La circostanza che sia la compagna a dare inizio allo scontro non giustifica la risposta violenta dell’uomo. Questo comportamento, quindi, oltre a essere condannato penalmente con un preciso capo d’accusa non giustifica nemmeno la concessione dell’attenuante della provocazione (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 22 novembre 2023, n. 46893).

REPUBBLICA ITALIANA

in nome del popolo italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

QUINTA SEZIONE PENALE

 Composta da

ENRICO VITTORIO STANISLAO SCARLINI    – Presidente –

ANGELO CAPUTO

FRANCESCO CANANZI

PAOLA BORRELLI

MICHELE CUOCO                                            – Relatore –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da

(omissis) (omissis), nato a (omissis) il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 16 novembre 2022 della Corte d’appello di Bologna;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. MICHELE CUOCO;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. RAFFAELE GARGIUOLO che ha chiesto il rigetto del ricorso;

letta la memoria depositata il 29 settembre 2023 dall’avv. (omissis) (omissis) nell’interesse delle parti civili costituite, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

(omissis) (omissis) veniva tratto a giudizio per rispondere dei reati di lesioni personali, maltrattamenti e sequestro di persona, tutti aggravati e perpetrati ai danni della compagna (omissis) (omissis) (il sequestro di persona) delle minori (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) .

Celebrate il giudizio di prime grade, con sentenza del 16 aprile 2021, il Tribunale di Ravenna affermava la penale responsabilità dell’imputato in ordine a tutte le imputazioni contestate, ad esclusione della condotta contestata al capo B) del procedimento riunito (relative al reato di sequestro in ipotesi avvenuto nel dicembre 2015), e lo condannava alla pena di anni due di reclusione, al pagamento delle spese processuali e al  risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite.

La condanna e stata integralmente confermata dalla Corte d’appello e avverso questa sentenza propone  ricorso per cassazione l’imputato articolando quattro motivi di censura.

II primo, formulato sotto il profilo del vizio di motivazione, deduce che la Corte territoriale nel ritenere accertata la responsabilità dell’imputato, non avrebbe tenuto in conto il ruolo attivo svolto dalla persona  offesa nelle discussioni avute con l’imputato, tutte riconducibili a questioni e interessi configgenti, e non  avrebbe spiegato in che termini e alla luce di quali criteri sarebbe stata ritenuta prevalente la versione offerta dalla persona offesa rispetto a quella prospettata dall’imputato.

II secondo attiene alla contestazione in termini di sequestro di persona e deduce violazione degli artt. 605 e 610 cod. pen., nella parte in cui la Corte d’appello avrebbe qualificato la condotta assunta dall’imputato in termini di sequestro di persona e non come violenza privata, nonostante si fosse esaurita nell’uso della violenza e nella conseguente coartazione della volontà della persona offesa.

II terzo, anche questo formulate sotto il profilo della violazione di legge, lamenta, alla luce del pacifico ruolo attivo assunto dalla persona offesa nelle dinamiche sottostanti alle condotte contestate, la mancata applicazione dell’attenuante della provocazione (art. 62 n. 2 cod. pen.).

II quarto, in ultimo, attiene al trattamento sanzionatorio e deduce che la Corte territoriale non avrebbe correttamente valutato la pregressa situazione relazionale e, ancora una volta, ii ruolo attivo avuto dal coniuge.

CONSIDERATO IN DIRITTO

II primo motivo è manifestamente infondato, nella sua dimensione sostanziale, e inammissibile, quanto alle censure sollevate in relazione al profilo processuale dell’accertamento della responsabilità.

II ricorrente, infatti, sotto ii primo profilo, si limita a dedurre l’esistenza di un ruolo attivo avuto dalla persona offesa nelle discussioni con l’imputato e la riconducibilità di tutti i contrasti a interessi configgenti.

Tali circostanze, tuttavia, in se considerate, sono inidonee ad escludere la responsabilità del ricorrente, atteso che eventuali reazioni della vittima o la sussistenza di un clima caratterizzato da generale litigiosità non solo non sono incompatibili, sotto il profilo oggettivo, a fronte di abituali soprusi posti in essere dall’agente, con l’esistenza di uno state di soggezione della persona offesa, ma non incidono neanche sulla sussistenza dell’elemento psicologico, che, com’è noto, consiste nella sola coscienza e volontà di sottoporre la persona di famiglia ad un’abituale condizione di soggezione psicologica e di sofferenza (Sez. 3, n. 46043 del 20/03/2018, C., Rv. 274519; Sez. 6, n. 27048 del 18/03/2008, D.S., Rv. 240879).

Quanta al profilo processuale, va premesso che, com’e noto, le dichiarazioni della parte offesa possono essere legittimamente posta da sola a base dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica della loro credibilità soggettiva e dell’attendibilità intrinseca del racconto.

Un vaglio che, ove la parte offesa abbia esercitato all’interno del processo penale azione civile, alla luce dell’interesse del quale e portatrice, deve essere logicamente più penetrante e rigoroso rispetto a quello generico cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone, (Sez. 1, n. 29372 del 24/06/2010, Stefanini, Rv. 248016; Sez. 6, n. 33162 del 03/06/2004, Patella, Rv. 229755).

Ebbene, in concreto, la Corte territoriale non solo ha valorizzato la linearità, la logicità e l’assenza di intrinseche contraddizioni nella ricostruzione offerta, ma ha anche individuato specifici riscontri, identificati nelle varie annotazioni, nei referti medici attestanti le lesioni della (logicamente compatibili con le condotte descritte dalla donna), nonché nella deposizione del padre della persona offesa.

Ogni ulteriore e diverso apprezzamento e precluso a questa Corte ove si consideri il pacifico principio di diritto per cui la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni o illogicità (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte ed altri, Rv. 253214). Vizi che, alla luce di quanta evidenziato, non emergono dal complesso motivazionale in precedenza indicato.

Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.

Per come si è detto, il ricorrente invoca la riqualificazione del fatto in termini di violenza privata, sostenendo come ci fosse stata solo una semplice coercizione della volontà della (omissis) (omissis).

La deduzione è manifestamente errata in diritto.

II delitto di violenza privata, preordinato a reprimere fatti di coercizione non espressamente contemplati da specifiche disposizioni di legge, ha in comune con il delitto di sequestro di persona l’elemento materiale della costrizione, ma se ne differenzia perché in esso viene lesa la libertà psichica di autodeterminazione del soggetto passive, mentre nel sequestro di persona viene lesa la liberta di movimento (Sez. 5, n. 49610 del 14/10/2014, Ammazzagatti, Rv. 261813, in un caso assolutamente sovrapponibile a quello in contestazione).

Ne consegue che, per il principio di specialità di cui all’art.15 cod. pen., non è configurabile il delitto di violenza privata qualora la violenza, fisica o morale, sia stata usata direttamente ed esclusivamente per privare la persona offesa della liberta di movimento (Sez. 5, n. 44548 del 08/05/2015, Rv. 264685).

Ebbene, sotto tale profilo, il ricorrente e state ritenuto responsabile del reato di sequestro di persona per aver costretto (omissis) e le minori (omissis) (omissis) a salire in auto, guidando poi a forte velocità per oltre un’ora e mezza. Ciò che e state contestato (e ritenuto dai giudici di merito, che hanno anche spiegato come l’imputato fosse riuscito, attraverso la madre, mantenere ii controllo della situazione, costringendo tutti a salire in auto), quindi, e la lesione della liberta (fisica) di movimento e non quella (morale) di autodeterminazione. Da ciò la corretta qualificazione prospettata dai giudici di merito.

Manifestamente infondato è anche il terzo motivo.

Come riconosce lo stesso ricorrente, ai fini della configurabilità dell’attenuante della provocazione occorrono:

a) lo “state d’ira”, costituito da una situazione psicologica caratterizzata da un impulso emotive incontenibile, che determina la perdita dei poteri di autocontrollo, generando un forte turbamento connotato da impulsi aggressivi;

b) il “fatto ingiusto altrui”, costituito non solo da un comportamento antigiuridico in senso stretto ma anche dall’inosservanza di norme sociali o di costume regolanti l’ordinaria, civile convivenza, per cui possono rientrarvi, oltre ai comportamenti sprezzanti o costituenti manifestazione di iattanza, anche quelli sconvenienti o, nelle particolari circostanze, inappropriati;

c) un rapporto di causalità psicologica tra l’offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra esse (ex multis, Sez. 1, n. 21409 del 27/03/2019, Leccisi, Rv. 275894; Sez. 1, n. 16790 del 08/04/2008, D’Amico, Rv. 240282).

La difesa deduce che l’aver in alcune occasioni iniziato la colluttazione integra il fatto ingiusto altrui, legittimando l’applicazione dell’attenuante.

Ebbene, a prescindere dalla differente prospettiva alla luce della quale estate formulate il motivo (che si riferisce alle iniziative assunte dalla donna nelle colluttazioni) rispetto alla censura prospettata in appello (riferita, invece, a manifestazioni ossessive di gelosia), ciò che emerge, sotto il profilo della sussistenza dell’attenuante, e la manifesta “inadeguatezza” (nei termini fattuali evidenziati dalla Corte) tra l’asserita iniziativa assunta dalla donna (limitatasi a “dare inizio alla contesa”) e la reazione avuta dal ricorrente (che, invece, coglieva l’occasione per porre in essere condotte violente e vessatorie, idonee a cagionare le lesioni contestate nel capo d’imputazione).

Un legame, quello dell’adeguatezza, che pur non potendo essere vista in termini di stretta proporzionalità tra i due termini, ne rappresenta pur sempre una misura, tanto rilevante da incidere sul rapporto di causalità tra ii fatto ingiusto e la reazione, trasformandolo in rapporto di mera occasionalità, in cui il fatto ingiusto diventa, appunto, una mera occasione per la successiva reazione che, in effetti, trova origine e spiegazione in altre ragioni inerenti essenzialmente alla personalità dell’agente (Sez. 5, n. 8945 del 19/01/2022, Rv. 28282; Sez. 1, n. 52766 del 13/06/2017, Rv. 271799; Sez. 1, n. 1214 del 06/11/1008, del. 2009, Rv 242622).

II quarto motivo di censura è inammissibile.

Per costante giurisprudenza non vi e margine per ii sindacato di legittimità quando la decisione in ordine al trattamento sanzionatorio sia motivata in modo conforme alla legge e al canoni della logica e in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., non essendo, d’altra parte, necessario che ii giudice, indicati quegli elementi che assumono eminente rilievo nel discrezionale giudizio complessivo ,prenda singolarmente in considerazione tutti gli elementi di cui all’art. 133 del codice penale.

D’altronde, nell’ipotesi in cui la determinazione della pena non si discosti eccessivamente dai minimi edittali (come in concreto e avvenuto, essendo stata irrogata la pena di anni due di reclusione, a fronte di un massimo edittale, per ii solo reato di sequestro di persona, di anni otto di reclusione), il giudice ottempera all’obbligo motivazionale di cui all’art. 125, comma 3, cod. proc. pen., anche ove adoperi espressioni come “pena congrua”, “pena equa”, “congruo aumento”, ovvero si richiami alla gravità del reato o alla personalità del reo (Sez. 3, n. 33773 del 29/05/2007, Rv. 237402).

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali, al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende e alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile.

In ragione della natura del reato, delle condotte contestate e del coinvolgimento di minori, deve essere disposto l’oscuramento dei dati personali indicati nel presente provvedimento.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile ii ricorso e condanna ii ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili ammesse al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Bologna con separate decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.P.R. n. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.

In case di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d. lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.

Cosi deciso il 12 ottobre 2023.

Depositato in Cancelleria, oggi 22 novembre 2023.

SENTENZA