuti.

2.2 Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione all’art. 316-ter cod. pen. per la qualificazione giuridica della condotta che, se intesa come manipolazione dell’esame del campo visivo (consistente nel non rispondere, pigiando un tasto, agli stimoli inviati) dovrebbe semmai condurre a ipotizzare un reato di truffa ex art. 640-bis cod. pen.

Si deduce che la sentenza trascura la differenza fra la mera inerzia e l’omissione configurantesi solo se vi è un obbligo giuridico di attivarsi, non ravvisabile nel caso in esame perché l’imputata non era in grado di distinguere la condizione di ipovisione da quella di cecità e si affidò alle valutazioni delle commissioni mediche.

Si osserva che l’espletamento di una perizia, richiesto dall’imputata in entrambi i gradi di giudizio avrebbe potuto condurre a dirimere il dubbio sull’elemento soggettivo del reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La Corte di appello ha considerato, valutando quanto esposto dal consulente tecnico del Pubblico ministero e dal consulente tecnico della difesa, le ragioni per le quali gli esami ai quali (OMISSIS) è stata sottoposta erano influenzabili dalle sue decisioni circa le risposte da fornire agli stimoli dai quali veniva sollecita, così da rendere dubitabile la sua appartenenza alla categoria dei «ciechi totali» come definita dall’art. 2 legge 3 aprile 2001 n. 138 (i totalmente privi di vista in entrambi gli occhi o chi ha la mera percezione dell’ombra e della luce o del moto della mano in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore oppure coloro dal residuo perimetrico binoculare inferiore al 3 per cento).

Inoltre, ha valutato i dati dai quali è desumibile una condizione di non cecità totale della ricorrente:

da tre dei sette filmati acquisiti risulta che il 7 marzo 2016 al mercato in due occasioni osservò, a una distanza di circa 15 centimetri, dei lenzuoli contenuti in confezioni trasparenti e ne acquistò uno;

il 6 giugno 2016 selezionò dei prodotti in un supermercato prendendoli dal manico; il 15 settembre 2016, al mercato, scelse valutandone la lunghezza, degli indumenti;

il brigadiere (OMISSIS) della Guardia di Finanza la osservò entrare da sola in banca, compiere una operazione allo sportello, ritirarne la ricevuta e buttarla con precisione in un cestino.

Su queste basi ha svolto delle ragionevoli argomentazioni che tengono conto anche degli apporti critici dei testimoni esperti (OMISSIS) e (OMISSIS) concludendo per la esclusione della cecità totale dell’imputata (p. 5-7).

Ha osservato che le conclusioni del consulente del Pubblico ministero sono corroborate dalla valutazione dei dati offerti dai filmati e dalla prova dichiarativa, mentre quelle del consulente della difesa contrastano con tali dati senza peraltro che possa ritenersi che lo stato di ipovisione e non di cecità totale della ricorrente sia derivato da un miglioramento delle sue condizioni, stante la natura degenerativa della malattia della ricorrente.

Su queste basi non irragionevolmente ha ritenuto che la rinnovazione dell’istruttoria con una perizia risulterebbe superflua (p. 9).

2. Il primo motivo di ricorso risulta aspecifico perché non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata in cui si argomenta — senza incorrere in manifeste illogicità e sulla base di una pertinente massima di esperienza corroborata dalle valutazioni del consulente del Pubblico ministero — che (OMISSIS) consapevolmente ha «durante l’effettuazione dell’esame del campo visivo, ripetuto più volte nel corso degli anni a decorrere dall’anno 2004, omesso di comunicare informazioni dovute, in quanto rilevanti, per l’esito dell’esame stesso, tali da condurre ad un campo visivo maggiore di quello rilevato» (p. 9).

Parimenti aspecifico risulta il secondo motivo di ricorso perché non si confronta con il contenuto della sentenza impugnata che ha escluso la configurabilità di una truffa ex art. 640-bis cod. pen., considerando la mancanza del quid pluris necessario per tradurre il mero comportamento omissivo (OMISSIS) si limitò a celare la sua capacità di rispondere alle stimolazioni visive nel corso degli esami a cui era sottoposta) in un artifizio e raggiro.

Al riguardo, deve ribadirsi che il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche differisce da quello di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni per la mancanza, nel primo reato, dell’elemento dell’induzione in errore mediante artifici e raggiri (Sez. 6, n. 51962 del 02/10/2018, Muggianu, Rv. 274510; Sez. 2, n. 47064 del 21/09/2017, Virga, Rv. 271242).

In particolare integra il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato ex art. 316-ter cod. pen. ma non quello ex art.640-bis cod. pen. (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche), la condotta di mero mendacio (Sez. 2, n. 16817 del 26/02/2019, Calandra, Rv. 275815; Sez. 6, n. 39761 del 10/10/2003, Riillo, Rv. 228191) — nella fattispecie mediante omissione di informazioni dovute — mentre l’accertamento dell’induzione in errore costituisce un giudizio sul fatto rimesso alla valutazione discrezionale del giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato (Sez. 3, n. 2382 del 01/12/2011, dep. 2012, Di Bari, Rv. 251910).

3. Da quanto precede deriva che ricorso risulta inammissibile con la conseguente condanna, ex art. 616 cod. proc. pen., del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

Così deciso il 22 marzo 2022.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.

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